sabato 4 febbraio 2017

L'egemonia a metà

Hans Kundnani, grande esperto di politica internazionale britannico, in una bellissima intervista a Taz.de ci parla dell'arroganza tedesca, della politica europea della SPD, delle similitudini fra il 2016 e il 1871 e dell'egemonia tedesca in Europa. Da Taz.de



Taz: Herr Kundnani, Angela Merkel è il candidato alla Cancelleria per la CDU-CSU. La Germania sembra un'isola di stabilità, forse solo perché la Cancelliera è la causa del caos all'estero, ad esempio in Italia o in Grecia? 

Hans Kundnani: c'è qualcosa di vero in questo. L'euroscetticismo in Europa è come un gioco a somma zero. Se volessimo cambiare le politiche europee per far arretrare l'euroscetticismo in Francia e in Italia, ad esempio con una condivisione del debito, in Germania crescerebbe.

Taz: nella SPD si è discusso a lungo se Martin Schulz doveva essere o meno il candidato alla Cancelleria. Nessuno pero' si è chiesto quali sarebbero le implicazioni per le politiche europee se Schulz dovesse diventare Cancelliere. Viene venduto come il grande europeista. 

Kundnani: non vedo una grande differenza fra lui e Gabriel, per quanto riguarda l'Europa. E non vedo nemmeno una grande differenza fra SPD e CDU, sempre in merito alle politiche europee. Sin dall'inizio dell'eurocrisi, le politiche europee della SPD sono state una delle piu' grandi delusioni. Nel 2010 Steinmeier e Steinbrück avevano parlato pubblicamente di una messa in comune del debito. Ma poi si sono resi conto: la paura di una unione di trasferimento in Germania è cosi' grande che per ragioni di Realpolitik non è possibile sostenere una simile posizione.

Taz: Schulz sostiene una "unione piu' profonda fra stati sovrani" - è un modo diverso di riformulare il piu' Europa.

Kundnani:  una delle mie maggiori frustrazioni è che nel dibattito tedesco sull'Europa domini questo pensiero lineare: o si è per il piu' Europa oppure per il meno Europa. Io in Germania vedo pero' un "europeismo pro-tedesco". Cioè: la Germania è pro-europea, nel senso che chiede un'Europa tedesca. Si è disposti a compiere ulteriori passi verso l'integrazione, ma solo secondo il modello tedesco. Il miglior esempio è lo Schuldenbremse (pareggio di bilancio aggiustato per il ciclo economico). In Germania lo ha introdotto Steinbrück nel 2009, prima dell'inizio dell'Eurocrisi, in seguito è stato imposto agli altri paesi europei.

Taz: la narrazione più' diffusa nel sud-Europa è quella dell'egemonia tedesca dall'inzio dell'Eurocrisi. Lei dice invece, la situazione è molto piu' complessa: quella della Germania è solo un'egemonia a metà - ci troviamo quindi in una situazione simile a quella successiva alla fondazione del Reich nel 1871. Come si spiega?

Kundnani:  con tutte le dovute differenze fra l'impero e la situazione attuale, la similitudine prima di tutto ha a che fare con la geografia. La Germania è piu' meno nella posizione in cui si trovava allora, e dalla riunificazione ha piu' o meno le stesse dimensioni che aveva allora. La Germania è di nuovo il centro d'Europa. Durante la guerra fredda era al confine fra est e ovest. Sempre che la geografia abbia ancora un ruolo...

Taz: non c'è piu' una minoranza tedesca all'estero da riportare a casa all'interno del Reich. E se l'Austria appartiene o meno alla Germania, non sembra essere poi cosi' importante.

Kundnani:  io non credo che la questione tedesca possa essere espressa in un solo modo. Ai tempi del Reich la questione tedesca era prima di tutto una questione geopolitica, ora è una questione geo-economica. La potenza tedesca crea in Europa un'instabilità simile a quella che allora causava il Reich con la sua potenza militare. E la questione tedesca e quella europea sono ancora strettamente collegate fra loro. 

Taz: lei dice, la Germania non è abbastanza grande per imporre la pace economica in Europa, e cioè farsi carico dei debiti degli altri paesi, ma da un altro punto di vista, è sufficientemente grande da dominare il continente con i suoi interessi economici.

Kundnani:  si', è troppo grande per una qualche forma di equilibrio, ma troppo piccola per l'egemonia. Dopo il 1871 l'egemonia voleva dire essere in grado di battere militarmente tutte le altre grandi potenze europee. Ora invece si tratta di imporre in maniera brutale la propria volontà in tutta Europa, oppure di farsi carico dei problemi europei. L'Eurocrisi ha mostrato che la Germania non è stata in grado di farlo. La Germania, ad esempio, non è riuscita ad imporre i suoi interessi contro Mario Draghi e contro la sua politica dei tassi a zero. La Germania non puo' essere un buon egemone...

Taz: un po' come gli Stati Uniti in Europa dopo il 1945.

Kundnani: ...e cioè consentire una messa in comune del debito, tollerare una moderata inflazione oppure pagare dei trasferimenti fiscali permanenti - tutte quelle cose che potrebbero tenere unita l'UE. Per entrambe le varianti dell'egemonia, quella brutale e quella piu' soft, bisogna disporre delle risorse. Nella tradizionale questione tedesca si trattava di risorse militari per poter battere le altre grandi potenze militari. 

Taz: il tentativo è fallito 2 volte.

Kundnani: non c'è da stupirsi. Ma ora la Germania non ha le risorse economiche per una politica di egemonia. In questo senso io difendo i tedeschi dalle critiche anglosassoni, tipo quelle di Paul Krugman, che dice piu' o meno: i tedeschi non hanno capito nulla di come funziona l'economia.

Taz: la sua toeria sull'egemonia tedesca a metà è ancora valida anche dopo il Brexit e la crisi dei migranti? Se Marine Le Pen dovesse diventare il presidente francese, la Germania sarebbe di nuovo isolata invece di essere semi-egemonica.

Kundnani: l'uno non esclude l'altro. Sarebbe tipico per la storia tedesca: la posizione di egemonia a metà porta prima o poi all'isolamento e poi all'accerchiamento. Solo un egemone completo non puo' essere isolato.

Taz: se la politica europea tedesca ha un fondamento razionale, come si esce dalla crisi attuale? Lei diffonde fatalismo.

Kundnani: io guardo alla crisi europea e vedo che il ruolo tedesco è alquanto tragico. Non c'è una soluzione facile - e per questo io sono alquano pessimista sul futuro europeo. Al di là della situazione oggettiva in cui ci troviamo c'è anche un secondo parallelo con la storia tedesca: lo stato d'animo successivo all'unità tedesca del 1871.

Taz: lei si riferisce all'arroganza tedesca.

Kundnani: si' al trionfalismo - al senso della misssione: la Germania in Europa sente di avere una missione, guidare gli altri sulla retta via.

Taz: la politica tedesca nella crisi dei rifugiati è stata troppo trionfale?

Kundnani: no, alla fine non c'era alcun motivo per esserlo: la Germania non è stata in grado di imporre la sua posizione. Tuttavia vi troviamo l'elemento centrale della missione. Quello che unisce entrambe le crisi, è la tendenza tedesca a pensare: noi sappiamo come agire in modo corretto - gli altri in Europa semplicemente non riescono a capirlo

Taz: le élite tedesche oggi sono internazionali come non lo erano mai state fino ad ora. Nonostante cio' pensano tedesco. Perché non prendono in considerazione le opinioni degli altri?

