domenica 4 marzo 2018

Il collasso italiano secondo gli economisti tedeschi

Anche gli economisti tedeschi di rango non sfuggono ai soliti luoghi comuni sull'Italia e per il dopo elezioni preannunciano un inevitabile collasso dovuto alla presunta irriformabilità e ai soliti eccessi debitori. L'Eurozona sarebbe ricattabile. Dal prestigioso Handelslbatt.com


Il presidente dell'Istituto Ifo di Monaco, Clemens Fuest, teme che l'Italia dopo le elezioni possa precipitare in una grave crisi debitoria. Con il programma di acquisto OMT la Banca centrale europea (BCE) ha dato all'Italia il tempo per riformare l'economia. Il paese pero' non ha utilizzato questo tempo per fare le riforme necessarie. "Vi è la minaccia di un altro aumento strisciante del debito e di un'economia stagnante, che nel lungo periodo potrebbe portare ad una bancarotta dello stato", ha affermato Fuest ad Handelsblatt.

Friedrich Heinemann del Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (ZEW) mette in guarda dalla possibilità che dopo il voto in Italia si formi un governo che in maniera simile a quanto accaduto in Grecia nel 2015 avvii un corso conflittuale con l'Eurogruppo. "Un governo populista a Roma sarebbe uno scenario politico ed economico ad alto rischio che ci porterebbe in una nuova fase di incertezza economica e politica che metterebbe in pericolo l'esistenza stessa dell'euro", cosi' secondo le ipotesi di Heinemann.

"Ora arriva il conto per aver lasciato che l'Europa non si occupasse di  creare una procedura di insolvenza ordinata per gli stati", dichiara ad Handelsblatt l'economista dello ZEW Heinemann. L'Eurozona in questo modo si è resa ricattabile. "I trasferimenti dall'estero, per ragioni perfettamente comprensibili, offrono agli italiani una soluzione decisamente piu' interessante per la soluzione del problema debitorio, rispetto alla necessità fare le dure riforme con gli annessi tagli".

Fuest ha criticato il fatto che nessuno partito italiano abbia un'idea di come poter superare i problemi economici del paese. "L'Italia ha bisogno di riforme radicali e di tagli alla spesa pubblica, affinché l'economia torni a crescere e l'altissimo debito pubblico inizi a scendere", ha sottolineato il Presidente dell'Ifo. Nessun partito tuttavia ha presentato un piano per farlo, al contrario tutti hanno promesso dei "grandi regali elettorali".

Fuest tuttavia non si aspetta turbolenze sui mercati dei capitali dopo le elezioni, indipendentemente da chi le vincerà. "Perché nelle ultime settimane tutti i partiti italiani hanno alleggerito la loro critica nei confronti dell'euro e delle regole sul debito e nessun partito ha dichiarato che l'Italia nel prossimo futuro dovrà uscire dall'euro".

Anche il presidente del Deutsches Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW), Marcel Fratzscher, ritiene che sia molto alta la probabilità che il prossimo governo italiano non persegua alcuna politica anti-europea. "Persino i partiti piu' radicali nel frattempo hanno capito che l'uscita dell'Italia dall'euro sarebbe un suicidio politico ed economico", ha affermato Fratzscher ad Handelsblatt. "Non mi aspetto cambiamenti fondamentali nella politica economica del nuovo governo".

I partiti in campagna elettorale hanno fatto delle promesse "coraggiose e talvolta irrealistiche". "A differenza di quanto accade in Germania, tuttavia, il prossimo governo italiano difficilmente aumenterà la spesa e dovrà attuare ulteriori riforme strutturali", sostiene il presidente del DIW. "Abbiamo tuttavia bisogno di pazienza, perché l'Italia si sta riprendendo solo lentamente e ci vorranno ancora molti anni per liberare completamente il paese dagli effetti della crisi finanziaria".

sabato 3 marzo 2018

Flassbeck: "l'UE e Juncker dovrebbero tenere la bocca chiusa"

