martedì 2 febbraio 2021

Quanto bisogna guadagnare in Germania per essere considerati ceto medio?

Dove inizia il ceto medio e quanto bisogna guadagnare in Germania per poterne fare parte? La distribuzione della ricchezza e dei redditi in Germania è cosi' polarizzata che quando si parla di ceto medio, in realtà ci si riferisce alla parte piu' ricca e tuttavia minoritaria del paese. Una riflessione molto interessante del grande Norbert Häring, commentatore e giornalista su Handelsblatt


Quella comunemente definita come classe media in realtà è già classe abbiente

Le persone di solito hanno un'idea completamente distorta di quanto poco guadagni e possegga il cittadino medio. Coloro che in realtà fanno parte della classe piu' abbiente, continuano invece a considerarsi parte della classe media. La politica per la cosiddetta classe media si è rapidamente trasformata in un sostengno alle élite.

A differenza degli Stati Uniti, ad esempio, essere ricchi in Germania è ancora considerato piuttosto imbarazzante e disdicevole. Tutti vorrebbero appartenere alla classe media, non solo i multimilionari come Friedrich Merz (CDU) o i redditi elevati come il ministro delle finanze Olaf Scholz (SPD).

Se si chiede ai tedeschi quale sia il confine per poter essere considerati ricchi, il limite inferiore di solito viene fissato intorno ad un reddito tra i 7.000 e i 10.000 euro netti al mese, riferisce su Handelsblatt Judith Niehues, responsabile per lo sviluppo del metodo di ricerca presso l'Institut der deutschen Wirtschaft (IW). Secondo l'esperta, infatti, i tedeschi suppongono che un quinto della popolazione ogni mese guadagni tale somma.

Ma la realtà è ben diversa: in Germania secondo l'IW al massimo è il 3% delle famiglie a disporre di un simile reddito netto mensile. Se si dovesse considerare ricco il 20% delle famiglie tedesche con il reddito piu' alto, allora si sarebbe già ricchi con un reddito netto di poco meno di 3.000 euro mensili.

Se dovessimo applicare lo stesso metro di giudizio, il ministro delle finanze Scholz apparterrebbe senza ombra di dubbio alla cerchia dei ricchi. Il politico della SPD, infatti, recentemente ha scatenato un acceso dibattito dopo aver risposto alla domanda se poteva essere definito "ricco", affermando che guadagnava "abbastanza bene". Ma che comunque non si considera ricco, aveva poi aggiunto il candidato alla Cancelleria della SPD.

Secondo il Ministero federale delle finanze, Scholz come ministro federale prende uno stipendio mensile di circa 15.500 euro, compresi i vari supplementi. Sua moglie, il ministro dell'istruzione del Brandeburgo, Britta Ernst, incassa circa 14.000 euro al mese. Insieme, una coppia senza figli, arrivano così a poco meno di 30.000 euro di guadagno lordo mensile.

Un limite superiore della classe media alquanto generoso

Per l'esperta dello IW Niehues, la fascia superiore della classe media inizia a una volta e mezzo il reddito mensile mediano netto, vale a dire da poco meno di 2.000 euro netti, e si estende fino a due volte e mezzo questo importo: sarebbero all'incirca poco meno di 4.900 euro netti al mese. Per loro, la ricchezza inizia sopra questa soglia. Solo il 3,3% delle famiglie in Germania avrebbe "un reddito elevato", almeno secondo questa definizione - e i coniugi Scholz sono tra questi. Al contrario, il 15% della popolazione appartiene alla classe media superiore, sempre secondo questa definizione.

Stefan Bach, esperto di fisco e di redistribuzione presso l'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), pone ancora più in alto il limite superiore per la classe media. Per lui chi guadagna 60.000 euro netti all'anno, è già un "besserverdiener", vale a dire un passo intermedio sul percorso verso la ricchezza. "Molti al di sopra di questo dato, probabilmente si sentono ancora classe media, non solo il signor Merz", giudica Bach.

Bach traccia la linea di confine della ricchezza laddove inizia il centile superiore in termini di reddito. Per appartenere a questa cerchia, infatti, bisogna guadagnare almeno 160.000 euro lordi all'anno. Sempre secondo questa definizione, Scholz sarebbe tra le persone piu' ricche del paese.

È ancora più difficile fare parte dei ricchi in termini di reddito percepito se si prende come metro di misura l'imposta sulla ricchezza, che come persona singola deve pagare un'aliquota maggiorata del 45% a partire da un reddito imponibile di 265.327 euro lordi. Questa aliquota riguarda infatti 163.000 contribuenti, vale a dire circa lo 0,2% della popolazione. (...)

Ricco con solo una macchina

La ricchezza è distribuita in maniera ancora più ineguale rispetto al reddito. A una maggioranza di non abbienti, infatti, si contrappone una minoranza di persone con delle grandi fortune. Nel mezzo si trova una classe media piuttosto piccola e ricca.

Secondo lo studio condotto in luglio dal Pannello Socio-Economico (SOEP) del DIW, in termini di patrimonio netto, dopo aver dedotto i debiti, per appartenere alla metà più ricca della popolazione è sufficiente un auto nuova di classe media: vale a dire circa 23.000 euro. La metà inferiore della popolazione ha tanti debiti quanti beni possiede, se considerata nel suo insieme.

Con un patrimonio netto di 126.000 euro, cioè circa una casa pagata a metà nella fascia di prezzo piu' bassa, si appartiene al 25 % più ricco della popolazione tedesca. Una casa pagata in questa fascia di prezzo (279.000 euro) è sufficiente per avere un posto fra il 10% più ricco. Con una casa a schiera senza ipoteca in città (438.000 euro), si appartiene già al cinque per cento più ricco. Poi c'è un salto più grande.

I ricchi hanno beni a rendimento più elevato

Gli esempi non sono stati scelti a caso. Per gli strati di reddito più bassi, il mezzo di trasporto è di solito il bene più importante. Nella fascia di reddito piu' alta, dove inizia la ricchezza, i beni consistono principalmente in immobili e nella casa in cui si vivie. Per i più abbienti, inoltre, c'è qualche proprietà data in affitto.

Coloro che invece appartengono all'1% più ricco e soprattutto allo 0,1 % più ricco, posseggono soprattutto beni di natura aziendale.  Per appartenere al primo gruppo menzionato, bisogna avere 1,3 milioni di euro netti; con circa 5,5 milioni di euro invece si appartiene già al millesimo più ricco.

In genere, i beni aziendali danno il rendimento più alto, le auto quello più basso. In uno studio del 2019, Ederer, Mayerhofer e Rehm hanno dimostrato che più alta è la ricchezza dei proprietari, più alto sarà  il rendimento medio dei loro attivi.

Chi diventerà milionario?

Il tipico milionario ha l'aspetto che molti si immaginano: un signore bianco, anziano, di origine tedesca (occidentale) o nelle parole del SOEP: "Hanno più probabilità in media di essere milionari i maschi, con un livello di istruzione superiore alla media, sono mediamente più vecchi del resto della popolazione e hanno un background migratorio inferiore alla media".