Kundnani: nel dibattito tedesco c'è uno strano mix fra provincialismo e internazionalismo. Dall'inizio dell'Eurocrisi la Germania si preoccupa meno delle critiche che arrivano dall'estero. Prima i tedeschi erano ipersensibili in materia di critiche dall'estero, soprattutto se arrivavano dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti o dalla Francia. I tedeschi avevano bisogno di conferme...

Taz:...di non aver fatto errori dopo il 1945?

Kundnani: è stata la mia impressione, come britannico. All'epoca ci si auspicava che i tedeschi diventassero solo un po' più' fiduciosi e che non prestassero troppa attenzione a quello che gli altri dicevano di loro. Ora siamo nella situazione opposta. Probabilmente è iniziato tutto con la guerra in Irak, dopo la quale i tedeschi hanno pensato: noi lo sapevamo. 

Taz: l'asse franco-tedesco si è spezzato, nonostante sulla guerra in Irak entrambi i paesi avessero la stessa opinione.

Kundnani: si', è vero. Mi spaventa il modo in cui a Berlino dall'inizio della crisi Euro si parla della Francia.

Taz: ad esempio?

Kundnani: non voglio fare qui nessuna citazione diretta, ma alcuni funzionari tedeschi di alto livello, oppure i membri di qualche influente Think-Tank, parlano dei francesi con un certo disprezzo: li trovano ridicoli oppure semplicemente stupidi. I francesi non avrebbero alcuna idea e per questo devono essere messi in riga.

Taz: lei scrive che fino al 1914 quella tedesca è stata un'egemonia solo a metà, per questo è stato possibile creare delle alleanze contro il Reich. Nella situazione attuale pero', già da molto tempo Francia e Italia avrebbero potuto unirsi contro la Germania per difendere i loro interessi.

Kundnani: la lezione della storia è ambigua. E cioè: queste coalizioni sono necessarie - oppure queste coalizioni portano alla guerra? Se prendiamo in considerazione la classica questione tedesca...

Taz: la Germania ha perso le guerre a causa di coalizioni anti-tedesche?

Kundnani: sul tema delle coalizioni anti-tedesche c'è molta divisione. Anche i francesi, gli italiani e gli spagnoli le temono. Anche io, e credo che le coalizioni anti-tedesche distruggerebbero l'Europa. Io vedo pero' una pressione strutturale verso la costruzione di una coalizione - e comunque avrei preferito che a costruire la coalizione anti-tedesca fossero stati Renzi e Hollande, piuttosto che il Movimento 5 Stelle e Le Pen

Taz: che cosa è cambiato con l'elezione di Trump?

Kundnani: è' sorprendente il modo in cui dopo le elezioni americane si parla di "Merkel come il vero leader del mondo libero". L'idea che la Germania possa sostituire gli Stati Uniti è ridicola. Primo perché gli USA sono un potere globale, la Germania al massimo è una potenza regionale. Secondo perché l'espressione "leader del mondo libero" durante la guerra fredda aveva senso solo perché gli Stati Uniti erano pronti ad impiegare il loro potere militare per difendere la democrazia. La Germania ha poco potere militare.

Taz: ci si riferisce piu' che altro ad una leadership morale tedesca.

Kundnani: dubito che Merkel possa svolgere questo ruolo. Proprio perché la Germania negli ultimi 6 anni ha imposto una politica brutale nell'Eurozona. Indipendentemente dal fatto che fosse giusta o sbagliata, credo che la leadership tedesca non possa essere riconosciuta in Europa. Trump tuttavia solleva una nuova domanda in merito al ruolo di egemone a metà della Germania. Non sappiamo se la garanzia di sicurezza americana resterà invariata anche per la Germania. Si tratta probabilmente di un game-changer. La Germania ne esce indebolita, perchè non è una potenza nucleare. E la Francia al contrario sembra piu' forte.

Taz: l'economista americano Joseph Stiglitz nel suo ultimo libro scrive che il piu' grande rischio per l'Europa è il „muddling through“, e cioe' tirare a campare invece di decidersi per il piu' o il meno Europa.

Kundnani: sono d'accordo. Si immagini cosa accadrebbe se il Front National  dovesse veramente prendere il potere in Francia.  Per eliminare davvero questo pericolo in Europa avremmo bisogno di una politica radicalmente diversa, una politica per la crescita e l'occupazione. Ma i tedeschi non possono e non intendono avviare una politica economica diversa in Europa.



mercoledì 1 febbraio 2017

Il risparmio privato dei tedeschi è fra i più bassi d'Europa

Marcel Fratzscher, economista e direttore del prestigioso Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung, su Die Zeit ci spiega perché nella Germania del grande boom economico, la ricchezza privata resta nelle mani di poche fortunate famiglie. Alla favola della Germania ricca e felice, in piena occupazione e con alti stipendi non crede piu' nessuno. Ne scrive Marcel Fratzscher su Die Zeit




La Germania è il Paese europeo dove si registra la maggiore disparità nella ripartizione del patrimonio privato e nemmeno lo stato sociale riesce a compensare questa stortura: è giunta l'ora di politiche più eque.

A Natale la BCE ha portato ai Tedeschi una cattiva notizia: secondo un recentissimo censimento la Germania possiede il triste primato della disparità più accentuata dell'Eurozona per ciò che riguarda la ripartizione del patrimonio privato. Il problema non è tanto che in nessun altro Paese il 10% più ricco possiede quanto in Germania; il vero dato scioccante è che circa il 40% dei Tedeschi non possiede praticamente nulla: dispone a malapena di qualche risparmio su cui fare affidamento in vecchiaia, con cui stipulare un'assicurazione sanitaria o da investire nell'educazione dei propri figli. L'ingente sproporzione del patrimonio privato è già in questo momento alla base di conflitti sociali che negli anni a venire si acuiranno ulteriormente. 


Le cifre provenienti dalla BCE non sono certe confortanti. Nonostante il reddito medio dei Tedeschi risulti tra i più alti d'Europa, il patrimonio medio risulta decisamente modesto. Il patrimonio mediano tedesco – ossia che si situa in posizione esattamente intermedia tra una metà più ricca e un'altra più povera – consiste di 60.000 € di patrimonio netto (depositi, azioni, immobili, polizze assicurative ma anche auto e masserizie, al netto dei debiti) contro gli oltre 100.000 € di molti altri Paesi europei, tra cui Spagna e Italia dove è addirittura più del doppio.

Il 40% più povero non possiede praticamente nulla

Ciò non significa che in Germania ci sia meno risparmio privato in assoluto, bensì che questo è ripartito in modo sproporzionato. Il 10% più ricco ne possiede il 60% mentre il 40% più povero deve accontentarsi di meno dell'1% del patrimonio privato totale. Dal 2010, ossia da quando la BCE ha effettuato per la prima volta tali rilevamenti, questa disparità è perfino aumentata e, di conseguenza, il patrimonio delle fasce più deboli ha registrato una contrazione.



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Alcuni politici e alcuni economisti affermano che il livello di armonia sociale in Germania è molto alto, che questa disparità è normale e che non rappresenta affatto un problema. Facendo ricorso a tre argomenti provano a liquidare come apparentemente irrilevante la questione della disuguaglianza: il più diffuso di questi fa leva sul presupposto che i Tedeschi non avrebbero bisogno del risparmio privato dal momento che dispongono già di un generoso Stato sociale, il quale, oltre a garantire loro una sicura pensione, li tutela in caso di difficoltà.

