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giovedì 22 giugno 2023

Heiner Flassbeck - Mancanza di lavoratori qualificati e inflazione, le bugie e i gravi errori della BCE

"Quello che veramente ci interessa è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica? O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile. Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto...". Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega perché il dibattito sui tassi di interesse e sulla presunta mancanza di lavoratori qualificati serve piu' che altro a nascondere gli interessi delle classi dominanti. Da Telepolis

Heiner Flassbeck


A volte un'affermazione molto semplice può dirci in che modo una società mente a se stessa per nascondere delle relazioni alquanto spiacevoli. Così accade anche per l'inflazione e così accade per la disoccupazione.

Un anno di forte aumento dei prezzi, solitamente chiamato "inflazione", ha fatto tremare la società e la politica; quarant'anni di disoccupazione, invece, vengono semplicemente messi da parte perché non rientrano nella propria visione del mondo.

In una intervista straordinaria, il membro del Comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel ha offerto un punto di vista approfondito della sua visione del mondo economico.

Il risultato è scioccante. La signora Schnabel non solo difende la dottrina totalmente fallimentare del cosiddetto monetarismo, ma la sua visione storica della disoccupazione è anche caratterizzata da una grande ignoranza. Entrambi i fatti sono fatali, perché le false lezioni che si traggono dalla storia spesso ci spiegano in maniera diretta gli errori che si commettono nel presente.

È più che sorprendente il modo in cui la signora Schnabel vede la situazione sul mercato del lavoro negli anni '70 rispetto a quella odierna. E dice:

"Soprattutto, abbiamo un mercato del lavoro insolitamente forte. La disoccupazione - e questa è un'enorme differenza rispetto agli anni '70 - è ai minimi storici nell'area dell'euro. Abbiamo una grande carenza di manodopera. Allo stesso tempo, naturalmente, ciò significa che in questo processo negoziale i lavoratori hanno un maggiore potere contrattuale (...)"

Isabel Schnabel, BCE

Questo è più che problematico per il suo giudizio sulla reazione dei lavoratori agli attuali aumenti temporanei dei prezzi. Se questo punto di vista (completamente errato) dovesse prevalere in tutto il Comitato esecutivo della BCE, ciò spiegherebbe anche l'errata valutazione della durata e della pericolosità degli aumenti temporanei dei prezzi.


Ora la BCE ha addirittura aumentato un'altra volta i tassi di interesse, anche se il pericolo di un'inflazione reale nel frattempo è stato ampiamente scongiurato (come mostrato qui di recente).

La denuncia di una carenza di lavoratori qualificati

La BCE non è affatto sola in questo errore di valutazione. Si sente spesso dire, soprattutto in Germania, che attualmente si registra una carenza particolarmente grave di lavoratori qualificati e che anche i posti di lavoro che richiedono solo basse qualifiche sono difficili da occupare.

Questo può essere vero agli occhi delle aziende da tempo abituate ad essere "rifornite" alla svelta delle qualifiche di cui avevano bisogno dall'ufficio di collocamento. Agli occhi di un imprenditore che ha vissuto gli anni '70, però, l'affermazione secondo la quale oggi ci sarebbe carenza di manodopera è uno scherzo di cattivo gusto.

Il mercato del lavoro: la differenza elementare rispetto agli anni '70

Prima dell'esplosione del prezzo del petrolio nel 1973, la Germania e mezzo mondo avevano attraversato 20 anni di super boom che, come l'Ufficio federale di statistica ha appena mostrato nelle statistiche storiche, la Germania aveva ripreso a crescere all'inizio degli anni Settanta.

La situazione sul mercato del lavoro era molto chiara. In Germania c'erano circa 100.000 disoccupati e circa un milione di posti vacanti, un rapporto di uno a dieci. Non c'era praticamente lavoro da cercare o trovare, perché la maggior parte delle 100.000 persone registrate come disoccupate si era appena iscritta all'ufficio di collocamento, poco prima di trovare un nuovo lavoro.



Oggi ci sono circa 2,5 milioni di disoccupati secondo le statistiche ufficiali e circa 800.000 posti di lavoro (anch'essi secondo il conteggio ufficiale) vacanti. Si tratta di un rapporto di tre a uno. Chiunque paragoni un rapporto di uno a dieci con un rapporto di tre a uno giungendo alla conclusione che nel secondo caso vi sia una carenza "storica" di manodopera e che quindi i lavoratori oggi abbiano un maggiore potere contrattuale si sta fondamentalmente sbagliando.

Il timore di una spirale salari-prezzi viene fomentato in maniera artificiale

Sulla base di questa diagnosi errata, la BCE arriva addirittura a fomentare la paura di una spirale salari-prezzi, che invece è completamente infondata. Non solo a causa del rapporto inverso tra posti di lavoro e disoccupati, ma anche a causa di molte azioni politiche deliberate durante i decenni del neoliberismo: il movimento sindacale in Germania e in tutta Europa è stato massicciamente indebolito.

Non da ultimo, all'inizio di questo secolo, sotto i rosso-verdi, con la legislazione Hartz IV, il movimento sindacale e la capacità dei sindacati di mobilitare i propri iscritti in occasione di uno sciopero, proprio nel più grande Paese dell'Unione monetaria, hanno subito un duro colpo.


Tutto questo è passato inosservato a Isabel Schnabel? Se fosse così, allora non ha nulla a che fare con il luogo in cui siede.

Ci si chiede, tuttavia, come abbia fatto l'economia all'inizio degli anni Settanta a crescere in modo così sostenuto, quando a differenza di oggi non c'era la possibilità di reclutare manodopera dall'esterno

La risposta è semplice.

Vale e dire: le aziende hanno dovuto trasformare internamente tutti i lavoratori disponibili in lavoratori qualificati con l'aiuto di una formazione intensiva.

Chi non riusciva a trovare dipendenti doveva rassegnarsi alla possibilità di espandere il business solo alle attività che potevano essere realizzate escllusivamente con la forza lavoro esistente. E c'erano tutte le ragioni per investire in attività fisse, più in quelle che aumentavano la produttività che in quelle che aumentavano la capacità.


Le lamentele dei datori di lavoro sulla carenza di competenze, che vengono lanciate nel dibattito pubblico ogni pochi mesi, sono piu' che altro l'espressione di una mentalità dell'offerta da parte dei datori di lavoro che non può essere giustificata da nulla e che ha potuto emergere nei decenni passati perché la disoccupazione è rimasta costantemente alta.

Coloro che nei loro discorsi domenicali invocano l'auto-guarigione dell'economia attraverso le sole forze di mercato diventano improvvisamente sostenitori dell'interventismo statale quando si tratta di disponibilità di manodopera. Lo Stato tuttavia non ha alcun obbligo di garantire un'offerta regolare di manodopera.

La mentalità orientata all'offerta dei datori di lavoro è particolarmente evidente quando suppongono che questa offerta di manodopera debba avvenire sempre alle stesse condizioni salariali.

