mercoledì 17 maggio 2023

Wolfgang Streeck - La leadership militare tedesca in Ucraina e il ruolo della Germania nel nuovo ordine mondiale

"Macron e i precedenti presidenti francesi hanno sempre saputo che per dominare l'Unione Europea, la Francia ha bisogno della Germania al suo fianco, o nel gergo di Bruxelles: sul sedile posteriore di un tandem franco-tedesco. Il problema è che ora la Germania sembra essere finalmente uscita da questa visione. Sotto la guida dei Verdi, sogna, insieme alla Polonia e agli Stati baltici, di portare Putin davanti alla Corte penale internazionale dell'Aia, il che presuppone che i carri armati ucraino-tedeschi entrino a Mosca proprio come un tempo i carri armati sovietici sono entrati a Berlino" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck. 

La politica estera tedesca dominata dai Verdi e dalla Baerbock è ormai completamente appiattita sulle posizioni degli Stati Uniti, tanto che i tedeschi, secondo Streck, stanno per assumere la leadership militare in Ucraina e dovranno dare il cambio agli americani che invece si stanno concentrando sul Pacifico nello scontro esistenziale con la potenza cinese. Un'analisi molto interessante del grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck da Makroskop.de

rapporti Cina Germania e leadership tedesca

Gli italiani, si dice, coltivano una visione della politica che chiamano dietrismo. Il dietrismo sarebbe la convinzione abituale che ciò che si vede serve a nascondere qualcosa che non si vede dietro ad un sipario che divide il mondo in un palcoscenico anteriore e in un palcoscenico posteriore - quest'ultimo il luogo dove si svolge la vera azione, il primo invece è il luogo dove tutto viene artatamente travisato. Si legge qualcosa, si sente qualcosa alla radio o alla televisione e da dietrista praticante ci si chiede non tanto cosa ci viene detto, ma perché e perché proprio ora.


In questi giorni, dopo tre anni di Covid e un anno di guerra in Ucraina, sembra che siamo diventati tutti italiani: dietrismo ovunque, come la pasta. Sempre più spesso leggiamo le "narrazioni" prodotte a nostro uso e consumo dai governi e dalla stampa mainstream, non per quello che ci dicono, ma per quello che non ci dicono - come i prigionieri della caverna di Platone ormai diffidenti verso tutto e tutti che cercano di dare un senso nascosto alle ombre proiettate sulla parete davanti a loro.

wolfgang streeck leadership militare tedesca in Ucrina
Wolfgang Streeck



Prendiamo, ad esempio, il rapporto semi-ufficiale sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream pubblicato dal New York Times e fatto trapelare al settimanale tedesco Die Zeit: sei persone ancora sconosciute su uno yacht polacco, affittato da qualche parte nella Germania dell'Est, che ovviamente avrebbero lasciato sul tavolo della cucina dell'imbarcazione le tracce dell'esplosivo che avevano trasportato sulla scena del crimine.


Non c'era bisogno di riflettere a lungo per capire che la storia era stata inventata per sovrapporsi al rapporto pubblicato da Seymour Hersh, l'immortale reporter investigativo. La cosa eccitante per la mente del dietrista è che la narrazione sostitutiva era così palesemente ridicola da far pensare che la sua ridicolaggine non fosse il risultato di incompetenza - nemmeno la CIA potrebbe essere così stupida - ma intenzionale, il che porta a chiedersi quale potesse essere il suo scopo reale. Forse, secondo i piu' cinici, l'intenzione era quella di umiliare il governo tedesco e i suoi procuratori federali e di affossare la loro volontà di fare chiarezza facendogli dichiarare pubblicamente un'evidente assurdità come se si trattasse di una pista preziosa nel loro incessante sforzo di svelare il mistero dell'attentato al Nord Stream; una sorta di sadismo politico.


Panico a Kiev

Un altro aspetto ancora più interessante della storia è che i presunti noleggiatori della barca sarebbero in qualche modo legati a dei "gruppi filo-ucraini". Sempre secondo il rapporto, anche se non c'era alcuna indicazione che si trattasse di legami con il governo o l'esercito ucraino, qualsiasi conoscitore di Le Carré sa bene che quando sono coinvolte le agenzie di intelligence, qualsiasi tipo di prova può essere facilmente trovata se si rende necessario. Non sorprende che il rapporto abbia scatenato il panico a Kiev, dove è stato inteso - probabilmente in maniera corretta - come un segnale da parte degli Stati Uniti sul fatto che la loro pazienza nei confronti dell'Ucraina e della sua attuale leadership non è illimitata.

Tanto più che, più o meno nello stesso periodo, si andavano accumulando notizie su fatti di corruzione in Ucraina, sempre provenienti dagli Stati Uniti, che rafforzavano la crescente opposizione dei repubblicani al Congresso a dirottare somme sempre maggiori verso il bilancio militare ucraino - come se la corruzione in Ucraina non fosse da sempre ben nota (si veda la trovata di mettere Hunter Biden come esperto di politica energetica nel consiglio di amministrazione della Burisma Holdings Ltd). A gennaio, ad esempio, il Washington Post e il New York Times avevano pubblicato una serie di articoli sulle malefatte ucraine, come i comandanti dell'esercito che usavano i dollari americani per comprare il diesel russo a basso costo per i carri armati ucraini intascandosi la differenza. In preda al panico, lo scioccato Selenskyj, come ha fatto sapere, aveva licenziato due o tre funzionari di alto livello promettendo di licenziarne degli altri in seguito.



Perché questa è stata interpretata come una notizia improvvisa e sorprendente, quando da tempo è noto che l'Ucraina è uno dei Paesi più corrotti al mondo? A ciò che deve essere sembrato sempre più come un'inquietante profezia, si sono aggiunti i documenti segreti americani trapelati nella seconda metà di aprile, i quali mostrano come la fiducia dei militari americani nella capacità dell'Ucraina di organizzare una controffensiva di successo in primavera, o addirittura di vincere la guerra come il governo ucraino aveva promesso ai suoi cittadini e agli sponsor internazionali, fosse ai minimi storici.


Per gli oppositori americani della guerra, sia repubblicani che democratici, questa sembra essere la conferma che mantenere l'esercito ucraino potrebbe avere costi proibitivi, soprattutto perché entrambi i partiti politici negli Stati Uniti concordano sul fatto che il loro paese prima o poi dovrà prepararsi a una guerra molto più grande contro la Cina nel Pacifico. (Entro la fine del 2022, infatti, si stima che gli Stati Uniti avranno speso 51 miliardi di dollari per sostenere lo sforzo bellico ucraino; altri 55 miliardi di dollari sono stati versati dall'Europa occidentale. Si prevede che, con il progredire della guerra, ne serviranno molti di più, attualmente serve un miliardo di euro solo per le munizioni da utilizzare nell'offensiva di primavera ucraina). Per gli ucraini e i loro sostenitori europei, la conclusione sembra ovvia: si sta avvicinando il momento in cui gli Stati Uniti si congederanno dal campo di battaglia e consegneranno i loro affari europei incompiuti ai locali.



Rispetto all'Afghanistan, alla Siria, alla Libia e a luoghi simili, ciò che gli americani probabilmente quest'estate lasceranno in Ucraina non è in uno stato altrettanto caotico. In collaborazione con gli Stati baltici e la Polonia, negli ultimi mesi gli Stati Uniti sono riusciti a spingere la Germania sempre piu' verso un ruolo di leadership europea, facendo assumere al paese la responsabilità di organizzare e, soprattutto, finanziare il contributo europeo alla guerra ucraina. Nel primo anno di guerra, l'UE è stata gradualmente trasformata in una forza ausiliaria della NATO, responsabile della guerra economica, mentre la NATO è diventata più che mai uno strumento della politica americana, con il marchio "occidentale".



Quando il Segretario Generale della NATO Stoltenberg sarà ricompensato per il suo duro lavoro con un meritato incarico, la presidenza della Banca Centrale Norvegese, a metà del 2023, si dice che a succedergli sarà Ursula von der Leyen, attualmente presidente della Commissione Europea. Ciò completerà la subordinazione dell'UE alla NATO, vale a dire l'altra organizzazione internazionale molto più potente con sede a Bruxelles e che, a differenza dell'UE, comprende ed è dominata dagli Stati Uniti. Nella sua vita precedente, come è noto, la von der Leyen è stata il ministro della Difesa tedesco sotto il governo Merkel. E in questa veste, è in parte responsabile del presunto stato di desolazione delle forze armate tedesche all'inizio della guerra in Ucraina; a quanto pare, però, le è stato perdonato tutto a causa del suo ardente americanismo in quanto europeista o europeismo in quanto americanista. In ogni caso, nel gennaio 2023, l'UE e la NATO hanno firmato un documento per una più stretta cooperazione, resa possibile anche dalla rinuncia di Finlandia e Svezia alla loro neutralità per entrare nella NATO. Secondo la FAZ, l'accordo "sancisce in modo inequivocabile il primato dell'Alleanza nella difesa collettiva dell'Europa" e conferma così il ruolo guida degli Stati Uniti non solo nella politica di sicurezza europea.



Per quanto riguarda la Germania, il suo governo è attualmente impegnato ad assemblare divisioni di carri armati pronti per il combattimento dai vari produttori europei (gli M1 Abrams americani arriveranno in Europa tra "pochi mesi", secondo l'amministrazione Biden, e i loro equipaggi ucraini saranno addestrati nelle basi militari tedesche). Presto la Germania fornirà e manterrà anche i jet da combattimento che ancora si rifiuta di consegnare nell'ambito degli accordi con gli Stati Uniti, anche se, come dimostra l'esperienza, non per molto ancora.



Nel frattempo, Rheinmetall ha annunciato che costruirà in Ucraina una fabbrica di carri armati con una capacità di 400 carri di ultima generazione all'anno: secondo gli esperti, un investimento enorme, sia dal punto di vista tecnico che finanziario, che sembra impensabile senza garanzie da parte del governo tedesco. Inoltre, alla vigilia della riunione del Ramstein Support Group del 21 aprile, la Germania ha firmato un accordo con la Polonia e l'Ucraina per la creazione di un'officina di riparazione per i carri armati Leopard danneggiati sul fronte ucraino, che sarà ubicata in Polonia e che entrerà in funzione alla fine del 2023 (apparentemente partendo dal presupposto, che sembra essere diventato ovvio tra gli strateghi, vale a dire che la guerra non sarà finita per allora). A ciò si aggiunge la promessa della von der Leyen, liberamente rinnovata più e più volte in nome dell'Unione Europea, che l'Ucraina dopo la guerra sarà ricostruita a spese europee, cioè in pratica tedesche - tra l'altro senza alcuna menzione di un contributo da parte degli oligarchi ucraini, che non sono certo numerosi ma proprio per questo motivo più ricchi. In effetti, la visita del Ministro dell'Economia tedesco Habeck a Kiev all'inizio di aprile, insieme a una delegazione di amministratori delegati di grandi aziende tedesche, è stata l'occasione per sondare le future opportunità commerciali per la ricostruzione dell'Ucraina dopo la fine della guerra.



