sabato 17 dicembre 2016

Der Spiegel: Tsipras è di nuovo Tsipras

Si riaccende la crisi greca e la cosiddetta "stampa di qualità" ci propone un racconto filo-governativo degli eventi: secondo Der Spiegel il primo ministro Tsipras è tornato ad essere il leader anti-austerità di un tempo pronto ad andare alle elezioni dopo aver regalato qualche mancia elettorale. Da Der Spiegel


Il dramma del debito greco rischia una nuova escalation. Il premier Tsipras non ha piu' voglia di interpretare il ruolo del bravo riformatore e torna ad alimentare lo scontro.

A Berlino la cancellazione improvvisa di una conferenza stampa non è insolita. Se pero' un'uscita pubblica nel giro di poche ore viene prima cancellata e poi di nuovo convocata, allora significa che dietro le quinte i rumori sono molto forti. Cosi' è stato anche per la conferenza del Ministro delle Finanze greco Euklidis Tsakalotos di giovedì scorso presso la fondazione Rosa-Luxemburg.

Alla fine Tsakalotos non è stato scoraggiato da un atterraggio di emergenza del suo aereo, e a differenza di quanto in programma ha portato con sé anche il Ministro del Lavoro Eftychia Achtzioglou. C'era bisogno di dare delle spiegazioni. Perché le relazioni fra la Grecia e il resto dell'Eurozona sono tornate ad essere tempestose.

Il motivo è un improvviso cambio di direzione politica ad Atene: alla fine della scorsa settimana il primo ministro Alexis Tsipras ha sorprendentemente annunciato che il suo governo pagherà a crica 1.6 milioni di pensionati un bonus di Natale pari a 617 milioni di Euro - in media circa 380 € a persona, giovedì sera il Parlamento ha approvato il provvedimento. Inoltre il previsto aumento dell'Iva, in alcune isole greche, è stato sospeso fino a quando queste dovranno sopportare il peso della crisi dei profughi. 

La questione dell'esenzione fiscale riguarda solo poche isole, prova a spiegare Tsakalotos nella sua conferenza a Berlino. E sul pagamento del bonus ai pensionati dice: "abbiamo pensato fosse una buona idea". Alla fine la Grecia ha raggiunto un surplus di bilancio superiore a quello concordato con i creditori esteri. E giusto che ad approfittare di questo risultato sia chi in questi anni ha dovuto sopportare il peso delle riforme. Gli obiettivi di bilancio "non sono a rischio".

Potrebbe anche essere vero. Ma tali decisioni in realtà dovrebbero essere prima concordate con i creditori esteri. Al Ministero delle Finanze tedesco sono alquanto seccati. "Si tratta di una modifica degli accordi", si commenta in casa di Wolfgang Schäuble. "La scorsa settimana nell'Euro-gruppo non ne abbiamo parlato". Anche gli altri ministri delle finanze sono scontenti. Per alcuni membri sarebbe uno strappo agli accordi con la Grecia, l'Euro-gruppo ha quindi deciso di bloccare la riduzione del debito da poco accordata.

Soddisfatto in maniera bizzarra

Considerando la situazione, il primo ministro greco sembra tuttavia essere alquanto soddisfatto. Durante una visita al suo ufficio di Salonicco mercoledi scorso ha annunciato la prossima opera buona: circa 30.000 scolari nelle aree piu' povere della città avranno a breve un pasto gratuito al refettorio. Tsipras era allegro e ha intrattenuto i presenti con perle di saggezza del tipo: "per un uomo è piu' facile cambiare moglie, che squadra di calcio".

Sembra quasi che sia tornato il vecchio Tsipras: un comunicatore carismatico che riesce a dare il meglio di sé solo nelle fasi di scontro. Non chiederemo a nessuno "il permesso di dare questi soldi ai piu' bisognosi", ha affermato. Ognuno deve riconoscere che la Grecia "ha fatto dei sacrifici in nome dell'Europa".

Cosi' sicuro di sé Tsipras fino ad ora lo era stato solo una volta - nella primavera del 2015. Allora da solo aveva scatenato una lotta fra poteri, che si stava per concludere con il fallimento della Grecia.

Da allora il premier si era trasformato in un prigioniero di quell'austerità che la Grecia ha dovuto accettare per accedere al terzo programma di aiuti. Ma il ruolo di fedele esecutore delle richieste dei creditori esteri stava spegnendo Tsipras. Era spesso lunatico, amareggiato e impaziente.

Tornato nel suo vecchio ruolo, Tsipras sembra essersi liberato. Secondo i suoi calcoli puo' solo vincere. O i creditori si arrendono alle sue richieste e accettano un'austerità mitigata. E questo potrebbe aumentare la popolarità di Tsipras e quindi le possibilità di essere rieletto. Oppure, in alternativa, se i creditori non dovessero stare al gioco, Tsipras potrebbe cercare una rielezione - anche se Tsakalotos a Berlino lo ha smentito. Invece di passare come un riformatore titubante, si presenterebbe come un coraggioso avversario dei creditori esteri che non ha avuto successo.

L'uomo nero in questa situazione sarebbe il Ministro delle Finanze tedesco. "O con la società o con Schäuble", titolava il giornale di partito di Tsipras, Syriza, giovedì scorso. Tsipras ha scelto di andare allo scontro anche con il Fondo monetario internazionale (FMI), fino ad ora presente in tutti i piani di salvataggio per la Grecia. Li ha accusati di essere "dei folli che non riescono ad avere i loro numeri sotto controllo".

"Il FMI sembra un gattino"

Sembra che la Grecia sia tornata ad essere sola contro il resto del mondo. Di fatto i fronti nel dramma del debito sono molto piu' complessi. Il FMI infatti da molto tempo chiede di ridurre l'onere del debito greco e ne ha fatto una pre-condizione per la partecipazione ad un nuovo programma di aiuti. Un atteggiamento che di fatto cerca di andare incontro al governo greco.

"Il FMI non chiede piu' austerità alla Grecia", è il titolo di un documento redatto dal capo del FMI europeo Poul Thomsen e dal capo-economista Maurice Obstfeld e pubblicato all'inizio di questa settimana. In esso gli autori descrivono chiaramente quello che fino ad ora era emerso solo nei protocolli di wikileaks: il FMI ritiene non credibili gli obiettivi di bilancio fissati per la Grecia. Invece di un avanzo primario di bilancio del 3.5 %, gli autori si limitano a chiedere un avanzo dell'1.5%.

Schäuble e il suo staff non sembrano essere impressionati da queste critiche. "Potrebbero avere la stessa impressione di un automobilista che viaggia contromano, e che invece pensa ci siano centinaia di auto che stanno andando nella direzione sbagliata", racconta qualcuno ben informato dopo aver parlato del caso greco con i rappresentanti di alto livello del Ministero delle Finanze tedesco. 

Ma perché i greci attaccano un'istituzione che per loro in Europa sta chiedendo condizioni piu' miti rispetto ai partner europei? La risposta arriva verso la fine del documento: gli autori del FMI constatano il "rifiuto degli stati membri" nei confronti della loro proposta. Se gli obiettivi dovessero restare invariati, "sarebbero necessarie ulteriori misure restrittive, che ancora non sono state adottate", e "che dovrebbero essere definite per via legislativa". In altre parole: i greci devono fare ulteriori tagli e riforme.

Al premier greco e al suo ministro delle finanze tutto cio' evidentemente non sta bene: "Sono molto deluso dal FMI", ha detto Tsakalotos a Berlino. Il FMI per un lungo periodo si è presentato come un leone che voleva dettare condizioni migliori per la Grecia. Alla prova dei fatti il FMI "si è rivelato un gattino": non ha esercitato una reale pressione sull'Euro-gruppo.

Obstfeld e Thomsen nel loro documento propongono ulteriori riforme che potrebbero minacciare i greci nel caso in cui i paesi dell'Euro intendano restare fedeli agli attuali obiettivi di risparmio: ad esempio le esenzioni alle imposte sul reddito dovrebbero sparire. Fino ad ora la metà delle famiglie greche ne ha potuto usufruire. Inoltre il paese avrebbe ancora un "sistema pensionistico generoso" che grava sul bilancio pubblico per quasi l'11%, mentre negli altri paesi europei raggiunge in media del 2.25%.