I milionari hanno anche, non a sorpresa, un reddito netto molto più alto della media (reddito familiare ponderato) di oltre 7.600 euro netti e risparmiano più della media. Questo è un altro motivo per cui possono accumulare ricchezza aggiuntiva più velocemente rispetto ai non-milionari.

Quando i milionari lavorano, di solito sono lavoratori autonomi, imprenditori, oppure sono in una posizione manageriale o esecutiva simile. Quelli che lavorano, con 47 ore alla settimana, lavorano molto più della media. Il DIW non dice qual'è la percentuale di milionari che lavora.

Se chiedete ai milionari come sono diventati ricchi, il lavoro e l'abilità imprenditoriale sono stati i fattori principali. L'eredità, i doni e la fortuna, d'altra parte, hanno giocato solo un ruolo subordinato, almeno secondo la loro auto-percezione. (...)

Implicazioni per la politica

La tendenza a includere nella classe media persone che possono spendere il triplo dei soldi rispetto alle persone della cosiddetta "classe media inferiore" e la forte distorsione della percezione di ciò che mediamente si guadagna indicano che molto di ciò che viene venduto e percepito come politica per la classe media, in realtà è una politica per una classe superiore. Al contrario, i benefici sociali e le politiche che il pubblico percepisce come benefici per una classe di persone svantaggiate, in realtà sono benefici per la classe media.


La Sonderweg di Berlino

Ancora una volta sulle regole di ingresso in Germania per i viaggiatori provenienti dall'estero, il governo di Berlino si è mosso da solo, come del resto aveva già fatto a marzo 2020 durante la prima ondata di contagi, quando aveva chiuso il confine con la Francia, oppure quando pochi giorni fa ha dichiarato unilateralmente superata la disciplina sul pareggio di bilancio, che ai tempi di Schäuble invece aveva imposto ai paesi del sud-Europa. Una storia interessante fatta di eccezioni e trattamenti speciali, ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy

"Ha incontrato una certa incomprensione"

La settimana scorsa, il governo tedesco, come riportano i media, ancora una volta ha deciso di muoversi "da solo" [1] a livello nazionale per imporre delle severe restrizioni agli ingressi nel paese nel tentativo di contrastare la pandemia. I ministri degli interni dell'UE nell'ambito di una videoconferenza congiunta, infatti, non erano riusciti a concordare delle regole comuni. Alla fine della conferenza non era stato ipotizzato alcun rafforzamento dei controlli alle frontiere corrispondente con la "proposta tedesca"; durante la conferenza, infatti, le richieste del Ministro degli Interni Horst Seehofer erano state accolte con una certa "incomprensione" da parte dei suoi omologhi dell'UE. La Commissaria europea per gli affari interni Ylva Johansson, da Bruxelles aveva messo in guardia contro l'adozione di misure troppo drastiche, in quanto queste avrebbero indebolito l'economia e i sistemi sanitari degli stati membri. L'UE ha bisogno di un "approccio equilibrato", aveva detto la Johansson. Seehofer invece subito dopo l'incontro ha annunciato che Berlino avrebbe semplicemente implementato le misure desiderate in maniera autonoma.

"Pericolo per il mercato interno"

La questione controversa non era stata disinnescata nemmeno nell'ambito dell'ultimo vertice straordinario fra i capi di stato e di governo dell'UE del 21 gennaio, vertice indetto per cercare un approccio coordinato alla pandemia fra i paesi UE. [2] Al vertice la Cancelliera tedesca Angela Merkel aveva chiesto un approccio unificato dell'UE nei confronti della seconda ondata pandemica, approccio che dovrebbe includere non solo gli stati dell'Unione europea, ma anche i paesi vicini come la Svizzera. La Commissione UE aveva riferito che l'aumento dei controlli alle frontiere oppure la loro chiusura rappresentavano un "pericolo per il mercato interno europeo". Il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas, ad esempio, si era espresso in maniera chiara contro i divieti di viaggio generalizzati. Poco dopo, invece, la Germania ha emesso norme di ingresso più severe per circa due dozzine di paesi, fra questi anche le classiche destinazioni turistiche europee come il Portogallo. [3]

Un affronto agli alleati

I divieti d'ingresso introdotti da Berlino in maniera autonoma a fine mese prevedono dei divieti per le compagnie aeree, per le compagnie ferroviarie, di autobus e di navigazione, divieti che dureranno almeno fino al 17 febbraio. Ad essere particolarmente colpiti sono stati Irlanda e Portogallo, oltre a Gran Bretagna, Sudafrica e Brasile. Inizialmente non dovevano essere previsti controlli alle frontiere, è stato riferito, anche se la Germania "potrebbe essere raggiunta in ogni caso via terra dal Portogallo", dove "è stata comunque ordinata la chiusura della frontiera con la vicina Spagna" a causa del numero particolarmente elevato di contagi. [4] L'obiettivo è quello di prevenire la diffusione nella Repubblica Federale delle recenti mutazioni del virus provenienti dalle "zone di origine della mutazione". Berlino aveva già reso più difficile l'ingresso in Germania dividendo circa 160 paesi in tre gruppi di rischio; i viaggiatori che desiderano entrare nel paese devono ora rispettare dei regolamenti di diversa severità. Al confine ceco-tedesco, ad esempio, sono state segnalate lunghe "code e ingorghi", dato che l'ingresso dalla Repubblica Ceca è possibile solo dietro la presentazione di un test Covid-19 negativo. I Verdi hanno criticato aspramente i divieti d'ingresso imposti unilateralmente dal governo tedesco: la Sonderweg tedesca è un "affronto" ai paesi partner della Repubblica Federale, ha detto Franziska Brantner, politico europeo dei Verdi, chiedendo un compromesso. La chiusura delle frontiere senza un'adeguata consultazione preventiva nella primavera del 2020 aveva portato ad un duro scontro nelle regioni di confine tra Francia e Lussemburgo da una parte e Germania dall'altra [5].

Violazioni dei trattati da parte di Berlino

La Sonderweg tedesca all'interno dell'UE tuttavia non rappresenta una eccezione. Secondo l'ultimo rapporto di fine anno, la Commissione UE nel solo settore ambientale starebbe portando avanti 14 procedure di infrazione contro la Germania. Fra queste ci sono le direttive sul particolato, sugli ossidi di azoto o sulle aree protette, che Berlino ripetutamente non avrebbe applicato "in maniera puntuale e corretta", è scritto. [6] Una procedura riguardante una direttiva UE sul Nichel, con lo scopo di proteggere le acque sotterranee dall'inquinamento agricolo è stata recentemente sospesa in quanto Berlino alla fine ha deciso di rendere un po' più severe le norme nazionali dopo una "lunga disputa e grandi pressioni da parte dell'UE". C'è un'altra causa europea a minacciare la Germania nel settore dell'energia. Secondo un rapporto, infatti, l'avvocato generale della Corte di giustizia europea presume che "la Germania non stia rispettando il diritto europeo nell'ambito del mercato dell'energia"; "dopo anni di controversie" ora ci sarà un procedimento. [7] La disputa sui regolamenti UE che dovrebbero garantire "prezzi bassi e più concorrenza" va avanti dal 2015, è scritto nel rapporto. Bruxelles spinge in favore di una maggiore indipendenza dell'Agenzia federale per la gestione delle reti e per un periodo di attesa più lungo per i dirigenti degli operatori elettrici.