Il grande economista Heiner Flassbeck intervistato da DLF sul tema della guerra commerciale scoppiata fra USA ed UE non ha dubbi: l'UE farebbe meglio a tacere perché gli Stati Uniti e Trump hanno pienamente ragione, i tedeschi e gli europei dovrebbero mettere in discussione il loro modello di sviluppo prima che sia troppo tardi. In caso di guerra commerciale sono i paesi in surplus con l'estero ad avere tutto da perdere, la Germania è avvertita. Da deutschlandfunk.de


DLF:  l'UE sta cercando di restituire il colpo, i Jeans potrebbero diventare piu' costosi, tra le altre cose. Potremmo chiamarla schermaglia o disputa commerciale - oppure è l'inizio di una lunga guerra commerciale?

Flassbeck: beh, dovremmo fermarci un attimo. E sarebbe bello se in Europa - abbiamo ascoltato diverse voci - ci si fermasse a riflettere e anche Herr Juncker dovrebbe capire che l'uso della ragione non è un sentimento, ma è qualcosa di indispensabile in questa situazione. E la cosa importante da ricordare è che in effetti gli Stati Uniti e l'Europa si trovano in una situazione completamente diversa, una situazione diversa in riferimento al commercio internazionale. Piu' precisamente, l'Europa ha delle enormi eccedenze, che sono principalmente le eccedenze tedesche, mentre gli USA sono in deficit da oltre 30 anni. Mi piacerebbe vedere cosa succederebbe in Europa se da 30 anni avessimo un deficit commerciale. Questa è la cosa piu' importante di cui dovremmo avere piena consapevolezza.

DLF: la colpa non è dei partner commerciali degli Stati Uniti, ma forse è degli stessi Stati Uniti stessi?

Flassbeck: è una narrazione molto diffusa in Germania che sfortunatamente non corrisponde alla verità. Ad essere responsabili naturalmente non sono i partner commerciali che hanno un deficit, ma c'è sempre un fattore scatenante: in Germania è stata chiaramente la moderazione salariale che da 15 anni ha fatto si' che la Germania diventasse estremamente competitiva sotto la protezione dell'euro, questo perché l'euro resta estremamente sottovalutato...

DLF: ma ora i salari sono tornati a crescere.

Flassbeck: no, no, non stanno crescendo con forza, crescono troppo poco. E questo divario è ancora molto grande, ed è ancora troppo grande rispetto ai nostri partner commerciali in Europa e nei confronti del resto del mondo. Abbiamo una doppia sottovalutazione e su questo sono d'accordo anche persone molto distanti fra loro come Hans Werner Sinn e il sottoscritto, c'è una doppia sottovalutazione della Germania. Ed è per questo che abbiamo delle eccedenze cosi' grandi. E non puoi dire che è colpa degli americani, lo si deve chiamare dumping salariale, è una forma di dumping. 


DLF: si potrebbe anche dire che gli americani dovrebbero offrire dei prodotti migliori, con una maggiore domanda all'estero.

Flassbeck: no, è sbagliato. Vede, questo non ha nulla a che fare con la qualità dei prodotti. La qualità dei prodotti si riflette sempre nel prezzo. Ma se un paese come la Germania offre dei buoni prodotti, che all'improvviso costano il 20% in meno, perché i salari non aumentano, allora questi prodotti vengono acquistati. E questo non ha nulla a che fare con la qualità, ma è molto semplice: per una data qualità il prezzo dei prodotti è del 20% troppo basso.

DLF: ma lei non vorrà seriamente considerare la Germania come un paese a basso salario?

Flassbeck: questo non ha nulla a che fare con il lavoro a basso costo...vede, deve capire, ed è importante, che non c'entrano nulla i bassi salari, si tratta piuttosto di un salario troppo basso in relazione alla produttività, dipende sempre da questo rapporto. La Germania è troppo a buon mercato in rapporto alla propria produttività e non possiamo dimenticarci del tasso di cambio che abbiamo nei confronti del resto del mondo.