"Politica post-verità"

Tsipras vuole evitare in qualsiasi modo ogni ulteriore riforma. Preferirebbe fare affidamento su qualche concessione dei partner europei. E in parte ha già ricevuto un segnale in questa direzione: il commissario UE Pierre Moscovici, un socialista francese, ha criticato lo stop alla riduzione del debito e ha messo in dubbio l'analisi del FMI sulla sostenibilità del debito e del sistema pensionistico. "In questa epoca di politica post-verità è piu' che mai necessario che certe affermazioni non restino senza una smentita", scriveva Moscovici sul Financia Times.

Nel caso in cui Tsipras abbia deciso di portare ad una conclusione finale il lungo ed irrisolto conflitto con i creditori, questa potrebbe essere la volta buona. Dovrebbe farlo ancora una volta da solo'? Tsipras non si sta forse comportando come un guidatore che imbocca l'autostrada contromano e che a tutta velocità vuole tornare indietro verso la crisi?

Come era da aspettarsi, Tsakalotos la vede in maniera completamente diversa. Nonostante il programma di aiuti, non si deve dare l'impressione che il suo governo non sia piu' in grado di prendere decisioni autonome, ha detto a Berlino. "Sarebbe terribile se gli europei dessero questo segnale".

venerdì 16 dicembre 2016

Un lavoratore su cinque in Germania guadagna meno di 10 € lordi l'ora

Ricevo da Claudio e molto volentieri pubblico. I dati del Ministero del Lavoro pubblicati dalla Süddeutsche Zeitung confermano che in Germania, paese con il bilancio pubblico in pareggio e oltre 200 miliardi di avanzo commerciale con l'estero, resta un'ampia fascia di lavoratori a basso salario. Dalla Suddeutsche Zeitung


  • Dai dati del Ministero Federale del Lavoro (Bundesarbeitsministerium) emerge che nel 2014 circa il 20% degli occupati ha lavorato per meno di 10 euro lordi l'ora.
  • In Germania Est i lavoratori con un salario basso sono addirittura più di un terzo
  • Secondo le statistiche, in Germania Ovest la quota dei lavoratori che percepiscono un salario basso è in aumento.

La Germania è considerata la prima della classe in Europa per lo sviluppo economico ma ciò non significa che tutti i cittadini godano di un alto tenore di vita: circa un occupato su cinque lavora per meno di 10 euro lordi l'ora secondo quanto riportato dai media del Gruppo Funke. Questo è ciò che emerge dai dati del Ministero Federale del Lavoro.

Il 20% dei lavoratori guadagnerebbero poco più di quanto necessario per non risultare in condizioni d'indigenza. In Germania Ovest ed Est la quota dei salari bassi per il 2014 si assesta rispettivamente al 19,3% (includendo Berlino) e al 34,5% del totale degli occupati.

La percentuale più bassa si registra ad Amburgo (15,5%), mentre la più alta si riscontra nel Mecklenburg-Vorpommern (35,5%), seguito a ruota dai restanti Länder della Germania orientale, i quali mostrano tutti quanti valori superiori al 33%.

Secondo i dati rilasciati dal Ministero del Lavoro la quota di lavoratori a basso salario è in aumento in Germania Ovest. Nelle aziende con più di dieci dipendenti questa quota ammontava nel 2006 al 16,4%, mentre nel 2014 avrebbe raggiunto il 18,4 % che diventava il 19,3% includendo anche Berlino.

A Est la quota dei bassi salari tra le aziende medio-grandi negli anni passati sarebbe leggermente diminuita, attestandosi al 34,6% (36,8% nel 2010).

I dati sono stati richiesti da Die Linke

I dati provengono dall'ultima indagine strutturale sui guadagni stilata dal Ministero con cadenza quadriennale e sono stati richiesti dal presidente vicario del gruppo “Die Linke” in Parlamento, Klaus Ernst, il quale ha definito la disparità di retribuzione tra Est e Ovest “un freno alla democrazia e un grande ostacolo per l'unità tedesca”.

La soglia per la definizione di “basso salario”, dopo un suo innalzamento nel 2014, ammonta a 10 euro lordi l'ora, che corrisponde ad un salario mensile lordo a tempo pieno di 1.993 euro. Secondo la definizione dell'Organizzazione per lo Sviluppo e la Collaborazione economica (OECD) si può parlare di “basso salario” per tutte quelle retribuzioni che non superano i due terzi del salario medio nazionale.

martedì 13 dicembre 2016

Hans Werner Sinn: il QE serve solo a ridurre i debiti del Sud a spese dei tedeschi

Hans Werner Sinn, ormai in pensione, torna ad attaccare la BCE a guida italiana: il QE è solo un programma per ridurre l'indebitamento del sud Europa a spese dei tedeschi. Da hanswernersinn.de  


In risposta al referendum italiano il consiglio direttivo della BCE ha approvato un'estensione del suo programma di acquisti (QE) mediante il quale la politica di rientro dal debito dei paesi del sud verrà fatta passare come una presunta politica monetaria. Il programma QE era iniziato nel marzo 2015 e sarebbe dovuto durare fino al marzo 2017. Il piano prevedeva l'acquisto sul mercato da parte delle banche centrali di obbligazioni in Euro per un valore di 1.74 trilioni di Euro, di cui circa 1.4 trilioni di Euro per l'acquisto di obbligazioni emesse dagli stati stessi. 

Sebbene il QE apparentemente sembrerebbe essere applicato in maniera simmetrica, visto che ogni banca centrale acquista i propri titoli di stato in base alle dimensioni della propria economia, i suoi effetti non sono simmetrici. I titoli di stato dei paesi del sud Europa vengono in larga parte ricomprati da venditori esteri, i quali li avevano in precedenza acquistati finanziando l'indebitamento degli stati. Di fatto vengono riportati nel paese di emissione.

Cosi ad esempio la Banca de España mentre aspira titoli di stato spagnoli da tutto il mondo sta riducendo il debito dello stato spagnolo nei confronti dei suoi creditori privati. Per fare questo deve chiedere alle altre banche dell'Eurosistema, soprattutto alla Bundesbank, ma anche alla banca centrale olandese, di farsi accreditare nuovi Euro per poterli consegnare ai venditori dei titoli di stato spagnoli. Quando i venditori non sono nell'area Euro, chiede in alternativa aiuto anche alla BCE.

Si tratta spesso di operazioni triangolari, dove il denaro ottenuto dalla vendita dei titoli di stato viene trasferito dai venditori verso l'Olanda o la Germania, in modo da poterlo mettere in sicurezza. Una parte significativa del denaro trasferito viene poi utilizzato per l'acquisto di aziende o azioni, fatto chiaramente percepibile osservando i dati sugli investimenti diretti. La Bundesbank e la banca centrale olandese non solo devono accreditare i trasferimenti diretti dalla Spagna, ma anche quei trasferimenti dai paesi terzi causati indirettamente dal QE.

I crediti concessi dalla Bundesbank o dalla banca centrale olandese vengono registrati come crediti nei confronti del sistema Target. Alla fine di ottobre il loro valore ammontava a circa 808 miliardi di Euro, dei quali 708 miliardi erano la quota di Bundesbank. Ieri si è poi saputo che i crediti Target della Bundesbank nel solo mese di novembre sono cresciuti di ulteriori 46 miliardi di Euro. Con una somma pari a 754 miliardi di Euro hanno raggiunto il livello piu' alto di sempre. Il picco precedente era stato raggiunto al culmine della crisi nell'estate del 2012 con un valore pari a 751 miliardi di Euro. 

I crediti Target della Bundesbank rappresentano ormai quasi la metà (49%) delle attività nette sull'estero tedesche. Al contrario, i debiti Target dei paesi sud-europei, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna (GIPS) alla fine di ottobre avevano raggiunto 811 miliardi di Euro. Per i paesi GIPS queste transazioni sono un affare: possono scambiare titoli con una scadenza, un rendimento da pagare e in mano a investitori privati potenzialmente problematici con un debito puramente contabile, senza interessi, senza scadenza e nei confronti della loro banca centrale - istituzioni che secondo il Trattato di Maastricht avrebbero dovuto avere una responsabilità limitata e senza alcun obbligo di intervenire con pagamenti aggiuntivi.

