sabato 28 settembre 2019

Verso la fine del boom immobiliare

Dopo il violento crollo della manifattura, gli istituti di ricerca tedeschi segnalano che il lunghissimo boom immobiliare ormai è agli sgoccioli e  anche per il mattone si avvicina il punto di svolta. Cosa accadrà alle banche e agli investitori una volta che la bolla immobiliare sarà scoppiata? Ne scrive Handelsblatt su dati forniti dall'Institut der deutschen Wirtschaft (IW)


Il mercato immobiliare tedesco si avvicina irrimediabilmente ad una svolta. "Siamo alla fine del boom", afferma Ralph Henger, specialista nel settore immobiliare presso l'Institut der deutschen Wirtschaft (IW). Ogni quattro mesi, infatti, l'IW redige un indice immobiliare disponibile in esclusiva per Handelsblatt. I dirigenti delle società di sviluppo immobiliare e gli investitori istituzionali valutano la situazione del settore e gli sviluppi sul mercato immobiliare tedesco.

Il risultato: in questo autunno è stato registrato il peggiore valore a partire dal 2014. Il clima nel  settore immobiliare è calato per la terza volta consecutiva. Per quanto riguarda gli uffici, la consulenza immobiliare internazionale di JLL prevede per quest'anno un calo dei nuovi spazi in affitto nelle sette maggiori città tedesche, tra cui Berlino, Francoforte e Monaco, di circa il 4 % rispetto al 2018. Alcuni esperti sono ancora più pessimisti per quanto riguarda il mercato degli spazi adibiti al commercio al dettaglio.


Il mutato clima immobiliare colpisce anche Henning Koch. Koch è un gestore che compra immobili in tutto il mondo per conto di Commerz-Real, la consociata di gestione dei fondi di Commerzbank, e si muove a livello internazionale alla ricerca di investimenti di valore  per i fondi dell'azienda - in particolare per il fondo immobiliare aperto da 15 miliardi di euro Hausinvest.

Negli ultimi tempi, tuttavia, si è mosso più che altro come venditore: nel suo bilancio di vendita di questi primi nove mesi dell'anno ci sono un edificio per uffici a Singapore, uno a Vienna, due hotel a Londra, un negozio al dettaglio vicino Lisbona. Koch vorrebbe investire il capitale il piu' rapidamente possibile, anche sul mercato interno. Ma è esigente: "nella situazione attuale, siamo molto selettivi quando si tratta di acquistare".

Il manager di Wiesbaden condivide questa sua riluttanza con molti colleghi. Dopo anni di boom, per la prima volta quest'anno, l'indagine autunnale sull'indice immobiliare IW è stata dominata da aspettative negative: "per i prossimi dodici mesi, nel settore ci sono più aziende che prevedono uno sviluppo negativo rispetto a quelle che ne prevedono uno positivo", sintetizza Ralph Henger. Ad essere sondati sono stati gli sviluppatori di grandi progetti di costruzione, gli investitori e i proprietari di uffici, centri commerciali o grandi complessi abitativi.


Le loro dichiarazioni sulla situazione attuale e sulle aspettative future del business nell'ultimo sondaggio autunnale hanno causato una discesa di quasi undici punti percentuali dell'indice sul clima degli affari, indice che ha raggiunto il livello più basso dall'inizio della raccolta dati nel 2014. "E' stato decisivo il fatto che il clima nel settore immobiliare sia peggiorato per la terza volta consecutiva", afferma Henger. Secondo la teoria della ricerca, ciò segnala un cambio di direzione nello sviluppo economico.

Inversione di tendenza con ritardo

Il mercato immobiliare quindi segue l'umore generale dell'economia tedesca. Nel secondo trimestre questa si è contratta dello 0,1 %. Molti esperti si aspettano un segno negativo anche per il terzo trimestre, e in quel caso la Germania entrerebbe ufficialmente in recessione. A ciò bisogna aggiungere che i principali istituti di ricerca tedeschi hanno recentemente abbassato le loro previsioni di crescita sia per il 2019 che per il 2020.

Ma l'inversione di tendenza sul mercato immobiliare non è ancora visibile. Per una semplice ragione: "il settore immobiliare è un settore in ritardo, il rallentamento dell'economia quindi si farà sentire con un certo ritardo sia sugli affitti che sui rendimenti", spiega Christian Schulz-Wulkow, Managing Partner di Ernst & Young Real Estate. Ciò può essere dimostrato, ad esempio, nel mercato immobiliare degli uffici.

Lì la domanda dipende dal fatto che le aziende creino o sopprimano posti di lavoro. Secondo una elaborazione della consulenza immobiliare internazionale JLL vi sarebbe una chiara correlazione tra il barometro sull'occupazione dell'istituto Ifo e la domanda di uffici. Se l'indice diminuisce di cinque punti percentuali, il numero di nuovi spazi per gli uffici diminuisce del dieci percento, con circa 3 trimestri di ritardo.


In effetti il barometro dell'occupazione Ifo nella prima metà dell'anno è sceso di circa il 5%. Ma questo calo non è ancora arrivato sul mercato dell'affitto per gli uffici. Entro la fine dell'anno, tuttavia, JLL prevede un calo significativo dello spazio affittato per i nuovi uffici.



La tendenza al ribasso tuttavia non è ancora visibile, afferma Timo Tschammler, capo tedesco della società di consulenza immobiliare internazionale JLL, e fa riferimento alla bassa percentuale di spazi inoccupati nelle grandi città. "A Berlino, ad esempio, meno del 2% di tutti gli uffici è vuoto. Prima che gli affitti diminuiscano, questa quota dovrà aumentare al 7,4 per cento, secondo i nostri calcoli".

Al momento secondo l'esperto dell'IW Henger non è questo il caso: "nel mercato degli uffici non c'è quasi nessuna costruzione speculativa". Molti degli edifici per uffici previsti sono già stati affittati prima del completamento. "Gli errori del passato, che hanno portato a edifici vuoti per ben oltre il 10% nei centri per uffici di Dusseldorf e Francoforte, non sembrano ripetersi", afferma l'economista dell'IW.


Le prospettive nel settore del commercio sono invece più pessimistiche: "stiamo osservando con preoccupazione il settore del commercio al dettaglio", afferma Koch, manager di Commerz-Real. "Sicuramente in questo settore ci troveremo di fronte ad un grande cambiamento" Non c'è da meravigliarsi quindi che le aspettative dei dirigenti immobiliari in nessun altro settore siano così negative come nel settore del commercio al dettaglio.