81 Procedimenti UE contro Berlino

L'anno scorso ci sarebbero state in totale 81 procedure di infrazione europee pendenti contro la Repubblica federale, cinque in più rispetto al 2019. [8] I Verdi riferiscono che è "imbarazzante" il modo in cui Berlino "oggi disattenda ancora di più i requisiti fissati dall'UE all'inizio della presidenza del Consiglio, rispetto a quanto non facesse un anno fa". Con ben 19 procedure aperte, ad essere particolarmente interessata c'è l'area di responsabilità del Ministero federale dei trasporti guidato dalla CSU, sul quale la lobby dell'industria automobilistica tedesca da sempre esercitato una pressione massiccia. Oltre alla battaglia sui livelli di particolato, le contestazioni riguardano "la sicurezza ferroviaria, i regolamenti per le navi, oppure l'integrazione europea del trasporto ferroviario". Insieme a Spagna e Italia, la Germania era nel gruppo di paesi UE contro i quali Bruxelles aveva aperto il maggior numero di procedure per una attuazione impropria delle direttive UE, è scritto. Oltre ad una attuazione lassista degli standard minimi UE sulla protezione ambientale, la Commissione europea ha avuto da obiettare anche sui regolamenti tedeschi in materia di "prevenzione di gravi incidenti con sostanze pericolose", sulla "sicurezza delle forniture di gas naturale" e sulla protezione dei dati.

Due pesi e due misure

Se necessario Berlino si prende anche la libertà di mettere in discussione le regole di bilancio basilari che essa stessa aveva imposto in tutta l'UE, nonostante la forte resistenza. Questo è il caso, ad esempio, dello "Schuldenbremse" (pareggio di bilancio) che l'allora Ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble aveva imposto a tutta l'area dell'euro dopo lo scoppio della crisi della moneta unica; nel corso degli anni, infatti, ha avuto un ruolo chiave nell'esacerbare la crisi economica nei paesi periferici del sud - e nell'allargare il divario socio-economico tra il centro tedesco e i paesi in crisi dell'eurozona. All'epoca Schäuble sosteneva che tutti gli stati membri dell'eurozona avrebbero dovuto impegnarsi per introdurre lo Schuldenbremse, altrimenti l'euro non sarebbe mai stato una moneta stabile. [9] Quasi dieci anni dopo, la crisi economica attuale nella Repubblica Federale ha portato a rimettere in discussione l'allentamento di quello stesso Schuldenmbremse che Berlino aveva imposto all'eurozona, in una delle peggiori recessioni del dopoguerra. A fine gennaio, Helge Braun, capo dell'ufficio della Cancellieria, scriveva infatti che è necessario modificare la Legge Costituzionale per sospendere il "freno all'indiebitmanto", in quanto  "nei prossimi anni sarà impossibile rispettarlo, anche con una disciplina di spesa altrimenti rigorosa". [10] La "strategia di recupero dell'economia tedesca" dovrebbe essere combinata con una modifica alla Legge fondamentale. La modifica temporanea dello Schuldenmrbemse, che finora è stato disapplicato in via temporanea per il 2020 e il 2021, potrebbe essere resa permanente; e questa modifica richiederebbe una "decisione strategica sulla ripresa dell'economia". Ed è esattamente quello che il governo tedesco aveva costantemente proibito agli stati dell'Europa del sud che all'epoca si trovano in profonda crisi.


[1] Detlef Drewes: Deutschland verhängt Einreisebeschränkungen im Alleingang. augsburger-allgemeine.de 28.01.2021.

[2] Stephan Ueberbach: Die EU zwischen Hoffen und Bangen. tagesschau.de 21.01.2021.

[3], [4] Einreisesperre - auch für EU-Länder. tagesschau.de 30.01.2021.

[5] S. dazu Bleibende Schäden (I).

[6] 14 Verfahren gegen Deutschland im Umweltbereich. handelsblatt.de 31.12.2020.

[7] Verstoß gegen EU-Regeln? Deutschland droht Gerichtsprozess. spiegel.de 14.01.2021.

[8] EU-Kommission mit 81 Vertragsverletzungsverfahren gegen Deutschland. oldenburger-onlinezeitung.de 11.07.2020.

[9] Schäuble fordert europaweite Schuldenbremse. handelsblatt.de 23.11.2011.

[10] Braun will Schuldenbremse aussetzen. tagesschau.de 26.01.2021.

 



domenica 31 gennaio 2021

I minijobber come d'autunno sugli alberi le foglie

I minijobber nel settore della gastronomia e dell'ospitalità sono stati fra i primi a perdere il lavoro e soprattutto non hanno diritto né alla cassa integrazione né alla disoccuppazione, in pratica lavoro nero legalizzato, e per questo rischiano di finire subito in Hartz IV. Un articolo della DGB (confederazione sindacale tedesca) ci spiega perchè i minijob non sono la soluzione, anzi sono parte del problema.

La pandemia da Coronavirus è iniziata circa un anno fa. Fino alla sua esplosione la Bassa Sassonia per oltre un decennio aveva assistito ad una forte crescita dell'occupazione. Con il virus e con la conseguente recessione, questa fase, almeno per il momento, è terminata. Rispetto all'anno precedente, infatti, c'è stato un aumento significativo della disoccupazione. Persistono grandi incertezze.

La cassa integrazione ha salvato molti posti di lavoro

In considerazione di questa eccezionale situazione economica, tuttavia, la perdita in termini di posti di lavoro fino ad oggi è stata tutto sommato moderata. La cassa integrazione (Kurzarbeitesgeldes) ha alleggerito il peso che grava sulle aziende e ha salvato molti posti di lavoro.

I minijobber sono stati i veri perdenti sul mercato del lavoro

L'impatto del Coronavirus tuttavia varia molto a seconda della forma di occupazione. Il numero dei dipendenti soggetti ai contributi sociali nel periodo in questione è perfino aumentato, anche se in misura minima. Fra i mini-jobber invece c'è stata una riduzione molto forte. Il loro numero è diminuito di oltre il 7%. In totale, in Bassa Sassonia sono andati perduti più di 55.000 posti di lavoro. La maggior parte di questi posti di lavoro sono stati persi da dipendenti occupati esclusivamente con un contratto di mini-job. I minijobber sono stati quindi i grandi perdenti sul mercato del lavoro!