Se il sistema dovesse saltare e questi paesi dovessero uscire dall'Euro, le banche centrali nazionali sarebbero fallite, in quanto i loro saldi Target sono denominati in Euro e i loro crediti nei confronti dei rispettivi stati e delle banche nazionali sarebbero convertiti nella nuova moneta svalutata. I crediti Target si dissolverebbero nell'aria, la Bundesbank e la banca centrale olandese potrebbero solo sperare che le altre banche centrali rimanenti intendano partecipare alle perdite. In un modo o nell'altro, i tedeschi e gli olandesi che hanno venduto i loro asset, e che ora si ritrovano in tasca un bel po' di soldi, scoprirebbero di avere in mano dei meri pezzi di carta, non coperti, nei confronti delle loro banche centrali.

Nessuno sembra pero' auspicarsi il crollo del sistema. Per i prossimi negoziati sull'unione fiscale europea, previsti nel 2018, con annesso un sistema per il trasferimento dal Nord al Sud, non sarà certo un male per il governo tedesco essere al corrente dei possibili pericoli nel caso in cui decida di non firmare gli accordi.

venerdì 9 dicembre 2016

La politicizzazione della banca centrale

Holger Steltzner, condirettore della prestigiosa FAZ, torna alla sua attività preferita: attaccare Draghi e la BCE a guida italiana. Nel suo ultimo editoriale sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung accusa la BCE di essere una banca centrale politicizzata responsabile dei successi elettorali delle forze populiste di destra. Da FAZ.net


L'unione monetaria si è trasformata in una unione del debito e delle garanzie, dove le regole e i trattati sono interpretati e infranti a piacimento. La clausola di "no bail-out" del Trattato di Maastricht non vale nemmeno la carta su cui è stata scritta. La politicizzazione della politica monetaria prosegue. Un commento


A Maastricht siamo riusciti a difendere tutti i maggiori interessi tedeschi. Cosi' annunciava il Cancelliere Kohl esattamente 25 anni fa alla fine di una riunione maratona durata 31 ore durante la quale gli allora 12 capi di stato e di governo avevano raggiunto un accordo sui principi dell'unione monetaria ed economica europea. Nessuno in Germania deve temere che il D-Mark sia stato regalato all'Europa, aggiungeva l'allora Ministro delle Finanze tedesco Waigel (CSU). "No, stiamo estendendo il nostro D-Mark all’Europa", scriveva Waigel nel giornale di partito „Bayernkurier“. La politica di stabilità sarà un modello per l'intero continente. "Costringeremo l'Europa e noi stessi ad avere la massima disciplina nella gestione del denaro dei nostri contribuenti". Bene, oggi lo sappiamo e possiamo affermare: raramente i politici si sono sbagliati di piu'.

L'unione monetaria si è trasformata in una unione del debito e delle garanzie, dove le regole e i trattati sono interpretati e infranti a piacimento. La clausola di "no bail-out" del Trattato di Maastricht non vale la carta su cui è scritta. Con il fondo di salvataggio ESM, introdotto durante la crisi, gli aiuti intergovernativi sono diventati la nuova normalità dell'Eurozona. Sin dall'inizio, il tetto al debito pubblico pari al 60 % del PIL non ha interessato nessuno. Anche del limite al deficit dei bilanci pubblici pari al 3% non si cura nessuno. Ormai nessuno sa piu' esattamente che cosa sia ancora valido, magari perché in un paese presto ci saranno le elezioni, oppure perché la Francia resta la Francia. Nel 25 ° anniversario abbiamo addirittura bisogno di uomini di scienza per capire quante volte il patto di stabilità e crescita è stato violato: ben 165 volte!

La politica della BCE ha ormai poco a che fare con i principi di stabilità della Bundesbank, a cui avrebbe dovuto ispirarsi; lo si capisce chiaramente dal fatto che il presidente Bundesbank è il critico piu' testardo delle politiche di salvataggio della BCE. Sebbene Weidmann non si stanchi di chiedere un ritorno allo spirito del Trattato di Maastricht, il consiglio direttivo ha celebrato l'Euro-anniversario a modo suo: la BCE ha deciso di estendere di 9 mesi il controverso programma di acquisto dei titoli di stato e quindi di aumentarne il volume fino alla incredibile somma di 2.3 miliardi di Euro. Le reali dimensioni di questa somma si possono capire solo facendo un confronto: in meno di 3 anni la BCE ha acquistato piu' titoli di stato di tutti i debiti fatti dalla Germania in diverse generazioni.


Il sistema della BCE è diventato il piu' grande creditore della zona Euro


Nella Eurotower di Francoforte nessuno ormai ha piu' il coraggio di chiedere se aver abolito i rendimenti definiti dai mercati finanziari sia stata una buona idea; chi lo fa viene considerato un apostata. A Francoforte, Bruxelles o Berlino si preferisce far finta che in Grecia ci sia una sempre maggiore disponibilità a fare riforme, mentre nel frattempo il governo di Atene non paga interessi sul debito e dovrà rimborsare i prestiti solo in un lontano futuro - se mai lo farà. L'acquisto dei titoli di stato non ha nulla a che fare con il finanziamento degli stati, almeno cosi’ vorrebbe farci credere la BCE, con l'approvazione dei piu' alti giudici europei. Nel frattempo la banca centrale è diventato il piu' grande creditore di tutta la zona Euro, e presto avrà nei suoi bilanci un terzo di tutti i debiti pubblici in Euro.

La BCE nel negare l'impatto redistributivo delle sue politiche apre un divario enorme fra percezione e realtà. Chiunque puo’ vedere come i risparmiatori si stiano impoverendo, mentre gli investitori in immobili e azioni sono sempre piu' ricchi. Dei rischi per la stabilità finanziaria e dei danni causati dalle bolle speculative erranti nella zona Euro, secondo le autorità europee, dovrebbero invece gentilmente occuparsene le autorità di vigilanza nazionale.


La politicizzazione della politica monetaria va avanti


Della rabbia e dell’inquietudine di molti elettori, per il non rispetto dei trattati europei, in Gran Bretagna, Austria, Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Finlandia, Ungheria, Rep. Ceca, Polonia o in Olanda, i nostri "euro-salvatori" non si sentono responsabili. Quando poi i politici vorrebbero convincerci che la perdita di controllo alle frontiere d’Europa è senza alternativa, e che il crescente malcontento nei confronti dell'UE sarebbe solo populismo, siamo alla negazione della realtà.


Sebbene i mercati stiano seguendo la crisi di governo italiana in maniera alquanto rilassata, la politicizzazione della politica monetaria prosegue. Alcuni membri del consiglio BCE temono un'avanzata dei partiti di protesta nell'unione monetaria e pertanto ritengono che la politica monetaria debba opporvi resistenza. Nel fare qeusto pero' la rabbia e il malcontento continuano a crescere anche perché lo strabismo della BCE verso i risultati elettorali viene considerato un tentativo di influenza fatto da potenti funzionari non eletti che non devono rendere conto agli elettori.


giovedì 8 dicembre 2016

Non possiamo essere d'accordo

Ricevo da Claudio e molto volentieri pubblico: Marco Politi, giornalista e autore italo-tedesco, su Der Spiegel scrive una lettera aperta al ministro Schäuble per spiegare le ragioni del suo NO al referendum. L'endorsement del ministro tedesco non ha portato bene, per l'ennesima volta il leader sponsorizzato da Berlino ha perso. Grazie Claudio per l'ottima traduzione!


Wolfgang Schäuble ha consigliato agli Italiani di approvare la riforma costituzionale di Matteo Renzi. Ciò provoca il disappunto del giornalista italiano Marco Politi che in una lettera aperta illustra per quale motivo rigetta la riforma.