Se si ha urgente bisogno di manodopera, si deve fare quello che si è sempre fatto quando non si riesce a procurarsi facilmente un bene scarso: spendere più soldi. E questo è l'unico modo per sfruttare le potenzialità del mercato del lavoro non altrimenti disponibili.

Ma quando si tratta di aumentare i salari, i datori di lavoro dimenticano volentieri che si trovano in un'economia di mercato e non in un'istituzione statale.


La colpa è solo dei politici. Quando i ministri federali viaggiano dall'altra parte del mondo per reclutare lavoratori in un Paese in via di sviluppo, devono avere l'impressione che si tratti di una questione squisitamente politica.

Risolvere la carenza di lavoratori qualificati con l'immigrazione è tuttavia di un cinismo senza pari in una società che fa di tutto per chiudere quanto piu' possibile le proprie frontiere all'immigrazione in fuga dalla povertà, anche in barba ai diritti umani.

Va da sé che ci è permesso, per "nostre ragioni economiche", sottrarre ai Paesi in via di sviluppo i lavoratori qualificati di cui hanno urgente bisogno. Allo stesso tempo, però, facciamo tutto il possibile per fermare o impedire l'immigrazione per ragioni economiche.

Difficilmente si può essere più schizofrenici di così. Gli immigrati possono anche essere istruiti, ma ovviamente costano di più che andare a caccia di lavoratori già formati nei loro Paesi a spese dei contribuenti.

La soluzione al problema è semplice: in un Paese ci sono tanti lavoratori quanti sono gli abitanti.

Da dove arriva l'arroganza di dire che dobbiamo crescere più di quanto siamo effettivamente in grado di fare e che il divario deve essere colmato dall'immigrazione di lavoratori qualificati e ben istruiti?


Se la società è in grado di aumentare la propria prosperità attraverso l'aumento della produttività, tutto bene. Se non ci riesce, deve adattarsi a ciò che ha. Dovrebbe essere un tabù assoluto, soprattutto per le nazioni "basate sui valori", quello di manomettere il potenziale lavorativo di altri Paesi.

Cosa ci interessa davvero

Quello che ci interessa veramente è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio stipendiato guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica?

O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile.

Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto. I lavoratori qualificati devono semplicemente essere disponibili in abbondanza e a basso costo, in modo che il quinto superiore della gerarchia dei redditi possa continuare a vivere nel lusso non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi.


Articoli precedenti di Heiner Flassbeck:


La fine dell'inflazione in Germania 


Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobilare tedesco


Perché la politica monetaria della BCE è sbagliata





giovedì 18 maggio 2023

Heiner Flassbeck - La fine dell'inflazione in Germania

Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck sulla base dei dati appena pubblicati dall'Ufficio Federale di Statistica tedesco chiede che la BCE modifichi rapidamente la politica monetaria restrittiva in quanto l'attuale livello dei tassi sta gravemente danneggiando l'economia dell'unione monetaria. Ne scrive Heiner Flassbeck su Relevante Oekonomik 


I nuovi dati dell'Ufficio Federale di Statistica (si vedano i comunicati stampa) chiariscono la situazione anche agli ultimi dubbiosi: la breve fase di forte aumento dei prezzi appartiene al passato e la completa normalizzazione dell'andamento dei prezzi al consumo è solo questione di pochi mesi.

L'Ufficio ha rivisto al ribasso i prezzi alla produzione industriale e ha pubblicato i prezzi all'ingrosso per il mese di aprile. La scorsa settimana inoltre sono stati pubblicati i prezzi alla produzione dei prodotti agricoli per il mese di marzo. La Figura 1 mostra i tassi di crescita su base annua di questi tre indici di prezzo. Il risultato è evidente: i forti aumenti dei prezzi sono stati un evento temporaneo, i prezzi all'ingrosso stanno già scendendo e gli altri seguiranno a breve. Non sembrano esserci nuovi impulsi a nessun livello per consentire una ripresa di quello che molti hanno visto come un processo inflazionistico.

Figura 1

Se si osserva l'andamento dei prezzi alla produzione e all'ingrosso e dei prezzi al consumo sul lungo periodo (Figura 2), si può notare chiaramente come i prezzi al consumo seguano regolarmente e in maniera attenuata i prezzi alla produzione e all'ingrosso.



In particolare, le fluttuazioni nel corso della crisi finanziaria globale del 2008/2009 dimostrano che i prezzi al consumo sono in ritardo rispetto agli altri due indici con un disallineamento più o meno ampio. Nel 2011, ad esempio, i prezzi alla produzione e i prezzi all'ingrosso erano già in ritirata, ma i prezzi al consumo hanno continuato a crescere ancora per un po'. Il calo di questi prezzi prima della pandemia è arrivato con un certo ritardo anche ai prezzi al consumo.


Poiché tali sviluppi, come mostrato in questa sede, possono essere osservati anche in tutto il resto dell'unione monetaria, si può solo ribadire ancora una volta che l'affermazione della BCE secondo cui ci sarebbe una pressione inflazionistica persistente non ha alcun fondamento. Se si considera che la stessa BCE ipotizza un ritardo di 18-24 mesi negli effetti della sua politica, la questione relativa all'adeguatezza dell'attuale politica monetaria e ancor più degli annunciati ulteriori aumenti dei tassi di interesse diventa sempre più urgente.

Se i responsabili della BCE sono preoccupati per la politica salariale in alcuni piccoli Paesi membri dell'unione monetaria, dovrebbero parlare con le parti negoziali e contribuire a trovare soluzioni ai problemi sociali derivanti dall'estrema impennata dei prezzi (parola chiave: compressione della struttura salariale). Danneggiare l'unione monetaria nel suo complesso frenandone l'attività di investimento non aiuterà affatto i Paesi con politiche salariali non orientate alla stabilità. Infatti, la loro perdita di competitività internazionale sarà tanto più negativa quanto più l'economia europea sarà indebolita dalla politica monetaria. In questo contesto, le attuali previsioni della Commissione europea sono come il proverbiale fischio nella foresta.

venerdì 7 aprile 2023

Heiner Flassbeck - Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobiliare tedesco

Il settore delle costruzioni in Germania sta crollando ad un ritmo superiore rispetto a quanto avvenuto negli anni della crisi finanziaria, il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega cosa sta accadendo e quali sono le gravi responsabilità della politica restrittiva della BCE. Ne scrive Heiner Flassbeck su relevante-oekonomik.com/

Heiner Flassbeck

L'Ufficio Federale di Statistica la scorsa settimana ha comunicato che i nuovi ordini (corretti per i prezzi) nel settore delle costruzioni nel gennaio 2023 sono stati di ben il 21% inferiori rispetto al livello dell'anno precedente (Figura 1). "L'ultima volta che si era registrato un calo maggiore ad inizio anno era stato nel gennaio 2009 (-21,8% rispetto al gennaio 2008)", ha dichiarato l'Ufficio di statistica. Da marzo dello scorso anno, la domanda totale nel settore edile è crollata del 24%.