Questo risultato non è affatto sorprendente. Un promemoria: i mini-jobs, altrimenti detti impieghi marginali, con un limite di guadagno di 450 euro al mese - sono dei lavori precari. Spesso non sono neanche previsti dei contratti di lavoro, oppure sono solo temporanei. Inoltre, dato che per i mini-jobs non vengono versati i contributi per l'assicurazione contro la disoccupazione, i dipendenti con un mini-job non hanno diritto alla cassa integrazione. E a causa di questi fattori, in una tale situazione di crisi i mini-jobbers possono essere facilmente messi alla porta. E per questa stessa ragione, anche quando si tratta dell'indennità di disoccupazione, restano a mani vuote. Anche questo, infatti, è un beneficio erogato dalla Bundesagentur für Arbeit il cui accesso è precluso ai minijobber.



Ad essere colpite sono soprattutto le donne

C'è un numero particolarmente alto di persone con un'occupazione marginale nei settori attualmente ridimensionati dalla crisi del commercio al dettaglio, della ristorazione e degli eventi. In quei settori, in considerazione dell'ulteriore prolungamento delle chiusure, infatti, c'è il pericolo che la perdita dei mini-jobs continui. E questo potrebbe diventare un problema crescente soprattutto per le donne. Per loro, infatti, i mini-jobs molto spesso sono l'unica fonte di reddito. Molte di loro, infatti, rischiano di finire nella sicurezza sociale di base (Hartz IV).

L'assicurazione sociale obbligatoria deve essere applicata dal primo euro

Ecco perché questo è il momento per impare la giusta lezione. I mini-job hanno bisogno di essere riformati. Chi ha un'occupazione marginale (mini-job) non ha alcuna protezione e finisce senza alcun paracadute direttamente ai margini della società. Per essere garantiti i mini-job dovrebbero essere soggetti ai contributi sociali fin dal primo euro di retribuzione, senza eccezioni. In modo che questo rapporto di lavoro di seconda classe diventi finalmente un ricordo del passato!


venerdì 29 gennaio 2021

Perché i pezzi grossi della CDU ora vorrebbero affondare il pareggio di bilancio

Dopo anni e anni di austerità imposta agli eurodeboli del sud-Europa e dopo aver fatto introdurre il pareggio di bilancio anche nella Costituzione italiana, ora che la Germania si trova in una profonda crisi economica e sociale e a pochi mesi dalle elezioni, i pezzi grossi della CDU si rendono conto che per evitare una batosta elettorale bisogna cambiare musica e narrazione: contrordine sudditi, il pareggio di bilancio è una caxxta pazzesca!  Gabor Steingart su Focus.de commenta la proposta del braccio destro di Merkel, Helge Braun, il quale nei giorni scorsi su Handelsblatt ci aveva spiegato che è arrivato il momento di superare il pareggio di bilancio. Da Focus.de


In ogni produzione cinematografica per le scene piu' pericolose e di azione si ricorre ad una controfigura. Per Angela Merkel, questo ruolo viene svolto dal suo capo ufficio alla Cancelleria. Helge Braun è coraggioso e leale. E come nessun altro conosce a memoria il copione dettato dell'attrice protagonista. Si diverte a prendere i colpi destinati a lei e afferra le schegge che altrimenti volerebbero vicino alle orecchie della Cancelliera.

E questa volta su "Handelsblatt" si è pronunciato in favore di una nuova politica sociale finanziata a debito, il che non significa altro che un allontanamento dalla tradizionale politica fiscale tipica dei partiti borghesi.

Braun propone di finanziare lo stato sociale in maniera sistematica e fino al 2023, non solo con i contributi, ma anche con le entrate fiscali. In questo modo sarà possibile evitare l'aumento dei contributi sociali per i dipendenti e i datori di lavoro.

Questa sovvenzione permanente dello stato sociale da parte delle casse dello stato avrà delle conseguenze sulla politica fiscale, come riferito dalla nostra controfigura. L'ex medico-assistente, che ha scritto la sua tesi di dottorato sulle "palpitazioni cardiache durante un'operazione", scrive infatti su "Handelsblatt":

"Il pareggio di bilancio (Schuldenbremse) nei prossimi anni non potrà essere rispettato, anche nel caso di una disciplina di bilancio estremamente rigorosa. “

"La deviazione da questa regola sul debito non dovrebbe in nessun caso essere legittimata da decisioni individuali singole ai sensi dell'articolo 115 della Legge fondamentale“

"Pertanto in Germania avrebbe senso combinare una strategia per la ripresa economica con un emendamento alla Legge fondamentale che preveda un percorso affidabile per fare nuovo debito su base limitata, almeno nei prossimi anni“

Come promemoria, la regola attuale prevede che il governo federale possa fare nuovo debito solo in misura molto limitata, cioè fino a un massimo dello 0,35% del PIL. Questo limite all'indebitamento già nel 2009 era stato inserito nella Legge fondamentale e può essere revocato solo temporaneamente e in situazioni di emergenza - come durante una pandemia.

Helge Braun e il freno all'indebitamento: CDU e CSU indignati dalla proposta

C'è grande indignazione anche all'interno del partito in merito alla proposta di smantellamento dello Schuldenmbremse. Il nuovo leader della CDU Armin Laschet, infatti, ha espresso un chiaro rifiuto nei confronti di Braun: l'Unione è sempre stata il partito delle finanze pubbliche solide, ha detto il primo ministro del Nord Reno-Westfalia durante la riunione online del gruppo parlamentare della CDU/CSU, riferiscono i partecipanti. E rivolgendosi a Braun:

"Se i membri del governo dovessero trovare necessario cambiare la Legge fondamentale, dovrebbero prima di tutto coordinarsi con il partito e il gruppo parlamentare “

Il leader del gruppo parlamentare dell'Unione Ralph Brinkhaus ha classificato la proposta di Braun come "espressione di una opinione personale".

"Questa non è la mia posizione, non è la posizione dei nostri politici esperti di economia e di bilancio, e non è nemmeno una posizione capace di ottenere la maggioranza nel gruppo parlamentare della CDU/CSU. “

Anche la reazione dei media indica quanto con la sua proposta Braun stia scuotendo l'Unione dalle fondamenta. Una Unione che ancora nel 2019 su Twitter si faceva pubblicità con la seguente frase:



Sulla Neue Zürcher Zeitung, il corrispondente economico da Berlino René Höltschi nota:

"Da un punto di vista economico, la sua proposta è un'idea assurda“

Ulf Poschardt, caporedattore su "Die Welt", nota:

"Il fatto che il ministro alla Cancelleria senza essersi precedentemente consultato possa aver lanciato nello spazio politico questo tema è impensabile. E questo rende sempre piu' chiaro il fatto che la Cancelliera si sta spostando sempre più lontano dal centro politico e verso sinistra“

Sulla "Frankfurter Allgemeine Zeitung" il redattore economico Manfred Schäfer scrive:

"Armin Laschet, come nuovo presidente, sta cercando di unire il partito e di contenere Merz. Il fuoco incrociato dall'ufficio della Cancelleria non è di grande aiuto. “

Su "Handelsblatt" il capo della sezione politica Thomas Sigmund commenta cosi':

"Armin Laschet è presidente della CDU solo da una settimana, la Cancelliera gli sta mostrando chi è il cuoco e chi è il cameriere. “

Il vice direttore editoriale dell'ufficio parlamentare della "SZ" Cerstin Gammelin, considera invece il cambiamento di strategia come un avvicinamento ai Verdi:

"I Verdi vogliono in ogni caso aggiungere alla regola sull'austerità già presente in Costituzione, una nuova regola sugli investimenti, per evitare di avere anche in futuro, ponti, amministrazioni e scuole distrutte a causa di un risparmio eccessivo. A ciò si aggiungono anche i vincoli della pandemia. Era abbastanza facile capire che non tutto sarebbe rimasto com'era. E chissà che il dibattito alla fine non serva a far avvicinare i Verdi all'Unione più di quanto si pensava possibile“.