Onorevole Ministro Schäuble,


anche Lei, come in precedenza aveva fatto il Presidente Obama, si è recato in pellegrinaggio nelle vesti di uno dei tre Re Magi nella grotta della nostra riforma costituzionale, per dire agli Italiani cosa avrebbero dovuto scrivere domenica sulla scheda elettorale. Molti Italiani e molti miei colleghi giornalisti hanno percepito come un bizzarro atto di intromissione il fatto che Lei il martedì precedente in una tavola rotonda organizzata a Berlino avesse detto: “Se potessi, la voterei”, voterei cioè in favore di Matteo Renzi, voterei SÌ, voterei la riforma costituzionale.


A me preme in modo particolare appellarmi a ciò che unisce noi due: sia io che Lei siamo cittadini europei. Entrambi abbiamo una madre tedesca. Anch'io, come Lei, ho trascorso la mia gioventù in Germania e lì ho vissuto da vicino i valori di cui i Tedeschi vanno giustamente orgogliosi: responsabilità, onestà e senso civico. Ma allora per quale motivo consiglia a noi Italiani qualcosa che Lei e i suoi concittadini – di questo ne sono certo – rifiutereste? 

In Germania avete un Senato, il Consiglio Federale, in cui i Presidenti delle Regioni prendono le decisioni e si delibera ciò che i rispettivi Consigli Regionali ritengono appropriato – per me un esempio calzante di autonomia delle Regioni. Perché allora deve suggerire proprio a noi Italiani un tipo di Senato del quale farebbero parte, in seguito alla riforma costituzionale di Renzi, i consiglieri regionali e i sindaci, i quali si recherebbero occasionalmente a Roma, per poi decidere a loro piacimento, senza essere vincolati ad alcun mandato del proprio partito o della propria Regione?

A ciò si aggiunge il fatto che questa congrega raffazzonata e raccogliticcia di senatori godrebbe anche dell'immunità parlamentare, cioè non sarebbero penalmente perseguibili, né per ciò che concerne la loro attività in Senato né per tutto ciò di cui sono responsabili a livello locale. Lei in Germania darebbe il benestare a un tale sgorbio giuridico? E sarebbe disposto ad accettare che il governo Renzi diffondesse menzogne affermando che grazie a tali modifiche sarebbe possibile risparmiare 500 milioni di euro quando in realtà si tratta di meno di 60 milioni?

In questi giorni ho ripreso in mano la Costituzione tedesca e me la sono riletta. È formulata in modo chiaro e comprensibile al pari della nostra. C'è invece qualcuno in Germania che si è preso la briga di leggere la riforma di Renzi? In quel caso gli sarebbe saltato agli occhi che i paragrafi di cui è composta risuonano aridi e sono redatti in un orrendo italiano burocratico.

Modificare la Costituzione può in taluni casi risultare necessario e auspicabile. Di conseguenza tale possibilità è contemplata in ogni Costituzione che si rispetti. In tali circostanze è però necessario procedere con la massima cautela. In Italia, sotto la responsabilità di Matteo Renzi, a mio giudizio ciò non è avvenuto. Al contrario, domenica verremo sottoposti ad un'accozzaglia di ben 45 modifiche costituzionali alle quali sarà impossibile dare il nostro assenso votando SÌ.

Lei, onorevole Ministro delle Finanze, vive in un Paese che ha imparato il Federalismo e che lo mette in pratica in modo convincente. Perché nella nuova Costituzione italiana – a parte la divisione delle competenze tra Stato e Regioni – dovrebbe esserci anche una clausola per la “difesa dell'interesse nazionale” che consentirebbe a Roma di decidere se, ad esempio, nella cittadina medievale di Otranto in Puglia debba essere costruito o meno un porto per gli ormeggi degli yacht?

Sentenze che vengono pronunciate quando i fatti sono caduti in prescrizione ormai da tempo

Probabilmente Lei potrà anche essere d'accordo con me su alcuni di questi punti sollevati ma certamente obietterà che rappresenta un ”interesse politico” del suo governo il fatto che Matteo Renzi mantenga il potere a Roma. Sarei molto curioso di capire meglio la natura di questo interesse.

A me sembra che l'attuale governo italiano sotto molti aspetti non sia conforme agli standard europei. In un Paese in cui la somma dell'evasione fiscale ammonta tra i 180 e i 270 milioni di euro, sono in molti ad avere problemi con un Primo Ministro che nel suo discorso d'insediamento di quasi tre anni fa non ha fatto alcun cenno su come volesse debellare questa piaga. Un premier che demonizza l'operato dell'Agenzia delle Entrate (ovviamente poco amata ovunque) e che prima del referendum ha promesso di “rottamarla”, per poi in fin dei conti limitarsi solamente a cambiarle nome.

A me questo non sembra essere un governo orientato verso la “buona norma” europea. Inoltre mi chiedo se i criteri “tedeschi” vengano soddisfatti nel momento in cui un Primo Ministro reclami a Bruxelles diversi miliardi per i migranti che sono sbarcati nel proprio Paese così come per i danni provocati quest'anno da diversi terremoti, quando poi si viene a scoprire che i buchi del bilancio italiano sono in realtà decisamente inferiori.

Lei cosa intende esattamente quando parla della “stabilità” che renderebbe tanto gradito il governo Renzi? Di sicuro anche a me in certe occasioni questo governo sembra estremamente stabile, ad esempio quando ripenso al fatto che in circa mille giorni di governo non ha mosso un dito per sbrogliare il complicato sistema giuridico italiano che – tanto per dire - premia certi reati economici come il riciclaggio di denaro o l'evasione fiscale attraverso processi e sentenze lunghissime che vengono pronunciate solo quando il reato è già caduto da tempo in prescrizione.

Concludendo, egregio Signor Schäuble, la pregherei di rivelarmi cortesemente un piccolo segreto! In Germania sarebbe altrettanto possibile che il Consiglio dei Ministri promulghi il bilancio annuale e il giorno successivo nessun ministro sappia cosa è stato esattamente deciso e che, soprattutto, il Parlamento debba attendere diverse settimane prima di poter approvare tale bilancio nonostante vi siano precise regole e scadenze che regolano tali procedure? Che Lei ci creda o meno, questo è il livello di complessità raggiunto a Roma da quando è cominciata la “rottamazione” di Matteo Renzi.

Io non pretendo certo, Signor Ministro, che lei si fidi di me ciecamente, però in poche ore può procurarsi tutte le informazioni circa la situazione nostrana. Ma sono sicuro che si fiderà di un Suo collega, il nostro ex Primo Ministro Mario Monti. Di recente, infatti, egli ha dichiarato che nel progetto di riforma oggetto del referendum prevalgono gli aspetti negativi, caldeggiando così di votare no (o “nein”, se preferisce) domenica.

Si fidi di lui e non si lasci influenzare da consiglieri poco e male informati.

Distinti saluti,

Marco Politi



Marco Politi è un giornalista e un autore italo-tedesco. È stato corrispondente dall'estero del quotidiano romano “Repubblica” e per 20 anni uno dei più rinomati conoscitori del mondo Vaticano. Le sue biografie sui Papi Giovanni Paolo II e Francesco sono bestseller internazionali.

mercoledì 7 dicembre 2016

Un'analisi della situazione italiana dopo il voto del 4 dicembre

Al di là dei cliché razzisti alla Gumpel e Piller, di cui la stampa tedesca non è mai avara, a volte si riescono a trovare anche analisi piu' equilibrate sulle reali conseguenze del voto del 4 dicembre. Su Makronom.de Philipp Stachelsky prova a rispondere ad alcune domande sugli effetti del voto italiano. Da Makronom.de


Hanno vinto i populisti (di destra)?

Non necessariamente. Sicuramente la campagna contro la riforma costituzionale è stata portata avanti anche da partiti che possiamo ricondurre all'area populista. Fra questi ci sono il M5S, Forza Italia e la Lega Nord (sebbeno quest'ultimo potrebbe essere classificato come una classica forza di estrema destra).