Nonostante ciò il manager di EY Schulz-Wulkow ritiene che l'industria abbia ancora risorse per attutire il rallentamento economico. Ma ne limita l'ambito: "gli investitori immobiliari a causa dei prezzi già alti, ora avranno bisogno di piani aziendali molto ambiziosi per ottenere nel lungo termine un risultato dai loro investimenti".

Alcuni dirigenti di società immobiliari intervistati dall'IW ne sono ben consapevoli: "le risposte alle nostre dettagliate domande ci mostrano che ci sono già i primi amministratori delegati che si aspettano addirittura una riduzione degli affitti e dei prezzi", afferma l'autore dello studio Henger. La maggior parte degli intervistati tuttavia prevede che gli affitti continueranno a salire, più dei prezzi di acquisto. Una novità per Henger e quindi un altro indizio del fatto che il punto di svolta è stato raggiunto: finora gli affitti sono sempre rimasti indietro rispetto ai prezzi di acquisto.

"Il cambio di aspettative per quanto riguarda i prezzi e gli affitti è il tipico segnale di un'inversione di tendenza sul mercato immobiliare." Gli aumenti degli affitti tuttavia non saranno in grado di compensare l'indebolimento della dinamica dei prezzi, Henger ne è convinto. Ciò significa che i rendimenti immobiliari storicamente bassi a causa dei prezzi esageratamente alti torneranno a crescere. "E i rendimenti più elevati sono un'espressione del fatto che i rischi dell'investimento immobiliare torneranno ad essere presi in considerazione", afferma l'economista.

I mercati immobiliari rimangono tesi

Gli inquilini e gli acquirenti di appartamenti nelle metropoli tedesche possono sperare in un imminente calo degli affitti e dei prezzi? Non proprio. Come la maggior parte degli osservatori, anche Henger prevede che la situazione di elevata domanda di alloggi e l'offerta ancora insufficiente nelle aree metropolitane per il momento resteranno invariate.

Tuttavia, sia per i proprietari che per gli sviluppatori di nuovi immobili, non sarà facile come lo è stato di recente imporre dei prezzi di vendita e degli affitti sempre più elevati. "Per le aziende che operano nelle aree residenziali, il motto attuale è: non potrà andare meglio di ora".

Per quanto tempo ancora il settore rimarrà sui livelli attuali non è prevedibile. Dopotutto, gli osservatori del mercato concordano sul fatto che l'allentamento monetario annunciato dalla BCE nella sua ultima seduta compenserà almeno parzialmente gli effetti economici negativi.

Gli assicuratori, i fondi pensione, i fondi di investimento e gli investitori privati ​​in cerca di investimenti relativamente sicuri continueranno a fare affidamento sul settore immobiliare per mancanza di alternative, afferma Tschammler, capo della JLL Germania. "Nonostante i prezzi siano cresciuti, ci sono ancora tassi positivi". Inoltre, secondo il sondaggio IW, la Germania resta una destinazione popolare per gli investitori stranieri. "E anche questo dovrebbe contribuire a supportare l' economia del settore", conclude Henger.

E anche se secondo il sondaggio dell'IW è cresciuto il numero di amministratori delegati locali che ora puntano sulle vendite, c'è ancora una maggioranza che punta sulla crescita del settore. Il manager di Commerz-Real Koch è ottimista: entro la fine dell'anno, vuole concludere diversi affari. Questa volta come acquirente.


giovedì 26 settembre 2019

Boom delle Tafel fra i pensionati

Le Tafel sono associazioni di volontariato che distribuiscono ai bisognosi i generi alimentari ricevuti in dono dai supermercati o dalle aziende, in pratica un indicatore affidabile del livello di povertà nella società tedesca. Anche in questi anni di boom economico le Tafel hanno continuanto a registrare afflussi da record, soprattutto fra i pensionati. Ne scrive Die Welt





Il numero delle persone costrette a fare ricorso all’assistenza delle Tafel nell’ultimo anno è aumentato del 10%. Attualmente ci sono 1,65 milioni di persone che dipendono dalle donazioni di cibo. Particolarmente significativo è stato l'aumento fra i pensionati. 



Il numero di utenti delle Tafel nell’ultimo anno è aumentato del 10% salendo a circa 1,65 milioni. Soprattutto fra gli anziani, l'aumento del 20 % rispetto allo scorso anno è stato "drammatico", commenta da Berlino l'Associazione delle Tafel tedesche. L’associazione mette in guardia da un ulteriore aggravamento del problema e chiede contromisure drastiche. 



"Questo sviluppo è allarmante: nei prossimi anni il tema della povertà fra gli anziani ci travolgerà con forza, come accade oggi con il cambiamento climatico", ha dichiarato il capo dell'associazione Jochen Brühl durante il recente bilancio annuale. Per combattere la povertà sono pertanto necessarie "riforme di vasta portata" e "obiettivi interministeriali vincolanti ". 


Una pensione troppo bassa, dopo quello di una disoccupazione di lunga durata, è il secondo motivo più comune che spinge le persone a chedere aiuto alle Tafel, afferma Bruhl. Ma ad essere "completamente inaccettabile” è anche il “numero crescente di utenti fra i bambini e gli adoloscenti". Ci sono quasi 50.000 giovani in più che dipendono dal sostegno alimentare delle Tafel, con una crescita del 10%. 

Complessivamente, la percentuale di bambini e adolescenti fra gli utenti delle Tafel è del 30%. In Germania i bambini vengono "sistematicamente" trascurati, il sistema educativo tedesco è uno dei "più impermeabili" fra quelli dei paesi OCSE. 

C'è stata una riduzione tra i rifugiati 

Con gli attuali 500.000 fra bambini e adolescenti bisognosi costretti a fare ricorso alle Tafel, stiamo coltivando la "povertà fra gli anziani di domani". E’ sempre più chiaro che anche la povertà viene ereditata, afferma Brühl. Sarebbe pericoloso per la società se una parte delle diverse generazioni dovesse considerarsi esclusa e abbandonata. Al contrario, nell’ultimo anno i rifugiati sono scesi al 20 % del totale. 

Brühl è molto critico in quanto questo sviluppo, prevedibile da almeno dieci anni, le Tafel lo sottolineano da anni - senza tuttavia aver suscitato una reazione nella politica. "Il tema della povertà ha bisogno di proposte orientate ad una soluzione concreta e deve essere posto in cima all'agenda politica", chiede il capo del Tafel. "Noi delle Tafel siamo una specie di sismografo della società", ha detto Brühl parlando di uno "sviluppo allarmante". 

