Un ottimo Thomas Fricke su Der Spiegel fa un confronto fra il rapido crollo del giovane Macron e il declino dei socialdemocratici tedeschi iniziato con Gerhard Schröder e giunge a una conclusione netta: anche Macron, come era già accaduto a Schröder, Renzi e Monti, sarà asfaltato. Da Der Spiegel
L'Europa negli ultimi anni ha prodotto alcuni grandi riformatori dell'economia. Tony Blair ad esempio. O Gerhard Schröder. Mario Monti e Matteo Renzi in Italia. In Spagna Mariano Rajoy. E da un po' piu' di un anno in Francia, Emmanuel Macron.
Tutti nei loro paesi, in maniera più o meno zelante, hanno fatto quello che i papi dell'economia gli raccomandavano di fare: ridurre le gravose regole del mercato del lavoro, alleviare il carico fiscale sui poveri ricchi, trovare le risorse riducendo i sussidi di disoccupazione (per fare finalmente un po' di pressione sui disoccupati), fermare i sindacati con le loro rivendicazioni sfacciate - e poi un'altra pratica divenuta ormai uno standard: tagliare le pensioni.
Tutto ciò è sempre servito per ottenere delle belle lodi dai tanti professoroni dell'economia. E dai funzionari di Bruxelles. E dalle persone che gestiscono il denaro sui mercati finanziari, e che di solito di soldi ne hanno anche tanti. Cioè Friedrich Merz. Per fare un esempio
Peccato ci sia qualcosa di irritante: tutte le star del riformismo da allora e per ragioni misteriose sono state travolte dalla sfortuna - per lo più sotto forma di un crollo improvviso nei sondaggi sulla popolarità fra gli elettori. Piu' o meno tutte queste star hanno perso il sostegno del popolo. Proprio come in queste settimane sta accadendo ad Emmanuel Macron, dopo tutte le belle riforme avviate per la grande gioia dei professori e degli analisti, e che ora invece viene colpito dalla protesta dei francesi coi giubbotti gialli (e dal crollo nei sondaggi).
In maniera simile a Gerhard Schröder, solo che allora non c'erano i giubbotti gialli, quando nel 2005 fu costretto a indire nuove elezioni a causa delle dimostrazioni del lunedì e del malcontento popolare. Per rendersi poi conto che lui, il più grande di tutti i riformatori, era sostenuto solo da una minoranza di persone. Cosa che secondo gli usi democratici non è possibile. Ora è costretto ad occuparsi di petrolio e gas. O Monti e Renzi, che sono stati espulsi dal campo. O Tony Blair, che oggi sull'isola nessuno vuole avere come amico - almeno nel proprio campo politico.
Coincidenza? Da allora quasi tutti i partiti (per la maggior parte formalmente socialdemocratici) sono implosi nel tentativo di dimostrare di essere riformatori - in Germania è accaduto alla SPD, in Italia al Partito Democratico di Renzi e in Francia al Parti socialiste, un tempo un grande e orgoglioso partito, che prima di Macron si era già cimentato con le grandi riforme.
Come? Con una simile scoperta, i predicatori dell'ortodossia economica dovrebbero subito iniziare a lamentarsi in coro - a scelta sul popolo tedesco, italiano o francese - i quali semplicemente non avrebbero una comprensione dell'economia sufficiente, oppure che per qualche ragione sarebbero diventati un po' troppo comodi o pigri (teorema di Spahn-Merz). Caratteristica che al piu' tardi durante la prossima crisi e grazie ad un certo livello di sofferenza potrà essere eliminata.
Oppure i predicatori hanno tirato fuori la pratica tesi argomentativa secondo la quale tali riforme richiedono tempo, quindi la gente non dovrebbe essere così impaziente - perché tutte queste privazioni porteranno alla crescita economica, alla creazione di più posti di lavoro, e alla fine tutti guadagneranno di più e andranno in paradiso. Bene. Prima o poi accade.
Un'altra interpretazione potrebbe essere quella secondo la quale le riforme non rendono tutti veramente felici per l'eternità - e qualcuno nel popolo prima o poi se ne accorge.
La verità è: dove le riforme sono state fatte, più o meno secondo i libri di testo, tutte queste rinunce, le condizioni di lavoro più flessibili e le altre liberalizzazioni, nella maggior parte dei casi sono servite a migliorare di molto i bilanci aziendali e a fare la fortuna degli investitori. Quindi, questa parte della promessa ha funzionato decisamente bene. Mai fino ad ora le aziende avevano fatto così tanti soldi come oggi. Gli azionisti non erano mai stati così ricchi come dai tempi dei grandi riformatori del libero mercato Ronald Reagan e Margaret Thatcher.
Sembra anche che abbia funzionato bene il fatto che quà e là le aziende abbiano creato diversi nuovi posti di lavoro, grazie ai buoni profitti e a tutte le nuove opportunità di assumere le persone per un breve periodo, pagandole un tozzo di pane. Almeno la disoccupazione nei primi paesi ad aver implementato le riforme, cioè gli Stati Uniti e il Regno Unito, è a livelli storicamente bassi, come da noi. Anche in Francia e in Italia è diminuita in maniera significativa. Almeno Ufficialmente.