Il NO tuttavia è stato supportato da un'ampia alleanza, ad esempio da alcuni sindacati e da pezzi dello stesso partito di Renzi. Anche nella società civile la riforma ha trovato dei veri e propri avversari. Renzi stesso si è servito di un metodo che puo' essere classificato come populista: per far passare la riforma ha legato il suo personale destino politico con il referendum. Sperava di poter sfruttare i suoi (allora) alti livelli di popolarità - ma di fatto si è rilevato un errore fatale.

Esiste la minaccia di un Italexit?

Può sembrare strano: la famosa Italexit, cioè l’uscita dell'Italia dall'Euro, con la bocciatura della riforma costituzionale è diventata più improbabile. Cio' è dovuto prima di tutto alla necessaria e molto probabile modifica della legge elettorale. Il cosiddetto Italicum prevede infatti che il partito che raggiunge il 40% dei voti ottenga come premio di maggioranza il 55% dei seggi. Se nessun partito raggiunge il 40 % si va al ballottaggio fra i primi due partiti e il vincitore ottiene il premio di maggioranza. La legge avrebbe dato quindi ad un solo partito una maggioranza assoluta dei seggi - e quel partito secondo gli attuali sondaggi avrebbe potuto essere il Movimento 5 Stelle.

Questa legge elettorale, secondo la maggior parte degli osservatori, verrà in qualche modo rivista da un governo di transizione, in quanto era stata progettata sul presupposto che la riforma costituzionale alla fine sarebbe passata. Sono stati inoltre presentati dei ricorsi sui quali la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi nelle prossime settimane.

Il secondo ostacolo per un referendum sull'uscita dall'Euro è nella Costituzione italiana. Questa all'articolo 75 chiarisce che non puo' esserci un referendum su una legge di ratifica dei trattati internazionali. Per una riforma della costituzione ci sarebbe bisogno sia alla Camera che al Senato di una maggioranza di due terzi - che per gli euro-critici a causa della probabile revisione della legge elettorale è ancora molto lontana. Per un eventuale governo euro-critico sarebbe tuttavia possibile indire un referendum consultivo non vincolante. Ma questo potrebbe essere un problema nel medio termine.


L'italia farà le riforme urgenti e necessarie?

Su una parte della stampa tedesca è ormai consuetudine ripetere che le riforme in Italia vengono fatte ad un ritmo troppo lento e che manca la volontà di riformare. Di fatto in Italia negli ultimi anni si è fatto molto. Renzi ad esempio è riuscito a far approvare una controversa riforma del mercato del lavoro che ha notevolmente ridotto le tutele contro il licenziamento. Anche il „Labour Market Reforms Database“ della Commissione UE mostra che solo pochi paesi europei dopo la crisi finanziaria hanno fatto piu' riforme di quante ne abbia fatte l'Italia - una larga parte di queste riforme sono state fatte durante il governo di Mario Monti, che notoriamente era a capo di un governo di tecnocrati.

Questa scala puramente quantitativa non dice naturalmente nulla sulla qualità delle riforme. E non significa che l'Italia non abbia bisogno di ulteriori riforme. E’ probabile pero’ che per i futuri governi italiani, dopo l'approvazione delle riforme, sarebbe stato piu' facile far passare le leggi (fatto che di per sé non dice nulla sulla loro qualità). 

Che l’Italia abbia bisogno di ancora piu' riforme o di riforme esclusivamente sul lato dell'offerta è un fatto ampiamente discutibile. Gli economisti che di tanto in tanto danno uno sguardo al lato della domanda argomentano che per la ripresa italiana sarebbe necessario un forte stimolo economico da realizzarsi con una maggiore spesa pubblica.


L'Italia avrà dei massicci problemi di rifinanziamento?

Improbabile, anche se il governo ha un debito pari al 133% del PIL - solo la Grecia ha un rapporto debito-PIL piu' alto. Di conseguenza se i tassi sul debito italiano dovessero salire sarebbe tutt'altro che facile. Proprio prima del referendum i rendimenti sui titoli di stato italiani erano cresciuti in modo significativo: in agosto i titoli decennali erano appena sopra l'1%, nelle ultime settimane erano saliti sopra il 2%.

Tuttavia questo aumento dei rendimenti non deve essere sopravvalutato. Secondo l'agenzia del debito italiana, il prossimo anno lo stato dovrà rifinanziare debiti per un valore pari a 318 miliardi di Euro. Vale a dire circa il 14% di tutto il debito in circolazione. Per una larga parte dei titoli in scadenza nel 2017 lo stato ha dovuto pagare fino ad ora dei tassi nettamente superiori rispetto a quelli ottenibili sui mercati in questo momento. E la prima reazione fa pensare che in futuro i mercati non richiederanno tassi piu' alti dallo stato italiano: i rendimenti si muovono all'incirca sui livelli delle settimane che hanno preceduto il voto. Sembra quasi che i mercati avessero già prezzato l'esito del referendum nelle quotazioni.

Se la situazione restasse immutata, l'Italia potrebbe proseguire il processo di rientro dal debito a condizioni decisamente piu‘ favorevoli rispetto a quelle degli anni precedenti. La spesa per interessi nel bilancio pubblico italiano (attualmente pari al 3.8% del PIL) continuerebbe a scendere, anche se non cosi' rapidamente come si poteva pensare nei mesi estivi.

E anche se i rendimenti dovessero schizzare verso l'alto e l'Italia dovesse avere problemi a trovare denaro a sufficienza sul mercato primario per rimborsare il proprio debito, in caso di emergenza la BCE potrebbe alleggerire il peso del debito con un allargamento del suo programma di acquisto di titoli (QE). La banca centrale in quel caso dovrebbe comprare una quantità maggiore di titoli italiani rispetto a quanto previsto nel piano precedente.

Non è tuttavia chiaro come reagiranno le agenzie di rating al NO: S&P e Moody hanno recentemente confermato il loro rating sull'Italia, Fitch ha abbassato l'outlook a negativo. DBRS aveva segnalato la possibilità di un downgrade in caso di fallimento del referendum. Se le agenzie decideranno realmente di fare il downgrade è ancora presto per poterlo dire. Fatta eccezione per S&P, il debito italiano, presso tutte le altre 3 agenzie, ha ancora un buffer di almeno un gradino prima di entrare nell'area dei titoli speculativi.

La crisi economica e bancaria si aggraverà?

L'incertezza politica sicuramente non migliorerà il clima per gli investimenti. Tuttavia le reazioni al post-brexit hanno mostrato che sia l'economia reale che i mercati finanziari si sono ormai abituati a questi eventi schock. La Spagna è sopravvissuta quasi un anno senza un governo e senza collassare.

La question piu' importante sarà lo sviluppo della crisi bancaria. Le banche italiane - anche a causa della debole congiuntura economica - hanno una quantità enorme di sofferenze nei loro bilanci. Soprattutto MPS negli ultimi mesi è stata messa sotto pressione. La banca piu' antica del mondo sta cercando di raccogliere capitale fresco dagli investitori privati e di vendere una parte del suo portafoglio di crediti deteriorati. Ci sono già voci relativi ad incontri con investitori che stanno trattando la loro partecipazione in MPS. Se il tentativo di risanamento dovesse fallire il dibattito sui salvataggi con i fondi statali dovrebbe ricominciare da capo.

Che cosa significano le dimissioni di Renzi per i poteri europei?

Renzi negli ultimi anni fra tutti i leader europei è stato quello che con maggiore veemenza ha chiesto la fine delle politiche di austerità. Si puo' ragionevolmente pensare che con la sua uscita di scena saranno rafforzati i paesi che prima di tutto insistono sulla necessità delle regole di bilancio e sulle riforme dal lato dell'offerta. 

Tuttavia si potrebbe anche ipotizzare che un governo tecnocratico che agisce in maniera meno plateale potrebbe avere addirittura maggiori chance, almeno nel breve periodo, di ottenere da Berlino e Bruxelles margini di manovra piu' ampi per la politica fiscale. Il ragionamento dietro questa tesi è il seguente: Renzi in passato ha agito in maniera molto aggressiva contro i diktat di risparmio tedeschi ed europei - fatto che ha reso molto piu' difficile per i paesi sostenitori di queste posizioni cercare di andargli incontro; ogni concessione poteva essere considerata come il risultato di un tentativo di ricatto, indipendentemente dalla realtà dei fatti. Che in particolare il governo tedesco non sia particolarmente sensibile verso questo tipo di atteggiamento, è stato reso evidente dalla umiliazione duratura e continuativa del governo greco di Syriza. 