A livello nazionale, attualmente ci sono 947 Tafel con 60.000 collaboratori. Il 90 pe cento è composto da volontari. "20,4 milioni di ore all'anno di volontariato", ha dichiarato Brühl. Se dovessimo pagare un salario minimo, equivarrebbe a un controvalore di 180 milioni di euro. La maggior parte dei volontari sono donne (61 %) e anziani (63 %). Il 20 % sono bisognosi o ex-bisognosi. Solo il 6 % dei volontari ha meno di 30 anni.
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martedì 24 settembre 2019

Perché Berlino alimenta l'indipendentismo scozzese

Per German Foreign Policy la politica tedesca sta alimentando l'indipendentismo scozzese in chiave geopolitica: l'obiettivo sarebbe quello di indebolire dall'interno la Gran Bretagna, un paese alleato, nella fase decisiva della Brexit. Nei giorni scorsi Nicola Sturgeon, il primo ministro scozzese nonché leader degli indipendentisti scozzesi, è stata accolta con i massimi onori a Berlino. Ma per i tedeschi potrebbe essere solo un'altra vittoria di Pirro. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy





Un secondo referendum sull‘indipendenza 

Il governo regionale scozzese guidato dal Primo Ministro Nicola Sturgeon prosegue la sua campagna in favore di un secondo referendum sulla secessione. Prima del referendum del 18 settembre 2014, i nazionalisti scozzesi, fra questi anche Sturgeon, in diverse occasioni avevano dichiarato che il voto espresso nelle urne dal popolo scozzese sarebbe stato valido e vincolante per almeno una generazione. (…) 



Applausi incoraggianti 

Ciò ha spinto i politici dei partiti di governo e persino alcuni ministri tedeschi a sostenere apertamente gli sforzi indipendentisti dei nazionalisti scozzesi e quindi a sostenere il separatismo in un paese ufficialmente alleato. Già il 26 giugno 2016, infatti, il presidente della Commissione per gli affari europei del Bundestag, Gunther Krichbaum (CDU), aveva dichiarato di aspettarsi un "successo" da un eventuale nuovo referendum sulla secessione scozzese: la Scozia rimarrà nell'UE, aveva detto. Sempre ad inizio luglio 2016, l'allora vice-cancelliere Sigmar Gabriel (SPD) aveva affermato che se la Scozia avesse lasciato il Regno Unito, l'UE "senza dubbio ... l’avrebbe accolta". [2] Il 9 agosto 2016, il Primo Ministro Sturgeon era stata ricevuta dal sottosegretario di stato presso il Ministero degli Esteri di Berlino, Michael Roth. Nel settembre 2016, il capogruppo del Partito nazionale scozzese (SNP) alla Camera dei Comuni, Angus Robertson, aveva invece partecipato a una riunione a porte chiuse del gruppo parlamentare bavarese della SPD a Bad Aibling. [3]


Media Award per Sturgeon 

Nel frattempo, i nazionalisti scozzesi hanno continuato a ricevere aperto sostegno da parte della Repubblica Federale. Così il primo ministro Sturgeon la scorsa settimana è stata in Germania per una serie di colloqui politici. Martedì 17 settembre ha ricevuto il M100 Media Award a Potsdam, premio assegnato ogni anno da una giuria di giornalisti dei principali media tedeschi. Tra i vincitori precedenti l'ex ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher (2009), il presidente della BCE Mario Draghi (2012) e il politico ucraino Vitali Klitschko, premio assegnato subito dopo il rovesciamento del 2014 in Ucraina, che egli aveva contribuito a causare in cooperazione con i centri di potere tedeschi. [6] Sturgeon ufficialmente è stata insignita del prestigioso premio per essersi distinta nel Regno Unito come "un politico con una posizione chiaramente pro-europea". [7] Il discorso di elogio è stato pronunciato dal Primo Ministro della Nordrhein-Westfalen, Armin Laschet (CDU); il principale discorso politico è stato tenuto dal presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble (CDU). Sturgeon nel suo discorso di accettazione, davanti a un pubblico di spicco, ha approfittato dell'occasione per promuovere direttamente un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese: la Scozia, secondo lei, dovrebbe aderire all'UE come "paese indipendente" [8]. 

In un round confidenziale 

Mercoledì 18 settembre Sturgeon ha poi proseguito la sua campagna per la separazione della Scozia dal Regno Unito e la successiva ammissione all'UE presso la Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP), uno dei Think Tank piu’ influenti in materia di politica estera tedesca. Il primo ministro scozzese prevede "che nei prossimi anni la Scozia sarà indipendente ... e diventerà quindi un membro indipendente dell'UE", ha detto durante la conferenza stampa. [9] Prima della sua apparizione, coperta in maniera benevola dai principali media della Repubblica Federale ("Nicola Sturgeon - il bel volto del nazionalismo" scriveva il Tagesspiegel, [10]), ha anche avuto uno scambio di opinioni, riferisce la DGAP, "in un giro confidenziale con alcuni specialisti di politica europea". Ha inoltre incontrato, sempre in via confidenziale, il sottosegretario di Stato presso il Ministero degli Esteri Michael Roth. Roth ha poi elogiato via Twitter il "rapporto positivo tra la Germania e le controparti scozzesi". 

Spinti fuori dall’UE 

Con il suo supporto ai nazionalisti scozzesi, Berlino punta in alto. In termini geopolitici, a Berlino potrebbe sembrare vantaggioso riuscire ad imporre la secessione della Scozia e il suo ingresso nell'UE: la Gran Bretagna ne uscirebbe notevolmente indebolita. Al contrario, la Germania e l'UE uscirebbero in qualche modo rafforzate dall'adesione all'UE di un nuovo stato membro dipendente da Berlino. Non è tuttavia chiaro se e in che modo la secessione della Scozia possa essere forzata. Anche se avesse successo, l'ingresso del paese nell'UE resterebbe altamente incerto: diversi stati dell'UE, tra i quali la Spagna, respingono qualsiasi coinvolgimento dei separatisti in quanto essi stessi sono minacciati al proprio interno dalle lotte secessioniste. Al momento è piu’ probabile che una Scozia indipendente resterebbe isolata e fuori dall'UE. Berlino finirebbe quindi per portare i suoi partigiani scozzesi in una posizione scomoda che non avrebbero mai desiderato. 