Certo, potrebbe volerci del tempo prima di allora. I documenti americani recentemente trapelati e le dichiarazioni dei commentatori americani semi-ufficiali indicano che non ci si può aspettare una vittoria finale ucraina a breve, se mai ci sarà. Le forniture occidentali di equipaggiamento militare sembrano essere calibrate per consentire all'esercito ucraino di mantenere la posizione; se i russi dovessero guadagnare territorio, l'Ucraina riceverà tutta l'artiglieria, le munizioni, i carri armati e gli aerei da combattimento di cui ha bisogno per respingerli. Tuttavia, una vittoria ucraina, dichiarata dal partito al governo ucraino come vitale per la sopravvivenza del popolo ucraino, non sembra più essere sulla lista della spesa americana. Se si guarda ai piani di consegna dei carri armati Abrams e dei cacciabombardieri, per quanto si possa evincere dagli annunci ufficiali, ci si aspetta piuttosto qualcosa di simile a una prolungata guerra di trincea, con un corrispondente prolungato spargimento di sangue da entrambe le parti. È interessante in questo contesto che Selenskyj, in un momento apparentemente sconsiderato durante uno dei suoi discorsi televisivi quotidiani, abbia chiesto un sostegno militare più massiccio da parte dell'Occidente, sostenendo che l'Ucraina deve vincere la guerra prima della fine del 2023 perché il popolo ucraino potrebbe non essere disposto a sostenere il peso della guerra per molto tempo ancora.



Mentre gli Stati Uniti europeizzano la guerra, spetterà alla Germania non solo organizzare il sostegno occidentale all'Ucraina, ma anche, a un certo punto, far capire al governo ucraino che alla fine questo sostegno non sarà sufficiente per una pace vittoriosa. In quanto franchisee degli Stati Uniti per la guerra ucraina, la Germania sarà incolpata come il capro espiatorio più di tutti gli altri paesi se l'esito della guerra non sarà all'altezza delle aspettative dell'opinione pubblica in Europa orientale, negli Stati Uniti, tra gli attivisti tedeschi pro-ucraini e certamente nella stessa Ucraina.

carri armati leopard tedeschi
Carri  armati Leopard tedeschi




"Swing verso l'Asia"



Questa prospettiva deve sembrare alquanto scomoda per il governo tedesco, perché ora sembra sempre più improbabile che una decisione sulla fine della guerra venga presa proprio in Europa. Un attore potenzialmente decisivo sullo sfondo sarà la Cina, che rifiuta qualsiasi uso delle armi nucleari e in linea di principio non fornisce armi ai Paesi in guerra, compresa la Russia. Dopo una breve visita a Pechino lo scorso novembre, Scholz ha affermato che si trattava di una concessione alla Germania; la corrispondente politica cinese in realtà è molto più antica. La riluttanza americana a permettere all'Ucraina di vincere in modo definitivo e l'emergente intenzione degli Stati Uniti di consegnare alla Germania la riabilitazione postbellica dell'Ucraina potrebbero essere motivate dal desiderio di permettere alla Cina di attenersi alla sua politica di non interferenza, cosa che probabilmente non sarebbe in grado di fare se la Russia e il suo regime alla fine venissero messi con le spalle al muro. Se si tratta in realtà di qualcosa di più di un accordo tacito, come potrebbe essere un qualche tipo di accordo negoziato, è improbabile che venga reso pubblico in un momento in cui l'amministrazione Biden si sta preparando alla guerra con la Cina.



I supernazionalisti al potere a Kiev iniziano a sentire puzza di bruciato. Poco dopo la riunione del gruppo di sostegno di Ramstein, il viceministro degli Esteri ucraino Andrei Melnyk, rappresentante del classico elemento fascista filo-Bandera nel governo ucraino, ha ringraziato educatamente per la promessa di una consegna di armi. Allo stesso tempo, ha fatto sapere che queste armi erano del tutto insufficienti per una vittoria ucraina nel corso del 2023; per questo, secondo Melnyk, sarebbero stati necessari non meno di dieci volte il numero di carri armati, aerei, obici e simili rispetto a quelli promessi. Melnyk, che ha studiato all'Università di Harvard, doveva sapere che ciò avrebbe irritato profondamente i suoi padroni americani. Il fatto che questo non sembri preoccuparlo piu' di tanto lascia ipotizzare che lui e i suoi coadiutori ritengono che gli Stati Uniti siano da tempo impegnati nel loro "swing to Asia". Può anche essere visto come un segno della disperazione della destra ucraina al potere di fronte alle prospettive di una guerra molto lunga e della sua volontà di combatterla comunque fino in fondo - nella convinzione nazionalista radicale che le vere nazioni crescano sul campo di battaglia, nutrendosi del sangue dei loro migliori eroi.



Un nuovo ordine mondiale: bipolare o multipolare?

La crisi emergente dell'ultranazionalismo ucraino è legata alla lotta appena iniziata per definire un nuovo ordine globale, i cui contorni, compreso il posto dell'Europa e dell'Unione Europea in esso, possono essere compresi solo inserendo la Cina nel quadro generale.



Gli Stati Uniti, nel processo di riorientamento verso l'Asia, sono alla ricerca di un'alleanza globale che circondi la Cina e le impedisca di mettere in discussione il controllo americano del Pacifico conquistato con la Seconda guerra mondiale. In questo modo verrebbe rimpiazzato il mondo unipolare del "Progetto per un nuovo secolo americano" neoconservatore, senza successo, con un mondo bipolare: la globalizzazione, anzi l'iperglobalizzazione, ora con due centri invece di uno, come accaduto nella Guerra Fredda, ma con la Cina al posto dell'Unione Sovietica, e con la lontana prospettiva di un ritorno, forse dopo una guerra calda, a un solo centro, una "Neue Weltordnung Mark II". (Per quanto riguarda il capitalismo, esso si è assicurato per due volte in modo decisivo la propria sopravvivenza lasciandosi ricostruire in maniera sostanziale negli anni successivi alle due grandi guerre del XX secolo, dopo il 1918 e il 1945, in un modo che non si pensava possibile in tempi normali; si può ipotizzare che nei centri capitalistici di pensiero strategico ci sia ancora memoria dell'effetto ringiovanente che la guerra ha avuto sul capitalismo in crisi).



Il progetto geostrategico della Cina, d'altra parte, sembra equivalere a un mondo multipolare. Sia per motivi geografici che per le capacità militari ancora in via di sviluppo, l'obiettivo della politica estera e di sicurezza cinese non può essere un ordine mondiale bipolare nel quale il paese combatte con gli Stati Uniti per il dominio globale, forse anche con l'obiettivo finale di un mondo unipolare con la Cina al centro. Essendo una potenza terrestre circondata da una moltitudine di vicini, la Cina ha bisogno innanzitutto di qualcosa di simile a un cordone sanitario di Paesi che si tengano lontani da alleanze con potenziali rivali - sulla falsariga di una Dottrina Monroe regionale, se vogliamo, in contrapposizione al desiderio degli Stati Uniti di globalizzare la propria Dottrina Monroe. (Gli Stati Uniti hanno solo due vicini, Canada e Messico, e possono stare tranquilli che non saranno mai alleati della Cina).



Un fronte di sicurezza cinese potrebbe essere tenuto insieme da infrastrutture fisiche transfrontaliere e da prestiti generosi. Al di là del suo spazio geografico, la Cina sembra poter contare sulla formazione di una lega di altre potenze regionali non allineate come il Brasile, il Sudafrica o l'India: se vogliamo, possiamo ipotizzare un nuovo Terzo Mondo che resti fuori dall'incombente confronto USA-Cina e, in particolare, si rifiuti di aderire alle sanzioni economiche americane contro la Cina e il suo nuovo protetto russo.

In effetti, ci sono segnali che indicano che la Cina preferirebbe essere vista come una potenza neutrale tra le altre, piuttosto che uno dei due contendenti per il dominio del mondo - almeno fino a quando non sarà sicura di non perdere una guerra contro gli Stati Uniti. Il desiderio di evitare un nuovo bipolarismo sulla falsariga della vecchia Guerra Fredda spiegherebbe anche il rifiuto della Cina di fornire armi alla Russia, che persiste tuttora, mentre allo stesso tempo l'Ucraina viene armata fino ai denti dagli Stati Uniti. (La Cina può permettersi di farlo perché la Russia non ha altra scelta che unirsi alla Cina, armi o meno, qualunque sia il prezzo richiesto dalla Cina per la sua protezione).



In questo contesto, la conversazione telefonica di un'ora tra Xi e Selenskyj del 26 aprile, di cui i media mainstream europei hanno parlato solo di sfuggita, potrebbe aver rappresentato una sorta di svolta. Sembra che Xi si sia offerto come mediatore nella guerra russo-ucraina, sulla base di un piano di pace cinese in dodici punti che era stato liquidato come banale e inutile dai leader occidentali, ammesso che ne avessero tenuto conto. Selenskyj ha descritto la conversazione come "significativa" e ha dichiarato che "è stata prestata particolare attenzione alle possibilità di cooperazione per creare una pace giusta e duratura per l'Ucraina". Se l'intervento cinese avrà successo - il che richiederebbe che Selenskyj sia in grado di rimuovere i suoi integralisti dal governo e che gli Stati Uniti si sentano costretti ad accettare le condizioni per un qualsiasi motivo - potrebbe avere un'importanza costitutente per l'ordine globale emergente dopo la fine della storia. Soprattutto sullo sfondo degli sforzi compiuti con successo dalla diplomazia cinese per riconciliare gli Stati fra loro nemici dell'Iran e dell'Arabia Saudita, è probabile che la conversazione tra Selenskij e Xi a Washington abbia suscitato un certo scalpore.

La delicata linea di Baerbock



Negli ultimi mesi, il ministro degli Esteri tedesco Baerbock ha girato il mondo nel tentativo di coinvolgere il maggior numero possibile di Paesi nel progetto americano di rinnovato bipolarismo attraverso appelli ai valori "occidentali", offerte di sostegno diplomatico, economico e militare e minacce di sanzioni economiche. La credibilità della Baerbock come ambasciatrice giramondo del progetto americano del "Nuovo Ordine Mondiale Mark II" presuppone, è vero, che il suo Paese segua rigorosamente la linea americana, compresa l'esclusione della Cina dall'economia mondiale. Questo, tuttavia, è in conflitto con gli interessi dell'industria tedesca e quindi della Germania in quanto Paese, il che costringe la Baerbock a perseguire una linea delicata, a volte addirittura contraddittoria, nei confronti della Cina. Ad esempio, mentre ha accompagnato la sua recente visita a Pechino con una retorica aggressiva e decisamente ostile, sia prima del suo arrivo che dopo la sua partenza - tanto che la sua controparte cinese si è sentita in dovere di dirle, durante una conferenza stampa congiunta, che l'ultima cosa di cui la Cina aveva bisogno erano le lezioni dell'Occidente -, sembra che durante il suo soggiorno in Cina abbia accennato al fatto che le sanzioni tedesche potrebbero essere selettive piuttosto che onnicomprensive, con relazioni commerciali in alcuni settori industriali che continuerebbero più o meno senza interruzioni.