Quindi, se oggi un governo tecnico italiano dovesse chiedere una politica di bilancio piu' accomodante senza destare troppo scalpore, potrebbe avere un discreto successo. Alla fine gli altri governi europei, incluso quello tedesco, per paura di un rafforzamento delle forze euro-critiche potrebbero concedere all'Italia una politica fiscale piu flessibile per rimettere l'economia italiana di nuovo in pista e togliere la benzina dell'insoddisfazione economica dal motore dei movimenti in ascesa. E' possibile, sebbene non cosi' probabile.




martedì 6 dicembre 2016

Heiner Flassbeck: il terremoto italiano


Le elezioni in Austria e il referendum in Italia hanno avuto un esito diverso, ma le conseguenze di entrambi i voti saranno molto serie. E' da sciocchi non capire che la costruzione europea senza misure drastiche e immediate potrebbe crollare.

Quando la terra trema, si possono sentire gli effetti anche a migliaia di chilometri. Le scosse di assestamento sono solitamente meno intense. Quando a tremare è la politica, avviene spesso il contrario: gli effetti immediati sono piccoli, ma le scosse di assestamento hanno effetti devastanti.

Ieri ci sono stati due terremoti politici. Il primo, a nord delle Alpi, è stato un piccolo terremoto, e poi più' a sud un terremoto la cui intensità non può' essere ancora misurata sulla scala Richter. In Austria ha preso il 48 % dei voti il rappresentante di un partito che considera il sud-Europa una unica regione in bancarotta il cui solo obiettivo sarebbe quello di sfilare denaro dalle tasche del ricco e produttivo nord. Molti "buoni europei" oggi si rallegrano del fatto che il rappresentante di questo partito non abbia raggiunto il 51% e vedono le prime luci alla fine del tunnel populista. Non vogliono ammettere pero' che la luce potrebbe essere un treno che viaggia nella direzione opposta. 

In Italia, il primo ministro che poteva essere considerato come l'ultima speranza europea, ha perso in maniera clamorosa un voto referendario. Sebbene non fosse mai stato eletto, Renzi era la personificazione dell'auspicio "tutto andrà bene" con cui la politica del nord cercava di imbalsamarsi per non percepire il puzzo di marcio che invece si stava diffondendo. Renzi ha cercato di opporsi all'egemonia tedesca, ma è rimasto nell'ambito del simbolico. Si è dato da fare sul percorso delle "riforme strutturali", probabilmente senza capire che erano un errore, anche senza il voto negativo degli elettori.

Il nord ora si augura una "tecnocratizzazione" dell'Italia guidata da uomini che ovviamente possano capire meglio di un governo eletto cosa c'è da fare per evitare il collasso della casa europea. Ma che tipo di professionisti vorremmo avere? Esperti in materia di "riforme strutturali" che riportano il paese alla crescita anche contro la logica macroeconomica? Si sta pensando forse ad esperti come il Ministro delle Finanze Padoan, che da ex rappresentante del FMI e capo economista dell'OCSE sa esattamente cosa si deve fare per riformare un paese sul lato dell'offerta? C'è bisogno di un'agenda radicalmente neo-liberale alla François Fillon per rendere il paese nuovamente competitivo?

Quello che non si riesce a capire né in Italia né in Francia (e lo dico consapevolmente dopo le esperienze dolorose delle settimane passate) è il fatto che la Germania, dall'inizio dell'unione monetaria, con la sua politica ha bloccato questa possibilità. La sola possibilità di riformare con successo un paese sul lato dell'offerta consiste nel migliorarne la competitività e quindi nel mercantilismo e nelle politiche di beggar-my-neighbour. Ma è esattamente quello che la Germania da molto tempo con il suo mercantilismo ha reso impossibile. Perché il vantaggio assoluto che la Germania ha surrettiziamente conquistato con il suo dumping salariale è cosi' grande che nessun paese (ad eccezione dell'Irlanda, un paese decisamente atipico) puo' migliorare la sua posizione competitiva senza dover passare dall'inferno dei massicci tagli salariali, della recessione e della disoccupazione. Chi prova a farlo dal centro dello spettro politico, alle elezioni successive viene immediatamente ed irrevocabilmente punito dalle forze nazionaliste a destra.

La Germania, con la sua insistenza sulle regole del patto di stabilità e crescita, per ragioni puramente ideologiche, blocca ogni tentativo di uscita dalla crisi sul lato della domanda.

La via di uscita dalla crisi europea porta direttamente al nazionalismo. Per questo non è esagerato dire che la Germania è direttamente responsabile del nazionalismo nel sud-Europa. Del nazionalismo del nord è responsabile solo indirettamente: soprattutto per aver mentito ai tedeschi raccontando che il sud pigro dipende dai trasferimenti del nord, aprendo quindi la strada ai partiti di destra. 

Ora si deve guardare a come i politici e i media tedeschi, in considerazione di questi fatti, gestiranno la questione europea e le responsabilità tedesche. In questo modo potremo capire qual'è il livello di confusione in Europa. Unire i punti che permettono alla politica di fare qualche passo nella giusta direzione è un compito molto difficile. Il terremoto italiano e l'ascesa del nazionalismo austriaco con un po' piu' di lungimiranza potevano essere evitati. Ma la lungimiranza e la comprensione non sono cio' che ci si puo' aspettare dal sistema politico, mediatico ed accademico in Germania ed in Europa. 

domenica 4 dicembre 2016

Der Spiegel: gli italiani sono i nuovi tedeschi?

Thomas Fricke, economista e giornalista, su Der Spiegel ricorda ai tedeschi che l'Italia ha i conti in ordine e non può' prendere lezioni dai professoroni tedeschi. Da Der Spiegel


Gli scenari di crisi sono già stati delineati. Se gli italiani domenica dovessero votare contro la riforma costituzionale i mercati finanziari potrebbero impazzire, le banche sarebbero insolventi e l'Italia alla fine sarebbe costretta ad uscire dall'Euro. In Germania a qualcuno sicuramente brilleranno gli occhi dalla gioia. Motto: l'avevamo sempre saputo. Gli italiani vivono al di sopra dei loro mezzi, sono troppo rilassati e non vogliono fare le riforme - invece di imparare dai virtuosi tedeschi, ah, proprio noi. Non puo' funzionare: aver messo insieme sotto la stessa moneta delle culture cosi' diverse è stato un errore.

La riflessione sembra ovvia, chiaro - almeno per coloro che considerano sopravvalutate le analisi macroeconomiche. E al contrario si concentrano sulle analisi popolari (cosa che da noi accade molto spesso quando si parla dei sud-europei). Noi diligenti e laboriosi, voi pigri.

Solo che andando ad osservare i fatti piu' da vicino le cose sono un po' differenti. Si puo' accusare gli italiani di altre cose (calcio difensivo), ma non si puo' certo dire che non stiano copiando la virtuosa casalinga tedesca. Al contrario. E cio' ci fa pensare che probabilmente questo non è il problema. E che invece sia piuttosto il nostro Herr Schäublino. Fact checking.

I debiti delle famiglie sono piu' bassi che in Germania

E' vero che l'economia italiana non cresce, fatto che rende il risanamento delle banche ancora piu' difficile. La domanda pero' è perché? Perché gli italiani non tirano un po' di piu' la cinghia e lo stato non è un po' piu' generoso?

- Se il debito pubblico in Italia è cosi' alto dipende molto di piu' dalla situazione ereditata dal passato che non dalle condizioni attuali. Le amministrazioni pubbliche consumano oggi il 4.4% in meno rispetto al 2010 - una tale diminuzione in Germania dopo le riforme di Schröder non si è mai piu' verificata.

- Il deficit pubblico italiano quest'anno per la quarta volta dal 2011 sarà sotto il 3% del PIL - nonostante il calo delle entrate fiscali dovuto alla crisi; in una situazione economica simile i tedeschi non erano riusciti a raggiungere lo stesso obiettivo. Se si sottraggono i costi per gli interessi, il bilancio pubblico italiano avrà nel 2016 un avanzo primario del 4% - il nostro maestrino dello Schwarze Null arriva a malapena all'1%.