Non sarebbe la prima vittoria di Pirro 


A ciò si aggiunge il fatto che Londra difficilmente accetterebbe il sostegno tedesco ai nazionalisti scozzesi. I piani del governo federale, infatti, prevedono di continuare a lavorare a stretto contatto con il Regno Unito, anche dopo che questo avrà lasciato l'UE, in modo da poter competere con gli Stati Uniti all’interno di un blocco europeo [11]. Nella capitale tedesca ciò è auspicabile per motivi politici, ma soprattutto per ragioni militari. Si può tuttavia dubitare che questo progetto sia realizzabile, soprattutto nel caso in cui Berlino dovessse contribuire alla disintegrazione della Gran Bretagna. Una separazione della Scozia dal Regno Unito, con il sostegno energico di Berlino, non sarebbe in ogni modo la prima vittoria di pirro dei tedeschi.




[1] Kevin McKenna: Nicola Sturgeon's strike for independence should not let the SNP off the hook. theguardian.com 28.04.2019.

[2] S. dazu Das Druckmittel Sezession.

[3] S. dazu Das Druckmittel Sezession (II).

[4] Simon Johnson: Nicola Sturgeon hails "phenomenal" new poll showing majority for Scottish independence. telegraph.co.uk 05.08.2019.

[5] Simon Johnson: Independence referendum fifth anniversary poll shows six out of 10 Scots want to remain in UK. telegraph.co.uk 17.09.2019.

[6] S. dazu Unser Mann in Kiew.

[7] Nicola Sturgeon erhält M100 Media Award. m100potsdam.org 02.09.2019.

[8] Acceptance Speech of Nicola Sturgeon. m100potsdam.org.

[9] Schottland sieht seine Zukunft in der EU. dgap.org 18.09.2019.

[10] Albrecht Meier: Nicola Sturgeon - das nette Gesicht des Nationalismus. tagesspiegel.de 18.09.2019.

[11] S. dazu Ein gefährliches Spiel.



lunedì 23 settembre 2019

La favola dell'integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro tedesco

Secondo gli ultimi dati ministeriali, l'integrazione nel mercato del lavoro tedesco dei rifugiati arrivati a partire dal 2015 sarebbe un successo inatteso. Ad un'analisi piu' attenta dei numeri, tuttavia, si può dire che appena il 20% dei rifugiati in età lavorativa arrivati a partire dall'autunno 2015 risulta occupato.  Ne scrive Roland Springer su Tichys Einblick


Nella disputa tra i rappresentanti del fronte degli ottimisti e dei pessimisti in merito all'integrabilità dei richiedenti asilo provenienti dalle regioni di guerra e dalle ragioni povere del Medio Oriente e dell'Africa, ancora una volta i media mainstream hanno preferito dare spazio agli ottimisti, in particolare alla Commissaria del governo federale per l'integrazione, Annette Wiedmann-Mauz. Ad esempio, la Stuttgarter Zeitung (StZ) del 10 settembre riporta che questa collaboratrice della Cancelliera, sulla base degli ultimi dati della Bundesanstalt für Arbeit (BA) relativi all’occupazione fra i richiedenti asilo, ritiene che negli ultimi quattro anni la loro integrazione nel mercato del lavoro “sia andata decisamente meglio di quanto avevano previsto gli esperti”. Ad incoraggiarla, tra le altre cose, c’è l’esperto di mercato del lavoro dell’Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) Herbert Brücker. Il Tagesschau del 9 settembre, infatti, fa riferimento ad una sua citazione quando scrive: "in autunno, è probabile che circa il 40% dei rifugiati in età lavorativa abbia un impiego".

Questa affermazione fa riferimento alle 399.000 persone provenienti dagli otto principali paesi di origine dei rifugiati, che a giugno 2019 alla BA erano registrate come occupate e coperte da assicurazione sociale (324.000 sozialversicherungspflichtig) oppure con un impiego marginale (75.000 geringfügig beschäftigt o minijobber).  Secondo la BA, ciò corrisponderebbe a un tasso di occupazione di circa il 40% per i dipendenti soggetti ad assicurazione sociale, percentuale che viene ottenuta calcolando il rapporto tra gli occupati e tutte le persone tra i 15 ei 65 anni provenienti da questi otto paesi. Per tutti gli stranieri (senza cittadinanza tedesca), attualmente il tasso corrispondente è di circa il 52%, per i cittadini tedeschi del 69 %.

Tra le circa 400.000 persone provenienti dagli otto paesi che alla BA sono state registrate come assicurate o come minijobber, non vengono calcolati solo i "rifugiati" arrivati a partire dal 2015, ma anche quelli che erano arrivati in Germania già (molto) tempo prima del 2015 o come richiedenti asilo o come migranti regolari, oppure studenti.  Fra queste persone ci sono inoltre anche coloro che sono arrivati in Germania da questi 8 paesi a partire dal 2015, ma grazie ad un altro titolo di soggiorno. Fra i circa 400.000 occupati citati da Widmann-Mauz e altri come una prova del successo non ci sono solo i richiedenti asilo arrivati in Germania dal 2015.

Le statistiche della BA infatti non mostrano le proporzioni dei vari gruppi di immigrati sul numero totale dei dipendenti degli otto paesi, a cui tuttavia gli esperti per le informazioni statistiche della BA a richiesta specifica rispondono. Nel giugno 2015, all'Agenzia federale del lavoro risultava un totale di 77.000 persone già registrate e soggette a contributi sociali (sozialversicherungspflichtig), e provenienti da questi paesi. A voler essere corretti, se l’obiettivo è quello di capire quale sia stato il successo dell’integrazione nel mercato del lavoro a partire dall'apertura delle frontiere del 2015, questi 77.000 dovrebbero essere detratti dalle 324.000 persone con assicurazione sociale dell'agosto 2019. Invece di 324.000, sarebbero quindi solo 250.000 le persone che dal 2015 sono arrivate dagli otto principali paesi di origine e che hanno un’occupazione coperta da contributi sociali, dei quali un'ampia maggioranza sicuramente arrivata come richiedente asilo e solo una piccola minoranza come migrante economico.

Il tasso di occupazione del 40%, che secondo Brücker nel frattempo sarebbe stato raggiunto, è corretto se rapportato a tutte le persone occupabili provenienti dagli otto principali paesi di origine degli attuali richiedenti asilo, che vivono in Germania da anni o addirittura da decenni, ma non è corretto se riferito ai "rifugiati" arrivati in Germania da questi paesi a partire dal 2015. Quale sia questo dato, in realtà non è mostrato dalle statistiche della BA, ma può essere calcolato in maniera approssimativa usando altre statistiche. A fine 2018 secondo l'Ufficio federale di statistica in Germania c’erano circa 1,8 milioni di richiedenti asilo. È probabile che siano entrati quasi tutti a partire dal 2015. I dati sulle fasce di età mostrano che circa il 70% dei richiedenti asilo è in età lavorativa. Abbiamo quindi a che fare con circa 1,3 milioni di richiedenti asilo occupabili, arrivati in Germania a partire dal 2015. Il loro tasso di occupazione attuale, sulla base dei 250.000 occupati soggetti ad assicurazione sociale, dovrebbe essere quindi non del 40, ma piuttosto del 20 %. Se fosse effettivamente al 40 %, considerando i circa 1,8 milioni richiedenti asilo indicati dall'Ufficio federale di statistica, allora la persone in età lavoratoriva dovrebbero essere solo 625.000.