DLF: torniamo indietro...

Flassbeck: bisogna guardare a casa propria, prima di parlare di guerre commerciali e simili. E io posso solo consigliare agli europei di tenere la bocca chiusa e di non fare nulla per il momento, invece di darsi un tono come sta cercando di fare Juncker.

DLF: questo significa che le contromisure dell'UE, le tariffe ad esempio sui jeans, il bourbon e le motociclette americane lei le considera eccessive?

Flassbeck: si' le considero sbagliate, perché potrebbero portare ad una escalation. Vede, quando un paese ha dei deficit persistenti, allora alla fine ha il diritto di prendere delle contromisure - e addirittura questo puo' essere fatto nel quadro del WTO. Questo è chiaro ed è perfettamente legale.

DLF: ciò significa che l'UE farebbe meglio ad aspettare e a stare a guardare?

Flassbeck: l'UE dovrebbe tenere per un po' la bocca chiusa, esattamente, e vedere se c'è un'intensificazione oppure no. Al momento è solo una misura di piccola portata, ridicolmente piccola. Voglio dire, considerando la discussione che abbiamo qui in Germania, in cui tutti dicono che i prezzi non hanno alcun effetto sui prodotti, perché i prodotti sono troppo buoni, allora è arrivato il momento giusto di dire: se i nostri prodotti sono cosi' buoni allora i dazi non hanno alcuna importanza! In verità i prezzi hanno un ruolo importante, ma al momento le misure riguardano solo pochi prodotti e misurato sul totale del commercio, sono davvero una piccolezza. Nel complesso posso solo consigliare di non avviare un'azione immediata, sarebbe meglio cercare di parlare con Trump e accettare che la sola misura ragionevole per la Germania è quella di ammettere: si' abbiamo capito, non vogliamo nessuna guerra commerciale, faremo il possibile affinché i nostri surplus commerciali spariscano quanto prima.

DLF: il segretario al commercio degli Stati Uniti, Wilbur Ross, ha portato una lattina di zuppa davanti alle telecamere, ha detto, costa 1.99 dollari. E misurato cosi' il prezzo salirebbe solo di 6 decimi di centesimo. Ha fornito un esempio che non ha nessuna influenza per il consumatore. Quali rischi vede per il consumatore, sia qui da noi che là?

Flassbeck: non sono i consumatori ad essere colpiti, si tratta prima di tutto dei posti di lavoro e Juncker lo ha anche detto. Juncker dice di voler difendere i posti di lavoro europei, Trump dice di difendere i posti di lavoro americani. Ecco di cosa si tratta. La Germania difende i suoi posti di lavoro, ma i posti di lavoro della Germania sono principalmente nel settore dell'export. E questo non può funzionare. Chi ha un surplus commerciale, un gigantesco avanzo commerciale come l'UE oppure come la Germania, sta creando dei posti di lavoro a spese degli altri paesi, questo non puo' essere messo in discussione.

DLF: ne abbiamo già parlato, Herr Flassbeck, ma torniamo ai pericoli da lei individuati.

Flassbeck: nel complesso bisognerebbe dire: signori, abbiamo creato dei posti di lavoro nell'export, ci rendiamo conto che non si puo' andare avanti in questo modo e per questa ragione ora vogliamo un ridimensionamento e faremo in modo che anche voi abbiate la possibilità di riconvertirvi.

DLF: tuttavia molti economisti vedono enormi pericoli in arrivo verso di noi. E ieri gli investitori hanno già reagito e i corsi azionari sono crollati. Si tratta di una reazione eccessiva?