Lo Stato sociale non può compensare la disuguaglianza

Lo Stato sociale non può però supplire completamente alla mancanza di risparmio, né potrà mai farlo. La promessa di una cospicua pensione non è di alcun aiuto ad una madre di 35 anni che si vede costretta a crescere i figli da sola, nel momento in cui bisogna provvedere alle spese per l'educazione o è necessario comprare una nuova auto. 


Cionondimeno è piuttosto spiacevole che sempre più Tedeschi in vecchiaia dipendano finanziariamente quasi esclusivamente dallo Stato. Un tasso di sostituzione del 48% dello stipendio medio comporta già oggi una considerevole riduzione degli standard di vita di un pensionato. Considerando che il livello delle pensioni è destinato a diminuire, molti guardano come un successo se fino al 2030 l'abbassamento si arresterà ai 45 punti percentuali (rispetto ai 43 finora previsti).

In breve, per quasi metà dei Tedeschi lo Stato sociale non può sopperire nemmeno lontanamente al mancato risparmio privato.

Chi non ha nulla non può trarre giovamento dai bassi tassi d'interesse

Altrettanto errata è la recriminazione di quanti vedono nei bassi tassi d'interesse la causa fondamentale dell'esiguo risparmio privato in Germania. Il 40% dei Tedeschi non è assolutamente nella condizione di accantonare risparmi dallo stipendio mensile. Per chi non possiede delle riserve sul proprio conto è del tutto indifferente se gli interessi sono del 10% o dello 0%.

La terza argomentazione con cui si prova a relativizzare la questione della disuguaglianza è rappresentata dalla constatazione che il risparmio privato più alto negli altri Paesi europei dipenderebbe sostanzialmente dal maggiore tasso di case di proprietà (85%) che in Germania, il “Paese degli affittuari”, è fermo al 44%. In effetti il patrimonio immobiliare ammonta a circa la metà del patrimonio privato complessivo in Europa. Attualmente i Tedeschi stanno sperimentando sulla propria pelle quanto sia faticoso far fronte ai continui rincari degli affitti. Inoltre viene a mancare una forma di assicurazione per la vecchiaia: l'acquisto di una casa di proprietà rappresenterebbe per molti, se non per tutti, un modo assennato per cautelarsi e per iniziare a disporre di un proprio capitale privato.


Chi ha guadagnato poco ora non ottiene nulla in più

Com'è possibile che in un Paese ricco come la Germania così tante persone possiedono così poco? Il motivo principale risiede nella disparità dei redditi, la cui forbice negli ultimi 30 anni si è notevolmente ampliata. Negli ultimi due decenni il 40% dei lavoratori a basso reddito ha dovuto perfino sopportare una diminuzione del proprio salario reale. Quando i redditi ristagnano o addirittura si riducono la prima cosa che generalmente si fa è salvaguardare il proprio standard di vita, limitando però le possibilità di risparmio o di accumulazione di capitale. 

Altrettanto importante è il sistema fiscale tedesco. In quasi nessun altro Paese industrializzato lo Stato tassa così poco i patrimoni e, al contrario, in modo così gravoso i redditi da lavoro. E quando i patrimoni vengono tassati i ricchi spesso la fanno franca. Un esempio calzante è rappresentato dalla tassa di successione: chi eredita più di 20 milioni di Euro paga all'incirca l'1%; coloro che invece ereditano un patrimonio ben più modesto pagano il 10% o anche di più.

I ricchi sono più istruiti ed ereditano molto

Un terzo motivo che spiega la forte disuguaglianza dei patrimoni privati in Germania è l'esiguo livello di pari opportunità e la ristretta mobilità sociale. I bambini che provengono da famiglie socialmente ed economicamente disagiate conseguono il più delle volte un diploma di basso livello, dispongono di un reddito limitato ed ereditano poco o niente. Al contrario i bambini che provengono da famiglie benestanti ricevono di norma un livello di istruzione elevato, hanno stipendi alti ed inoltre ereditano molto; i beni ereditati costituiscono quasi la metà del patrimonio complessivo di coloro che hanno accesso ad un'eredità. 


Ciò significa che i ricchi diventano sempre più ricchi e che per i poveri si fa sempre più difficile raggiungere l'ascensore sociale tramite una buona istruzione e un robusto salario. La forte disuguaglianza dei patrimoni privati non comporta unicamente che quasi la metà dei Tedeschi è fortemente dipendente dallo Stato sociale, bensì riduce anche l'uguaglianza di prospettive e la mobilità sociale, congelando con ciò le strutture vigenti.

È finalmente giunta l'ora di tenere conto dei più deboli

La grande sproporzione del patrimonio privato in Germania non è il frutto di un'economia sociale di mercato funzionante, bensì rappresenta innanzitutto il fallimento della politica tedesca dal punto di vista sociale ed economico. Alcuni politici provano a strumentalizzare il tema della disuguaglianza, sostenendo il principio secondo cui è possibile aiutare i poveri soltanto a patto di sottrarre qualcosa ai ricchi. Questo è un errore fatale. Non si può rimediare alla mancanza di pari opportunità evocando più ridistribuzione.


L'obiettivo primario per la politica dovrebbero essere un miglior sistema educativo e un corretto sistema fiscale in cui le famiglie in difficoltà, invece di essere penalizzate, possano ricevere un supporto maggiore. Ciò richiede delle politiche che, sia nell'ambito del mercato del lavoro quanto in quello della formazione, tengano conto degli interessi dei più deboli, in modo da ridurre anche il divario nelle retribuzioni. È anche necessario che la politica aiuti più di quanto fatto finora le persone prive di averi a risparmiare per crearsi un proprio patrimonio. Solo in questo modo sarà possibile disinnescare stabilmente la miccia sociale rappresentata dalla disuguaglianza economica.




Le nuove ambizioni egemoniche di Berlino dopo l'elezione di Trump

Quale sarà il ruolo della Germania durante la presidenza Trump? Secondo German Foreign Policy le élite tedesche e i media mainstream vedono in Merkel la sola forza capace di opporsi all'avanzata di Trump: probabilmente resteranno delusi. Da German Foreign Policy


Il governo federale tedesco dovrebbe schierare "l'UE per riuscire a contrastare Donald Trump" e in questo modo diventare "il salvatore del mondo libero". E' questo l'invito che arriva al governo federale dai principali media tedeschi. Per Berlino è arrivato il momento "di diventare il paese leader" nell'UE e assicurarsi la "fedeltà" degli altri stati membri. La Germania deve assumersi "la responsabilità della leadership", scrive Die Zeit. La Repubblica Federale sarebbe "l'ultima grande potenza europea", scrive Die Welt, lanciando una frecciata alla Francia, paese che nella lotta di potere di questi ultimi anni non è stato in grado di tenere il passo con la Germania e per questo ha perso molta della sua influenza. Gli osservatori non tedeschi, tuttavia, mettono in dubbio le ambizioni tedesche di leadership. Nella capitale regnano "trionfalismo e il senso di avere una missione da compiere", racconta Hans Kundnani, esperto di politica estera con una lunga esperienza alle spalle; a Berlino si è diffusa la convinzione di "avere una missione in Europa, quella di guidare gli altri sulla retta via". Nella capitale tedesca si parla molto anche della Francia: i francesi, così si dice, "devono essere messi in riga". Il governo federale nel frattempo lancia un appello per una politica militare comune "e per un'azione congiunta" contro la Russia e contro la nuova amministrazione americana. 