In altre parole: su base realistica, solo il 20 % dei richiedenti asilo arrivati dal 2015 è occupato con un’assicurazione sociale. Sempre meglio di nulla, ma tutt'altro che una conferma del successo delle politiche e delle idee della lobby dell'asilo presente nella politica, negli affari, nelle organizzazioni dei datori di lavoro, nei sindacati, nelle chiese, nell’associazionismo, nelle NGO, nei media, e grazie ai quali il costante abuso dell'articolo 16 della Legge fondamentale è servito a favorire l’immigrazione economica. A ciò si aggiunge il fatto che il tasso di occupazione viene calcolato come il rapporto fra occupati e forza lavoro. Non aumenta solo quando aumenta il numero degli occupati, ma anche quando diminuisce il numero dei lavoratori. Un aumento del tasso di occupazione fra i richiedenti asilo non deriva solo ed esclusivamente dalla crescente integrazione nel mercato del lavoro, ma può anche essere il risultato di un declino dell'immigrazione dei richiedenti asilo occupabili.

Entrambi i fenomeni in Germania sono riscontrabili a partire dal 2015. Il numero degli immigrati provenienti dagli otto principali paesi di origine e registrati come lavoratori con assicurazione sociale è aumentato passando dai 77.000 di giugno 2015 ai 324.000 di giugno 2019, la maggior parte dei quali sono richiedenti asilo. Nello stesso periodo, il numero di richieste di asilo presentate all'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati (BAMF) è sceso passando dalle 745.000 del 2016 alle 185.000 del 2018. Se l'arrivo dei richiedenti asilo si fosse fermato o se il numero si fosse ridotto a causa del rientro nei loro paesi d'origine, il tasso di occupazione dei richiedenti asilo rimasti nel paese sarebbe comunque cresciuto, anche nel caso di una lenta integrazione nel mercato del lavoro. In teoria potrebbe anche avvicinarsi a quello registrato fra tutti gli stranieri (52 %), che ovviamente, è piu' basso rispetto a quello registrato fra i cittadini tedeschi (69 %). 

Certo, siamo ancora lontani da una situazione del genere. Sebbene il declino delle domande di asilo registrato a partire dal 2016 sia considerevole, il numero di richieste continua ad essere significativamente superiore rispetto a quello registrato negli anni fra il 2000 e il 2012. Allo stesso tempo, il rimpatrio dei richiedenti asilo (la cui domanda è stata respinta) è più lento che mai. L'arrivo di circa 200.000 richiedenti asilo all'anno, previsto dal contratto di coalizione, rende difficile o addirittura impedisce un aumento significativo del tasso di occupazione, e allo stesso tempo garantisce un costante aumento dei destinatari di Hartz IV. Il numero dei percettori di un sussidio fra i richiedenti asilo è più che raddoppiato, passando dai circa 290.000 del giugno 2016 ai circa 600.000 di agosto 2019. Tra i richiedenti asilo arrivati dal 2015 ci sono attualmente più di mezzo milione di destinatari di Hartz IV, a fronte di circa 250.000 occupati con un'assicurazione sociale.

Chi vuole considerare questo dato come una prova convincente di una integrazione riuscita nel mercato del lavoro, probabilmente pensa più alla giustificazione di una decisione sbagliata presa nel 2015 dalla Cancelleria che non ai richiedenti asilo attirati nel paese con false promesse o la soluzione di problemi del mercato del lavoro.

In materia di asilo e integrazione la poesia e la realtà spesso vengono fra loro confuse, non solo dai sostenitori dichiarati di una società etnicamente e culturalmente omogenea, ma anche dagli aperti sostenitori di una società etnicamente e culturalmente sempre più eterogenea.


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domenica 22 settembre 2019

3 siriani su 4 (in età lavorativa) vivono di Hartz IV

Secondo i recenti dati della Bundesagentur für Arbeit, 3 siriani su 4 in Germania vivono di Hartz IV e quindi di sussidi pubblici. E ci troviamo in un mercato del lavoro ancora forte e in crescita da anni. La rapida integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro, alla prova dei fatti, è solo una favola. Ne scrive Die Welt

Siriani immigrati in Germania

Più del 60 % dei destinatari di Hartz IV sono tedeschi. I siriani costituiscono il secondo gruppo più numeroso con il 10%. Il loro tasso di disoccupazione è alto, certifica una statistica - e tre quarti di loro ha bisogno del sussidio di base.

Circa tre quarti dei siriani residenti in Germania in età lavorativa vivono in tutto o in parte di Hartz IV. Secondo le statistiche della Bundesagentur für Arbeit (BA) hanno recentemente raggiunto il 74,9 %. Il tasso di disoccupazione per i cittadini siriani a giugno di quest'anno si è attestato al 44,2 %, in leggero calo. Un anno prima era ancora del 49,6 %.


Chi frequenta un corso di integrazione o un corso di lingua a carattere professionale non viene considerato disoccupato ma "persona sottoccupata". A ricevere Hartz IV sono anche coloro che guadagnano così poco da non potersi permettere di vivere del loro salario.

Subito dopo l'arrivo in Germania, chi è in cerca di protezione riceve denaro dallo stato - come previsto dalla legge sui benefici per i richiedenti asilo. Poiché le procedure di asilo per i siriani in media vengono completate più rapidamente rispetto a quelle per chi arriva da paesi con un tasso di riconoscimento più basso, i siriani entrano più rapidamente nel sistema della sicurezza sociale di base.

Secondo la BA circa il 43 % degli afgani in età lavorativa a maggio riceveva prestazioni Hartz IV. Il tasso di disoccupazione per questo gruppo a giugno era del 26%. Per fare un confronto: a giugno erano disoccupati il 4,7% dei tedeschi e il 12,2% di tutti gli stranieri.