- Stessa situazione per le finanze private - dove i consumi sono inferiori del 5% rispetto al 2007; non c'è da meravigliarsi se i salari reali da anni in Italia stanno scendendo - a causa della Dolce Vita.

- Tutto a debito? Sciocchezze, i debiti delle famiglie sono il 90% del PIL, piu' bassi che in Germania (93 % del PIL). Casalinga toscana.

- L'inflazione italiana è da 3 anni a zero, leggermente più' bassa della nostra - se fosse possibile si potrebbe dire che la Bundesbank è segretamente trasferita a Roma; chi cerca prezzi stabili deve emigrare in Italia.

- Costi troppo alti per l'economia? Il costo del lavoro per unità di prodotto dal 2012 in termini nominali è salito solo dell'1.5%. Per fare un confronto: in Germania gli stessi costi sono cresciuti del 5.7%.

- Fatto che a sua volta contribuisce alla riduzione dei prezzi degli esportatori italiani - la cui competitività dal 2009 è cresciuta di un decimo, molto meglio che da noi.

- Ding-Dong: l'Italia ha un avanzo commerciale record con l'estero (anche grazie alle importazioni deboli) - oltre il 3% del PIL annuo. Che tradotto significa che il paese vive al di sotto delle proprie possibilità. E non al di sopra.

Ora qui non vogliamo dire che gli italiani fondamentalmente sono come i tedeschi, solo un po' meglio (probabilmente nemmeno gli italiani sarebbero d'accordo). E non voglio dire nemmeno che non c'è la necessità di un miglioramento nell'efficienza della pubblica amministrazione italiana. Ma c'è una certa differenza con il tipico e altisonante discorso tedesco sulla diversa cultura della stabilità. Avanzi commerciali con l'estero, moderazione salariale, equilibrio di bilancio - anche gli italiani lo sanno fare.

L'economia italiana oggi investe il 25% in meno rispetto al 2008

E come contro-prova: cosa sarebbe successo se nel 2005 Gerhard Schröder, con oltre 5 milioni di disoccupati avesse indetto un referendum per eliminare il Bundesrat, e quindi dare la possibilità al governo di introdurre ulteriori riforme Hartz, tagli alle pensioni e tasse aggiuntive? All'incirca quello che sta facendo Renzi adesso. La risposta tedesca la si puo' intuire osservando il risultato delle elezioni del 2005. Tschuss, Gerd.

Il problema italiano è altrove. Dalle sole politiche di stabilità non puo' emergere una dinamica di crescita - logico. Secondo i calcoli OCSE oggi l'economia italiana potrebbe crescere di oltre il 4 % in più' - con le risorse disponibili attualmente. Senza ulteriori riforme. Se solo la congiuntura economica si mettesse in moto.

Qui c'è il vero dramma. L'aspetto negativo del contenimento della spesa e dei tagli è evidente: le imprese dopo non hanno alcuna ragione per investire. Fatto che da solo potrebbe spiegare una buona parte della crisi. L'economia italiana oggi investe un quarto in meno rispetto al 2008. Da dove dovrebbe arrivare la crescita della produttività e l'innovazione?

Se ciò' corrisponde alla verità, non servono a nulla gli appelli pro-austerità dei professoroni tedeschi. Oppure sollecitare l'italo-uscita perché gli italiani sarebbero cosi' diversi da noi. Soprattutto nel 2015 Renzi ha introdotto una tanto lodata riforma del mercato del lavoro, secondo cui per i lavoratori neo-assunti vale una ridotta tutela contro il licenziamento. Qualcuno avrebbe dovuto osare la stessa riforma in Germania. Secondo i rapporti OCSE nessun'altro paese negli ultimi 2 anni ha fatto cosi' tante riforme come l'Italia.

Di fatto le riforme non avranno effetti positivi fino a quando la congiuntura non prenderà slancio. Allora c'è qualcosa di profondamente doloso, quando un ministro delle finanze tedesco in Europa, a causa di una qualche incomprensione, blocca ogni tentativo di rilanciare in maniera massiccia gli investimenti. Senza che la vera fine della crisi sia in vista.

venerdì 2 dicembre 2016

Lavoro in affitto, schiavitu' moderna?

NachDenkSeiten.de intervista Mag Wompel, giornalista, sociologa ed attivista sindacale, impegnata nella difesa dei diritti dei lavoratori interinali.  

Fra i meccanismi che nel nostro paese favoriscono l'impoverimento e la diffusione della miseria, accanto ad Hartz IV, c'è soprattutto il cosiddetto lavoro in affitto (Leiharbeit), con il quale i lavoratori vengono dati in affitto, come se fossero merci, e spesso sono costretti a vivere in condizioni precarie e in povertà. Nonostante la posizione espressa dalla confederazione sindacale DGB, stesso salario per lo stesso lavoro, c'è da temere che anche la prossima tornata di contrattazione collettiva non cambi la situazione. Intervista alla giornalista e attivista sindacale Mag Wompel.

Frau Wompel, abbiamo già parlato piu' volte della logica disumana di Hartz IV, e del fatto che con Hartz IV le élite abbiano aperto il fuoco automatico sui salariati. Quali sono le conseguenze concrete?

Io preferisco parlare di leggi Hartz, poiché l'Agenda 2010, in tema di politica sociale e del lavoro, non si è occupata solamente di ridurre i diritti dei disoccupati, al suo interno contiene infatti anche norme di deregolamentazione massiccia, ad esempio per quanto riguarda il lavoro interinale. Si tratta di un elemento particolarmente significativo in quanto i lavoratori possono essere messi sotto pressione con due morse: da un lato la paura della disoccupazione, dall'altro la paura dell'impoverimento e della privazione dei diritti nei periodi di disoccupazione. 

Vorrei ribadire che nel nostro paese ci sono circa 5 milioni di persone che non possono vivere del loro salario e che per questo devono chiedere un sussidio Hartz IV. Detto diversamente, e considero questo punto importante, le aziende possono permettersi di pagare uno "stipendio" insufficiente per vivere. Prima, in queste condizioni, dovevano presentare istanza di fallimento, oggi al contrario fanno degli extra-profitti. Perchè? Perché noi lavoratori paghiamo una parte dei loro costi del personale. L'economia di mercato funziona in maniera splendida - soprattutto per il capitale, perché il rischio d'impresa è a carico delle  vittime del sistema.

Questa crescita massiccia della dipendenza dal salario è stata agevolata anche dalla condotta dei sindacati, sotto l'influenza del "feticcio del lavoro", come lo chiamo io: per loro "qualsiasi posto di lavoro" era molto piu' importante, ad esempio, della qualità della vita. E anche oggi, dopo molti anni, motivano la loro ridotta capacità di mobilitazione ripetendo che le leggi Hartz IV ne sarebbero la vera causa: tagli salariali, povertà, intensificazione del lavoro, straordinari non pagati, enormi disturbi da stress - tutto cio' per molti è sempre meglio dello spettro di Hartz IV.

E la situazione continua a peggiorare, perché una volta che la ricattabilità dei salariati è stata riconosciuta, non è facile levarsela di dosso. E non dobbiamo dimenticarlo: in piu' di 10 anni di leggi Hartz, oltre 10 milioni di persone sono entrate nell'inferno dei Jobcenter come clienti. 

Lei parla del lavoro in affitto come di un elemento molto importante in questo contesto. Che cosa si intende per lavoro temporaneo -  e come si è sviluppato nel nostro paese?

Legalmente si parla di lavoro temporaneo per nascondere il fatto che le persone sono date in affitto come se fossero merci: da un prestatore ad un altro che le prende in prestito. Noi invece preferiamo parlare di moderna "tratta degli schiavi". E come in ogni commercio anche qui alla fine ci deve essere un guadagno, che infatti i lavoratori interinali pagano con un salario che è fino al 40% inferiore rispetto a quello dei dipendenti a tempo indeterminato.