Osservando le cifre (destagionalizzate) mese per mese, si nota che il crollo sta interessando tutti i settori nell'industria delle costruzioni. L'ingegneria civile (Figura 2), dominata dai contratti governativi, ha avuto una traiettoria ascendente fino al 2018, ha ristagnato in gran parte tra il 2019 e il 2022 e ora continua a scendere.


La più colpita è l'edilizia residenziale (Figura 3), di cui i nostri politici ci raccontano che la Germania ha tanto bisogno: rispetto al marzo dello scorso anno, questo settore ha registrato un calo degli ordini di un terzo.

Figura 3



A dire il vero, è già dal 2020 che non si registra più una chiara tendenza al rialzo. Il crollo drammatico tuttavia è iniziato solo dopo il marzo 2022, quando è stato raggiunto un valore dell'indice pari a 140,5. La velocità dell'attuale crollo non si era mai vista negli ultimi 20 anni, nemmeno in una recessione, nemmeno nel corso della grande crisi finanziaria del 2008/2009. E questo ha anche a che fare con il fatto che i costi di costruzione erano esplosi anche prima dell'attuale crollo rispetto a quanto accaduto negli ultimi due decenni (Figura 4).


Figura 4

Questo aumento dei prezzi, anch'esso speculativo e caratterizzato da vari shock dell'offerta, già di per sé avrebbe rallentato l'industria delle costruzioni spingendo verso un graduale calo dell'attività edilizia, come già evidente nell'edilizia residenziale dalla fine del 2020. Ma il rapido crollo avvenuto a partire dalla primavera del 2022 non può essere spiegato solo dall'andamento dei costi di costruzione. 

Figura 5

Figura 6

Il quadro della domanda nel settore delle costruzioni trova riscontro nel fatto che i prezzi degli immobili residenziali (Figure 5 e 6) nel quarto trimestre dell'anno scorso sono scesi del 3,6%, un calo significativo - su di una tale dimensione per la prima volta dal 2007, quando nel primo trimestre erano scesi del 3,8%. La situazione è quindi cambiata radicalmente e rapidamente, anche guardando a questo indicatore.


Inoltre, si può notare che sono soprattutto gli immobili residenziali esistenti e non quelli di nuova costruzione ad essere crollati a un ritmo molto sostenuto. Ciò è da associare ad una correzione dell'inflazione speculativa, da accogliere con favore. Questo sviluppo tuttavia - come lo scoppio di una bolla dei prezzi - rischia di frenare la propensione all'investimento: se i prezzi degli asset scendono, molti proprietari di case si sentiranno più poveri e più esitanti di prima nell'intraprendere una conversione ecologica della loro proprietà. Anche i potenziali acquirenti di immobili, per i quali il calo dei prezzi in realtà è un fatto positivo e lascia spazio al finanziamento di investimenti ecologicamente sensati negli immobili esistenti, potrebbero essere trattenuti: potrebbero infatti esitare prima di acquistare nella speranza che i prezzi scendano ulteriormente, oppure per il timore di acquistare un immobile il cui valore successivamente potrebbe ulteriorimente scendere mentre sono vincolati a dei tassi di interesse contrattualmente concordati e relativamente elevati.

Tra l'altro, già nel febbraio 2022, la BCE stava seriamente considerando (secondo Isabel Schnabel) la possibilità di tenere maggiormente in considerazione il prezzo degli immobili, cioè il prezzo di un asset, nelle decisioni di politica monetaria. Questa mossa è stata rilevante in quanto l'indice dei prezzi al consumo, il metro di misura della politica monetaria, riguarda essenzialmente i prezzi dei flussi, cioè dei beni che vengono consumati e utilizzati. Ad esempio, i prezzi delle azioni - anche i prezzi degli asset - non hanno alcun ruolo nel calcolo dell'indice dei prezzi al consumo. Nella misura in cui i prezzi degli immobili si ripercuotono sugli affitti (e sul costo delle abitazioni occupate dai proprietari), hanno sempre svolto e continuano a svolgere un ruolo nell'indice nazionale dei prezzi al consumo. 

I costi degli alloggi occupati dai proprietari, tuttavia, non sono inclusi nell'indice armonizzato su cui si basa la BCE. E questa è stata ovviamente una spina nel fianco di Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della BCE: "Quando si tratta di chiedere se le condizioni della nostra forward guidance sono soddisfatte, il Presidente ha sempre chiarito che alla fine questa valutazione non è meccanicamente legata alle proiezioni, ma è un giudizio del Consiglio direttivo. E qui dovrebbero entrare in gioco i prezzi delle abitazioni". 

Al momento, Isabel Schnabel non ha ancora dichiarato di voler prendere in considerazione, nella sua valutazione dell'attuale andamento dei prezzi, il calo dei prezzi degli immobili con la stessa serietà con cui teneva conto dello stesso aumento dei prezzi un anno fa. Ciò alimenta l'impressione che l'approccio basato sui dati, che la BCE  recentemente ha enfatizzato con forza come base per le sue decisioni di politica monetaria, non venga fatto in maniera sistematica, ma piuttosto che i dati empirici siano a volte inclusi nella valutazione della situazione e a volte no, a seconda che sostengano la posizione "desiderata" del momento o piuttosto la contrastino.

Le responsabilità della politica monetaria

Se si guarda alla costellazione complessiva della domanda di abitazioni, dei costi di costruzione e dei prezzi delle case, non c'è dubbio che la politica monetaria sia in buona parte responsabile del crollo del settore delle costruzioni e del mercato immobiliare. Non è una novità: i tassi di interesse erano già aumentati nel 2005 e nel 2006, ponendo fine all'espansione dell'industria delle costruzioni, in particolare dell'edilizia residenziale, come si evince dalla Figura 7, in cui vengono riportati i nuovi ordini per l'edilizia residenziale nel principale settore delle costruzioni, affiancati al tasso di interesse di riferimento della BCE. Oggi, tuttavia, parliamo di una dimensione diversa del problema. Questa volta, i tassi di interesse sono saliti in pochissimo tempo partendo da zero perché la BCE ha ritenuto di dover combattere un aumento temporaneo dei prezzi, la cui origine era chiaramente da ricercare negli eventi globali.

Gli investitori i cui investimenti hanno un rendimento atteso inferiore rispetto al tasso d'interesse non hanno modo di sottrarsi alla pressione dei tassi d'interesse fissati per contratto o alla pressione di investire i propri fondi in titoli sicuri, invece che in progetti d'investimento nell'economia reale alquanto incerti. Questo vale sia per le imprese che per le famiglie. Le persone le cui aspettative di reddito non consentono di sostenere un tasso di interesse più elevato devono rinunciare all'acquisto o alla costruzione di una casa.

Questa correlazione si applica anche agli investimenti industriali piu' in generale. Gli ordini interni ricevuti dai produttori di beni strumentali si sono indeboliti a partire dall'estate del 2021 e sono in netto calo dal primo trimestre del 2022 (Figura 8).