Tra l'altro, sembra abbastanza probabile che Scholz sia riuscito prima a convincere gli Stati Uniti a concedere alla Germania un certo margine di manovra nelle relazioni con il suo più importante mercato di esportazione, come ricompensa per aver coordinato lo sforzo bellico europeo in Ucraina in linea con le richieste americane. Se gli Stati Uniti sono davvero interessati a un ruolo di mediazione della Cina nella guerra ucraina, difficilmente potrebbero comunque sostenere una dura politica di boicottaggio nei confronti della Cina.

D'altra parte, recentemente i produttori tedeschi sembrano aver perso quote di mercato in Cina in misura drammatica nel settore automobilistico, dove i clienti cinesi stanno evitando i nuovi veicoli elettrici tedeschi in favore di quelli cinesi. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che i modelli tedeschi sono meno attraenti dei loro concorrenti cinesi, ma anche alla retorica anticinese tedesca in un Paese con forti sentimenti nazionalisti e anti-occidentali. Se così fosse, il problema dell'eccessiva dipendenza dell'industria tedesca dalla Cina come mercato di esportazione potrebbe presto risolversi da solo.



La politica anticinese della Germania, in linea con gli Stati Uniti e il loro progetto politico mondiale bipolare, sfocia in conflitti non solo interni ma anche internazionali. Ciò è particolarmente vero per il rapporto con la Francia, che minaccia di dividere l'Unione Europea ancora di più di quanto non lo sia già. Le aspirazioni francesi verso una "autonomia strategica" per l'"Europa" (e allo stesso tempo di "sovranità strategica" per la Francia) hanno una chance solo in un mondo multipolare con un gran numero di Paesi non allineati politicamente pesanti, esattamente nello spirito di ciò a cui sembrano aspirare i cinesi. Fino a che punto questo implichi una sorta di equidistanza dagli Stati Uniti da un lato e dalla Cina dall'altro è una questione che il presidente francese Emmanuel Macron lascia aperta - in modo del tutto intenzionale, si può supporre; a volte sembra chiedere l'equidistanza, a volte no. In ogni caso, l'equidistanza è un anatema come il non allineamento tra i militanti filo-occidentali, in Germania in particolare fra i Verdi, che attualmente controllano la politica estera tedesca. Essi diffidano profondamente delle occasionali proteste di Macron secondo cui l'"autonomia strategica" sarebbe compatibile con la lealtà transatlantica, in un momento di crescente confronto tra "l'Occidente" e il nuovo impero del male in Asia orientale.



Macron e i precedenti presidenti francesi hanno sempre saputo che per dominare l'Unione Europea, la Francia ha bisogno della Germania al suo fianco, o nel gergo di Bruxelles: sul sedile posteriore di un tandem franco-tedesco. Il problema è che ora la Germania sembra esserne finalmente uscita da questa visione. Sotto la guida dei Verdi, sogna, insieme alla Polonia e agli Stati baltici, di portare Putin davanti alla Corte penale internazionale dell'Aia, il che presuppone che i carri armati ucraino-tedeschi entrino a Mosca proprio come un tempo i carri armati sovietici sono entrati a Berlino. Macron, invece, vuole dare a Putin l'opportunità di "salvare la faccia" e tenersi aperta la possibilità di offrire alla Russia una ripresa delle relazioni economiche, dopo un cessate il fuoco mediato, se non dalla Francia, forse da una coalizione di Paesi non allineati del "Sud globale" o addirittura dalla Cina.



Il crepuscolo dell'alleanza franco-tedesca alla guida dell'UE e la trasformazione delle sue rovine in un'infrastruttura economica e militare anti-russa, gestita dai Paesi dell'Europa orientale in nome del transatlantismo americano, non è mai stato così evidente come durante il viaggio di Macron in Cina del 6 aprile, dopo Scholz (4 novembre) e prima di Baerbock (13 aprile). Curiosamente, Macron si è fatto accompagnare dalla von der Leyen, secondo alcuni come controlloare tedesco per impedirgli di abbracciare Xi in modo troppo appassionato, secondo altri per dimostrare ai cinesi che un presidente dell'UE non è un vero presidente.

I cinesi, che probabilmente hanno ben interpretato i segnali di Macron, gli hanno riservato un trattamento di riguardo, pur essendo indubbiamente consapevoli dei suoi problemi interni; a von der Leyen, invece, nota come integralista transatlantica, è stato riservato un non trattamento speciale. Durante il volo di ritorno con il suo aereo, senza la von der Leyen, che è volata altrove, Macron ha dichiarato alla stampa che gli alleati americani non sono vassalli americani, il che è stato interpretato ancora una volta come una richiesta all'Europa di mantenere la stessa distanza dalla Cina e dagli Stati Uniti. La Germania, in primis il suo ministro degli Esteri, è rimasta sconcertata e lo ha fatto sapere senza mezzi termini, seguita - doverosamente e unanimemente, come è consuetudine di questi tempi - dai media tedeschi.



Pochi giorni dopo, l'11 aprile, Baerbock ha partecipato alla riunione dei ministri degli Esteri del G7 in Giappone. Lì ha convinto i suoi colleghi, compreso quello francese, a giurare il più possibile fedeltà alla bandiera americana, che come sappiamo rappresenta un mondo indivisibile con libertà e giustizia per tutti. A quel punto, Macron, constatando che la sua spinta retorica contro il vassallaggio franco-europeo aveva riscosso scarso interesse da parte degli oppositori della sua riforma pensionistica, aveva già fatto marcia indietro e riaffermato la sua perenne fedeltà alla NATO e agli Stati Uniti. Non c'è motivo tuttavia di credere che questo fermerà la svolta dell'Unione Europea in atto dalla guerra in Ucraina: una crescente spaccatura tra Francia e Germania e l'ascesa dei paesi membri dell'Europa dell'Est in seguito al ritorno degli Stati Uniti in Europa sotto la guida di Biden, nel quadro di una preparazione ad un confronto globale con il Paese di Xi sulla scia dell'implacabile spinta americana a rendere il mondo piu' sicuro per la democrazia.


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mercoledì 10 maggio 2023

La fine dell'asse franco-tedesco e l'inizio dell'era del confronto aperto

I progetti di cooperazione nel settore militare fra Parigi e Berlino vanno avanti a rilento e sono a rischio fallimento, ormai l'asse franco-tedesco è solo un ricordo e i tedeschi sembrano completamente appiattiti sulle posizioni atlantiste, tanto da far parlare gli esperti di relazioni internazionali di un nuovo scenario di confronto-scontro fra Parigi e Berlino. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy

Amicizia franco-tedesca

"Ripensamento dei sistemi" nella guerra terrestre

I lavori per la realizzazione del Main Ground Combat System (MGCS) ufficialmente sono iniziati nel 2017. L'MGCS solitamente viene definito come un "carro armato di nuova generazione" - e nel settore si parla di questo progetto come di un salto qualitativo, simile, ad esempio, a quello fatto nel passaggio dagli aerei a elica agli aerei a reazione. Ralf Ketzel, amministratore delegato dell'azienda attiva nel settore della difesa Krauss-Maffei Wegmann (KMW), in autunno aveva esplicitamente dichiarato che il progetto "non sarà un carro armato" [1]. Le differenze sono grandi, aveva detto; non solo la torretta - il luogo con il maggior rischio di essere uccisi durante il combattimento - in futuro sarà senza equipaggio; sono previsti anche elementi completamente nuovi, come un robot e i dispositivi di monitoraggio controllati a distanza, che saranno strettamente collegati in una rete digitale e formeranno una sorta di sistema da combattimento connesso. L'MGCS, che dovrebbe essere sviluppato in stretta collaborazione con gli "utenti" - in pratica con la Bundeswehr - porterebbe a un profondo "ripensamento del sistema" in cui viene condotta una guerra terrestre. Strategie dettagliate in questa direzione erano già state sviluppate e presentate pubblicamente dall'esercito tedesco diversi anni fa, compresi i concetti che utilizzano l'intelligenza artificiale (AI) per la guerra [2].



Ritardi di diversi anni

L'MGCS è stato esplicitamente concepito come un progetto franco-tedesco: da un lato, perché i costi sono estremamente elevati - sono stimati in 100 miliardi di euro - e, dall'altro, doveva servire a far progredire l'integrazione fra i produttori di armi nazionali dell'UE verso una base industriale di respiro continentale. Finora non ci si è riusciti, anzi il futuro del progetto è più che mai incerto. Per attuare il progetto, infatti, Berlino e Parigi alcuni anni fa hanno spinto verso una fusione fra i produttori di carri armati KMW (Germania) e Nexter (Francia) per dare vita a KNDS; anche Rheinmetall (Germania) è coinvolta nel progetto. Recentemente, un rapporto confidenziale del Ministero della Difesa tedesco affermava che in quattro degli otto "campi tecnologici" centrali ancora non è stato definito quale gruppo industriale sarà il contraente principale. [3] Mentre la parte tedesca chiede un "leadership chiara nelle tecnologie di punta tedesche", in Francia ci sono pesanti "obiezioni" in merito. Le "questioni finora controverse" non sono state "ancora risolte". Poiché ci sono stati "ritardi di diversi anni rispetto al programma originale", il completamento del progetto dell'MGCS originariamente previsto per il 2035 "non è più realizzabile in quei tempi". Il completamento viene ora previsto non prima del 2040.