In conclusione: la controfigura ha fatto un ottimo lavoro. Le schegge volano ovunque, ma la protagonista è rimasta illesa.


mercoledì 27 gennaio 2021

Una ricercatrice italiana ci spiega perché il Covid probabilmente è uscito da un laboratorio cinese

Rossana Segreto, ricercatrice italiana presso l'Università di Innsbruck, ci spiega perché il Covid potrebbe essere un virus manipolato uscito dal laboratorio di virologia di Wuhan. Una  intervista molto interessante alla ricercatrice italiana dalla Austria Presse Agentur. 


"Vorrei non aver mai scoperto queste relazioni", ammette Segreto, "la ricerca sull'origine del virus è politicamente scottante, come scienziata non vorrei nemmeno fare il gioco di qualche complottista". Ma ciò che ha scoperto nell'ultimo anno di ricerca, cioè da quando è scoppiata la pandemia, evidenzierebbe una manipolazione di laboratorio come possibile origine della pandemia. E questa sua posizione la pone in netto contrasto con la maggioranza degli scienziati, i quali invece sostengono l'origine naturale del coronavirus.

Critiche alla "negligenza"

Ma Segreto sostiene: "non c'è ancora nessuna prova scientificamente valida in merito al fatto che il patogeno si sia sviluppato in maniera naturale e che non sia nato in laboratorio". Eppure, sostiene la ricercatrice, l'ipotesi che all'origine della pandemia ci sia stato un potenziale incidente indotto da un errore umano viene esclusa sin dall'inizio.

"Questa è negligenza", si lamenta la microbiologa, aggiungendo che dopo tutto, decine di laboratori in tutto il mondo stavano sperimentando agenti patogeni mutati che avrebbero il potenziale di causare una pandemia. "Per questo siamo tutti a rischio", ha argomentato, "dato che ci sono già diverse prove in merito a dei precedenti incidenti di laboratorio".

Lei stessa, ancora prima dello scoppio della pandemia di coronavirus, nel gennaio 2020 stava già facendo delle ricerche presso l'Università di Innsbruck in merito alla comparsa di mutazioni, mentre l'anno precedente aveva avuto una posizione di post-dottorato presso l'Istituto di Microbiologia. Quando sono stati resi noti i primi casi di Wuhan, ha detto, si è subito incuriosita. Da allora, infatti, nel suo tempo libero lavora da sola e in collaborazione con altri scienziati per raccogliere diversi indizi che indicano una manipolazione di laboratorio come possibile origine del virus SARS-CoV-2.

Centro di ricerca sui virus ad alto rischio nell'area metropolitana

In primo luogo, ha detto, vi è la vicinanza geografica fra l'Istituto di virologia di Wuhan e il mercato degli animali esotici della provincia di Hubei, dove già nel mese di gennaio erano stati segnalati i primi casi di una misteriosa malattia polmonare. "In questo laboratorio la ricerca sui coronavirus mutanti va avanti da anni", ha spiegato Segreto. L'istituto di Wuhan è un laboratorio ad elevata sicurezza BSL-4, contina, in cui si lavora su patogeni altamente infettivi. In questi laboratori ci sono numerose misure di sicurezza da osservare per prevenire il rilascio di biosostanze. In ogni caso, il fatto che un tale laboratorio sia stato costruito in un'area metropolitana è preoccupante, ha detto Segreto. Già nel 2018, infatti, erano state sollevate delle preoccupazioni in merito alla sicurezza del lavoro svolto all'interno del laboratorio cinese in questione, scriveva il Washington Post lo scorso aprile.

Rossana Segreto (Twitter)

Dopo lo scoppio della pandemia, tuttavia, il laboratorio non è mai stato ispezionato e i database che in precedenza erano stati resi disponibili al pubblico nel frattempo sono stati cancellati, sostiene la scienziata. Il fatto che sin dall'inizio sia stata ipotizzata un'origine naturale del virus, secondo lei, è dovuto anche a un articolo scientifico pubblicato a marzo sulla rivista scientifica "The Lancet". In esso, i ricercatori sostenevano che il virus CoV-2 della SARS si era probabilmente già trasformato in un patogeno all'interno di un ospite animale tramite la selezione naturale, per poi saltare verso gli esseri umani.

"In Cina, come in altri paesi, la ricerca viene condotta con l'obiettivo di identificare e combattere i virus potenzialmente pericolosi", ha detto Segreto. In alcuni casi, sempre secondo la Segreto, i virus vengono mutati e alterati per essere resi ancora più contagiosi e mortali. Che i virus in microbiologia vengano creati artificialmente non è nulla di insolito, riferisce Segreto. Tali esperimenti, noti come "gain of function research", non riguardano solo la guerra biologica, ma anche la protezione da potenziali focolai di virus pericolosi mediante farmaci e vaccini. Ma molte cose nel processo possono andare storte, ha detto Segreto.

La struttura del virus indica una origine artificiale

Per il gruppo di ricerca la struttura del SARS-CoV-2 dimostrerebbe anche che questo virus non si è sviluppato mediante la selezione naturale, ma sarebbe stato prodotto artificialmente in laboratorio. Da un lato, non è molto probabile che un virus possa sviluppare, in un tempo molto breve, una nuova sequenza che gli permetterebbe di infettare più specie, compresi gli esseri umani e diversi tessuti, ha spiegato Segreto. Questa sequenza fa parte della "proteina a spina" tipica del SARS-CoV-2 che gli permetterebbe di rompere l'involucro della cellula ospite e di penetrarvi. D'altra parte è lecito anche dubitare che la costituzione di un legame con il recettore che può attaccarsi al recettore umano ACE2, si sia formato simultaneamente, con la conseguenza che il virus si è perfettamente adattato all'infezione delle cellule umane. Ci dice di essere co-autrice di un documento scientifico su questo tema insieme all'imprenditore del settore biotecnologico Yuri Deigin, studio sottoposto a peer-review e pubblicato sulla rivista BioEssays a novembre. In precedenza "sette riviste si erano rifiutate di pubblicare questi risultati".