Flassbeck: sì, bisogna guardare tutto in prospettiva, come ho detto. Le reazioni sono sempre troppo veloci, senza un attimo di riflessione. E io sostengo sia necessario sedersi un attimo e riflettere su cio' che negli ultimi 20 o 30 anni è successo. E allora ci si rende conto che gli Stati Uniti non hanno poi così torto. Trump ha fatto molte cose sbagliate, non voglio difenderlo, ma nel complesso non si stanno sbagliando così tanto. E bisogna ricordare che anche Obama aveva criticato le eccedenze commerciali tedesche, e non è solo un fenomeno di Trump. Trump ora è il primo a prendere contromisure. Inoltre gli americani potrebbero sempre cercare di far scendere il corso del dollaro, cosa che avrebbe lo stesso effetto, con un impatto quantitativo molto maggiore. Quindi dobbiamo stare molto attenti. E come ho detto, chi ha un'eccedenza commerciale con l'estero si trova in una posizione piu' difficile rispetto all'altra parte. E chi è in una posizione difficile, non dovrebbe rispondere lanciando delle pietre.

DLF: quando Trump scrive su Twitter che le guerre commerciali sono una buona cosa e sono facili da vincere, ha ragione?

Flassbeck: se siano giuste o meno è un'altra questione, non mi voglio esprimere sul suo linguaggio. Ma che a perdere una guerra commerciale sarà il paese che ha un avanzo commerciale è perfettamente chiaro. E che a vincere sarà il paese con un deficit è altrettanto chiaro e giusto.

DLF: diamo un sguardo all'era Bush, quando c'erano i dazi doganali sull'acciaio e non hanno funzionato. E allora perché pensa che questa volta per gli Stati Uniti dovrebbero funzionare?

Flassbeck: che significa non ha funzionato? Bisogna stare molto attenti, per ora è solo una puntura di spillo, una chiamata: fate qualcosa contro i vostri avanzi commerciali, altrimenti saro' io a dover fare molto di piu'. Al momento è poca cosa. In questo senso la questione è un'altra, in qualsiasi senso funzionerà. La questione centrale, che conta nel rapporto fra Europa e Stati Uniti è la seguente: l'Europa è disponibile a implementare un modello economico diverso, vale a dire un modello in cui, come negli USA, ci si concentra sul proprio mercato interno, invece di annunciare ogni giorno - come fa Frau Merkel - che ora tutti devono diventare piu' competitivi e tutta l'Europa deve migliorare la propria competitvità. E questo puo' accadere solo a spese degli Stati Uniti, l'unico paese nel mondo nei confronti del quale questa Europa possa avere ancora qualcosa da guadagnare. E questa è anche una forma di annuncio di una guerra commerciale di cui qui da noi nessuno parla. E su tutte queste cose dovremmo riflettere con un po' di calma, prima di entrare in una escalation.


venerdì 2 marzo 2018

Con i clown al potere arrivano i debiti

A pochi giorni dalle elezioni italiane il solito Jan Fleischhauer spiega ai tedeschi che la politica italiana è guidata da clown, gli elettori sono dei bambini immaturi e alla fine dello spettacolo saranno i tedeschi a dover pagare il conto per gli eccessi italiani. Su Der Spiegel  un altro commento saccente da parte del simpatico pubblicista di Amburgo. Da Der Spiegel.


Domenica prossima gli italiani voteranno per eleggere un nuovo Parlamento. Allo stato attuale un clown, che recentemente ha fatto notizia per le sue vicende giudiziarie, e uno strillone irascibile, che ufficialmente si è guadagnato da vivere facendo il giullare, dovrebbero ottenere il maggior numero di voti. Devo stare attento a cio' che sto per scrivere. L'ultima volta che la mia rubrica si è occupata dell'Italia e degli italiani è partita una lettera diretta al capo-redazione da parte dell'ambasciatore italiano a Berlino.

Lasciatemelo dire: i politici scelti dagli elettori ci permettono di trarre alcune conclusioni sulla maturità mentale ed emotiva di quel popolo. Gli adulti votano gli adulti, i bambini scelgono dei burattini. 