Soluzioni nazionali

Nel frattempo, non si può più escludere un completo fallimento del progetto. Pierre Schill, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito francese, ha recentemente dichiarato che la produzione di un successore del carro armato principale Leclerc è una "questione strategica" per Parigi; se l'MGCS non decolla, si dovrà ricorrere a un modello puramente francese. [4] Da parte sua, Hans-Peter Bartels (SPD), ex Commissario del Bundestag per la Difesa, ha dichiarato: "L'industria tedesca non ha bisogno del sostegno francese per sviluppare un nuovo carro armato". C'è anche una disputa tra le aziende tedesche KMW e Rheinmetall. La Rheinmetall, ad esempio, è andata avanti con un nuovo carro armato, che porta il nome di Panther - nome ripreso da un carro armato della Wehrmacht - e che probabilmente sarà costruito in un suo nuovo stabilimento in Ucraina [5]. KMW invece afferma che il modello è di fatto un "telaio Leopard" con una torretta convenzionale con equipaggio - "una rappresentazione rivestita di uno sviluppo di cannoni già presentato anni fa": in altre parole, niente di nuovo. [6] Per colmare il vuoto lasciato fino al completamento dell'MGCS, si sta pianificando anche un ulteriore sviluppo del vecchio Leopard 2 nel Leopard 2A8. [7]



Gli Stati Uniti al posto della Francia

Le divergenze sull'MGCS sarebbero ancora più gravi perché gli osservatori le considerano solo un sintomo di un piu' ampio conflitto franco-tedesco. Da anni, infatti, ci sono controversie anche sul jet da combattimento franco-tedesco di nuova generazione, il FCAS (Future Combat Air System). A Parigi, infatti, il forte risentimento era stato causato dal fatto che Berlino sta pianificando di costruire un sistema di difesa aerea europeo utilizzando modelli statunitensi e israeliani, ma non uno sviluppo franco-italiano, cioè europeo. [9] In Francia, inoltre, si critica fortemente il fatto che il governo tedesco stia utilizzando il suo programma speciale di armamento da 100 miliardi di euro principalmente per l'acquisto di armamenti statunitensi come il caccia F-35. In precedenza, nel giugno 2021, Berlino aveva deciso di abbandonare completamente lo sviluppo originariamente previsto di un sistema per la guerra aerea marittima franco-tedesco (MAWS) e di acquistare al suo posto il Boeing P-8 Poseidon statunitense. Attualmente si teme che l'annuncio fatto dal Ministro della Difesa Boris Pistorius di voler acquistare prodotti finiti invece di intraprendere nuovi e complessi sviluppi possa indebolire ulteriormente i piani franco-tedeschi.



Niente più compromessi

Le controversie franco-tedesche abbondano anche su altri temi [10]. Già a febbraio, Camille Grand dell'European Council on Foreign Relations (ECFR) aveva sottolineato che sulla guerra in Ucraina, Berlino si stava coordinando in maniera sempre piu' stretta con Washington che non con Parigi, facendo così capiere in maniera chiara che il governo tedesco era più interessato a "tornare a una relazione solida con Washington rispetto alla possibilità di sviluppare una forte agenda europea insieme a Parigi". [11] Landry Charrier, ricercatore alla Sorbona, scriveva a marzo che la guerra in Ucraina potrebbe aver "saldato l'alleanza transatlantica": "Per Germania e Francia, invece, è diventata una questione divisiva" [12] Entrambi gli Stati da molto tempo sono consapevoli di avere risposte diverse alle sfide globali; ora, tuttavia, "i tempi in cui era possibile elaborare compromessi" sono finiti. "Dal punto di vista francese, il Cancelliere sta perseguendo una strategia che rende l'Europa dipendente dagli Stati Uniti e che alla fine mette a repentaglio la sua stessa capacità di azione", spiega Charrier: "Da qui la durezza che Macron sta mostrando nei confronti della Germania". Tra Germania e Francia sta nascendo una "nuova era: l'era del confronto aperto".

[1] „MGCS wird kein Panzer sein“. wehrtechnik.info 26.10.2022.
[2] S. dazu Drohnenschwärme im Zukunftskrieg und Kriegführung mit Künstlicher Intelligenz.
[3] Thomas Steinmann: Deutsch-französischer Superpanzer kommt später als geplant. capital.de 11.04.2023.
[4] Sarah Werner: Geheimer Bericht offenbart den Machtkampf um unseren neuen Superpanzer. focus.de 29.04.2023.
[5] S. dazu Der Panthersprung nach Kiew.
[6] „MGCS wird kein Panzer sein“. wehrtechnik.info 26.10.2022.
[7] Waldemar Geiger, Gerhard Heiming: Neue Kampfpanzer – Bundeswehr soll Leopard 2 A8 erhalten. esut.de 14.04.2023.
[8] Oliver Neuroth: Spanien steigt bei FCAS ein. tagesschau.de 28.04.2023.
[9] S. dazu Auf Kosten Frankreichs.
[10] S. dazu Die deutsch-französische „Freundschaft“.
[11] Camille Grand: Ohne europäische Dimension? internationalepolitik.de 24.02.2023.
[12] Landry Charrier: Gebrochene Achse. ipg-journal.de 20.03.2023.


lunedì 8 maggio 2023

Nuove truppe e nuova potenza per la Bundeswehr

Prosegue l'integrazione delle forze armate olandesi sotto il comando della Bundeswehr che grazie all'apporto dell'esercito dei Paesi Bassi acquisisce un ruolo centrale nell'ambito della NATO e nell'espansione verso est del patto atlantico. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy



Il Corpo tedesco-olandese

La Germania ormai da molti anni promuove l'integrazione delle forze armate tedesche e olandesi. Il primo passo in questa direzione è stata nel 1995 la fondazione del Corpo tedesco-olandese. La struttura, con sede a Münster, è composta da 1.100 soldati, ma "in caso di emergenza" è destinata a guidare fino a 100.000 militari [1] - ad esempio nel quadro dell'UE. Nel 2002, il Corpo è stato certificato come "Quartier Generale NATO a dispiegamento rapido" e da allora può essere dispiegato anche nell'ambito dell'alleanza militare transatlantica ([2]). In totale, nella struttura militare sono coinvolti una dozzina di Paesi; il comando, tuttavia, viene condiviso tra Berlino e L'Aia con un ciclo triennale.

Funzioni di comando

In passato, il Corpo aveva partecipato, fra l'altro, anche alla guerra in Afghanistan. Nel 2014, si era addestrato in scenari che prevedevano lo scoppio di insurrezioni e che avevano delle similitudini con i combattimenti in corso in quel momento in Ucraina [3]. Secondo la Bundeswehr, il Corpo sarebbe ora in grado di "guidare diverse brigate [multinazionali] e di coordinare simultaneamente componenti navali, dell'aviazione e delle forze speciali" [4] Quest'anno funge inoltre da quartier generale della componente terrestre della Forza di reazione rapida della NATO. [5] Se la NATO dovesse entrare in guerra in Ucraina nel corso del 2023, il Corpo tedesco-olandese ne sarebbe al comando. Per quanto riguarda le forze di terra svolge una funzione simile a quella svolta dal Baltic Maritime Component Command di Rostock per le operazioni marittime dell'Alleanza nel Mar Baltico [6].

Rafforzamento delle capacità operative attraverso la cooperazione

Per far progredire ulteriormente la cooperazione militare, nel 2013 Berlino e L'Aia hanno adottato un memorandum d'intesa con diverse decine di singoli progetti [7]. Da allora, i due Paesi, fra le altre cose, nel corso del 2015 hanno istituito un battaglione di carri armati congiunto (Panzerbataillon 414), integrato il Gruppo missilistico tedesco di difesa aerea nel Comando di difesa aerea terrestre olandese nel corso del 2018 e nel corso del 2019 hanno inserito un battaglione marittimo tedesco nel Corpo della marina olandese. In cambio del passaggio di uno dei suoi battaglioni marittimi sotto il comando olandese, la Bundeswehr si è assicurata "l'ingresso nei progetti per la costruzione di una capacità per il trasporto marittimo sicuro e di lungo raggio", secondo quanto dichiarato dal Ministero della Difesa. [8] Sempre secondo quanto riferito, l'aumento della cooperazione navale darà a Berlino l'accesso al "supporto navale olandese per il trasporto di personale e materiale". Secondo la Bundeswehr, si sono già svolti negoziati su "possibili forme di cooperazione" nello spazio cibernetico e dell'informazione.

Tutte le unità di combattimento

In occasione delle consultazioni governative tedesco-olandesi di fine marzo, Berlino e L'Aia si sono impegnate a "intensificare ulteriormente" la loro cooperazione militare binazionale. [9] In questo contesto si inserisce anche la decisione di integrare la 13ª Brigata leggera dei Paesi Bassi nella 10ª Divisione corazzata tedesca. Ufficiali militari tedeschi, infatti, già dal 2014 sono al comando dei primi contingenti delle forze terrestri olandesi, vale a dire quando la 1ª Brigata mobile aerea dei Paesi Bassi è stata integrata nella Divisione delle forze veloci tedesche [10]. A ciò ha fatto seguito nel 2016 la subordinazione della 43ª Brigata meccanizzata olandese alla 1ª Divisione corazzata della Bundeswehr. È anche vero che ci sono singole strutture di truppe della Bundeswehr a loro volta sotto il comando olandese. Con l'integrazione della 13a Brigata leggera, tuttavia, tutte le unità da combattimento dell'esercito olandese si trovano ora sotto il comando tedesco. Ma la fusione tra l'esercito olandese e quello tedesco non avviene affatto su un piano di parità. Nel 2013, infatti, gli esperti di politica di sicurezza avevano espresso scetticismo sui piani di una cooperazione militare altrettanto stretta con la Francia o con la Gran Bretagna, paesi con i quali il rapporto di forza sarebbe stato meno favorevole alla Repubblica federale. "Qualsiasi iniziativa tedesca dovrebbe... rivolgersi a partner più piccoli", avevano affermato all'epoca.[11]

Avanguardia europea

La subordinazione dell'esercito olandese al comando tedesco ha acquisito slancio in un momento in cui le élite tedesche di politica estera e militare si stavano muovendo in una direzione i cui contorni erano stati poi definiti nel corso del 2013 nell'ambito di un documento strategico di fondamentale importanza ("Nuovo potere, nuova responsabilità"). [12] In questo contesto, la pretesa di imporre una leadership politica e anche militare di Berlino è stata apertamente formulata e resa presentabile. La cooperazione militare tedesco-olandese viene quindi inquadrata dagli strateghi tedeschi come un progetto lungimirante sulla strada verso un esercito dell'UE e quindi verso una capacità strategica autonoma dell'UE capace di agire sotto la guida tedesca. Le richieste di una cosiddetta autonomia strategica dell'UE dall'inizio della guerra in Ucraina, tuttavia, in Germania si sono fatte più silenziose. Nella dichiarazione congiunta rilasciata in occasione delle consultazioni intergovernative tedesco-olandesi, Berlino e L'Aia si impegnano comunque in tal senso: l'"autonomia strategica" dell'UE resta "necessaria"; entrambe le parti intendono "rafforzare ulteriormente l'UE in maniera congiunta in quanto attore geopolitico". [13] Con il pretesto di voler consolidare il "pilastro europeo nella NATO" e con il ricorso all'esercito olandese, Berlino intende posizionarsi fermamente come leader militare di una potenza mondiale indipendente, l'UE.


venerdì 21 aprile 2023

Perchè l'appiattimento della Germania sulle posizioni atlantiste per i francesi è un problema

"Per quanto apprezzabili, le parole di Macron tuttavia non colgono il punto della situazione politica europea attuale. Soprattutto in Germania, la politica e i media mainstream preferiscono una fedeltà nibelunga all'impero d'oltreoceano" cosi' scrive l'ottimo Jens Berger che sulle Nachdenkseiten ci spiega perché l'attuale appiattimento della Germania sulle posizioni atlantiste segna una ulteriore frattura nel cosiddetto asse franco-tedesco. Dalle Nachdenkseiten




L'Europa dovrebbe lottare per avere una propria "autonomia strategica" e resistere alle pressioni che vorrebbero trasformarla nel "tirapiedi dell'America". Nella questione di Taiwan, non bisogna essere "subalterni". Altrimenti il rischio è quello di "diventare un vassallo degli Stati Uniti". Queste frasi non provengono da Oskar Lafontaine, che di recente aveva espresso posizioni simili sulle NachDenkSeiten, ma da Emmanuel Macron. Le reazioni sono state forti, soprattutto in Germania. Per quanto apprezzabili, le parole di Macron tuttavia non colgono il punto della situazione politica europea attuale. Soprattutto in Germania, la politica e i media mainstream preferiscono una fedeltà nibelunga all'impero d'oltreoceano. Di Jens Berger.