Per comprendere il grave pericolo che ciò rappresenta se combinato con l'attuale politica monetaria, è necessario considerare l'andamento precedente: la leggera ripresa che in Germania la domanda interna di beni di investimento aveva avuto dopo la crisi dell'euro, durata fino al 2018, si era già conclusa prima della pandemia - la domanda di investimenti inizialmente ha ristagnato ed è poi scesa per tutto il 2019. A partire da marzo 2020 è crollata a causa della pandemia, per poi risalire ai livelli di inizio anno. Nella prima metà del 2021 si era registrata una ripresa, tanto che la domanda di investimenti ha raggiunto un livello che proseguiva la fase ascendente durata almeno fino al 2018. Ma poi la situazione è precipitata di nuovo. La guerra in Ucraina, con tutte le sue conseguenze sul settore energetico, e le grandi incertezze innescate hanno fatto crollare nuovamente la disponibilità a investire. 

E nel bel mezzo di questa fase di debolezza, la politica monetaria europea è passata ad una fase fortemente restrittiva. La differenza con l'andamento degli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria è notevole: allora, l'aumento dei tassi d'interesse, più lento e meno esteso, era stato preceduto da una ripresa degli investimenti durata due anni, protrattasi anche durante il rialzo dei tassi d'interesse, prima che la crisi finanziaria la interrompesse bruscamente, così come il rialzo dei tassi d'interesse. Prima dell'inizio dell'attuale inasprimento della politica monetaria, invece, in Germania non si era registrata alcuna ripresa degli investimenti, al massimo una faticosa ripresa della domanda di investimenti avvenuta dopo lo shock pandemico, che lo shock della guerra in Ucraina però aveva prontamente ucciso.

La politica monetaria della BCE tuttavia non può essere guidata solo dalla costellazione economica del suo membro piu' grande. Qual è dunque la situazione della domanda di investimenti nell'Unione Monetaria Europea nel suo complesso? Purtroppo l'indicatore "nuovi ordini" a livello di statistiche europee non esiste. Dobbiamo quindi accontentarci delle statistiche sulla produzione. Tuttavia, quest'ultima non sempre corre parallela in termini temporali rispetto ai nuovi ordini.

Negli ultimi tre anni, in particolare, non è stato possibile evadere tempestivamente gli ordini a causa della pandemia e dei colli di bottiglia legati alla guerra. A tale proposito, il crollo della domanda verso la situazione estrema attuale, ancora non si è riflettuto sulla produzione, come dimostra l'esempio dell'attività edilizia (Figura 9).


Quale sarà il prossimo passo della politica monetaria europea? Il tasso di interesse è la controparte diretta del rendimento (atteso) degli investitori e quindi, in termini macroeconomici, la più importante variabile di controllo per qualsiasi tipo di investimento di cui la politica economica dispone. Può essere utilizzato per deprimere la domanda in aree cruciali dello sviluppo e del cambiamento strutturale, come dimostrano i dati, in maniera tale che la domanda aggregata finisce per crollare. Il tasso di inflazione ha lo stesso effetto. Ma è davvero questa la strada giusta da seguire se ci sono buone ragioni per credere che il tasso di inflazione tornerà a un livello accettabile nel prossimo futuro anche senza questo corso accelerato?

Politica macro o politica strutturale

Ogni medico, prima di intraprenderla, deve considerare gli effetti collaterali della terapia proposta. Operazione riuscita, paziente morto: non è un concetto sensato. La BCE rischia di infilarsi in un vicolo cieco da cui difficilmente riuscirà a venirne fuori. Immaginiamo che le attuali tensioni internazionali portino a ulteriori strozzature dell'offerta, compresa la corrispondente speculazione sui mercati delle materie prime, tali da fare in modo che l'aumento dei prezzi riprenda velocità. La BCE in quel caso continuerebbe il suo percorso e addirittura lo inasprirebbe? Dovrebbe farlo se non vuole perdere la faccia rispetto alle sue precedenti motivazioni politiche. Il risultato per l'economia reale sarebbe però disastroso, perché una forte recessione sarebbe a quel punto inevitabile in tutta Europa. Se la BCE se ne rendesse conto, dovrebbe prendere la strada opposta. Ma come potrebbe giustificare questa scelta?

Resta il fatto che chi non considera in modo differenziato le cause dell'andamento dei prezzi e non reagisce ad esse in maniera differenziata, ma ritiene tutti i settori ugualmente responsabili per gli shock imprevedibili, sta applicando il metodo della mazza di legno sul livello dei tassi di interesse, oltre a distruggere la volontà di affrontare gli investimenti in capitale fisso.

Non è forse questo il cambiamento strutturale che si voleva ottenere?

Non dobbiamo forse ridimensionare alcune attività economiche, come continuano a dirci, se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici? Sì, probabilmente è così. Ma se è il risultato di una politica monetaria sbagliata e avviene mediante uno shock, avrà esattamente l'effetto opposto. Poiché sempre più persone avranno paura per il proprio posto di lavoro, e diventerà sempre più difficile per i politici chiedere la disponibilità a impegnarsi nel cambiamento strutturale necessario per raggiungere gli obiettivi climatici.

Il necessario cambiamento strutturale deve essere guidato dai giusti segnali di prezzo, ma non può essere il prodotto accidentale di una medicina di politica monetaria i cui effetti collaterali sono peggiori della malattia stessa. Il cambiamento strutturale guidato dai prezzi, come abbiamo descritto qui recentemente, deve essere affiancato da una redistribuzione in favore degli strati più poveri della popolazione, perché altrimenti lo Stato non ha la legittimità per attuare i suoi obiettivi. Ma deve anche essere accompagnata da una politica macroeconomica che faccia della piena occupazione il suo obiettivo primario e che, in questo modo, riesca a contenere il giustificato timore nei confronti del cambiamento strutturale in modo da riuscire ad ottenere la maggioranza necessaria per poter applicare questa politica nel quadro di una democrazia.



mercoledì 2 novembre 2022

Heiner Flassbeck - Perchè la politica monetaria della BCE è sbagliata

Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega perché il rialzo dei tassi operato dalla BCE è sbagliato e perché non servirà a combattere l'inflazione ma invece ci sta portando dritti verso la recessione. Ne scrive Heiner Flassbeck da Relevante Oekonomik

Heiner Flassbeck

La Banca Centrale Europea apparentemente ha deciso di voler seguire con convinzione il percorso restrittivo avviato in estate, anche se ogni giorno diventa sempre più chiaro che questo percorso è sbagliato. Persino le grandi istituzioni fondate sulla razionalità, come la BCE, possono portare avanti un programma di sfida così infantile quando la loro leadership è sopraffatta dal punto di vista intellettuale e dopo essersi arresa alle pressioni politiche. Christine Lagarde giustamente è diventata il simbolo di questo fallimento in quanto a causa della sua mancanza di competenza non è stata e non è in grado di contrastare in alcuno modo una comprensione collettiva dell'inflazione e della politica monetaria alquanto primitiva.