Salvatori del mondo libero

Il dibattito tedesco sulla posizione geopolitica di Berlino dopo l’inizio della presidenza Trump è caratterizzato da aperte ambizioni egemoniche. Il governo federale, subito dopo le elezioni americane dell’8 novembre, ha iniziato a profilarsi sulla scena internazionale come forza in grado di contrastare il vincitore delle presidenziali, in modo da poter radunare dietro di sé i numerosi avversari di Trump; la Cancelliera Merkel, nella sua prima dichiarazione dopo le elezioni americane, ha parlato di una futura cooperazione transatlantica, possibile pero' solo se sottoposta a determinate condizioni – cercando in questo modo di profilarsi sin dall'inizio come l’antagonista liberale di Trump.[1] I politici di governo, gli esperti di politica estera e i commentatori sui media main-stream hanno rilanciato l’idea [2]; il settimanale Die Zeit, un tempo considerato di ispirazione liberal, titolava su Merkel: “leader del mondo libero? Si, certo!” La Cancelliera, è scritto nell'articolo, potrebbe addirittura “diventare la nuova salvatrice del mondo libero”.[3] Con l’avvio della presidenza Trump, i principali media tedeschi descrivono Merkel come “la vera antagonista del presidente americano”: Die Welt [4] scrive addirittura che ha il potenziale “per diventare il leader dell’occidente libero”.

“L’ultima grande potenza europea”

L’interventismo in ambito geopolitico di una parte delle élite tedesche fa da corollario alla frequente esibizione di supremazia di Berlino all'interno dell’UE. Se l’UE “dovesse trasformarsi in una forza antagonista di Donald Trump”, sarebbe “un importante presupposto per un ruolo di primo piano della Repubblica Federale”, scrive Theo Sommer, ex direttore dell’edizione settimanale di Die Zeit: la Germania ora ha “la responsabilità della leadership".[5] Per questo “Berlino deve assicurarsi la fedeltà dei partner europei”. Continua Sommer, abbiamo bisogno di una "nuova narrativa della fondazione" per l'UE, "un'idea convincente per il futuro": "chi altro potrebbe darcela se non Angela Merkel?". Proprio di recente il Presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco, Wolfgang Ischinger, ha parlato della Repubblica Federale come il "il potere centrale" dell'UE descrivendo il nuovo ruolo egemonico di Berlino. [6] Die Welt scrive addirittura che la Germania è "l'ultima grande potenza europea" [7] -  un colpo basso prima di tutto alla Francia, che nella lotta per il potere con Berlino non è riuscita a tenere testa ed è quindi scivolata in secondo piano.

Il senso della missione tedesca

Da molto tempo ormai gli osservatori non tedeschi criticano le ambizioni egemoniche dell'establishment tedesco. Cosi' il britannico Hans Kundnani che da molti anni lavora a Berlino come Senior Transatlantic Fellow per il German Marshall Fund of the United States (GMFUS) fa un parallelo con l'atmosfera "successiva alla riunificazione tedesca del 1871".[9] Kundnani in un'intervista a Taz.de parla  "del trionfalismo e del senso di una missione da compiere" che si respirano nella capitale tedesca: è diffusa la convinzione "che la Germania abbia in Europa una missione, guidare gli altri sulla retta via". C'è una "tendenza tedesca a pensare: solo noi sappiamo come agire in modo corretto - gli altri in Europa semplicemente non sono in grado di capirlo". Questo atteggiamento è evidente nei rapporti con Parigi. "Mi spaventa il modo in cui, fin dall'inizio della crisi Euro, a Berlino si parla della Francia", dice Kundnani: "alcuni funzionari tedeschi di alto livello oppure i collaboratori di qualche Think-Tank parlano dei francesi con un certo disprezzo: li trovano ridicoli o addirittura stupidi". E' molto diffusa l'opinione: "i francesi non hanno capito nulla e devono essere messi in riga".

La coalizione anti-tedesca

Kundnani tuttavia dubita che alla fine Berlino nel lungo periodo riuscirà ad imporre la sua egemonia nell'UE. Il governo federale con i suoi diktat sull'austerità "negli ultimi 6 anni ha imposto all'interno della zona Euro una politica brutale"; per questa ragione la "leadership tedesca" nell'UE incontra una certa resistenza. In Europa c'è "una pressione strutturale per la creazione di una coalizione antagonista nei confronti dell'egemonia tedesca". Sul "tema della coalizione anti-tedesca, tuttavia, in Europa sono ancora molto divisi": "anche i francesi, gli italiani e gli spagnoli la temono" - perché "eventuali coalizioni anti-tedesche" potrebbero "distruggere l'Europa".[10] Di fatto fino ad ora Berlino è riuscita a superare i tentativi di costruire un simile contro-potere.

Lamentele ingiuste

Per prevenire eventuali nuovi tentativi di creare un contro-potere anti-tedesco, il presidente del Deutsches Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW) Marcel Fratzscher ha recentemente pubblicato un appello. Sicuramente in "Europa ci sono sempre più' rimostranze nei confronti della Germania", ammette candidamente Fratzscher. Tuttavia molto spesso si tratterebbe di lamentele "ingiuste" oppure "dettate dai propri interessi".[11] "Col senno di poi è sempre facile trovare errori nella leadership e criticare gli altri"; mentre la Cancelliera Merkel ha sempre mostrato "una straordinaria tolleranza, apertura e lungimiranza". Per questo "gli altri governi europei dovrebbero smettere di prendersela con la Germania, solo per distogliere l'attenzione dalle proprie debolezze", chiede l'economista.

[1] S. dazu Ein wesentlicher Teil des Westens.
[2] S. dazu Der Trump-Impuls und Make Europe great again.
[3] Robert Misik: Anführerin der freien Welt? Aber klar doch! www.zeit.de 21.11.2016.
[4] Robin Alexander: Mit dieser Strategie will Merkel Trump beikommen. www.welt.de 19.01.2017.
[5] Theo Sommer: Angela Merkel hat das Wort. www.zeit.de 24.01.2017.
[6] S. dazu Die Stunde der Europäer.
[7] Daniel Friedrich Sturm: Mit Sigmar Gabriel geht es nicht. www.welt.de 23.01.2017.
[8] S. dazu Die Abkopplung Frankreichs und Auf dem Weg in die Zweite Liga.
[9], [10] Martin Reeh: "Deutschland ist nur Halb-Hegemon". www.taz.de 03.01.2017.
[11] Marcel Fratzscher: Wird Europa Deutschland die Führung erlauben? www.project-syndicate.org 27.12.2016.



sabato 28 gennaio 2017

La conquista degli aeroporti greci da parte dei tedeschi di Fraport

La Commissione Europea ha dato il via libera all'acquisizione da parte dei tedeschi di Fraport delle concessioni per la gestione di 14 aeroporti regionali greci. Un pezzo molto pregiato nella svendita greca che garantirà al gruppo di Francoforte un ottimo ritorno per i prossimi 40 anni. Allo stato greco restano gli aeroporti meno redditizi e la consapevolezza di aver dovuto cedere ai tedeschi asset importanti nel turismo, uno dei pochi settori ancora competitivi. Da German Foreign Policy


Fra le dure proteste dei sindacati, la tedesca Fraport AG si prepara a prendere in gestione 14 aeroporti regionali greci. La concessione, per la quale Fraport aveva già ottenuto un contratto a fine 2015, trasferisce al gruppo tedesco per i prossimi 40 anni le operazioni e la gestione degli aeroporti più' redditizi. Si parla di profitti annui iniziali di oltre 90 milioni di Euro. Alle stato greco resteranno 23 aeroporti regionali, molti dei quali ampiamente in deficit, la cui gestione è particolarmente onerosa in quanto collegano isole remote con la Grecia continentale. Fra gli azionisti di Fraport c'è anche un potente oligarca greco, con cui Fraport ha collaborato sia nel caso della recente acquisizione, sia in passato nella gestione dell'aeroporto Pulkovo di S. Pietroburgo. Fraport è fra le poche aziende tedesche che ancora continuano a investire in Grecia, molte altre si sono ritirate dal paese: con la crisi i consumi sono crollati ed è difficile fare profitti interessanti. L'unico settore ancora attrattivo è il turismo, settore in cui la società Fraport pensa di ottenere profitti gestendo i voli turistici.