Bisogna riconoscere che il presidente francese Emmanuel Macron sa come sorprendere. Mentre le élite politiche tedesche fanno a gara nel dipingere la Cina come un "avversario del sistema" e un "rivale" con i toni più stridenti possibili, e nel consigliare all'economia tedesca di "diversificare i propri investimenti", il presidente francese si è recato nel Regno di Mezzo proprio nel periodo di Pasqua insieme ad una truppa di rappresentanti dell'economia dove ha discusso di investimenti per diversi miliardi di euro e parlato della situazione mondiale con il suo omologo cinese Xi, su un piano di parità e per ben sei ore. E già questo sembra notevole, visto che in Europa ormai sembra essere diventata prassi comune quella di comportarsi nel peggiore dei modi coloniali anche nei confronti di una potenza mondiale come la Cina.



Ma ancora più notevole, almeno per le orecchie tedesche, è stata l'intervista che Macron ha rilasciato sul volo di ritorno al portale mediatico statunitense "Politico", appartenente al gruppo Springer. Sembra quasi ricordare i tempi di De Gaulle, quando propagandava un'"Europa delle patrie" che distingueva chiaramente i suoi interessi - sotto la guida francese, ovviamente - da quelli degli Stati Uniti. Oggi in Germania si tende a dimenticare che l'integrazione europea, che in seguito avrebbe portato alla fondazione della Comunità europea con il Trattato di nascita della CE, è sempre stata intesa, soprattutto dalla Francia, come un modello opposto all'orientamento degli Stati Uniti e della NATO, come avveniva ad esempio in Gran Bretagna in quel periodo. De Gaulle vedeva la NATO come uno strumento degli interessi statunitensi, e infatti espulse le truppe NATO dal Paese e ritirò le truppe francesi dalle strutture militari della NATO nel 1966. Solo nel 2009, sotto Sarkozy, la Francia ha completato la piena reintegrazione delle sue strutture militari all'interno della NATO. I transatlantici hanno trionfato - anche se relativamente tardi - anche in Francia.

Tenendo presente questi contesti storici, le dichiarazioni di Macron appaiono meno sorprendenti. Che gli interessi di Francia e Germania non siano affatto congruenti con quelli degli Stati Uniti è ben noto, almeno ai lettori delle NachDenkSeiten. Soprattutto per quanto riguarda la Cina, le differenze sono evidenti. Mentre gli Stati Uniti vogliono disperatamente mantenere l'ordine mondiale unipolare con se stessi come unica superpotenza e - come nel caso dell'UE - conquistare tutti i concorrenti o, se ciò non è possibile - come nel caso della Cina - combatterli, l'UE, che dal punto di vista economico è strettamente interconnessa con la Cina, non può avere alcun interesse a essere trascinata in questo e altri conflitti al guinzaglio degli Stati Uniti.

L'Europa deve guardare ai propri interessi e anteporli a quelli degli Stati Uniti - questo è essenzialmente il messaggio di Macron. È chiaro che questo messaggio è diametralmente opposto non solo alle dottrine degli Stati Uniti, ma anche alle idee dei loro partigiani in Europa. Di conseguenza, non era difficile aspettarsi una dura critica alle dichiarazioni di Macron da parte dei media tedeschi fortemente influenzati dai potentati transatlantici e da parte dei politici tedeschi. Lo SPIEGEL ha immediatamente scritto che Macron è un "burattino della propaganda cinese" e i politici di tutti i principali partiti si sono superati nelle loro critiche al francese, secondo i quali avrebbe "perso il senno", come ha detto diplomaticamente il falco transatlantico Norbert Röttgen.

Macron ha perso il senno? Sì e no. In termini di contenuto, ovviamente, ha assolutamente ragione. Già nel 1987, lo storico Paul Kennedy, nel suo libro altamente raccomandato "The Rise and Fall of the Great Powers", aveva previsto i problemi legati all'ascesa della Cina e al relativo declino degli Stati Uniti e aveva messo in guardia dai cosiddetti "conflitti di erosione" in cui l'Europa non doveva farsi trascinare. Se ci si toglie le lenti del transatlantismo, le dichiarazioni di Macron sono poco spettacolari e in realtà anche poco controverse. Purtroppo, il resto dell'Europa indossa questi occhiali transatlantici ed è incapace di riconoscere i propri interessi. Non stiamo rischiando di diventare "vassalli", come dice Macron, ma lo siamo già.

Ed è proprio su questo punto che Macron probabilmente ha davvero perso il senno. Vorrebbe forse formulare una politica di sicurezza indipendente dagli Stati Uniti insieme alla Polonia? Buon divertimento. Vuole forse spiegare agli Stati baltici che i loro interessi non sono congruenti con quelli degli Stati Uniti? Divertitevi. Vuole convincere Annalena Baerbock che non è nell'interesse degli europei lasciare che gli Stati Uniti li trascinino nel conflitto di Taiwan? Mi sembra inutile.

Per questo l'intervento di Macron sembra soprattutto privo di efficiacia, un'eccezione "gollista" nel concerto transatlantico dei flauti dolci. Negli ultimi decenni si è parlato molto del tandem franco-tedesco che dovrebbe trainare l'Europa. Se prendiamo in parola Macron, però, risulta evidente che i componenti di questo tandem vogliono andare in direzioni opposte. Ma chi lo sa? Forse il "grande pasticcio" che la dottrina statunitense sta attualmente causando in Ucraina indurrà i politici tedeschi almeno a riaggiustare la bussola? Come tutti sappiamo, la speranza è l'ultima a morire.


martedì 18 aprile 2023

La guerra in Ucraina, il riarmo tedesco e lo straordinario successo di Rheinmetall

La guerra in Ucraina e il riarmo tedesco spingono Rheinmetall verso un incredibile successo.  Come al solito in tempi di guerra c'è chi piange e chi fa i soldi vendendo fazzoletti. Ne scrive la Berliner Zeitung



"La conservazione attiva della natura lega Rheinmetall all'impegno verso la regione nella quale l'azienda è il più grande datore di lavoro dopo la Bundeswehr. Il risultato è una vegetazione insolitamente ricca che attrae una rara varietà di insetti e uccelli e fornisce uno spazio a grandi popolazioni di animali selvatici. Sotto la protezione dell'area riservata - nel poligono di tiro vigono severe misure di sicurezza - continuano a insediarsi nuove specie. Il rumore dei fucili non spaventa la fauna selvatica".

Il leader della tecnologia ecologica di proprietà degli Stati Uniti

Cosi' si presenta il più grande fornitore della difesa tedesca. Nel suo sito più grande, in Germania, gestisce l'Erprobungszentrum Unterlüß (EZU), che con i suoi 54 ettari è il più grande stabilimento privato di test e addestramento militare in Europa, vicino al villaggio di Unterlüß, ai margini del Parco Naturale di Südheide, nella Bassa Sassonia. Con 2500 dipendenti, si tratta del più grande fra i 40 siti della più grande azienda ecologica tedesca.

Rheinmetall infatti preferisce non parlare di armi. "Il gruppo internazionale di tecnologia integrata" - così recita il sito web. "Con le nostre tecnologie, i nostri prodotti e i nostri sistemi, creiamo la base per la pace, la libertà e lo sviluppo sostenibile: vale a dire la sicurezza". E ancora: "Rheinmetall è un gruppo tecnologico integrato per una mobilità rispettosa dell'ambiente". E la nuova litania dei valori continua: "Entro il 2035 vogliamo essere neutrali dal punto di vista delle emissioni di CO₂".

Agli investitori viene quindi promesso un "investimento sostenibile". E questo paga. "Con il cambio dei tempi e la guerra in Europa, anche per Rheinmetall è iniziata una nuova era: utili ai massimi storici, portafoglio ordini da record", afferma l'amministratore delegato Armin Papperger nella relazione annuale del 2022. "Il gruppo tecnologico Rheinmetall AG sta salendo nel principale indice azionario tedesco DAX", ha annunciato il 20 marzo 2023. Negli ultimi due anni il prezzo delle azioni è quasi raddoppiato. All'assemblea generale annuale del 9 maggio 2023 agli azionisti è stato promesso un aumento del dividendo del 30% .

Chi sono gli azionisti? Rheinmetall non fa alcun nome

Dai portali di borsa e dalle comunicazioni della Securities and Exchange Commission (SEC) statunitense emerge che Rheinmetall ha 280 azionisti censiti. I più grandi sono Blackrock, Wellington, Fidelity, Harris Associates, John Hancock, Capital Group, Vanguard, EuroPacific Growth Fund, LSV. Come la maggior parte dei più piccoli, provengono dagli Stati Uniti. Rheinmetall quindi non è affatto tedesca. Metà dei 25.500 dipendenti lavora in Germania, l'altra metà in altri 33 Paesi. Ma i profitti affluiscono principalmente negli Stati Uniti.

Tecnologia militare all'avanguardia insieme a gruppi statunitensi


Rheinmetall gestisce il maggior numero di filiali al di fuori dalla Germania proprio negli Stati Uniti, dove ce ne sono dieci. Tutto è iniziato nel 2005 con la guerra permanente degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq. In quanto "partner di lunga data della Nato, Rheinmetall sostiene la strategia di difesa nazionale degli Stati Uniti".

Negli Stati Uniti Rheinmetall sta sviluppando le più moderne tecnologie militari, ad esempio la nuova generazione di veicoli da combattimento per fanteria supportati dall'intelligenza artificiale, insieme a società di difesa statunitensi come Textron, Raytheon e Allison. Questi veicoli dovranno operare, sia con equipaggio che senza, con un'elevata potenza di fuoco, un'alta protezione e un'elevata mobilità, con una capacità letale senza precedenti "non disponibile in nessun'altra parte del mondo".

Rheinmetall ora è stata autorizzata a costruire la sezione centrale lunga 6,5 metri tra la cabina di pilotaggio e la coda del caccia F-35 della più grande azienda di difesa del mondo, la Lockheed. Il Ministero della Difesa tedesco ha già ordinato alcuni F-35 come conseguenza della guerra in Ucraina, almeno per il momento. I membri europei della Nato devono quindi rinunciare a sviluppare un proprio caccia e acquistare i costosi aerei stealth statunitensi.