Il problema è che qualcosa non sembra essere andato in maniera giusta, almeno se misurato da quanto la situazione quasi ovunque sia politicamente preoccupante. E di come le avvisaglie della crisi siano arrivate prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, cioè dove la "battaglia finale del mercato" è stata praticata con piu' energia. Nel frattempo pero' si comincia a sospettare che tutto ciò sia dovuto ai difetti del bel modello economico:
- le aziende, nonostante tutti i grandi guadagni, non hanno mai investito cosi' poco in una ripresa futura come hanno fatto questa volta - ciò potrebbe avere a che fare con il fatto che questa volta a causa della riduzione dei redditi e della insicurezza economica manca la prospettiva di una crescita della domanda interna.
- con tutta la nuova pressione, la concorrenza dei lavoratori a basso costo e la perdita di influenza dei sindacati, nel lungo periodo non sono ipotizzabili grandi aumenti salariali. Secondo i rapporti dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), i salari da anni quasi ovunque nei paesi industrializzati crescono ad un ritmo storicamente molto basso; nel Regno Unito e in Italia, le persone in media, tenendo conto dell'inflazione, guadagnano meno di quanto non guadagnassero prima della crisi del 2008.
- una parte significativa delle persone questi aumenti salariali non li ha nemmeno visti - e in alcuni casi in termini reali oggi guadagnano ancora meno di dieci o venti anni fa; fatto ancora più vero per gli Stati Uniti.
- a causa della forte mobilità e flessibilità è aumentata drammaticamente l'incertezza dei lavoratori e la possibilità di perdere improvvisamente una parte significativa del reddito durante la loro vita professionale - fatto che secondo la diagnosi dell'economista Tom Krebs di Mannheim conduce inequivocabilmente al fatto che molte persone a causa della loro frustrazione abbiano scelto i populisti. Parole chiave: paura del declino economico.
Tutto ciò è esattamente l'opposto di quello che i papi del riformismo avevano promesso: e cioè che alla fine tutti ne avrebbero beneficiato. E ciò potrebbe anche spiegare il motivo per cui anche in Germania, dove i criteri comuni per la valutazione del successo economico - una crescita costante con un calo della disoccupazione - sembrano essere perfetti, il risentimento sia così grande. E perché a votare AfD e gli altri populisti non ci siano solo i poveri e i disoccupati. Oppure i partiti di destra vanno molto meglio laddove la pressione della globalizzazione era (ed è) sensibilmente più alta - e in particolare laddove sono in molti ad avere l'impressione di aver perso il controllo sul proprio destino. E perché Donald Trump nel 2016 ha vinto soprattutto in zone come la vecchia regione industriale della "Rust Belt", dove la gente da un giorno all'altro ha visto la propria sopravvivenza minacciata.
Questo potrebbe anche spiegare il motivo per cui oggi in Italia governano i populisti - dopo che quelli che in precedenza avevano riformato così bene sono caduti in disgrazia, e perché il popolo non ha avuto la sensazione, anche dopo anni di riforme varie, che presto a tutti le cose sarebbero potute andare meglio.
E perché anche il giovane e smart Emmanuel Macron ora venga travolto da quello che era già successo anni fa a Schroeder, Blair e Renzi: che sì hanno fatto battere a mille i cuori dei fondamentalisti dell'economia, ma proprio per questo motivo si sono trovati al capolinea politico. E da allora politicamente la situazione si è fatta difficile.
Se ciò è vero, allora c'è urgente bisogno di una comprensione completamente nuova di ciò che è buono oppure no: una politica che consenta agli imprenditori del paese di mettere in pratica idee e guadagnare abbastanza da poter investire e creare nuovi posti di lavoro - non come un fine in se stesso, o come qualcosa che porta ad un collasso politico a causa dei vari effetti collaterali.
Nel mix dei criteri per fare una buona politica quindi non dovranno esserci solo le solite cianfrusaglie economiche, ma anche quanto può essere considerato adeguato questo o quel pacchetto di riforme per riconciliare e tenere unita la società. E poi fra le riforme significative c'è quella di fare in modo, senza alcun dubbio (e non come possibile consequenza tardiva), che il maggior numero possibile di persone ne possa beneficiare - se ciò non dovesse avvenire in maniera automatica.
Allora potrebbe valere la pena consultare un po' più spesso gli psicologi in merito al livello di insicurezza e perdita di controllo, causati dagli appelli alla competività, alla concorrenza e alla mobilità, che può essere sopportato dall'animo umano. Se l'esemplare medio del nostro genere è sopraffatto da così tanti sconvolgimenti, perché dovrà nutrire una famiglia e pagare una casa, e quindi non potrà nemmeno spostarsi in qualche altro luogo per trovare un lavoro; diversamente da quanto è scritto nei libri di testo.
Quello che da un paio di decenni viene predicato nei modelli dell'ortodossia economica, semplicemente potrebbe non funzionare con il modello standard di uomo medio. Sia che si tratti della versione francese, italiana o tedesca.