Rifugiati dalla Siria con un livello di istruzione superiore

Come mostra una tabella creata dalla BA per il parlamentare di AfD René Springer, a settembre il 63,6 % di tutti i destinatari di Hartz IV erano cittadini tedeschi. I siriani sono il secondo gruppo più numeroso con il 10,5 %, seguiti dai percettori di Hartz IV provenienti dalla Turchia (4,2 %). Il 2,5 % dei beneficiari proveniva dall'Iraq, il 2,2 % dall'Afghanistan. L'1,6 per cento dei beneficiari proveniva dalla Bulgaria, paese UE. Il numero include anche bambini e persone in età da pensione. Per chi ha doppia cittadinanza, l'Agenzia federale considera solo una delle due cittadinanze.

Secondo l'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati (Bamf), il livello di istruzione dei rifugiati dalla Siria è superiore a quello dei rifugiati provenienti da altri paesi di fuga come Afghanistan, Eritrea o Somalia.

Il fatto che i richiedenti asilo provenienti dai paesi con un basso tasso di riconoscimento cerchino relativamente in fretta un lavoro ha anche a che fare con il fatto che durante la procedura di asilo non hanno avuto accesso ai corsi di integrazione finanziati dallo Stato, afferma Panu Poutvaara, responsabile presso l'Ifo del Centro per la ricerca sulla migrazione. Ha poi detto: "il boom economico degli ultimi anni è stato un buon presupposto per l'integrazione - anche per i meno qualificati. Alla luce delle prospettive attuali sempre peggiori, sarà necessario compiere sforzi ancora maggiori". Poutvaara che è anche consulente presso il Consiglio consultivo per l'integrazione e la migrazione (SVR), ha sottolineato che le persone con una scarsa possibilità di restare nel paese spesso cercano di assicurarsi il diritto di restare tramite il lavoro oppure tramite il cosiddetto "permesso per l'Ausbildung".

AfD è pessimista. "La famosa immigrazione di lavoratori qualificati non c'è mai stata. Al suo posto invece assistiamo ad un'immigrazione sistematica nel nostro stato sociale", ha detto il parlamentare AFD Springer.

sabato 21 settembre 2019

Il nuovo pacchetto per il clima, fra gilet gialli e "Khmer verdi"

Con il nuovo pacchetto per il clima varato ieri dal governo tedesco arriva anche un'ondata di aumenti sui carburanti, sull'elettricità e sui trasporti che si ripercuoterà sui lavoratori e sui contribuenti. Il governo rosso-nero di Berlino per cercare di recuperare terreno elettorale rende omaggio all'ambientalismo ideologico e al gretinismo ma complica la vita ai lavoratori e ai "gilet gialli", vale a dire a tutti coloro che ogni giorno si devono confrontare con la durezza del vivere. Ne scrive l'ottima penna di Roland Tichy su Tichys Einblick


Chi non ha nulla da dire, deve parlare molto, sperando che il suono delle parole riesca a colmare il vuoto.

E questo vale soprattutto per i negoziati sul pacchetto climatico. 16 ore di trattative hanno partorito un mostro: un mostro che si mangia il portafoglio dei consumatori e distrugge posti di lavoro. Ma allo stesso tempo è anche un topolino: per il clima non fa nulla.

È piuttosto un capolavoro: dopo tanto sforzo vengono mancati quegli obiettivi che il governo si era auto-imposto con la grande ambizione di salvare il clima.

Questo è il pacchetto: prima si sovvenzionano i nuovi riscaldamenti a nafta, per poi bandirli dal 2030. Prima incentivare e poi vietare: questa è l'idea brillante per la  contemporanea distruzione di energia e denaro. L'unica domanda è: come potrà riscaldarsi, ad esempio, chi ha una casa sulle montagne e lontana da un gasdotto - mentre anche tutti gli altri carburanti sono vietati. Il riscaldamento globale arriverà davvero così alla svelta da rendere il riscaldamento superfluo?

Il diesel diventerà più caro; e in questo modo sarà punita un'alternativa alla benzina per il risparmio di CO2. Come possono stare insieme le  cose? E poiché tutto in qualche modo dovrà stare assieme, saranno aumentate le detrazioni per i pendolari. Sotto forma di sgravio fiscale, a partire dal 2020 le detrazioni per i pendolari verranno aumentate di cinque centesimi per km percorso. Di conseguenza sarà possibile detrarre dalle imposte per ogni km di distanza 35 centesimi anziché 30, ma solo a partire dal 21 ° chilometro. Un pendolare che fa 25 km al giorno avrà un risparmio fiscale di circa 20 euro all'anno! Ma di cosa stiamo parlando? Di una riduzione del traffico, di proteggere il clima o di un bidone?

Premio per i pendolari?

Il leader dei Verdi Robert Habeck ha criticato immediatamente l'aumento del rimborso forfettario per i pendolari. "Questa è davvero una sciocchezza, perché viene premiato chi percorre lunghe distanze", ha detto Habeck. In questo modo egli mostra tutta la sua incomprensione verso coloro che in Francia, ad esempio, indossano i gilet gialli:

in fondo i pendolari si divertono così tanto a spostarsi per lavoro, che accettano volentieri di fare dei lunghi tragitti per recarsi sul posto di lavoro. I pendolari trascorrono la vita in treni perennemente in ritardo e sovraffollati, nelle metropolitane o negli ingorghi. Da oggi sapranno dal signor Habeck, che per il loro pendolarismo vengono "premiati". Chi l'avrebbe mai pensato? C'è anche una ricompensa per fare quello che ti piace. Il lavoro svolto in pessime condizioni viene reinterpretato come se fosse un piacere, proprio da chi la mattina non si è mai alzato per andare  in fabbrica e vive con i soldi del contribuente.

E si va avanti in questo modo - un passo avanti e poi uno molto costoso indietro, e alla fine è tutto sempre piu' caro. Oltre ad una quota fissa per le auto elettriche, secondo il progetto di legge, verrà ulteriormente ridotta la tassa sulle auto aziendali elettriche in modo da dare una spinta alla domanda ancora molto debole. La costruzione di un milione di punti di ricarica pubblici entro il 2030 dovrebbe aiutare le persone a non aver paura di non poter ricaricare le batterie.

Gli incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici, inoltre, dovrebbero essere incrementati, in particolare per i veicoli più piccoli, quelli che costano fino a 30.000 euro. Diciamo quindi addio alla sovranità dei consumatori, lo stato sa cosa è piu' conveniente, conta solo l'eco-bilancio delle auto elettriche. Per le auto più economiche, unicamente a batteria, lo stato dal 2021 al 2022 dovrebbe versare 2.000 euro e in seguito 4.000 euro, a ciò si aggiunge lo sconto del produttore di 2.000 euro. Sconto del produttore? Il prezzo viene prima aumentato dal produttore, e poi ridotto con uno sconto.