Sgravi fiscali

La tedesca Fraport AG a breve assumerà il controllo e la gestione di 14 aeroporti regionali greci, gli accordi per il trasferimento della concessione risalgono tuttavia al 2014 e al 2015. Il 25 novembre 2014 a Fraport era stata infatti assegnata la gestione, il 14 dicembre 2015, superando le ultime resistenze del governo Tsipras, c'è stata la firma ufficiale del contratto di concessione. A fronte di un pagamento di 1.234 miliardi di Euro e di un canone annuo, che inizialmente dovrebbe essere di 22.9 miliardi di Euro, Fraport a breve potrà prendere in gestione gli aeroporti. [1]  Il gruppo di Francoforte è riuscito ad assicurarsi condizioni contrattuali molto favorevoli. Come riportato dal giornalista Niels Kadritzke, Fraport "potrà disdire tutti i contratti di affitto e di fornitura e assegnare nuove licenze", tuttavia "le società e i ristoranti esclusi non dovranno essere indennizzati": "sarà lo stato greco a farsi carico di eventuali risarcimenti". [2] Questo vale anche per la liquidazione dei dipendenti che Fraport intenderà licenziare, e per ogni eventuale risarcimento alle vittime di incidenti sul lavoro. Atene dovrà ugualmente pagare anche nel caso in cui "eventuali ritrovamenti archeologici" dovessero rallentare i lavori di ristrutturazione, scrive il giornalista Kadritzke; il governo ha inoltre esentato Fraport da tutte le "tasse comunali e da quelle sugli immobili".

I guadagni

A ciò' si aggiunge il fatto che Fraport acquisirà solo i 14 aeroporti piu' lucrativi fra tutti i 37 aeroporti regionali. Lo stato greco mantiene un certo numero di aeroporti in costante deficit che tuttavia non possono essere chiusi perché garantiscono il collegamento di isole remote con la terraferma. Originariamente era previsto di dividere i 37 aeroporti in 2 gruppi, in modo da poter pareggiare le perdite degli aeroporti deficitari con quelli in guadagno. La Troika, sotto forte influenza tedesca, tuttavia lo ha impedito. L'agenzia greca per le privatizzazioni TAIPED, che in questo caso ha chiesto una consulenza a Lufthansa Consulting - la tedesca Lufthansa ha l'8.45% in Fraport AG - alla fine ha deciso di fare un pacchetto unico dei 14 aeroporti più' redditizi e di cederli a Fraport. Gli asset hanno garantito negli'ultimi anni profitti per 150 milioni di Euro annui. Fraport a fine 2014 aveva già comunicato di stimare un utile netto di 90 milioni di Euro annui. I restanti 23 aeroporti, molti dei quali in deficit cronico, resteranno allo stato greco, il quale si farà carico dei costi per il loro mantenimento.


Oligarchi

La Grecia non resterà tuttavia con le mani completamente vuote: Fraport AG, che a sua volta è a controllo pubblico, si è aggiudicata il contratto per la gestione dei 14 aeroporti tedeschi regionali insieme al gruppo Copelouzos, uno dei più' grandi gruppi industriali del paese. [3] Il proprietario, Dimítris Copeloúzos, è uno dei più' potenti oligarchi greci, nel 1991 insieme a Gazprom ha fondato la Prometheus Gas S.A, società per l'importazione di gas russo in Grecia. Per l'ambasciata americana di Atene, secondo un documento pubblicato anni fà da Wikileaks, Copeloúzos - a differenza di altri oligarchi greci, che hanno creato la loro ricchezza soprattutto nei rapporti con i paesi occidentali - "ha legami ampi e crescenti con la Russia e gli interessi russi". [4] Fraport collabora con lui già da molti anni all'aeroporto Pulkovo di San Pietroburgo, dove il gruppo di Francoforte ha il 35.5 %, mentre il Copelouzos Group controlla il 7%. Con l'ampliamento della collaborazione, il gruppo Fraport contribuisce a stabilizzare l'influenza del discusso oligarca greco.

I conquistatori

Il trasferimento dei 14 aeroporti regionali sotto il controllo tedesco suscita da tempo violente proteste. Cosi' il sindacato greco dell'aviazione civile OSYPA, nel gennaio e nel giugno 2016, ha indetto diversi scioperi contro l'ingresso di Fraport. In aggiunta ha presentato un ricorso presso la Commissione UE. Con il controllo dei 14 aeroporti regionali, secondo il sindacato, Fraport avrebbe di fatto un monopolio - "una posizione privilegiata nel mercato interno, che le permetterebbe di determinare i prezzi e la strategia di business indipendentemente dalle necessità degli utenti degli aeroporti regionali". Inoltre, sempre secondo il sindacato, le concessioni dovrebbero essere autorizzate solo per il tempo necessario ad ottenere profitti ragionevoli; e a Fraport per fare questo probabilmente basteranno solo 20 anni, cioè dopo appena la metà della durata dei 40 anni della concessione. Il leader del sindacato OSYPA Vasílis Alevizópoulos ha annunciato che la battaglia contro l'ingresso di Fraport è solo all'inizio. Ha poi spiegato: "non sono degli investitori, sono dei conquistatori".


[1] Es handelt sich um die Flughäfen in Thessaloniki, Chaniá (Kreta), Rhódos, Santoríni, Míkonos, Aktío (bei Préveza), Kavála, Kefaloniá, Kérkira (Korfu), Kos, Sámos, Mitilíni, Skiáthos und Zákinthos.
[2] Niels Kadritzke: Privatisierungsschwindel in Griechenland. www.monde-diplomatique.de 09.03.2016.
[3] Die Fraport AG gehört zu 31,34 Prozent dem Bundesland Hessen sowie zu weiteren 20,01 Prozent den Stadtwerken Frankfurt am Main.
[4] Dimitrios Copelouzos and the Copelouzos Group: Gazprom by any other name? wikileaks.org.
[5] Giorgos Christides: "Sie sind Eroberer, keine Investoren". www.spiegel.de 24.10.2016.



mercoledì 25 gennaio 2017

Lo smarrimento dell'establishment tedesco dopo le prime dichiarazioni di Trump

Sebastian Müller e Heiner Flassbeck su Makroskop ripercorrono le prime dichiarazioni di Trump e le reazioni della politica tedesca. Il mercantilismo praticato dalla Germania è illegale e la posizione tedesca è sempre piu' indifendibile. Da Makroskop.de

Nel nostro paese c'è grande smarrimento dopo l'intervista di Trump alla Bild-Zeitung. Forse qualcuno ha davvero paura che il nuovo presidente americano capisca veramente cosa non funziona nel commercio internazionale?