Rheinmetall sta sviluppando insieme al produttore statunitense di droni AeroVironment un piccolo drone senza pilota per le forze speciali. Il drone deve essere rapidamente dispiegabile, lanciabile a mano, pesare meno di dieci chilogrammi e avere una portata di 30 chilometri.

Sulla scia della strategia militare globale degli Stati Uniti

In Ucraina - l'ultimo generatore di profitti - il leader tecnologico vuole costruire una nuova fabbrica di carri armati. Perché la guerra per riconquistare tutto il territorio durerà a lungo, dice Papperger. Anche se un giorno Putin dovesse andarsene, una partnership con la Russia probabilmente non sarebbe possibile.

Secondo le sue stesse informazioni, Rheinmetall gestisce 133 siti in 33 Paesi, nei paesi della NATO ma anche nella "neutrale" Svizzera, in modo da garantire forniture tempestive e locali. Dopo la dichiarazione di ostilità nei confronti della Cina da parte del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, Rheinmetall ha finora sviluppato 18 siti in Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Nel 2014 Obama ha chiesto alle nazioni del Pacifico, in Australia, un riarmo guidato dagli Stati Uniti, contestualmente alla graduale eliminazione dell'"industria sporca" fossile. Da allora gli Stati Uniti hanno costruito quattro nuove basi militari nel continente. Rheinmetall è arrivata, ora è il più grande fornitore di carri armati per l'esercito australiano ed esporta il carro armato Boxer negli Stati asiatici. La fabbrica nel Queensland, con 600 dipendenti, è "il sito militare tecnologicamente più avanzato in Australia", secondo quanto riferito dalla stessa azienda.

Rheinmetall ha anche acquisito una certa esperienza nell'aggirare i controlli sulle esportazioni di armi, come accaduto sotto il cancelliere Angela Merkel, ad esempio attraverso le sue filiali in Italia e negli Stati Uniti. Per questo nel 2017 il gruppo ha ricevuto il Black Planet Award dalla fondazione Ethecon. Papperger posiziona Rheinmetall a fianco del diritto internazionale ONU nell'"ordine internazionale basato sulle regole" definite dagli USA.

Verde in combinazione con civile e militare

Il Green Deal UE finanzia anche lo sviluppo di campi militari mobili: devono però essere indipendenti dall'energia fossile. Rheinmetall fa parte di un team di progetto dell'UE che deve rendere le tecnologie sviluppate a questo scopo utilizzabili anche per scopi civili.

Insieme ad Allison, ad esempio, Rheinmetall ha sviluppato il motore elettrico eGenForce, privo di emissioni di CO₂, per il piu' importante carro armato statunitense Abrams: il motore non fa rumore, non emette calore e non può essere rilevato di notte dai droni nemici. Per la fanteria ucraina, Rheinmetall sta costruendo torri di sorveglianza mobili con "celle solari che consentono un funzionamento sostenibile senza combustibili operativi". Insieme ad un produttore di autocarri, Rheinmetall sta anche lavorando sugli autocarri nell'ancora giovane campo della mobilità elettrica, sia militare che civile.

In questo modo si fondono la "sicurezza" militare e quella pubblica. Con il Survivor R, Rheinmetall sta costruendo per la polizia il "veicolo speciale altamente mobile della prossima generazione, ottimamente protetto e versatile". "Rheinmetall è da molti anni un partner delle forze di sicurezza in Germania e in Europa. Il portafoglio prodotti nel campo della sicurezza pubblica comprende componenti per attrezzature di protezione balistica, armi speciali per operazioni di polizia, ottica e optronica per la ricognizione e la sorveglianza diurna e notturna, sistemi per il rilevamento e la difesa dei droni e veicoli di emergenza blindati.

Lobbismo trasversale

Rheinmetall è membro delle tre associazioni di lobbying dell'industria della difesa: Förderkreis Deutsches Heer (FKH), Deutsche Gesellschaft für Wehrtechnik (DWT) e Bundesverband der Deutschen Sicherheits- und Verteidigungsindustrie (BDSV). Papperger è anche presidente della BDSV. Rheinmetall fa anche donazioni a tutti i partiti di governo.

Nel 2014, Rheinmetall ha portato l'ex segretario generale della FDP Dirk Niebel nella sua sede di Düsseldorf come responsabile per lo sviluppo della strategia internazionale e delle relazioni governative. In precedenza era stato membro del Consiglio federale di sicurezza. Ma soprattutto: Niebel è stato Ministro federale per la cooperazione e lo sviluppo economico dal 2009 al 2013. Ad esempio, il gruppo ha aperto filiali in Sudafrica, Malesia, India, Brasile, Messico, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Uzbekistan.

Alcuni legami con Rheinmetall sono meno evidenti. Henning Otte, CDU, rappresenta il collegio elettorale di Celle. È lì che si trova il più grande sito produttivo di Rheinmetall, Unterlüß. Con l'ascesa di Rheinmetall, nel 2014 Otte è diventato portavoce della politica di difesa del gruppo parlamentare CDU/CSU, nonché membro dell'Assemblea parlamentare della NATO.

Anche il nuovo ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) proviene dalla Bassa Sassonia. È qui infatti che Rheinmetall ha la maggior parte dei suoi siti. Il Land è diventato sempre più importante per l'espansione della NATO verso est. La base marittima di Wilhelmshaven, con 9500 uomini, è la più grande base della Bundeswehr, a disposizione delle forze militari statunitensi dirette verso l'Europa orientale e per le manovre della Nato, ma anche per le attività sempre più globali della Bundeswehr. Munster, vicino a Unterlüß, ospita la più grande area di addestramento della Bundeswehr. E Bergen-Hohne, nel distretto di Celle, è una delle più grandi aree di addestramento NATO in Europa, soprattutto per le esercitazioni con i carri armati.

Il ministro dell'Economia della Bassa Sassonia, Olaf Lies (SPD), sta cercando di ottenere nuove commesse da Rheinmetall per lo Stato, affermando che l'azienda ha già dato un "contributo alla politica di sicurezza" con la rapida costruzione del primo terminale per il GNL. Pistorius è stato uno dei politici della SPD che, nello spirito di Willy Brandt, ha sostenuto una politica di pace ed energetica con la Russia. Ma con l'inizio della guerra in Ucraina, si è dovuto pentire della sua "falsa speranza".

venerdì 7 aprile 2023

Heiner Flassbeck - Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobiliare tedesco

Il settore delle costruzioni in Germania sta crollando ad un ritmo superiore rispetto a quanto avvenuto negli anni della crisi finanziaria, il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega cosa sta accadendo e quali sono le gravi responsabilità della politica restrittiva della BCE. Ne scrive Heiner Flassbeck su relevante-oekonomik.com/

Heiner Flassbeck

L'Ufficio Federale di Statistica la scorsa settimana ha comunicato che i nuovi ordini (corretti per i prezzi) nel settore delle costruzioni nel gennaio 2023 sono stati di ben il 21% inferiori rispetto al livello dell'anno precedente (Figura 1). "L'ultima volta che si era registrato un calo maggiore ad inizio anno era stato nel gennaio 2009 (-21,8% rispetto al gennaio 2008)", ha dichiarato l'Ufficio di statistica. Da marzo dello scorso anno, la domanda totale nel settore edile è crollata del 24%.


Osservando le cifre (destagionalizzate) mese per mese, si nota che il crollo sta interessando tutti i settori nell'industria delle costruzioni. L'ingegneria civile (Figura 2), dominata dai contratti governativi, ha avuto una traiettoria ascendente fino al 2018, ha ristagnato in gran parte tra il 2019 e il 2022 e ora continua a scendere.


La più colpita è l'edilizia residenziale (Figura 3), di cui i nostri politici ci raccontano che la Germania ha tanto bisogno: rispetto al marzo dello scorso anno, questo settore ha registrato un calo degli ordini di un terzo.

Figura 3



A dire il vero, è già dal 2020 che non si registra più una chiara tendenza al rialzo. Il crollo drammatico tuttavia è iniziato solo dopo il marzo 2022, quando è stato raggiunto un valore dell'indice pari a 140,5. La velocità dell'attuale crollo non si era mai vista negli ultimi 20 anni, nemmeno in una recessione, nemmeno nel corso della grande crisi finanziaria del 2008/2009. E questo ha anche a che fare con il fatto che i costi di costruzione erano esplosi anche prima dell'attuale crollo rispetto a quanto accaduto negli ultimi due decenni (Figura 4).


Figura 4

Questo aumento dei prezzi, anch'esso speculativo e caratterizzato da vari shock dell'offerta, già di per sé avrebbe rallentato l'industria delle costruzioni spingendo verso un graduale calo dell'attività edilizia, come già evidente nell'edilizia residenziale dalla fine del 2020. Ma il rapido crollo avvenuto a partire dalla primavera del 2022 non può essere spiegato solo dall'andamento dei costi di costruzione. 

Figura 5

Figura 6

Il quadro della domanda nel settore delle costruzioni trova riscontro nel fatto che i prezzi degli immobili residenziali (Figure 5 e 6) nel quarto trimestre dell'anno scorso sono scesi del 3,6%, un calo significativo - su di una tale dimensione per la prima volta dal 2007, quando nel primo trimestre erano scesi del 3,8%. La situazione è quindi cambiata radicalmente e rapidamente, anche guardando a questo indicatore.


Inoltre, si può notare che sono soprattutto gli immobili residenziali esistenti e non quelli di nuova costruzione ad essere crollati a un ritmo molto sostenuto. Ciò è da associare ad una correzione dell'inflazione speculativa, da accogliere con favore. Questo sviluppo tuttavia - come lo scoppio di una bolla dei prezzi - rischia di frenare la propensione all'investimento: se i prezzi degli asset scendono, molti proprietari di case si sentiranno più poveri e più esitanti di prima nell'intraprendere una conversione ecologica della loro proprietà. Anche i potenziali acquirenti di immobili, per i quali il calo dei prezzi in realtà è un fatto positivo e lascia spazio al finanziamento di investimenti ecologicamente sensati negli immobili esistenti, potrebbero essere trattenuti: potrebbero infatti esitare prima di acquistare nella speranza che i prezzi scendano ulteriormente, oppure per il timore di acquistare un immobile il cui valore successivamente potrebbe ulteriorimente scendere mentre sono vincolati a dei tassi di interesse contrattualmente concordati e relativamente elevati.