Il prezzo pianificato dalla Grosse Koalition per l'aumento della benzina, del diesel, dell'olio combustibile e del gas naturale dovrebbe iniziare nel 2021 con un costo fisso per i diritti di inquinamento di 10 euro per tonnellata di anidride carbonica (CO2). Entro il 2025, il prezzo dovrebbe salire gradualmente fino a 35 euro. Ciò si rifletterà alla stazione di servizio con 9-15 centesimi di aumento per ogni litro - denaro che mancherà al consumatore e in qualche modo dovrà essere ridistribuito. 

Il fascino dei grandi numeri

Si dovranno costruire un milione di punti di ricarica per le auto elettriche. È il fascino dei grandi numeri, che in qualche modo suona molto bene - deve succedere e probabilmente succederà quello che il sindaco di Tubinga, Boris Palmer, teme già da tempo: le strade e le piazze delle città verranno sventrare per posare i cavi di alimentazione, perché altrimenti, quando viene attaccato il nuovo cavo per la ricarica rapida dell'ultimo modello di Porsche, si potrebbe oscurare l'intero quartiere. Lo sventramento delle città aiuterà il clima? Bisognerebbe investire in azioni di società di costruzioni e di produttori di rame, perché avranno molto da fare e molto da sotterrare. Questo è ciò che il leader della CSU Markus Söder definisce un "salto tecnologico": cavi elettrici nel terreno per trasportare energia prodotta con il carbone. 

Volare diventerà sempre più costoso e sarà ridotta l'iva sui biglietti del treno: la ferrovia è davvero l'alternativa per chi ha bisogno di viaggiare per lavoro da Berlino a Bruxelles o per la famiglia che vuole trascorrere le vacanze a Maiorca o in Grecia? Parlano della svolta nel trasporto ma gestiscono una ferrovia di stato dove solo il 70 % dei treni arriva puntuale - senza contare i ritardi causati dai treni persi per aver mancato una coincidenza o dai treni che non partono nemmeno: i collegamenti cancellati sono il segno distintivo di un'azienda che ha fallito in tutti i suoi obiettivi, ma che resta molto costosa. Il treno è il simbolo della grande coalizione: il blocco nelle stazioni.

E così si danno una pacca sulla spalla per il loro teatrino delle marionette. Söder vede una grande interesse internazionale per il pacchetto di misure; dopo tutto, il paese in cui i collegamenti Internet funzionano peggio che in Albania ora si è messo in testa di salvare il clima globale.

"Dimensione globale"

Nonostante ciò si danno una pacca sulla spalla e si stringono le mani a vicenda, mentre mettono le mani nella tasca sinistra dei cittadini per poi rimettere qualche centesimo in quella destra, perché è chiaro: la maggior parte dei 50 miliardi resterà attaccata alle loro dita golose. 

Le regole di efficacia ed efficienza si applicano anche alla protezione del clima. (...)

Ma è proprio su questo concetto di efficienza che fallisce il pacchetto: si rende omaggio all'isolamento degli edifici, che di fatto consuma il doppio dell'energia di quella che dovrebbe risparmiare.

Spegnendo le centrali nucleari si sono aumentate le emissioni di CO2 di 18 punti percentuali  - ciò ha un senso? Con le centrali nucleari, anche la piu' piccola delle misure attuali sarebbe stata semplicemente inutile. Puoi correggere una decisione sbagliata, ma solo se non sei la GroKo. E si va avanti allo stesso modo

Una somma tra i 40 e gli 80 miliardi viene investita nella fine della lignite - tra i 2 e i 4 milioni di euro pro-capite per ognuno dei 20.000 posti di lavoro. Per fare ciò saranno le centrali a carbone ad alimentare l'elettricità; sono più costose e solo leggermente più pulite, calcolando anche il percorso di consegna complessivo.

E così continua: qui un sussidio e là una tassa, c'è prima un divieto e poi  un bonus. Il tutto si aggiunge a un volume di ridistribuzione di circa 50 miliardi, l'unica domanda è la seguente: con quale obiettivo? Possono davvero esserci così tanti piccoli interventi insignificanti per raggiungere una somma del genere?

Lo spettacolo sonnolento della GroKo viene mostrato come se fosse una prova delle loro capacità, ma è solo la prova che non serve, se non per fare cassa. E' sempre possibile incassare. Aumentare le tasse va sempre bene.

E mentre cercano di scrollarsi di dosso la sonnolenza, diventa sempre piu' chiaro che la disoccupazione nei prossimi mesi aumenterà rapidamente.

L'ex ministro dell'ambiente danese ed eco-attivista, Ida Auken, ha dichiarato in questi giorni che per le società europee il pericolo non arriva solo dai gilet gialli che protestano, come accade in Francia, contro la distruzione dei loro mezzi di sussistenza. Ci sono anche i "gilet verdi", e sono ancora più pericolosi, e sono quelli che in Germania vengono chiamati "Khmer Verdi".

Questi gilet verdi, con la loro protesta frutto di esaltazione, minacciano di distruggere le basi economiche della nostra società. Per paura dei gilet verdi, la GroKo ha messo insieme un pacchetto di misure che fa arrabbiare i gilet di ogni colore: per i gilet verdi i palliativi messi in campo dal governo non saranno mai abbastanza. I gilet gialli si renderanno conto che per questo pagano le tasse e che per questo rischiano la disoccupazione.


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giovedì 19 settembre 2019

La favola del miracolo economico tedesco

Il miracolo economico tedesco del secondo dopoguerra sarebbe solo una favola che i tedeschi si raccontano per coltivare il loro orgoglio. Ludwig Erhard invece sarebbe  un economista di quarto ordine, mentre l'economia sociale di mercato non sarebbe mai esistita, soprattutto perché l'aggettivo sociale non vi ha mai trovato spazio; e anche il famoso miracolo dell'export è un'altra favola consolatoria, perché si dovrebbe parlare piu' che altro di un deficit delle importazioni, almeno secondo la giornalista e scrittrice Ulrike Herrmann. Una riflessione molto interessante e lontana dai soliti luoghi comuni, in chiave anti-nazionalista, dell'ottima Ulrike Herrmann intervistata dalla Ard.