Quando Donald Trump è stato eletto presidente, noi di Makroskop ne avevamo già parlato. E proprio all'inizio dell‘anno Trump ha minacciato la Cina di imporre tariffe doganali del 45% sulle importazioni cinesi. Era già chiaro dove il viaggio appena iniziato ci avrebbe portato. Poco dopo l'annuncio di Trump sulla Cina, il 13 gennaio Heiner Flassbeck sulle pagine di questo sito scriveva:

"La Germania dovrebbe fare molta attenzione a come Trump si comporterà nei confronti della Cina. In questa partita internazionale anche il paese tedesco – il membro del G20 con il più grande surplus commerciale (pari al 9% del PIL) – ha molto da perdere.

Gli Stati Uniti sono il partner commerciale con il deficit più grande nei confronti della Germania (60 miliardi di Euro). Presto o tardi Trump se ne accorgerà. È probabile che accada proprio quando il suo ministro delle Finanze gli presenterà il Currency Report annuale nel quale vengono elencati, dal punto di vista americano, i più grandi peccatori in materia di commercio internazionale"

Trump tuttavia se ne è accorto molto più' rapidamente di quanto da noi previsto. Dopo appena 2 giorni non solo ha preso atto del grande deficit commerciale nei confronti della Germania, ma in una importante intervista congiunta alla Bild e al Times ha annunciato anche le prime conseguenze. Il neo-presidente ha detto molto chiaramente alla Germania, come aveva già fatto con la Cina, che non è più' disposto a tollerare i grandi avanzi commerciali tedeschi nei confronti dell'America. Il commercio non può' essere una strada a senso unico, è stato il suo argomento principale. Inoltre ha minacciato di imporre dei dazi sui costruttori tedeschi, in particolare BMW, nel caso in cui intendano costruire in Messico le auto per il mercato americano:

"Possono costruire auto per gli Stati Uniti, ma per ogni auto importata negli Stati Uniti pagheranno il 35% di dazio" - Donald Trump

Il mercantilismo tedesco è illegale

Si può' forse non essere d'accordo, quando il presidente della piu' grande potenza economica mondiale ci ripete ancora una volta una verità indiscutibile, e cioè che il commercio non può' essere una strada a senso unico? Si puo' forse dare la colpa a Trump di fare sul serio quando dice di voler ridurre il deficit commerciale estero di 800 miliardi di Euro annui, deficit di cui anche gli altri presidenti americani avevano parlato, senza peraltro aver mai fatto nulla di concreto nei confronti dei paesi in surplus?

Il neo Presidente degli Stati Uniti nel caso di un ricorso al WTO potrebbe addirittura avere ragione. Perché se Trump decidesse di aumentare i dazi sui prodotti tedeschi importati, sarebbe in linea con le regole del WTO: i paesi con un elevato surplus commerciale possono essere legalmente minacciati e in caso estremo anche sanzionati. Dall’articolo XII del trattato GATT del 1947 emerge chiaramente come i grandi avanzi commerciali tedeschi siano illegali:

“…, allo scopo di difendere la loro posizione finanziaria verso il mondo e la loro bilancia dei pagamenti, le parti possono ridurre la quantità di importazioni… nell'esercizio delle loro politiche interne le parti si impegnano a garantire e salvaguardare l’equilibrio duraturo nella loro bilancia dei pagamenti e ad evitare uno spreco nell'impiego delle risorse economiche. Riconoscono che per il raggiungimento di questo obiettivo è auspicabile prendere tutte le misure necessarie per rafforzare il commercio internazionale“

In base a questo trattato, la Germania dovrebbe adottare delle misure per poter garantire un equilibrio nella bilancia commerciale. Dovrebbe in particolare promuovere l’import di merci estere, in quanto nel complesso il commercio internazionale sarebbe rafforzato. Beninteso, questo è un estratto da un trattato che la Germania ha firmato e al cui rigoroso rispetto si è impegnata, con gli altri paesi e con gli Stati Uniti.

Le reazioni del governo tedesco e di una larga parte della stampa non sono affatto giustificate. Il Ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, che dopo il messaggio di Trump alla Germania chiede il rispetto dei trattati internazionali, dovrebbe informarsi meglio, prima di rilasciare certe dichiarazioni arroganti:

“Ci aspettiamo che i nostri partner americani continuino a rispettare gli impegni internazionali e le norme del WTO”

Se fino ad ora la Germania è stata poco ragionevole, dipende probabilmente anche dal fatto che la politica di dumping salariale è stata protetta dal muro difensivo dell’unione monetaria ed in questo modo è riuscita ad evitare le sanzioni del WTO. Ma come spesso accade in ambito giuridico probabilmente fino ad ora è mancato solo qualcuno disposto a fare una denuncia formale.

L'articolo XII del Gatt non è stato fino ad ora preso in considerazione in quanto spesso ci sono stati altri modi piu’ eleganti per fermare l'esuberanza dei paesi con elevati avanzi commerciali. Negli anni '80 ci furono gli accordi di cambio che su pressione degli americani forzarono gli altri paesi ad accettare un deprezzamento del dollaro statunitense con il loro sostegno attivo. Nel caso dei grandi avanzi commerciali cinesi c'è stata invece una pressione verso l'apprezzamento. La Cina alla fine ha deciso di cedere alla pressione politica degli americani facendo aumentare notevolmente i salari domestici e in questo modo ha ridotto la competitività del paese.

I difensori tedeschi del libero scambio.

La critica che i media fanno al protezionismo trumpiano tuttavia si fonda su una doppia morale. Non solo perché anche il governo Obama ha applicato una politica simile nei confronti della Cina con l'introduzione nel settembre 2009 di un dazio del 35% sull'import di pneumatici cinesi. Anche la UE sta attualmente pensando di introdurre un dazio sull'acciaio cinese del 265%, invece dell'attuale 20% - come  sui prodotti americani. La motivazione suona alquanto trumpiana: per salvare l'industria siderurgica europea e contro la "concorrenza sleale".

Una guerra commerciale oppure una guerra valutaria combattuta a colpi di svalutazioni competitive non potrebbe tuttavia essere attribuita agli americani. Si tratterebbe probabilmente molto piu' dell’inevitabile conseguenza di una discutibile strategia commerciale tedesca, come scritto da Heiner Flassbeck nell’articolo sopra menzionato:

"In Germania e in Cina ci si dimentica poi di un altro aspetto: chi costantemente accumula surplus danneggia di fatto i paesi in deficit, inondando il mercato con i suoi prodotti ed esportando disoccupazione. Inoltre, l’incremento del benessere nel commercio estero non viene equamente distribuito fra i paesi in disavanzo e quelli in avanzo. Il Paese in surplus vince sempre, quello in deficit non può che perdere. Ciò contraddice l’idea stessa di libero scambio e la speranza che a trarne vantaggio siano tutti in egual misura."

Proprio in questa prospettiva è necessario interpretare il messaggio di Trump quando sostiene di essere per il libero scambio, ma non ad ogni costo. Il repubblicano avverte chiaramente che il successo dell'export tedesco si fonda su condizioni inique:

"Mi piace il libero commercio, ma deve essere un commercio intelligente, affinché io possa considerarlo anche giusto"

Con una ostinata autoesaltazione e con l’abituale unità di vedute, la stampa tedesca ha reagito in difesa dell’indifendibile posizione tedesca. Jan Schmidbauer, ad esempio, sulla SZ argomenta secondo il tipico punto di vista tedesco: “se i produttori tedeschi in America hanno una presenza più’ forte rispetto a quella dei produttori americani nel nostro paese”, secondo Schmidbauer, “non dipende dalle condizioni commerciali inique, ma dall'elevata qualità delle auto”. Il Ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, che dopo tutto è responsabile per il commercio estero, ha colpito esattamente sulla stessa linea. La sua geniale proposta per ridurre il deficit degli Stati Uniti è:

“Devono costruire auto migliori”

Il suo collega Wolfgang Schäuble non è da meno e sa che gli avanzi commerciali sono fondati sulla forza dell’economia tedesca. E aggiunge, per portare l’assurdità al livello più estremo, "questa economia forte è un importante contributo per l’Europa ed un contributo dell’Unione Europea per l’economia globale".