La diffusione dei bassi salari anche nel settore del lavoro interinale favorisce sempre piu' una sostituzione dei lavoratori fissi con i lavoratori temporanei. Molte aziende hanno un loro bacino di lavoratori da cui attingono. Quello del lavoro in affitto è stato un settore relativamente stabile e di nicchia fino al 2003: nel 1996 i lavoratori temporanei erano 177.935 mentre nel 2003 erano saliti a 327.789. Hanno continuato a crescere fino a triplicare nel 2011, mentre alla fine del 2016 gli interinali saranno probabilmente piu' di un milione.


Possiamo dire che senza il consenso dei sindacati non ci sarebbe stato il boom del lavoro in affitto?

La risposta piu' semplice è si'. Ma da un lato bisogna anche aggiungere che il lavoro temporaneo non è la sola forma di precarizzazione. La precarizzazione, in quanto condizione di vita e di lavoro non sicura e non pianificabile, inizia con i contratti di lavoro a tempo determinato, passa attraverso le clausole tariffarie diversificate e finisce con i contratti d'opera. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che nel 2014 i contratti collettivi si applicavano solo al 45 % degli occupati.

Per i lavoratori a tempo quali sono gli elementi piu' negativi in questa situazione?

Possiamo dire che cosi' come i disoccupati e i migranti sono utilizzati contro la forza lavoro per ottenere rinunce salariali e peggiori condizioni, i lavoratori interinali svolgono lo stesso ruolo all'interno delle aziende nei confronti degli occupati stabili, a volte sono usati anche come "crumiri".

Il lavoro temporaneo non ha una buona reputazione, ed è normale che sia cosi'. I  lavoratori interinali spesso non hanno un'alternativa, in quanto la maggioranza delle posizioni aperte sono nel lavoro interinale e i Jobcenter le propongono ai disoccupati sotto la minaccia di sanzioni. Fino al 40% di salario in meno - con una forte differenziazione a seconda del settore - spesso senza alcun elemento salariale accessorio aggiuntivo e meno diritti. Dei loro pochi diritti la maggior parte non sa nulla, oppure se li conoscono vi rinunciano volontariamente, per paura di perdere il lavoro.

Dalle aziende sono considerati come un fattore per la riduzione del costo del lavoro, fanno paura ai lavoratori dipendenti stabili e in piu' sono un carico di lavoro aggiuntivo perché ogni volta devono ricevere la formazione necessaria. L'economia del lavoro temporaneo al contrario vive di queste differenze salariali e dell'arte di sottrarre una parte del salario alle sue vittime. Anche la nuova legge sui contratti a tempo non cambierà molto. 

Vuole aggiungere un'ultima parola?

Per uscire dalla trappola della ricattabilità di ogni posto di lavoro, che di fatto spinge i sindacati a considerare ogni lavoro temporaneo qualcosa che è sempre meglio della disoccupazione, dovremmo modificare il centro della nostra attenzione. L'immenso settore a basso salario, la diffusione della povertà fra i lavoratori, le divisioni che ci paralizzano, si fondano sull'accettazione su larga scala e a qualsiasi prezzo della dipendenza da un lavoro salariato.

I sindacati, e non solo, hanno perso di vista il fatto che il lavoro ha un senso sociale solo quando riesce a garantire le funzioni di sostentamento e di socializzazione e i suoi frutti hanno un'utilità sociale. Sappiamo che cio' molto spesso non accade. Perché allora non rimettiamo al centro la qualità della vita, e non iniziamo a valutare la qualità del lavoro secondo questo parametro?

lunedì 28 novembre 2016

Bombe tedeske

Secondo Berthold Kohler, condirettore della prestigiosa Frankfurter Allgemeine Zeitung, nel suo ultimo editoriale su FAZ.net, dopo l'elezione di Trump, per la Germania è arrivato il momento di dotarsi di un'arma nucleare. Da FAZ.net

Dato il terremoto geo-politico che con l'elezione di Trump potrebbe colpire il nostro continente, anche la Germania deve rivedere la sua politica di sicurezza.

Presto Frank-Walter Steinmeier si trasferirà al palazzo di Bellevue e la Germania avrà bisogno di un nuovo Ministro degli Esteri. La scelta del suo successore ancora non è stata fatta, la SPD sta prendendo tempo. Il nuovo Ministro degli Esteri dovrà rivedere la politica estera tedesca, in particolar modo la politica di sicurezza. Un "avanti cosi" sul percorso già noto non è possibile, soprattutto se nella politica mondiale dovessero materializzarsi quelle scosse geo-politiche che per ora sono solo state annunciate.

L'ordine sorto in Europa dopo la vittoria delle democrazie liberali occidentali sul dispotismo sovietico è entrato in crisi da quando Putin ha deciso di voler ridare alla Russia un ruolo di super-potenza. Anche la Cina qualche anno fa si è risvegliata dal suo torpore e ha iniziato a ricordarsi che i draghi hanno grandi aspirazioni. La spinta di entrambe le potenze ad estendere le loro zone di influenza viene contrastata da una contro-forza che da decenni garantisce la sicurezza dei suoi alleati in Europa e Asia: gli Stati Uniti d'America.

Che cosa accadrà all'architettura di sicurezza occidentale?

Si puo' e si deve sperare che Trump, quando si sarà ripreso dallo shock dell'elezione, impari alla svelta quali sono le responsabilità "dell'uomo piu' potente del mondo". Potrebbe anche diventare un presidente erratico che riesce a mantenere almeno alcune delle sue promesse, perchè se cosi' non fosse sarebbe bugiardo quanto il tanto criticato establishment. Anche se Washington non dovesse ritirarsi completamente dalle sue posizioni politiche e geografiche, e se anche lo scudo protettivo sugli alleati non dovesse crollare completamente, la convinzione che il destino dell'America sia indissolubilmente legato a quello dei suoi principali partner europei e del Pacifico è già stato messo in crisi, sia fra gli alleati che fra gli antagonisti. I dubbi seminati da Trump tuttavia mettono in crisi uno dei pilastri piu' importanti nell'architettura della sicurezza occidentale: la pace si crea con il potere dato da un deterrente.

Solo a sentirne parlare in Germania, dove ancora si sogna "di portare la pace senza armi", sono in molti a trasalire. La politica della deterrenza ha evitato che la guerra fredda si trasformasse in una apocalisse nucleare. La stabilità raggiunta grazie alle armi nucleari era infatti la base per una pacifica coesistenza e per le iniziative di disarmo, sulle quali anche Steinmeier ha investito una parte delle sue speranze politiche. Tuttavia per negoziare con successo con il Cremlino bisogna essere determinati e capaci di dimostrare di essere in grado di saper difendere i propri interessi, valori e alleati.

Un proprio deterrente nucleare

Se Trump dovesse restare sulle sue posizioni, allora l'America lascerà agli europei il compito di difendere l'Europa, compito che dal 1945 di fatto l'Europa non conosce piu'. Non sarebbe poi cosi' strano, ma certamente per molti europei sarebbe una sfida. Le conseguenze spiacevoli collegate, fino ad ora evitate grazie al tanto odiato ma molto comodo scudo americano, sarebbero molte: aumento della spesa militare, ad esempio, e ripristino della leva obbligatoria, di fatto delle linee rosse che per il cervello dei tedeschi restano alquanto inconcepibili. Fra le conseguenze ci sarebbe ovviamente anche un adeguato deterrente nucleare in grado di compensare i dubbi sulle possibili garanzie americane. Gli arsenali francesi e britannici nelle loro condizioni attuali sono troppo deboli. Mosca nel frattempo si sta riarmando.

Schierati su queste posizioni ("nessuna arma nucleare") ci sono proprio coloro che considerano Trump il peggior errore della storia americana, e sperano che alla fine ascolterà i suggerimenti di qualche consigliere saggio, o che magari si farà frenare dal sistema politico americano o forse interverrà una fata durante la notte a ridargli il senno politico. I responsabili della politica estera e della difesa europei e tedeschi, che intendono adempiere al loro ruolo e alle loro responsabilità, devono preparare i loro paesi all'eventualità che tutto questo non accada.