Si tratta della narrazione che facciamo del nostro paese. La maggior parte dei nostri miti nazionali hanno a che fare con il modo in cui noi tedeschi nel dopoguerra siamo rapidamente diventati ricchi e potenti. "Tutti questi miti non sono affatto veritieri", afferma la giornalista Ulrike Herrmann. "Si dice sempre che i tedeschi, con la loro diligenza e raffinatezza, da soli abbiano realizzato un miracolo economico unico, e questo non è vero - in effetti, tutta l’Europa è cresciuta dopo la seconda guerra mondiale, e alcuni paesi hanno avuto addirittura piu’ successo di noi. Ad esempio, in termini di reddito pro-capite il paese di maggior successo di sempre - nessuno lo sa – è stata la Spagna". 



La Spagna? Preferiamo credere solo al miracolo economico tedesco, perché vorremmo essere una superpotenza economica indipendente. Ma questa storia è solo una favola.

Il problema del "mito di Erhard"

E allora il padre del miracolo economico, Ludwig Erhard? Solo un economista di quarto ordine, afferma Ulrike Herrmann. E un profittatore del nazismo. "Ludwig Erhard è stato direttamente legato al regime nazista e in termini finanziari ha tratto un enorme vantaggio da questo orrore, secondo me il fatto che Ludwig Erhard ancora oggi venga celebrato come se fosse un eroe tedesco è semplicemente uno scandalo".

Anche i politici dei Verdi si fanno fotografare volentieri insieme ad Erhard. Dietro c'è l'idea che noi tedeschi, con grande diligenza, ce l'abbiamo fatta da soli. Nel fare ciò però abbiamo fatto affidamento sul commercio europeo come nessun altro paese - e sull'aiuto dei nostri vicini. "Il problema con il mito di Erhard è proprio questo", afferma Herrmann. "Si finisce per perdere di vista l'importanza degli europei e il fatto che senza l'Europa non ci saremmo mai arricchiti, e ora che l'Eurozona è in crisi, per i tedeschi ovviamente è estremamente pericoloso pensare di poter andare avanti in autonomia e in qualche modo riuscire a sopravvivere da soli. I tedeschi, come spesso si afferma, sarebbero gli ufficiali pagatori d'Europa e starebbero molto meglio se fossero da soli. Come si può leggere nel programma elettorale di AfD"

La fiaba dell'economia sociale di mercato

Dobbiamo finalmente liberarci dalla menzogna insita in certe favole economiche. Lo chiede Ulrike Herrmann nel suo nuovo libro. E quella "dell'economia sociale di mercato" di Erhard è una di quelle favole. Ci fa credere che la durezza del capitalismo sia stata messa sotto controllo e ribilanciata dalla politica.

Ma allora non è vero? Non doveva funzionare per tutti? In Germania non abbiamo forse un rapporto unico fra capitale e lavoro?


Ulrike Herrmann afferma: "Economia sociale di mercato - questo è quello che pensano molti tedeschi quando gli viene ripetuto che l'economia di mercato in Germania convive con la politica sociale. Ma in realtà l'idea di fondo di Erhard era quella secondo cui il mercato stesso è già sociale di per sé. Il che ovviamente non significa altro che che tutti si meritano quello che guadagnano, e cioè: i ricchi sono a ragione ricchi, e non c'è bisogno di alcun sindacato. Erhard è sempre stato contro i sindacati e ha sempre ripetuto che bisognava ridurre i salari. E questa idea: viviamo in un'economia sociale di mercato, e quindi i lavoratori dovrebbero essere grati di vivere in questo sistema perfetto, e non dovrebbero chiedere salari più alti, perché tutto è già così sociale. E questo si trascina fino al giorno d'oggi. E tragicamente bisogna dire che Gerhard Schröder con la sua Agenda 2010 in realtà è stato l'erede perfetto di Erhard”.

Diventare ricchi grazie alla povertà?

Schröder era orgoglioso di aver creato il più grande settore a basso salario d'Europa, in uno dei paesi più ricchi al mondo. Il suo argomento: se vogliamo che l'economia prosperi bisogna alleggerire il peso sulle aziende, e alla fine tutti potranno trarre beneficio da questa ricchezza. "L'intera filosofia alla base del settore a basso salario", afferma Herrmann, "è assurda, perché si fonda sull'idea che si possa diventare ricchi diventando piu' poveri. Le persone vengono rese artificialmente povere dai bassi salari, e ciò dovrebbe condurre al benessere. Ma questa è una stupidaggine. La povertà non può renderti ricco. Ma quello che la Germania dovrebbe fare è porre fine quanto prima a questo settore a bassa retribuzione e convertire tutti questi lavori - mini-jobs, lavoro interinale e così via - in posti di lavoro regolari pagati con un salario dignitoso.

Non c’è un surplus di esportazioni, ma un deficit di importazioni

I salari in Germania vengono mantenuti bassi in modo da poter vendere le nostre merci all'estero al prezzo piu' basso possibile: questo è il mito del campione mondiale dell'export. Ma le nostre eccedenze nell'export non sono qualcosa di cui essere felici, Herrmann dice a proposito: "In realtà, bisognerebbe dire che ciò a cui assistiamo, non è un’eccedenza nell’export, ma un deficit di importazioni - se si vanno a vedere le ragioni di questo surplus, si capisce che ciò accade perché i salari in Germania sono così bassi che non possiamo permetterci di comprare abbastanza beni dai nostri vicini ".

Con i nostri bassi salari e le nostre merci economiche mettiamo gli altri europei sotto pressione. E allo stesso tempo importiamo troppo poco di quello che loro producono. Al contrario: prestiamo loro denaro per acquistare i nostri beni, il che rende la somma del debito non piu’ rimborsabile sempre maggiore. "Dagli Stati Uniti al Fondo monetario internazionale, all'OCSE, alla Banca centrale europea, i nostri vicini, primo fra tutti Macron, ci dicono che in Germania i salari devono aumentare, in modo che l’economia possa crescere e quindi mettere in moto anche l’import. E tutti sono concordi su quello che la Germania dovrebbe fare, solo i tedeschi non ne vogliono sapere", afferma Herrmann.

Pericolo per la democrazia

Si tratta di una follia economica e di un pericolo per la democrazia. Perché questa ci promette l'uguaglianza di tutte le persone. Herrmann afferma: "Ma l'economia attualmente produce grandi diseguaglianze e avvantaggia solo il 10% piu’ ricco. Non si può promettere l'uguaglianza politica e poi consentire una disuguaglianza economica che diventa sempre più ampia, in questo modo avremo sempre piu’ persone che si sentono lasciate indietro, le quali avranno la sensazione di non trarre alcun beneficio. E alla fine ad affermarsi sarà solo il disincanto politico e questo disprezzo per lo stato. E cio‘ potra essere sfruttato politicamente dai partiti estremisti "

Alla fine non è così difficile: abbiamo solo bisogno di storie nuove e buone.