In definitiva possiamo affermare che la politica in senso lato è altrettanto impotente di fronte al secondo aumento dei prezzi derivante da una combinazione fra shock globali dell'offerta e speculazione, come del resto era accaduto per la prima volta negli anni Settanta. Certo, i politici vengono sostituiti ed eletti più che altro per caso, ma ciò che spaventa è la totale incapacità del sistema di imparare dall'esperienza.

Cosa c'è da sapere?

I pochi passaggi logici necessari per riconoscere gli errori fatali che attualmente vengono commessi dovrebbero essere facili da capire per qualsiasi studente di economia del terzo semestre. Gli shock dell'offerta nei paesi prevalentemente consumatori di beni creano un problema di redistribuzione e un problema di domanda. Complessivamente, l'economia dispone di meno reddito da consumare o investire. I sindacati non possono risolvere mediante il conflitto il problema della redistribuzione in loro favore, in quanto i datori di lavoro hanno dalla loro parte la forza della leva dei prezzi. La politica fiscale, tuttavia, può fare qualcosa per disinnescare questo conflitto redistributivo.

Anche la politica monetaria naturalmente non può risolvere il problema della redistribuzione, ma può aggravarlo drasticamente se parte dal presupposto (come sta facendo la BCE) che i sindacati saranno comunque irragionevoli e riusciranno a trasformare uno shock temporaneo dei prezzi in una inflazione permanente. Perché sta aumentando i tassi di interesse senza dare alle parti in causa (e alla politica fiscale!) la possibilità di trovare una soluzione ragionevole al problema della distribuzione. Tutto ciò è semplicemente stupido.

È particolarmente stupido se si ignora il fatto che tutti i segnali nell'UEM indicano in modo chiaro una recessione. Il modo in cui una banca centrale può frenare l'aumento dei prezzi è sempre quello di indebolire l'attività di investimento attraverso degli alti tassi di interesse i quali avranno poi un effetto recessivo rallentando la politica salariale. Di conseguenza, la banca centrale implicitamente ritiene che una recessione abbia un effetto frenante sulle richieste e sugli accordi salariali, ma allo stesso tempo finge che la recessione già in atto non abbia alcun effetto sulle trattative salariali.


La posizione della banca centrale è irresponsabile, poiché sono già presenti i primi e chiari segnali che sotto la pressione della recessionee sono possibili da parte dei partner della contrattazione collettiva delle soluzioni ragionevoli. Nell'industria chimica tedesca, ad esempio, esiste un accordo che esclude senza alcuna ombra di dubbio uno sviluppo inflazionistico nel senso di una spirale prezzi-salari (con aumenti salariali regolari di un massimo del 3,25% per ciascuno dei prossimi due anni) e allo stesso tempo prevede una certa perequazione del reddito attraverso dei pagamenti una tantum (2 volte 1500 euro per tutti i gruppi salariali). Se le previsioni di inflazione contrattata per il 2024 si rivelassero troppo alte, i lavoratori avrebbero fatto un ottimo affare.

In questo modo le parti negoziali hanno risolto il problema della distribuzione senza generare pressioni inflazionistiche. Se lo Stato si unisce a questo processo e lo fa in modo intelligente, cioè sostenendo direttamente i redditi di coloro che guadagnano poco ma non beneficiano di tali accordi collettivi, allora si potrà dire che ciò che può essere fatto in modo sensato per alleviare il conflitto distributivo è stato fatto.

Va aggiunto che ci sono chiari segnali di allentamento anche dal lato dell'offerta. I prezzi di quasi tutte le materie prime che erano al centro degli shock originari dell'offerta ora sono in netto calo. Non è nemmeno necessario fare riferimento alla spettacolare inversione di tendenza del prezzo del gas per rendersi conto che alcune bolle speculative sono scoppiate e l'offerta di molte materie prime sta tornando alla normalità. Se non ci saranno nuovi shock, possiamo aspettarci che i tassi d'inflazione l'anno prossimo scendano significativamente, anche senza l'intervento della banca centrale.


Il mandato della banca centrale

Ignorare questi elementi è un fallimento della Banca Centrale Europea che difficilmente potrà essere condannato con sufficiente severità. Un'istituzione a cui è stata concessa una così grande indipendenza deve anche avere il coraggio di opporsi al mainstream politico e mediatico sulla base di una diagnosi chiara e ben comunicata della situazione.

Dopo l'aumento dei tassi di interesse, Christine Lagarde ha dichiarato di non voler commentare i dibattiti politici per una questione di principio. Ma questo è proprio l'atteggiamento sbagliato. Chi, se non la BCE, può contrastare oggettivamente i pregiudizi troppo facili dei politici? Non commentare e cedere con troppa facilità quando la pressione politica diventa forte è un'accusa di prim'ordine.

Anche l'ingenua convinzione della signora Lagarde secondo la quale la BCE ha un mandato chiaro, ossia quello di ripristinare la stabilità dei prezzi, indipendentemente dalle cause dell'aumento dei prezzi, è sbagliata. Mantenere la stabilità dei prezzi nel medio termine non significa combattere ogni aumento dei prezzi. Può solo significare fermare i processi inflazionistici che hanno il potenziale di minare la fiducia della popolazione nella moneta.

Bisogna ammetterlo: la Banca Centrale Europea sta lottando per la sua credibilità e la fiducia su molti più fronti rispetto ad una normale banca centrale nazionale. Ma proprio per questo motivo è molto più importante discutere con il pubblico e con i politici dell'intera area valutaria trovando argomenti convincenti e analisi fattuali fondate. Le sentenze della Corte costituzionale federale e l'ignoranza politica derivata sono i migliori esempi della necessità di comunicare in modo molto più aggressivo.

Ed è proprio quello che la BCE sta facendo sempre di meno. Si trincera dietro il suo mandato e insiste sulla sua indipendenza formale. Ma questa è una strategia destinata a fallire, perché alla fine l'unica cosa che conta è vincere la battaglia per conquistare la mente di coloro che sono in grado di difendere la politica monetaria ai più alti livelli della politica attraverso dei buoni argomenti fattuali.


sabato 8 ottobre 2022

Heiner Flassbeck - Berlino ha preparato il terreno

Per il grande economista tedesco Heiner Flassbeck, Berlino e i governi tedeschi degli ultimi anni non hanno fatto altro che preparare il terreno per questa ennesima vittoria della destra in un paese europeo. Un commento di Heiner Flassbeck su Junge Welt


Le elezioni italiane del 25 settembre, il cui risultato sembra aver scioccato molti, si inseriscono senza soluzione di continuità in una serie di elezioni in cui gli elettori hanno espresso la loro frustrazione per la situazione economica complessiva e per il ruolo dell'UE in particolare. L'unica cosa davvero sorprendente è che dopo ognuno di questi eventi, l'opinione pubblica in Germania finge di essere stupita - per poi tornare a farsi gli affari di sempre.