Tra l'altro, già nel febbraio 2022, la BCE stava seriamente considerando (secondo Isabel Schnabel) la possibilità di tenere maggiormente in considerazione il prezzo degli immobili, cioè il prezzo di un asset, nelle decisioni di politica monetaria. Questa mossa è stata rilevante in quanto l'indice dei prezzi al consumo, il metro di misura della politica monetaria, riguarda essenzialmente i prezzi dei flussi, cioè dei beni che vengono consumati e utilizzati. Ad esempio, i prezzi delle azioni - anche i prezzi degli asset - non hanno alcun ruolo nel calcolo dell'indice dei prezzi al consumo. Nella misura in cui i prezzi degli immobili si ripercuotono sugli affitti (e sul costo delle abitazioni occupate dai proprietari), hanno sempre svolto e continuano a svolgere un ruolo nell'indice nazionale dei prezzi al consumo. 

I costi degli alloggi occupati dai proprietari, tuttavia, non sono inclusi nell'indice armonizzato su cui si basa la BCE. E questa è stata ovviamente una spina nel fianco di Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della BCE: "Quando si tratta di chiedere se le condizioni della nostra forward guidance sono soddisfatte, il Presidente ha sempre chiarito che alla fine questa valutazione non è meccanicamente legata alle proiezioni, ma è un giudizio del Consiglio direttivo. E qui dovrebbero entrare in gioco i prezzi delle abitazioni". 

Al momento, Isabel Schnabel non ha ancora dichiarato di voler prendere in considerazione, nella sua valutazione dell'attuale andamento dei prezzi, il calo dei prezzi degli immobili con la stessa serietà con cui teneva conto dello stesso aumento dei prezzi un anno fa. Ciò alimenta l'impressione che l'approccio basato sui dati, che la BCE  recentemente ha enfatizzato con forza come base per le sue decisioni di politica monetaria, non venga fatto in maniera sistematica, ma piuttosto che i dati empirici siano a volte inclusi nella valutazione della situazione e a volte no, a seconda che sostengano la posizione "desiderata" del momento o piuttosto la contrastino.

Le responsabilità della politica monetaria

Se si guarda alla costellazione complessiva della domanda di abitazioni, dei costi di costruzione e dei prezzi delle case, non c'è dubbio che la politica monetaria sia in buona parte responsabile del crollo del settore delle costruzioni e del mercato immobiliare. Non è una novità: i tassi di interesse erano già aumentati nel 2005 e nel 2006, ponendo fine all'espansione dell'industria delle costruzioni, in particolare dell'edilizia residenziale, come si evince dalla Figura 7, in cui vengono riportati i nuovi ordini per l'edilizia residenziale nel principale settore delle costruzioni, affiancati al tasso di interesse di riferimento della BCE. Oggi, tuttavia, parliamo di una dimensione diversa del problema. Questa volta, i tassi di interesse sono saliti in pochissimo tempo partendo da zero perché la BCE ha ritenuto di dover combattere un aumento temporaneo dei prezzi, la cui origine era chiaramente da ricercare negli eventi globali.

Gli investitori i cui investimenti hanno un rendimento atteso inferiore rispetto al tasso d'interesse non hanno modo di sottrarsi alla pressione dei tassi d'interesse fissati per contratto o alla pressione di investire i propri fondi in titoli sicuri, invece che in progetti d'investimento nell'economia reale alquanto incerti. Questo vale sia per le imprese che per le famiglie. Le persone le cui aspettative di reddito non consentono di sostenere un tasso di interesse più elevato devono rinunciare all'acquisto o alla costruzione di una casa.

Questa correlazione si applica anche agli investimenti industriali piu' in generale. Gli ordini interni ricevuti dai produttori di beni strumentali si sono indeboliti a partire dall'estate del 2021 e sono in netto calo dal primo trimestre del 2022 (Figura 8).


Per comprendere il grave pericolo che ciò rappresenta se combinato con l'attuale politica monetaria, è necessario considerare l'andamento precedente: la leggera ripresa che in Germania la domanda interna di beni di investimento aveva avuto dopo la crisi dell'euro, durata fino al 2018, si era già conclusa prima della pandemia - la domanda di investimenti inizialmente ha ristagnato ed è poi scesa per tutto il 2019. A partire da marzo 2020 è crollata a causa della pandemia, per poi risalire ai livelli di inizio anno. Nella prima metà del 2021 si era registrata una ripresa, tanto che la domanda di investimenti ha raggiunto un livello che proseguiva la fase ascendente durata almeno fino al 2018. Ma poi la situazione è precipitata di nuovo. La guerra in Ucraina, con tutte le sue conseguenze sul settore energetico, e le grandi incertezze innescate hanno fatto crollare nuovamente la disponibilità a investire. 

E nel bel mezzo di questa fase di debolezza, la politica monetaria europea è passata ad una fase fortemente restrittiva. La differenza con l'andamento degli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria è notevole: allora, l'aumento dei tassi d'interesse, più lento e meno esteso, era stato preceduto da una ripresa degli investimenti durata due anni, protrattasi anche durante il rialzo dei tassi d'interesse, prima che la crisi finanziaria la interrompesse bruscamente, così come il rialzo dei tassi d'interesse. Prima dell'inizio dell'attuale inasprimento della politica monetaria, invece, in Germania non si era registrata alcuna ripresa degli investimenti, al massimo una faticosa ripresa della domanda di investimenti avvenuta dopo lo shock pandemico, che lo shock della guerra in Ucraina però aveva prontamente ucciso.

La politica monetaria della BCE tuttavia non può essere guidata solo dalla costellazione economica del suo membro piu' grande. Qual è dunque la situazione della domanda di investimenti nell'Unione Monetaria Europea nel suo complesso? Purtroppo l'indicatore "nuovi ordini" a livello di statistiche europee non esiste. Dobbiamo quindi accontentarci delle statistiche sulla produzione. Tuttavia, quest'ultima non sempre corre parallela in termini temporali rispetto ai nuovi ordini.

Negli ultimi tre anni, in particolare, non è stato possibile evadere tempestivamente gli ordini a causa della pandemia e dei colli di bottiglia legati alla guerra. A tale proposito, il crollo della domanda verso la situazione estrema attuale, ancora non si è riflettuto sulla produzione, come dimostra l'esempio dell'attività edilizia (Figura 9).


Quale sarà il prossimo passo della politica monetaria europea? Il tasso di interesse è la controparte diretta del rendimento (atteso) degli investitori e quindi, in termini macroeconomici, la più importante variabile di controllo per qualsiasi tipo di investimento di cui la politica economica dispone. Può essere utilizzato per deprimere la domanda in aree cruciali dello sviluppo e del cambiamento strutturale, come dimostrano i dati, in maniera tale che la domanda aggregata finisce per crollare. Il tasso di inflazione ha lo stesso effetto. Ma è davvero questa la strada giusta da seguire se ci sono buone ragioni per credere che il tasso di inflazione tornerà a un livello accettabile nel prossimo futuro anche senza questo corso accelerato?

Politica macro o politica strutturale

Ogni medico, prima di intraprenderla, deve considerare gli effetti collaterali della terapia proposta. Operazione riuscita, paziente morto: non è un concetto sensato. La BCE rischia di infilarsi in un vicolo cieco da cui difficilmente riuscirà a venirne fuori. Immaginiamo che le attuali tensioni internazionali portino a ulteriori strozzature dell'offerta, compresa la corrispondente speculazione sui mercati delle materie prime, tali da fare in modo che l'aumento dei prezzi riprenda velocità. La BCE in quel caso continuerebbe il suo percorso e addirittura lo inasprirebbe? Dovrebbe farlo se non vuole perdere la faccia rispetto alle sue precedenti motivazioni politiche. Il risultato per l'economia reale sarebbe però disastroso, perché una forte recessione sarebbe a quel punto inevitabile in tutta Europa. Se la BCE se ne rendesse conto, dovrebbe prendere la strada opposta. Ma come potrebbe giustificare questa scelta?

Resta il fatto che chi non considera in modo differenziato le cause dell'andamento dei prezzi e non reagisce ad esse in maniera differenziata, ma ritiene tutti i settori ugualmente responsabili per gli shock imprevedibili, sta applicando il metodo della mazza di legno sul livello dei tassi di interesse, oltre a distruggere la volontà di affrontare gli investimenti in capitale fisso.

Non è forse questo il cambiamento strutturale che si voleva ottenere?

Non dobbiamo forse ridimensionare alcune attività economiche, come continuano a dirci, se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici? Sì, probabilmente è così. Ma se è il risultato di una politica monetaria sbagliata e avviene mediante uno shock, avrà esattamente l'effetto opposto. Poiché sempre più persone avranno paura per il proprio posto di lavoro, e diventerà sempre più difficile per i politici chiedere la disponibilità a impegnarsi nel cambiamento strutturale necessario per raggiungere gli obiettivi climatici.

Il necessario cambiamento strutturale deve essere guidato dai giusti segnali di prezzo, ma non può essere il prodotto accidentale di una medicina di politica monetaria i cui effetti collaterali sono peggiori della malattia stessa. Il cambiamento strutturale guidato dai prezzi, come abbiamo descritto qui recentemente, deve essere affiancato da una redistribuzione in favore degli strati più poveri della popolazione, perché altrimenti lo Stato non ha la legittimità per attuare i suoi obiettivi. Ma deve anche essere accompagnata da una politica macroeconomica che faccia della piena occupazione il suo obiettivo primario e che, in questo modo, riesca a contenere il giustificato timore nei confronti del cambiamento strutturale in modo da riuscire ad ottenere la maggioranza necessaria per poter applicare questa politica nel quadro di una democrazia.



giovedì 6 aprile 2023

Deregolamentazione, flessibilizzazione e liberalizzazione, cosi' Bruxelles ha imposto il nuovo corso neoliberista ai lavoratori della periferia

La Nuova Politica del Lavoro Europea accresce la divisione fra i lavoratori della periferia sud e gli Stati del centro, con la Germania nel ruolo di paese egemone. E' questo il risultato di un'analisi molto interessante condotta dal politologo Felix Syrovatka sugli ultimi 10 anni di politiche europee. Ne scrive Makroskop.de



L'UE non è amica degli alti salari. Per esercitare pressioni sull'andamento dei salari nei paesi membri, infatti, ricorre agli strumenti della Troika o del Semestre europeo. E lo fa con "successo": uno "sviluppo salariale moderato", unito a un settore finanziario deregolamentato e a una politica monetaria espansiva hanno innescato una deflazione dei prezzi dei beni di consumo e un'inflazione degli asset patrimoniali.

L'economista politico Felix Syrovatka ha ridefinito questa politica salariale restrittiva come la nuova politica europea del lavoro (NEA). "Nuova" è NEA nel senso che la politica del lavoro prima della crisi dell'euro per gli Stati dell'UE era essenzialmente una questione nazionale. Nel suo studio omonimo, New European Labour Policy. Embattled Integration in the Euro Crisis, esplora tre questioni centrali: in primo luogo, si interroga sulla trasformazione della politica del lavoro europea nel periodo in esame, dal 2009 al 2017, e sulle lotte sociali che ne sono alla base. In secondo luogo è interessato al ruolo degli strumenti di politica del lavoro nella gestione della crisi europea e alla narrazione egemonica della crisi su cui si basano le politiche del lavoro. In terzo luogo, vuole individuare le forze sociali costitutive nel conflito sulla politica del lavoro e quali sono le strategie e gli interessi che stanno perseguendo.