Negli ultimi giorni la discussione sull'origine del coronavirus SARS-CoV-2 è tornata nuovamente di attualità. Oggi, giovedì, il team internazionale di esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) inizierà a indagare sull'origine del coronavirus a Wuhan, dove poco più di un anno fa erano stati resi noti i primi casi di infezione. La Cina lunedì scorso aveva dato il via libera all'arrivo degli esperti, dopo un lungo ritardo, e il loro arrivo è previsto per giovedì. Lo zoologo britannico-americano ed esperto in epidemiologia delle malattie infettive Peter Daszak fa parte del team di esperti. "Daszak è un partner e un collaboratre stretto dell'Istituto di virologia di Wuhan", ha notato la microbiologa, aggiungendo che non si può escludere un conflitto di interessi. "Non possiamo essere certi, che venga svolta un'indagine neutrale".


venerdì 22 gennaio 2021

La logistica tedesca alla conquista del mondo (con i soldi del governo)

Le grandi aziende tedesche della logistica durante la pandemia hanno incassato decine di miliardi di euro di aiuti pubblici garantiti dal governo di Berlino, ufficialmente il governo lo avrebbe fatto per ridurre l'impatto degli esuberi sull'occupazione. German Foreign Policy nel suo ultimo articolo, invece, avanza l'ipotesi che dietro questa scelta del governo di Berlino ci sia la volontà di tutelare un importante strumento di proiezione geopolitica, vale a dire le grandi aziende di trasporto via mare, aria e terra. Per GFP non ci sarebbe niente di nuovo, visto che anche ai tempi del Reich il settore logistico era perfettamente integrato nei progetti espansionistici dell'epoca. Ne scrive il sempre ben informato German Foreign Policy


Le grandi aziende tedesche nel settore della logistica internazionale durante la crisi causata dal Coronavirus hanno potuto contabilizzare tra i 19 e i 22 miliardi di euro sotto forma di afflussi di capitale provenienti dalle casse pubbliche. Nella misura in cui si tratta di sovvenzioni finalizzate a limitare il taglio dei posti di lavoro, gli aiuti sono rimasti principalmente nella parte operativa tedesca, mentre i dipendenti delle filiali estere, per esempio in Austria o in Belgio, hanno perso molti più posti di lavoro in termini percentuali, come ad esempio nel caso di Lufthansa. [1] Lufthansa ha ricevuto versamenti di capitale tra i 9 e gli 11 miliardi di euro, Deutsche Bahn AG e indirettamente DB Schenker hanno ricevuto 5 miliardi ("equity assistance"). Anche DHL (Deutsche Post AG) sta attraversando la crisi avvantaggiandosi degli aiuti legati al coronavirus. Il gruppo, infatti, sta rifornendo una dozzina di stati UE con i vaccini pandemici e il 12 gennaio ha annunciato che espanderà la sua flotta con otto aerei da carico Boeing 777F: il prezzo per unità secondo il listino sarà intorno ai 200 milioni di dollari. [2] TUI, un'azienda considerata in Germania come un inoffensivo specialista delle vacanze, ha ottenuto fino a dicembre 2020 sovvenzioni pubbliche e linee di credito per un ammontare di oltre 4 miliardi di euro, cresciuti ulteriormente (del 25%) all'inizio dell'anno con la partecipazione del governo al "Fondo di stabilizzazione economica" (WSF) di Berlino .[3]

"Costantemente a terra"

Ma né TUI (la più grande azienda turistica al mondo), né Lufthansa, né DHL possono essere considerate delle grandi e innocue aziende per le vacanze o per il semplice traffico postale. Il loro utilizzo civile maschera la possibilità di un intervento da parte dello Stato e il fatto che vengano tenute sempre pronte: in tempo di pace, estendono le loro attività su di una rete logistica che coordina i movimenti di merci a livello locale e li segue fino all'origine della catena del valore - importante fonte di informazioni per le geoscienze, la ricerca delle materie prime e lo spionaggio industriale. In tempi di crisi e conflitti esteri, questa rete (insieme ai trasportatori) è pronta per la sua riconversione. TUI, Lufthansa, DHL o DB Schenker sono fra loro saldamente integrate. C'è una "comunione di intenti" [4] a collegare i grandi gruppi tedeschi della logistica e un dipartimento specializzato per il controllo e l'indirizzo presso il Ministero dei Trasporti di Berlino, un dipartimento istituito con una funzione di transito verso le autorità di emergenza e militari della Repubblica Federale. I loro "impiegati sul campo si trovano quindi costantemente sul posto e mantengono i contatti" con le imprese tedesche della logistica; il riferimento è al servizio statale di pronto intervento per i "casi di tensione e difesa" presso l'"Ufficio federale del trasporto merci" (BAG).

"Rilevanza sistemica"

Le navi da crociera colorate potrebbero quindi essere trasformate in ospedali militari per le missioni estere (qui entra in campo TUI), e gli aerei da trasporto postale potrebbero diventare dei vettori di truppe (DHL). La rete ferroviaria sarebbe utilizzata per il trasferimento rapido in "operazioni di difesa", mentre alle ferrovie sarebbero "assegnati" compiti di "trasporto transfrontaliero [!] per le forze armate" (significativi anche per la divisione ferroviaria Schenker). [5] Quello che promette di proteggere la società civile nella crisi causata dal Coronavirus ("rilevanza sistemica"), la legge [6] lo circoscrive ai militari: riserva logistica per "emergenza" e guerra.

Rete geopolitica

Dove può portare l'allineamento strutturale fra apparato statale e interessi espansivi della geologistica è dimostrato dai crimini commessi dalle principali aziende logistiche tedesche ai tempi del "Reich" nazista. Le odierne società di logistica della Repubblica Federale devono la loro nascita a queste imprese criminali, ad esempio la Kühne + Nagel di Amburgo ha lo stesso nome della grande società di spedizioni che si può dire abbia avuto "una certa contiguità con lo sterminio di massa" [7] e con migliaia di saccheggi perpetrati negli stati confinanti occupati dalla Germania, ad esempio in Francia. Kühne + Nagel è una delle attuali società ad essersi avvantaggiata maggiormente dal Coronavirus e ad aver ottenuto contratti dallo stato tedesco. [8] Questa eredità è ancora più evidente nel caso di Schenker, un'azienda oggi del gruppo statale DB, con lo stesso nome della Schenker & Co, un'azienda con un ruolo di primo piano nei crimini commessi durante la politica di sterminio antisemita e antislava. Una politica nata nell'ambito della rete geopolitica degli interessi espansionistici della politica estera tedesca emersi prima della guerra.

Eredità silenziosa

Ciò che gli eredi di questi crimini hanno in comune, compresa la DER (Deutsches Reisebüro) del gruppo REWE, è il loro costante rifiuto di rivelare pubblicamente e completamente le proprie origini. Tacendo sull'eredità che portano con sé, vogliono sfuggire alla giustizia materiale che dovrebbero alle vittime e alle lezioni della storia tedesca - in quale misura ciò sia vero, del resto, è esemplificato dal passato di DB Schenker.