Naturalmente nessuno può o vuole arrivare a pensare che il governo tedesco possa aver contribuito ad una crescente frustrazione in gran parte d'Europa. Berlino fa sempre tutto bene e se la Germania può essere accusata di qualcosa, è solo di essersi messa troppo in secondo piano invece di aver assunto il "ruolo di guida" che in Europa le spetterebbe.


La Commissione europea ama essere considerata un combattente che difende ad ogni costo i "valori e le leggi europee" quando si tratta di Paesi relativamente piccoli dell'Europa centrale e orientale e delle loro relativamente piccole trasgressioni. La cattiva condotta della Germania (e dei Paesi Bassi), decisiva per il destino dell'Europa e che si esprime nelle enormi eccedenze delle partite correnti di questi due Paesi del Nord, non merita di essere menzionata. La Commissione non dice nulla nemmeno sulle conseguenze dei surplus tedeschi sul debito pubblico italiano.

Non c'è da stupirsi dunque che la frustrazione si stia diffondendo nei Paesi del Sud colpiti da questa condotta, soprattutto tra quei politici che non sono disposti ad affrontare di petto i Paesi del Nord. In Italia, la sinistra politica per molto tempo è stata troppo elegante, troppo diplomatica e troppo "europeista" per affrontare in maniera diretta le rimostranze dell'UE. Enrico Letta, leader del Partito Democratico (socialdemocratico), preferisce mordersi la lingua piuttosto che esprimere posizioni che potrebbero essere intese come critiche alle condizioni europee. Non vuole certo dimostrare che la destra ha ragione. Ma  proprio comportandosi in questo modo, rafforza immensamente la destra.

In Germania, qualsiasi politico italiano che osi criticare apertamente Berlino, come il futuro primo ministro Giorgia Meloni, viene stroncato senza pietà dalla stampa e dai politici. Chiunque dica qualcosa di critico sulla Repubblica Federale è un "odiatore della Germania". In questo modo viene stroncata sul nascere qualsiasi discussione obiettiva e si contribuisce direttamente a far vincere il prossimo governo nazionalista nel prossimo Paese che andrà a votare.



sabato 4 dicembre 2021

Heiner Flassbeck - La transizione energetica tedesca non è credibile e i Verdi lo sanno bene

Nel mese di novembre, con poco vento e poco sole, le fonti di energia rinnovabile in Germania hanno garantito un livello minimo di copertura dei fabbisogni. Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega perché la transizione energetica di cui tanto parlano i Verdi, nella realtà dei fatti non è credibile e sta solo creando problemi alle famiglie tedesche vessate da bollette sempre piu' care. Ne scrive Heiner Flassbeck su relevante-oekonomik.com



La Ampelkoalition è arrivata e ovviamente vorrebbe dare nuovo slancio alla transizione energetica attualmente in fase di stallo. L'eolico e il solare dovranno essere potenziati in maniera massiccia. E questo è senza dubbio un buon momento per passare in rassegna i primi vent'anni della transizione energetica tedesca e porsi due domande centrali. In primo luogo, perché nessun paese al mondo ha seguito la Germania su questa strada, sebbene l'intenzione e il desiderio di tutti i governi sin dall'inizio del millennio fosse proprio quello di avere la Germania come modello? Il futuro cancelliere Scholz ritiene che la Germania debba solo mostrare come si fa, poi molti la seguiranno e la Germania potrà vendere la sua tecnologia in tutto il mondo. In secondo luogo, però, sarebbe molto più importante farsi un'altra domanda: che senso ha espandere un sistema in cui nessun incremento di capacità può garantire che il sistema non collassi da un momento all'altro senza alcun preavviso a causa delle condizioni metereologiche?



Ancora una volta, il mese di novembre è stato particolarmente significativo, perché novembre alle nostre latitudini spesso è caratterizzato da poco vento e da poco sole, fatto conosciuto nei circoli degli esperti come "Dunkelflaute". Il cosiddetto Agorameter interattivo di Agora-Energiewende lo mostra in tutta la sua chiarezza (Figura 1). Il 16 novembre a mezzogiorno, dei circa 70 gigawatt di cui la Germania ha permanentemente bisogno, il sole e il vento ne hanno forniti solo una parte trascurabile. La parte grigia relativa alle fonti di energia convenzionale è stata enorme e solo con ulteriori importazioni di elettricità (la curva rossa si trova sopra la zona grigia) è stato possibile soddisfare la domanda tedesca. E tutto accade venti anni dopo che in Germania è iniziata la transizione energetica. Come si fa a dire a un paese in via di sviluppo che deve cambiare, quando in Germania non siamo stati in grado di raggiungere una vera svolta neanche dopo cosi' tanto tempo?

Figura 1

Questo è il motivo, diranno i lobbisti del solare-eolico, per spingere ancora di piu' l'espansione delle rinnovabili. Ma qual è il punto? Diamo uno sguardo al futuro con una simulazione. Agora-Energiewende calcola quale sarà nei prossimi vent'anni il contributo del vento e del solare secondo i diversi possibili livelli di sviluppo delle rinnovabili, ma con condizioni meteorologiche comparabili a quelle attuali. Per quanto riguarda l'espansione dell'approvvigionamento elettrico tedesco, i risultati sono più che sorprendenti - direi spaventosi.

Se inserite nell'agorametro "Futuro" perchè volete immaginare un (coraggioso nuovo) mondo in cui l'approvvigionamento elettrico tedesco arriva in media (un anno, credo) all'80 per cento da fonti rinnovabili, otterrete in pochi secondi un grafico che mostra l'approvvigionamento elettrico negli stessi giorni del 2040 con le stesse condizioni meteo di oggi. Chi pensa che le aree blu e gialle in quella data saranno particolarmente grandi, tuttavia resterà deluso. Se non c'è vento e il sole non splende in cielo, anche la capacità massima non servirà a nulla (Figura 2).


Al contrario: poiché la Germania avrà bisogno di molta più energia elettrica nel 2040 di quanta ne abbia bisogno oggi, cioè circa 100 gigawatt, la lacuna in termini di approvvigionamento elettrico il 16 novembre 2040 sarà molto più grande di oggi. Alla Germania mancheranno a mezzogiorno di quella data circa 80 gigawatt di elettricità. 80 gigawatt equivalgono alla produzione garantita da 40 grandi centrali nucleari, se esistessero. Ma oggi possiamo dire con certezza che non esisteranno nemmeno nel 2040.


80 gigawatt non potranno essere importati da nessun paese, soprattutto se gli altri paesi seguiranno "l'esempio" tedesco ed espanderanno anch'essi le rinnovabili. Ci sono spesso periodi con poca luce nello stesso momento in tutta l'Europa settentrionale, il che significa che le lacune nell'approvvigionamento potrebbero essere enormi un po' ovunque. Non esiste nemmeno un impianto di stoccaggio che possa garantire 80 gigawatt per diverse ore. Tutte e sette le centrali idroelettriche della Baviera hanno una capacità totale di circa 550 megawatt, che è poco più di mezzo gigawatt. Si dovrebbe probabilmente pompare metà del Mediterraneo sulle Alpi per generare una simile quantità di energia.