Deregolamentazione, flessibilizzazione, liberalizzazione: la divisione dell'Europa

Syrovatka inizia notando uno spostamento di competenze nella politica del lavoro dal livello nazionale a quello sovranazionale. Prima della crisi dell'euro, il potere di disporre in materia di politica del lavoro [1] era principalmente di competenza degli Stati membri dell'UE. La situazione è cambiata con l'eurocrisi. La regolamentazione della politica del lavoro è stata spostata dal livello nazionale a quello europeo. Sempre più spesso, infatti, gli Stati membri sono stati privati della possibilità di plasmare direttamente e attivamente la direzione politica in materia di politica del lavoro. Sempre piu' spesso è stato loro applicato un "corsetto" liberale di mercato, come dice uno degli oltre 30 esperti UE intervistati da Syrovatka. La politica del lavoro è diventata sempre più esecutiva e sempre meno controllabile democraticamente.

Certo, la forma specifica e la direzione della politica del lavoro europea talvolta sono state molto contestate. Tuttavia, una rete di attori neoliberali è riuscita ad affermarsi sugli attori della regolamentazione sociale. Nella prima fase, che Syrovatka fa risalire al periodo compreso tra il 2009 e il 2014, i neoliberisti non sono stati né in grado né disposti a fare concessioni: "Piuttosto, la pratica dominante dell'esercizio del potere ha consistito in una divisione e smobilitazione permanente degli attori della regolamentazione sociale".

Nella seconda fase, dal 2014 in poi, tuttavia, la resistenza della rete di attori sociali e normativi si è rafforzata e le politiche del lavoro neoliberiste sono state attuate in misura minore. Il successo nel dividere e smobilitare gli attori sociali e normativi è stato sempre minore. Allo stesso tempo, la coerenza interna del blocco di potere neoliberale ha iniziato a sgretolarsi. Di conseguenza, la rete degli attori sociali e normativi è riuscita a partire dal 2017 a strappare alcune concessioni agli attori neoliberali grazie ad una "offensiva di politica sociale. Le misure di politica sociale che sono state approvate includono, ad esempio, la revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori e la proposta di direttiva per un salario minimo europeo.



La rete degli attori neoliberali è riuscita ad imporre una narrativa che vede la causa della crisi essenzialmente nella mancanza di competitività dovuta a costi salariali troppo elevati. Di conseguenza, l'attenzione si è concentrata sul deficit delle partite correnti, che in tempi di crisi rischia di verificarsi nelle economie periferiche come Portogallo, Spagna o Grecia. Questo perché questi Paesi hanno avuto uno sviluppo relativamente debole della loro capacità produttiva e restano strutturalmente dipendenti dalle importazioni.

La caratteristica specifica dell'Eurozona - la stessa moneta per tutti - si esprime nella mancanza di sovranità monetaria degli Stati dell'Eurozona. I Paesi periferici sono quindi privati della possibilità di aumentare il saldo delle partite correnti attraverso la svalutazione della moneta. Ai Paesi dell'euro, fortemente colpiti dalla crisi, resta quindi solo la possibilità di aumentare le esportazioni attraverso una svalutazione interna. Ciò significa che la domanda dovrà essere radicalmente smorzata dai tagli salariali.

"Più un paese era integrato perifericamente nella divisione europea del lavoro, più era probabile che fosse incoraggiato dalle istituzioni europee a intraprendere delle riforme di politica del lavoro e maggiori interventi di politica del lavoro".

Di conseguenza, sono stati soprattutto i Paesi del Sud Europa, già integrati in maniera periferica, a subire una maggiore deregolamentazione, flessibilizzazione e liberalizzazione dei rapporti di lavoro. Come conseguenza, lo sviluppo ineguale all'interno dell'UE e il relativo divario tra centro e periferia si sono ulteriormente intensificati.

Syrovatka individua nel "capitale europeo industriale e organizzato, orientato al mercato mondiale" la forza trainante della NEA. Questo è stato in grado di dominare la rete degli attori neoliberali durante il periodo in esame e di esercitare una notevole influenza sul processo di definizione dell'agenda politica. Sono stati soprattutto gli Stati membri dell'UE del Nord Europa, orientati all'export, ad articolare gli interessi e le iniziative del capitale industriale europeo. Il blocco di potere del Nord Europa è stato guidato dal governo tedesco. D'altro canto, i Paesi dell'Europa meridionale e la Francia si sono dimostrati ampiamente incapaci di attuare una contro-strategia efficace.

Già all'inizio della crisi, infatti, il capitale industriale è riuscito a consolidare il proprio orientamento strategico e a inserire la gestione della crisi in una strategia offensiva dell'UE. L'obiettivo è stato quello di imporre il progetto di "salvataggio dell'euro" nel loro interesse. Vale a dire: evitare il collasso dell'Eurozona e allo stesso tempo utilizzare la crisi per la ristrutturazione competitiva dell'UE. Syrovatka valuta questo obiettivo come ampiamente raggiunto.

La doppia deindustrializzazione del Sud

Syrovatka sottoliinea che è soprattutto il capitale industriale europeo orientato all'export che riesce a far valere i propri interessi attraverso la NEA. Questa intuizione tuttavia non emerge con altrettanta chiarezza in tutti i punti. Si parla anche di capitale industriale europeo o solo di capitale industriale. Sembra quindi ancora più utile esaminare da vicino le componenti del capitale industriale da suddividere in capitale industriale domestico e capitale industriale orientato al mercato mondiale. La suddivisione del processo di NEA in diverse fasi suggerisce inoltre di evidenziare i cambiamenti temporali nella produzione industriale e le lotte sociali che ne sono alla base.



Il processo di ripresa dimostra quindi che - anche se con un po' di ritardo - la svalutazione interna attraverso gli strumenti della NEA ha funzionato? I Paesi dell'Europa meridionale hanno raggiunto con successo il processo di svalutazione interna che la Germania ha attuato negli anni 2000 con le riforme dell'Agenda 2010? All'epoca, Hartz IV e altre politiche economiche orientate all'offerta hanno portato a uno sviluppo deflazionistico dei salari che ha reso la Germania il "campione mondiale dell'export".



Ma se si guarda allo sviluppo di Grecia, Spagna e Portogallo nel contesto del processo di integrazione europea, si dubita che possano seguire il percorso tedesco.

Rispetto alla Germania, i Paesi dell'Europa meridionale hanno vissuto un processo di integrazione quasi inverso, che ha portato a una costellazione di politiche del lavoro diverse da quella dell'economia tedesca. Mentre la Germania, in quanto membro fondatore della Comunità europea del carbone e dell'acciaio ha potuto svolgere un ruolo decisivo nel plasmare l'intero processo di integrazione europea in favore del capitale industriale locale, a Grecia, Spagna e Portogallo è stato negato un simile sviluppo. Al contrario, l'economista politico Etienne Schneider ipotizza che gli europei meridionali abbiano subito due processi di deindustrializzazione con l'adesione alla Comunità economica europea (CEE) e successivamente all'UE. [2]

Con l'adesione alla CEE, infatti, gli europei meridionali hanno perso importanti barriere commerciali ed eventuali misure protezionistiche per sviluppare la loro base industriale relativamente debole. Queste economie si sono trovate in gran parte indifese contro la concorrenza dei prezzi e le acquisizioni da parte di aziende orientate al mercato mondiale provenienti dalle economie dell'Europa centrale. Con l'adesione all'UE e l'adozione dell'euro, è stato avviato il secondo processo di deindustrializzazione. Questo ha eliminato l'ultimo strumento di protezione dell'industria nazionale: la svalutazione del tasso di cambio.

Così, mentre l'industria tedesca altamente sviluppata è stata in grado di compensare il crollo della domanda interna causato dalle riforme dell'Agenda 2010 esportando all'estero, ciò non è stato possibile per i Paesi del Sud Europa, già doppiamente deindustrializzati. Per il capitale industriale orientato all'esportazione non è mai stato possibile emergere su larga scala nell'Europa meridionale. All'epoca dell'introduzione degli strumenti NEA, il capitale industriale nazionale era principalmente orientato al mercato interno. Quando la domanda interna è crollata a causa della svalutazione interna, è seguita un'ondata di fallimenti che ha colpito le imprese industriali del sud.

La ripresa della base industriale dell'Europa meridionale a partire da inizio/metà anni "10 ha quindi poco a che fare con la NEA, ma è dovuta principalmente a spostamenti di forze nazionali ed europee. Da un lato, le politiche del lavoro neoliberali si sono indebolite a partire dal 2014 grazie al rafforzamento degli attori sociali di regolamentazione. Dall'altro lato, si sono verificati importanti cambiamenti nei parlamenti dell'Europa meridionale. È vero che il movimento di sinistra Syriza non è riuscito a contrastare i programmi di austerità dell'UE durante il periodo di governo dal 2015 in poi. E anche in Spagna un governo social-regolatore è fallito a causa delle dispute tra i socialdemocratici e il movimento Podemos.

In Portogallo, invece, le cose sono andate diversamente. Dopo un rigido programma di austerità iniziato nel 2010, il governo portoghese è stato in grado di imporre un maggiore margine di manovra nella politica del lavoro e in quella fiscale. Questo si è concretizzato con l'insediamento nel 2015 di un governo "anti-liberista" che ha avviato una serie di importanti misure di riforma, tra cui l'aumento degli stipendi nel settore pubblico, l'inversione dei tagli alle pensioni adottati dal governo precedente e l'aumento del 25% annuo del salario minimo. A ciò è seguito un processo di ripresa relativamente forte, non solo nella produzione industriale, ma anche nella disoccupazione e nell'andamento dei salari.

Lo studio di Syrovatka è anche un monito

Lo studio di Felix Syrovatka offre un importante contributo agli studi critici europei. Riesce a rendere visibile lo spostamento spaziale e temporale dell'equilibrio di potere nella politica del lavoro all'interno delle istituzioni europee e degli Stati membri. Come dimostra la mancanza di classificazione delle componenti del capitale industriale, manca un po' di differenziazione in alcune sue parti. Ma lo stesso Syrovatka sottolinea la difficoltà di cogliere in modo esaustivo i cambiamenti politici ed economici all'interno degli Stati membri in considerazione del quadro incentrato sull'UE.

Tuttavia, egli crea preziosi punti di contatto per la ricerca critica europea. Soprattutto in tempi di alti tassi di inflazione, gli attori neoliberali cercano sempre più di attaccare la capacità di determinazione salariale dei sindacati. Di conseguenza, lo studio di Syrovatka va inteso anche come un avvertimento su ciò che può accadere quando i salari vengono messi sotto attacco.