[1] Die Lufthansa-Hilfen verzerren den Wettbewerb. capital.de 09.12.2020.
[2] Deutsche Post AG erhöht Ergebnisprognose für 2022 nach vorläufigen Zahlen 2020. Veröffentlichung einer Insiderinformation nach Artikel 17 der Verordniung (EU) Nr.596/2014 vom 12.01.2021.
[3] Drittes Milliarden-Hilfspaket für Tui - Staat könnte zum Großaktionär werden. Handelsblatt 02.12.2020.
[4] Bundesamt für Güterverkehr (BAG) sorgt für Bewegung. eurotransport.de/artikel/zivile-notfallvorsorge 20.01.2021.
[5] Allgemeine Verwaltungsvorschriften zu § 17 des Verkehrssicherstellungsgesetzes (VSG) i.d.F. vom 29.06. 1998.
[6] Vgl. Verkehrsleistungsgesetz (VerkLG) i.d.F. vom 12.12.2019.
[7] Henning Bleyl: Lasten der Vergangenheit. taz.de 31.03.2015.
[8] Kühne + Nagel übernimmt Logistik des Moderna-Impfstoffs. Handelsblatt 07.01.2021. Corona und Brexit: Der Logistiker Kühne + Nagel antizipiert neue Chancen. Neue Zürcher Zeitung 20.10.2020. Einen Staatsauftrag zur Lieferung von Corona-Impfstoffen vergab das Land Nordrhein-Westfahlen (NRW).

giovedì 21 gennaio 2021

Wolfgang Streeck - A Bruxelles non hanno imparato nulla dalla Brexit

"La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo grazie al quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi delle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck commentando il recente accordo sulla Brexit. Da Makroskop una rilfessione molto interessante del grande Wolfgang Streeck sugli effetti della Brexit.


Da alcuni anni a Bruxelles si fa il possibile per non imparare nulla dalla Brexit, e per come stanno andando le cose, sembra anche funzionare.

Cosa si sarebbe potuto imparare? Niente di meno, ad esempio, che trovare un modo per scrollarsi di dosso la chimera tecnocratica, mercatocentrica e antidemocratica tipica di un impero neoliberale europeo centralizzato di fine Novecento, e per trasformare quindi l'Unione Europea in una comunità pacifica di Stati sovrani vicini e legati tra loro da una rete di rapporti di cooperazione reciproca non gerarchica, volontaria e paritaria.

Il sovranazionalismo è una scusa

Il funzionamento interno dell'Unione Europea è infinitamente complicato e decisamente opaco, ma c'è un principio che sembra valere ovunque. Per capirlo, bisogna comprendere la politica interna dei tre principali Stati membri, Germania, Francia e Italia, e le loro complesse relazioni trilaterali. Il sovranazionalismo non è altro che un velo dietro il quale si svolge l'azione vera, nazionale e internazionale.

La Francia considera l'Europa come un campo da gioco piu' largo tramite il quale amplificare le proprie ambizioni globali; la Germania invece ha bisogno dell'Unione Europea per garantire i siti produttivi alle sue industrie, i mercati per i suoi prodotti e per procurarsi dei lavoratori a basso salario per il settore dei servizi, nonché per ribilanciare le sue relazioni con la Francia e gli Stati Uniti; mentre l'Italia ha bisogno dell'"Europa", in particolare della Germania, per il proseguimento della sua esistenza come Stato-nazione con un ordine economico capitalista



Gli inglesi non l'hanno mai capito veramente. Anche il servizio diplomatico britannico ha sempre trovato alquanto impenetrabile il sottobosco di Bruxelles. Mentre la Thatcher odiava l'UE - troppo straniera per i suoi gusti - Blair credeva di poterne diventare il suo Napoleone trasformandola, insieme a Chirac e Schröder, in una macchina per la ristrutturazione neoliberista: come un "grande unificatore continentale", questa volta però dall'esterno. Ma non è andata così: Francia e Germania lo lasciarono da solo a fare l'aiutante del suo amico americano, facendolo andare da solo in guerra in Iraq, fino ad arrivare poi alla sua caduta.


Nel 2015 Cameron poi ha appreso che anche la grande e potente Gran Bretagna, abituata da sempre a governare le onde degli oceani del mondo, non era riuscita ad ottenere da Merkel nemmeno le piu' minuscole concessioni sulla libera circolazione dei lavoratori nel mercato unico, concessioni di cui aveva bisogno per poter vincere il referendum del 2016 - che, dopo tutto, avrebbe dovuto scolpire nella pietra l'adesione britannica all'UE.

La mancanza di comprensione reciproca ha portato alla Brexit

E in Germania poi nessuno si è mai preoccupato di come le frontiere aperte di Merkel nell'estate del 2015, quando la Cancelliera permise a un milione di rifugiati di entrare nel Paese, avrebbero potuto influenzare il voto britannico. La maggior parte dei rifugiati, infatti, proveniva dalla Siria, da dove erano stati sfollati a causa di una guerra civile che l'amico americano della Germania continuava ad alimentare senza tuttavia riuscire a fermarla. Per Merkel, questa era l'occasione per correggere l'immagine da "regina di ghiaccio" concquistata nella primavera dello stesso anno, quando aveva fatto sapere che "non possiamo accettarli tutti".

La mancanza di comprensione è stata reciproca. Nessuno nel continente credeva che il governo Cameron avrebbe potuto perdere la scommessa del referendum. Gli unici britannici con cui le classi istruite del continente parlavano, del resto, appartenevano per lo piu' alle classi istruite delle isole britanniche, ed erano incondizionatamente innamorati dell'UE per una serie di ragioni, spesso incompatibili tra loro. Per gli euroidealisti di centro-sinistra, l'UE poteva essere considerata l'anteprima di un futuro politico senza la macchia di un passato politico, uno stato virtuoso per antonomasia, se non altro perché non era ancora uno Stato - "Europa" come opportunità per la rifondazione morale dall'alto di un paese post-imperiale.

Altri che invece sapevano come funziona Bruxelles, devono aver riso di ciò sotto i baffi - soprattutto una classe politica che da tempo aveva imparato ad apprezzare la possibilità di spedire le questioni difficili direttamente nelle viscere dell'imperscrutabile Leviatano di Bruxelles, dove potevano essere spezzettate e smontate in modo irriconoscibile.