È incredibile che questi fatti e queste previsioni non vengano discussi in maniera più approfondita. L'industria automobilistica tedesca, ad esempio, già ora (obbedendo in anticipo, per così dire) sta pubblicizzando solo auto elettriche. Ragazzi giovani e belli che attraversano il quartiere in auto, raggianti di gioia ricaricano le loro auto alle innumerevoli stazioni di ricarica. Ma nessuno che si chiede da dove arrivi l'elettricità. E quando un fornitore di energia per una volta parla chiaro, la sua voce sparisce rapidamente nell'ampio flusso di applausi per la svolta energetica. L'amministratore di Eon, Leonhard Birnbaum, qualche giorno fa ha lanciato l'allarme. Ha dichiarato infatti: "Anche se nel nostro paese venisse installato il triplo dell'energia eolica, in una settimana come questa non so come avremmo fatto senza carbone, senza energia nucleare e senza gas naturale. Se il carbone e l'energia nucleare venissero completamente eliminati dalla rete, ci sarebbe un vuoto gigantesco da riempire. Da colmare con una fonte che produce energia in modo affidabile. Non abbiamo solo bisogno di abbastanza elettricità in media in un anno, ne abbiamo bisogno ogni singolo giorno". Mi sembra non ci sia nulla da aggiungere.

Ma la politica ancora una volta è guidata più dai sentimenti che dal calcolo razionale. Credono forse sia impossible far accettare la verità al loro stesso elettorato? Ciò che è indiscutibile oggi, lo era anche cinque anni fa. Il governo dell'epoca presumibilmente sapeva anche questo e quindi scelse di rallentare in maniera complice il ritmo della svolta energetica. Il nuovo governo, ancora una volta con i Verdi, vuole forse tornare indietro con la stessa ingenuità di venti anni fa e portare avanti l'espansione delle rinnovabili senza un serio dibattito politico sulla propria esperienza con la transizione energetica?

Credo che andrà esattamente allo stesso modo, perché la gente teme una riflessione complessiva più di quanto il diavolo tema l'acqua santa: se si vuole sostituire il carbone, il gas e il petrolio, è necessaria una fonte di energia che sia in grado di garantire una fornitura di energia stabile e affidabile senza emissioni di CO2 (garantire il carico di base, come lo chiamano i tecnici). E questo è possibile, allo stato attuale della tecnologia, nei paesi dell'emisfero nord, solo con la tecnologia nucleare, vale a dire proprio quello che molti paesi hanno riconosciuto e stanno sviluppando.

Probabilmente sarebbe possibile ottenere molto di più dal vento e dal sole se al Nord Africa fosse data la possibilità di garantire l'approvvigionamento energetico dell'Europa. Ma questo ovviamente non è desiderabile dal punto di vista politico, perché i paesi europei non vogliono tornare ad essere di nuovo dipendenti. Restiamo comunque dipendenti. Come ho mostrato qui e qui recentemente, ci possono essere solo soluzioni globali. Quelli che, come la Ampelkoalition, pensano che la Germania debba solo fare da apripista e gli altri seguiranno, fondamentalmente hanno torto. Se non andiamo tutti nella stessa direzione, non servirà a nulla se qualcuno devia credendo di aver trovato una soluzione nazionale. Se poi si scopre che questa soluzione nazionale non è sostenibile, non ha salvato il mondo, ma ha reso un enorme disservizio ad esso e a se stesso.

È giunto il momento di seppellire l'illusione che si riflette al meglio nella citazione popolare di Franz Alt secondo il quale "il sole non manda mai una fattura". Da un lato, ci sono gli utenti dell'energia elettrica che sin dalla svolta energetica sono costretti a pagare dei prezzi record e purtroppo non possono in alcun modo sottoscriverla, e del resto non è affatto un sollievo perché il sole a volte non ci manda nulla, anche se avremmo bisogno della sua energia in maniera assolutamente continua.

venerdì 19 febbraio 2021

Heiner Flassbeck - Buona fortuna, Mario!

"Non illudiamoci, con questa Germania non è possibile fare l'Europa. Come potrebbe il primo ministro italiano riuscire a fare quello che il presidente della BCE non è riuscito a fare, cioè lanciare una discussione calma e razionale sulla politica economica... in cui i tedeschi capiscano da subito che non se la caveranno con i loro soliti vecchi luoghi comuni neoliberisti e monetaristi e le loro ambizioni mercantiliste. Tutti quelli che hanno ancora la testa sul collo non possono che tifare per Mario Draghi", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Per Flassbeck il potenziale politico di Mario Draghi in Europa è enorme, ma anche le resistenze che incontrerà sul suo percorso saranno molto forti, soprattutto nel nord del continente. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop.de

Pover'uomo, ho pensato immediatamente quando ho sentito che Mario Draghi aveva accettato il mandato da Presidente del consiglio per formare il nuovo governo italiano. Ma riflettendo, invece, mi sono poi reso conto che Mario, che conosco da più di 20 anni, e dal mio punto di vista può anche essere povero - e forse anche dal suo - probabilmente per l'Italia rappresenta invece un'opportunità unica.

Quale paese può dire di avere un primo ministro che non solo ha ricevuto un ampio sostegno dai partiti rappresentati in Parlamento, sia di destra che di sinistra, ma che ha anche collezionato un'esperienza unica sia in campo interno che internazionale. Mario Draghi sin dai primi anni '90 ha fatto parte (e si è assunto la responsabilità) di tutti i principali organismi che si occupano di economia globale, europea ed italiana. Ha assunto la più importante posizione in materia di politica economica all'interno dell'eurozona in un momento in cui l'Unione Monetaria (UEM) era sull'orlo del collasso, offrendole un appiglio in una fase cruciale.

Nulla di tutto ciò, naturalmente, può garantire che sarà anche in grado di partecipare agli intrighi e ai complotti tipici della politica, e di portare a termine e con successo anche questo incarico. Ma il potenziale della sua ambizione politica è enorme, data la sua vasta esperienza e conoscenza sulle questioni cruciali. E in ogni caso è molto più grande di quello di qualsiasi altro politico a cui è stato permesso di prendere il timone a Roma, almeno negli ultimi trent'anni.



L'Italia e l'unione monetaria

Chiunque abbia avuto a che fare con l'Italia, al di là dei soliti pregiudizi molto diffusi - soprattutto in Germania -, saprà bene che la questione italiana, il problema italiano, diciamo così, è un problema essenzialmente legato all'ingresso dell'Italia nell'unione monetaria. A causa della particolare posizione di partenza dell'Italia, che ho descritto in dettaglio nel numero tematico di MAKROSKOP - "Debito ed espiazione", sin dagli esordi dell'euro, il paese è sempre stato sulla difensiva. La ragione più semplice è che l'Italia e gli altri paesi membri dell'eurozona morivano dalla voglia di rinunciare alla loro "sovranità monetaria" (che in realtà non avevano mai posseduto) e per farlo erano pronti a ingoiare un certo numero di rospi (tedeschi) molto grassi.