Ma un commercio internazionale equo non dipende solo dalla qualità delle merci, ma anche e soprattutto dal fatto che la qualità di ogni singolo prodotto si rifletta in maniera adeguata nel suo prezzo. Chi pero’ per anni ha esercitato una pressione politica sulle parti sociali spingendo verso il basso i salari, come è accaduto in Germania, e per farlo si è servito della protezione di un Euro debole (espressione usata da Schäuble), ha di fatto violato sistematicamente le regole del giusto commercio. Un commercio giusto può’ esistere solo se in ogni paese i salari crescono quanto la produttività più’ l’obiettivo di inflazione del paese, e se le differenze negli obiettivi di inflazione fra i diversi paesi sono recuperati con le rivalutazioni e le svalutazioni delle valute nazionali.

L'Europa è uno strumento della Germania

Alla fine, e questo è impressionante, Trump sembra capire (oppure indovinare) che il problema del mercantilismo tedesco non riguarda solo gli Stati Uniti. Il dumping tedesco viene fatto soprattutto a spese dei vicini europei. Che come l'Italia, ad esempio, possono sfuggirgli solo con una posizione di avanzo delle partite correnti, vale a dire con un'alta disoccupazione e molti annti di contrazione economica, e per questa ragione importano sempre meno beni. Quando Trump parla di "Europa come veicolo tedesco", centra il punto, e di fatto rende ridicola la posizione di Schäuble, in maniera incredibilmente precisa. Dopo che l'amministrazione Obama lo aveva chiesto più' volte alla Germania, ora c'è un presidente americano che si leva i guanti e lo dice con parole chiare:

"guardi la Gran Bretagna e guardi l'Unione Europea, che è la Germania. In sostanza, l'Unione Europea è un mezzo per gli obiettivi della Germania. Per questo io penso che per la Gran Bretagna l'uscita sia stata una scelta intelligente...Se me lo chiede, ci saranno altri paesi ad uscire"

La reazione della Cancelliera è arrivata ieri:

"Io credo che noi europei abbiamo il destino nelle nostri mani"

Quello che la Cancelliera non ha ancora capito e probabilmente non capirà mai: gli europei non ci sono piu'. Alcuni nelle prossime settimane, dopo le critiche di Trump, forse avranno anche il coraggio di dire delle verità abbastanza semplici sulle reali cause della crisi europea e sull'egemonia tedesca. 

venerdì 20 gennaio 2017

La deriva negazionista di Alternative für Deutschland

AfD è un contenitore politico variegato, ma nell'Est del paese ci sono personaggi politici alquanto discutibili. Björn Höcke, leader di AfD in Turingia ed esponente dell'ala piu' nazionalista, durante il discorso di martedì a Dresda ha lanciato una svolta negazionista, forse solo una provocazione per dare visibilità al partito, la stampa tedesca tuttavia si interroga sulla vera natura di questo movimento. Da thueringen24.de

Bjorn Hocke

"Vorrei che foste i nuovi prussiani", ha detto martedì sera a Dresda davanti al suo pubblico il presidente regionale della AfD in Turingia Björn Höcke. Era stato invitato a parlare dalla Junge Alternative (JA), il gruppo giovanile della AfD. Nella sala da ballo del birrificio Watze, il discorso di Höcke è l'apice della serata, e il pubblico ha accolto il politico 44enne con grande calore e molti applausi. 


Ci riprenderemo la Germania pezzo per pezzo

Sono un oratore scomodo, ha detto all'inizio del discorso il politico della AfD parlando di sé. Dresda, secondo Hocke, è la capitale dei "cittadini coraggiosi", e dovrebbe diventare la capitale tedesca. Durante l'intervento il tono del discorso è andato crescendo. Il governo tedesco è un regime, secondo Höcke, "l'esercito tedesco è diventato una truppa d'intervento multiculturale al servizio degli Stati Uniti e una minaccia per il popolo tedesco". Secondo il teorico della razza Björn Höcke, la pace sociale in Germania sarebbe minacciata dall'importazione "di popolazioni straniere".


Il parlamentare regionale della AfD ha continuato con sempre maggiore intensità nella descrizione del suo scenario minaccioso. Solo la AfD puo' ancora salvare la Germania, ha spiegato Hocke al pubblico. "Ci riprenderemo la Germania pezzo per pezzo". Come questo dovrebbe accadere pero' non lo ha spiegato nei dettagli, tuttavia ha ripetuto piu' volte che il suo partito rappresenta "l'ultima possibilità di farlo in maniera pacifica".




Höcke: "il paese ha bisogno di una chiara vittoria di AfD"

Nella parte centrale del suo discorso Höcke ha delineato la sua idea di partito: AfD deve restare "un partito-movimento, fondamentalmente di opposizione, che non dovrà perdere il contatto con la società civile". Anche quando sarà rappresentata in Parlamento, AfD dovrà restare un gruppo movimentista sempre in contatto con i cittadini.

"Resisteremo fino a quando non avremo raggiunto il 51%", ha promesso Höcke. Unica alternativa: andare al potere come partner di maggioranza insieme ad un "vecchio partito", il partito alleato pero' dovrà cambiare radicalmente. "Questo paese ha bisogno di una netta vittoria di AfD", ha detto forte e chiaro Höcke davanti al suo pubblico in sala.

Il memoriale dell'olocausto per Höcke è "un monumento della vergogna"

Il suo tono è cambiato nuovamente nella terza parte del discorso. Il politico della Turingia è diventato un po' piu' tranquillo, ma si è fatto piu' tagliente. Il bombardamento di Dresda, ha continuato il 44enne, è stato un crimine di guerra, comparabile con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Secondo Höcke gli alleati "con il bombardamento delle città tedesche volevano solo privarci della nostra identità collettiva". Facendo riferimento alla presunta denazificazione, il politico della AfD, rappresentante dell'ala nazionalista del suo partito, ha detto che "il processo di rieducazione iniziato nel 1945" è quasi riuscito.


"Fino ad oggi non abbiamo potuto commemorare le nostre vittime", ha detto Höcke. "I tedeschi sono il solo popolo al mondo ad aver messo nella propria capitale un monumento della vergogna", ha continuato il politico della AfD riferendosi al Memoriale dell'Olocausto in centro a Berlino. 

Il candidato al Bundestag della AfD parla di "culto della colpa"

Il politico della Turingia, emerge chiaramente dal suo discorso, vorrebbe una rivisitazione della storia tedesca, che secondo lui fino ad ora è stata rappresentata in maniera triste e ridicola. Se AfD dovesse salire al potere, i libri di storia dovranno essere riscritti. "Questa ridicola politica di superamento ci paralizza. Abbiamo bisogno di una svolta a 180 gradi sul tema della memoria politica" ha continuato Höcke alla fine del suo discorso. In futuro, invece degli ebrei e degli altri perseguitati dai nazisti, sarà necessario ricordare le vittime tedesche.