Tra questi ultimi c'erano i Blairiani post-Blair del Partito Laburista. Dopo aver perso il potere e dovendo confrontarsi con una classe operaia che secondo la buona tradizione britannica vedevano come arretrata, erano finalmente felici di poter importare un residuo di politica sociale e regionale da Bruxelles. Ma in questo modo non gli sarà sfuggito che Bruxelles invece non era stata in grado di offrire nulla di significativo, anche perché i governi britannici, incluso il New Labour, avevano già fatto fuori la "dimensione sociale" del "mercato unico" sottoponendolo ai sacri imperativi della "competitività" economica. E questo era destinato a ritorcersi contro di loro, proprio nel momento in cui gli elettori hanno cominciato a chiedersi perché il loro governo nazionale li avesse lasciati indifesi di fronte alla natura selvaggia dei mercati globali, consegnando la responsabilità sui loro cittadini a una potenza e a un tribunale straniero.

Le trattative sul divorzio condotte a porte chiuse

Quando Cameron, deluso da Merkel e Co, ha perso il referendum, lo shock è stato profondo, ma poi la politica dell'UE ha ripreso il suo ritmo abituale. La Francia vi ha visto un'opportunità per rispolverare il suo concetto originale di Europa integrata: vale a dire un'estensione dello Stato francese, con l'obiettivo specifico di incorporare la Germania in un'alleanza dominata dalla Francia. Nel caso in cui la Gran Bretagna avesse cambiato idea e i Remainers avessero prevalso, il ritorno all'ovile avrebbe dovuto essere abbastanza umiliante da precludere ogni possibilità di una futura leadership britannica.

Da parte dell'UE, le trattative per il divorzio sono state condotte dal diplomatico francese Michel Barnier, uno dei tecnocrati più importanti sulla scena di Bruxelles. Ha giocato in maniera dura fin dall'inizio, lasciando i revisionisti referendari sul lato britannico, come si dice, "a soffrire la fame". Ma questo non significava voler rendere facile la partenza degli inglesi. Ed è qui che è entrata in gioco la Germania, con il suo forte interesse a mantenere la disciplina tra gli Stati membri dell'UE. Macron e Merkel sin dall'inizio hanno insistito sul fatto che l'accordo per il divorzio avrebbe dovuto essere costoso per la Gran Bretagna, preferibilmente con l'impegno ad accettare per sempre le regole del mercato unico e la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, anche dopo l'uscita. Per la Germania si trattava di dimostrare agli altri Stati membri dell'UE che qualsiasi tentativo di rinegoziare i rapporti con Bruxelles sarebbe stato inutile e che i diritti speciali sia all'interno che all'esterno dell'Unione erano del tutto fuori discussione.

Sarà compito degli storici scoprire che cosa è accaduto realmente tra Francia e Germania durante i negoziati fra UE e Regno Unito. Non esiste al mondo un sistema politico democratico, o apparentemente democratico, che funzioni cosi' tanto a porte chiuse come accade all'Unione Europea. Malgrado l'interesse dello Stato tedesco per la disciplina europea, l'industria tedesca delle esportazioni deve essere stata interessata a mantenere un rapporto economico amichevole con la Gran Bretagna post-Brexit e deve averlo comunicato al governo tedesco senza mezzi termini.

Pubblicamente, però, non c'è stato alcun segnale di ciò: né nella strategia di negoziazione di Barnier né nelle dichiarazioni di Merkel. Molto probabilmente perché la Germania all'epoca stava subendo la pressione di Macron finalizzata a sfruttare l'uscita del Regno Unito come un'opportunità per una maggiore e più rigorosa centralizzazione, soprattutto in termini fiscali - un tema sul quale la riluttanza della Germania ad accettare accordi che in futuro potrebbero costarle cari aveva incontrato il tacito sostegno britannico, anche se il Regno Unito non era un membro dell'eurozona.

Con l'avvicinarsi del giorno del "Deal or no-Deal" si è messo in pratica il consueto rituale del negoziato fino all'ultimo minuto, e Merkel probabilmente è riuscita ad imporre il suo peso politico in sostegno delle richieste dell'industria tedesca dell'export. Il Regno Unito era stato umiliato a sufficienza. Durante le ultime sessioni negoziali, Barnier, sebbene ancora presente, non ha più parlato in nome dell'UE; il suo posto è stato preso da uno stretto collaboratore della Von der Leyen. Per concludere in bellezza, la Francia ha utilizzato il nuovo ceppo "britannico" del coronavirus per bloccare due giorni il traffico merci dal Regno Unito verso il continente, ma questo non ha potuto impedire la conclusione dell'accordo. La strategia di negoziazione ad alto rischio di Johnson è stata premiata con un trattato grazie al quale giustamente il premier ha potuto rivendicare il ripristino della sovranità britannica. Ha pagato con un bel po' di pesce, ma questo punto è stato misericordiosamente coperto dall'ulteriore sviluppo della pandemia.

Quali saranno le conseguenze di quanto accaduto?

La Francia ha assunto 1.300 funzionari doganali supplementari che potranno essere impiegati per perturbare le relazioni economiche tra la Gran Bretagna e il continente, Germania compresa, ogni volta che il governo francese dovesse ritenere che le "condizioni concorrenziali eque" contenute nell'accordo non vengano più rispettate. Francia e Germania sono riuscite a dissuadere gli altri Paesi dell'Unione Europea, soprattutto ad est, dal rivendicare l'accordo con la Gran Bretagna come un precedente per le loro aspirazioni ad avere una maggiore autonomia nazionale. La pressione all'interno dell'UE in favore di un'alleanza più cooperativa e meno gerarchica non si è concretizzata. E i successori di Merkel dovranno affrontare un rapporto con la Francia ancora più complesso che in passato, dovendo ora resistere agli abbracci francesi senza il sostegno britannico, sullo sfondo delle incertezze dell'amministrazione Biden.

Per quanto riguarda il Regno Unito, per il gruppo Lexit ora sarà di nuovo il Parlamento britannico a governare, indipendentemente rispetto ai trattati europei e alla Corte di giustizia europea, e quando le cose andranno male i cittadini britannici potranno chiamare in causa solo il loro governo nazionale. Gli euro-revisionisti, inoltre, chiamati dai loro avversari "Remoaners", sembrano aver rinunciato a fare la loro opposizione, almeno per ora, anche se presumibilmente continueranno a cercare delle tutele nei confronti del rigido parlamentarismo maggioritario dello stato britannico.

E' possibile che la Scozia possa separarsi dal Regno Unito, se il Partito nazionale scozzese riuscisse a capitalizzare il sentimento pro-europeo con la promessa di candidarsi per il posto lasciato vuoto dallo stato britannico alla Tavola Rotonda di Re Emmanuel, per il momento composta da 27 membri. Ciò equivarrebbe a cedere la sovranità nazionale scozzese a Bruxelles, subito dopo averla riottenuta da Londra, dimenticando le contrastanti esperienze storiche fatte dalla Scozia con gli alleati e i governanti francesi.

Fino a quando ci sarà la prospettiva di un'adesione scozzese all'UE, si può escludere che Bruxelles abbia effettivamente imparato qualcosa dalla Brexit. D'altra parte, dato che l'apprendimento a Bruxelles in ogni caso è un fenomeno alquanto insolito, la questione potrà essere lasciata al buon senso degli scozzesi.