La speranza di poter avere, grazie ad una grande area monetaria europea, una politica economica che, come negli Stati Uniti, sarebbe stata orientata soprattutto alle esigenze interne di un'economia grande e relativamente chiusa e di conseguenza, avrebbe messo la domanda interna e l'occupazione al centro degli  sforzi della banca centrale, all'inizio non era affatto infondata. Alla fine però, la Bundesbank, da sempre concentrata sulla stabilizzazione dei prezzi, era stata sostituita da un'istituzione che, per essere sicuri, nella interpretazione letterale dei trattati (e naturalmente su veemente insistenza tedesca) era ancora più votata al contenimento dell'inflazione come suo unico obiettivo centrale. Ma chiunque abbia preso seriamente in considerazione le "soluzioni" europee, all'epoca sapeva bene che in questa Europa, appunto, le pietanze non potevano essere "mangiate così calde come venivano cucinate".

Anche fra i firmatari del trattato di Maastricht, infatti, nessuno poteva immaginare che subito dopo l'avvio dell'unione monetaria il paese più grande avrebbe cominciato a "olandesizzare" se stesso, cioè a vivere a spese dei suoi vicini, come aveva già fatto "con un certo successo" l'Olanda negli anni '80 grazie alla sua politica di dumping salariale. Che a farlo invece sia stato proprio un governo tedesco rosso-verde, tra tutti, un governo inciampato su questa "via d'uscita" a causa della sua completa incompetenza economica, è stata una coincidenza. Ma il fatto che in questo modo abbia bloccato lo sviluppo economico di tutta l'Europa, può essere considerata un'esperienza davvero unica in Europa.

La Germania, tra le altre cose, nonostante i suoi successi alquanto superficiali, ha rovinato per sempre il proprio sistema economico di successo, che dagli anni '70 era diventato l'ancora di tutte le alleanze monetarie europee, in quanto di fatto ha reso impossibile al paese raggiungere un elevato livello di occupazione senza un surplus delle partite correnti.



Per l'Italia questo processo è stato senza dubbio fatale, perché firmando il Trattato di Maastricht si è messa addosso un vestito fiscale che sarebbe stato sopportabile solo se l'Italia avesse avuto un grande successo nelle esportazioni e/o se la crescita fosse stata spinta dagli investimenti delle imprese in un'Europa complessivamente fiorente. La Germania, tuttavia, con la sua condotta ha bloccato il primo e il secondo percorso perché la sua politica di dumping salariale ha di fatto sbarrato la strada dell'export agli altri paesi dell'unione monetaria e allo stesso tempo ha soffocato la propria domanda interna e quella europea. Tutti gli altri paesi dell'unione monetaria, infatti, per non affondare in maniera irrimediabile nei loro mercati di esportazione, hanno dovuto seguire questo modello insensato.


Il margine di manovra di Mario Draghi e il suo più grande avversario

Mario Draghi lo sa bene, e già solo per questo è fondamentalmente diverso da praticamente tutti gli altri politici europei. Sa che ha bisogno di una politica fiscale espansiva (senza condizionalità europea) per far uscire l'economia italiana dalla profonda depressione in cui si trova. E sa che c'è bisogno di un cambiamento nell'equilibrio competitivo in Europa, soprattutto se Italia e Francia nel lungo periodo vorranno avere qualche speranza di successo. Sa anche che ogni suo passo sarà sotto esame e che da un momento all'altro nel nord del continente potrebbe scoppiare una tempesta che lo spazzerebbe via anche politicamente.

Il grande vantaggio di Draghi è la sua profonda conoscenza delle istituzioni. Non combatterà sul fronte sbagliato. Dopo tutto, data la sua lunga esperienza in un numero infinito di commissioni, sa bene che il suo avversario più importante non è a Bruxelles, ma a Berlino. E' soprattutto è qui che si differenzia dagli ingenui di destra e di sinistra che siedono nelle loro stanzette e scrivono e blaterano sull'Europa neoliberista e sulla Commissione europea, senza però aver mai visto un'istituzione europea o internazionale da vicino e i veri equilibri di potere al loro interno.

Il più grande avversario di Draghi sarà il "nocciolo duro della CDU/CSU", che per il dopo crisi ha già in mente la reimposizione delle vecchie regole sul debito e pensa a delle condizioni dure da imporre a chiunque voglia prendere in prestito anche un solo euro da Bruxelles.



Draghi sa anche fin troppo bene, dopo aver trascorso molto tempo a Francoforte, che i sentimenti profusi dagli oppositori dichiarati della BCE in Germania (compresa la Corte costituzionale federale con la sua assurda sentenza sulla proporzionalità della politica monetaria europea), indirizzati a qualsiasi cosa assomigli a un trattamento equo dei paesi europei da parte della BCE, per l'Italia saranno particolarmente problematici. L'Italia potrà sempre trovarsi nella posizione di dover contare sul sostegno diretto o indiretto della BCE, visto l'umore assolutamente irrazionale dei "mercati". Di conseguenza, dovrà fare molta attenzione quando discuteterà la questione, alla fine inevitabile, cioè se e in che modo il mandato della BCE potrà essere adattato ai tempi moderni, anche dopo il Coronavirus.

Draghi ha bisogno di amici

Chiunque debba affrontare un avversario forte avrà bisogno di amici forti. Il nuovo presidente del consiglio italiano non porterà a termine la sua impresa, se non riuscirà a fare quello in cui tutti coloro che nell'unione monetaria hanno cercato di cambiare qualcosa finora hanno fallito. Ha bisogno di una forte coalizione di paesi che siano pronti a sfidare apertamente e dichiaratamente il dominio e la ristrettezza di vedute della Germania. Proprio in questi giorni possiamo assistere al modo in cui il presidente bavarese, il ministro federale della sanità e il ministro federale dell'interno sul tema dell'apertura delle frontiere si rifiutino di accettare qualsiasi avvertimento da Bruxelles, e come il presidente tedesco della Commissione, invece di battere i pugni sul tavolo, preferisca restare nobilmente in silenzio.

Non illudiamoci, con questa Germania non è possibile fare l'Europa. Come potrebbe il primo ministro italiano riuscire a fare quello che il presidente della BCE non è riuscito a fare, cioè lanciare una discussione calma e razionale sulla politica economica in questa grande e autoreferenziale Europa? Una discussione in cui i tedeschi si rendano conto sin da subito che questa volta non se la caveranno con i loro soliti vecchi luoghi comuni neoliberisti e monetaristi e le loro ambizioni mercantiliste. Tutti quelli che hanno ancora la testa sul collo non possono che tifare per Mario Draghi. Da parte mia, non posso che augurargli con tutto il cuore buona fortuna!