In maniera del tutto simile si è espresso anche Jens Maier, candidato della AfD al Bundestag per Dresda, che ha parlato prima di Höcke. Anche Maier ha detto che "è arrivato il momento di superare completamente il culto della colpa". Il riferimento era alla Shoah e ai suoi milioni di vittime.



domenica 15 gennaio 2017

Lettera da una colonia

Il Ministro delle Finanze greco Euclid Tsakolotos in una lettera a Jeroen Djesselbloem, presidente dell'Eurogruppo, riconosce ufficialmente lo status di colonia del suo paese e rassicura i creditori internazionali. Ottima traduzione di Claudio dal sito di Norbert Haering, economista e giornalista tedesco. Da norberthaering.de.

Il 23 dicembre 2016 Euclid Tsakolotos ha scritto una lettera al presidente dell'informale “Eurogruppo” Jeroen Djesselbloem, nella quale rassicura il burocrate olandese che il suo governo non prenderà mai decisioni senza il beneplacito dei rappresentanti dei creditori ad Atene. Ciò varrà per tutte le questioni che implicano uso del denaro, anche nel caso in cui gli obiettivi di budget fossero già stati raggiunti. Lo scopo è quello tipico delle colonie: drenare più denaro possibile. 

I diversi governi greci degli anni passati avevano operato a più riprese drastici tagli alle pensioni. Per quest'anno il governo aveva annunciato di voler impiegare il surplus di bilancio superiore al previsto per inserire una tantum, quantomeno nelle pensioni più basse, la “tredicesima” natalizia precedentemente cancellata. In seguito a ciò il governo tedesco aveva chiesto un parere alle varie istituzioni che dovrebbero tutelare gli interessi dei creditori per sapere se i Greci potessero permettersi una tale iniziativa. La risposta è stata: non possono. 

Successivamente il Ministro delle Finanze greco Tsakolotos ha scritto una lettera a Djesselbloem, nella quale assicura (n.d.T. segue traduzione dell'autore dall'inglese):


“Il governo greco non ha alcuna intenzione di venire meno all'impegno preso e cioè di conseguire gli obiettivi fiscali concordati, i quali prevedono avanzi primari di bilancio (ossia precedenti al pagamento degli interessi su debito) dello 0,5%, 1,75% e 3,5% rispettivamente per gli anni 2016, 2017 e 2018.”


Nel caso in cui gli obiettivi per il 2016 - contro ogni aspettativa - non venissero rispettati, garantisce che le pensioni verrebbero decurtate dell'ammanco. Inoltre:


“sulla procedura: sono consapevole che le decisioni con ripercussioni finanziarie devono essere discusse e concordate con le istituzioni, in sintonia con i nostri obblighi derivanti dal MoU (n.d.T. Memorandum di intesa). In particolare, in caso di permanente surplus fiscale rispetto agli obiettivi del programma, concorderemo con le istituzioni l'utilizzo dei margini di budget disponibili. Siamo consapevoli che tale margine possa essere utilizzato per misure tese al consolidamento della rete di protezione sociale (segnatamente il programma sociale di sussidio di solidarietà) e/o per ridurre il carico fiscale, sempre nel rispetto degli obblighi derivanti dal MoU. In caso contrario il surplus fiscale verrà impiegato come ammortizzatore finanziario o per saldare i pagamenti arretrati.”


In altre parole Tsakolotos assicura che l'autorità dei rappresentanti (informalmente costituitisi) della Banca Centrale Europea (BCE), della Commissione Europea, del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e del Meccanismo Europeo di stabilità (MES) non verrà più messa in dubbio e che non verranno intraprese azioni senza un'esplicita autorizzazione. Il parlamento greco viene pertanto completamente esautorato. La Corte Costituzionale era stata già da tempo ignorata. Questa lettera era condizione necessaria affinché i creditori concedessero alla Grecia un assai contenuto alleggerimento del debito. A discapito di tutte le promesse non è invece previsto un taglio del debito che consentirebbe un giorno alla Grecia il ritorno all'autonomia. Resta implicita la minaccia che “ senza il nostro assenso vi vedrete costretti a dichiararvi insolventi e ciò comporterebbe un arresto nel meccanismo di rifinanziamento delle banche greche da parte della BCE e una conseguente espulsione dall'Euro.”

Prima del coinvolgimento del MES il gruppo informale che governa ora ad Atene veniva chiamato Troika, adesso taluni cominciano ad usare il termine Quadriga. Però, dal momento che il modo di agire di questo gruppo è particolarmente sfrontato e totalmente distante dai metodi democratici, questo nome risulta completamente screditato e nel frattempo si preferisce usare ufficialmente – aderendo ai dettami della neolingua – il termine “le Istituzioni”: coloro il cui nome non deve essere pronunciato. La Troika si insediò di nascosto nel 2010. Il presidente della Commissione Europea Juncker aveva in realtà annunciato la sua abolizione, dopo che in seno al Parlamento Europeo era nata una disputa circa l'operato antidemocratico e privo di un investitura ufficiale di questo gruppo. Tale decisione ha però incontrato la tenace opposizione di Schäuble. La BCE, che non ha la facoltà di intrattenere affari governativi nei paesi membri dell'Unione Europea, non ha mai preso la decisione di prendere parte all'ex Troika (ora Quadriga). Questo è quanto l'allora Presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, stipulò a porte chiuse con Schäuble e gli altri.

L'Eurogruppo dei Ministri delle Finanze della zona Euro, il cui presidente è Djesselbloem, non è previsto in nessun punto dei trattati europei. Pertanto non sussistono nemmeno regole a riguardo. A capo di questa sorta di reggimento, secondo quanto affermano in modo pressoché unanime vari insider, andrebbe collocato il Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. L'Eurogruppo e le “Istituzioni” non hanno bisogno di una fondamento giuridico per esercitare il potere: ci pensa la BCE a fare in modo che il governo greco se ne stia buono a cuccia. Difatti, da quando l'anno scorso si è verificata la chiusura delle banche, non vi è alcun dubbio che essa sia pronta a esercitare nuovamente la propria facoltà di poter portare al fallimento da un momento all'altro il sistema bancario greco, qualora quest'ultimo non si dimostrasse più allineato.

Finora il Ministro delle Finanze Tsakolotos ha sempre manifestato un atteggiamento ossequioso nei confronti delle “Istituzioni”: amico di vecchia data del banchiere centrale Stournaras, nella primavera del 2015 il primo Ministro Tsipras affidò a lui le redini della conduzione dei negoziati, dopo aver deciso di togliere l'incarico al “ribelle” Varoufakis. In seguito alle dimissioni di quest'ultimo la carica di Ministro delle Finanze fu ricoperta proprio da Tsakolotos.

Tuttavia la lettera di sottomissione di Tsakolotos non rappresenta ancora il capitolo conclusivo di questa cupa vicenda: l'FMI continua a insistere sull'abbassamento della soglia di reddito a partire dalla quale viene esentato l'obbligo fiscale. Anche le fasce di popolazione a reddito più basso dovranno contribuire massicciamente affinché i crediti rivendicati dalle banche nei confronti della Grecia – che, con un gesto di magnanima generosità, Schäuble & Co. hanno deciso di sobbarcarsi – vengano ripagati. Con questi crediti, inizialmente, è stato finanziato l'acquisto di sottomarini e altro armamentario bellico provenienti da Francia e Germania, cui vanno aggiunte le varie mazzette imprescindibili per la conclusione di tali accordi.