Come sempre, quando un paese vicino è alla vigilia delle elezioni, da tedeschi ci mettiamo a guardare come se si trattasse dell'elezione in un Bundesland interno. Non abbiamo diritto al voto, ma gli effetti del voto riguarderanno tutti, noi in prima linea. Se non ci trovassimo insieme agli italiani in una unione monetaria, potremmo assistere allo spettacolo in maniera rilassata e dirci fra di noi: cosi' vanno le cose fra gli italiani, da loro viene data una possibilità anche al buffone. Messo accanto a Silvio Berlusconi, anche Donald Trump potrebbe sembrare uno statista serio. Sfortunatamente l'euro ha fatto in modo che la fattura per tutte queste scappatelle alla fine arriverà a noi.

L'Italia non è un paese qualsiasi, è la terza economia dell'Eurozona, anche se economia in questo caso è un termine alquanto tecnico. In realtà l'attività economica in Italia funziona secondo criteri completamente diversi rispetto a quelli validi nella gran parte del resto del mondo. Poiché il denaro per gli italiani è qualcosa la cui fonte è oscura, l'indebitamento del paese ha raggiunto il 132% del PIL. Solo la Grecia e il Giappone riescono ad andare oltre.

Purtroppo non si tratta dell'unico record negativo. Nessun paese in Europa ha una crescita inferiore. Quest'anno secondo le ultime previsioni dell'UE si fermerà all'1.5%, il prossimo anno tornerà addirittura all'1.2%, contrariamente al trend generale.

Crediamo che la crisi dell'euro sia finita pero' se domenica gli italiani decidessero di votare un'altra volta un personaggio ridicolo allora potrebbe esserci un brutto risveglio. I greci o i portoghesi non sono mai stati un problema, il vero problema è da sempre l'Italia. Se i creditori dovessero perdere la fiducia nel fatto che i soldi prestati a Roma torneranno indietro, allora non ci sarà nulla da fare. Nemmeno la potente Germania potrà fare qualcosa.

La sconfitta ha un nome, si chiama Mario Draghi. La promessa di Draghi era quella di fare in modo che i governi europei utilizzassero il periodo dei tassi a zero per ridurre il debito. Mai nella storia fino ad ora per un paese era stato cosi' facile risolvere i propri problemi di budget. Sfortunatamente, anche indebitarsi non era mai stato cosi' facile.

Il programma di acquisto delle obbligazioni da parte della BCE nei 3 anni del governo Renzi ha portato all'Italia risparmi per 45 miliardi di euro di interessi. Questa è la somma che ho trovato sulla "Süddeutsche". Ovunque questo denaro sia andato a finire, sicuramente non è stato usato per risanare lo stato. Per questo i debiti italiani nel frattempo sono diventati anche i nostri debiti. La BCE da sola fra il 2015 e il 2017 ha acquistato 300 miliardi di euro di debito pubblico italiano. La condivisione della responsabilità sul debito, raccomandata dalla SPD, già da tempo è una realtà.

La politica della banca centrale è transnazionale, e questa è la promessa su cui basa la sua autorità. Ma chi osserva il bilancio della BCE, da quando l'uomo di Roma è al vertice, vede che questa è solo una promessa vuota. In verità da 6 anni la BCE sta gestendo la politica monetaria all'italiana: tutto diventa una questione di prospettiva, anche la questione del piu' e del meno. I tedeschi hanno puntato i piedi. Per uno come Jens Weidmann però un meno resta un segno negativo. Funziona cosi' quando hai perso la sovranità sulla tua stessa valuta: sei benvenuto quando c'è da pagare la fattura, le decisioni pero' le prendono sempre gli altri. 

Oltre al danno la beffa, cosi' dice il proverbio. Quando al signor Draghi durante una conferenza stampa è stata fatta una domanda sulle conseguenze negative delle politiche della BCE, si è fatto beffa "delle paure tedesche": come se le fratture da lui causate fossero solo un'ossessione. Si può' addirittura quantificare il danno. La DZ Bank ha calcolato che il risparmiatore tedesco tra il 2010 e il 2016 ha perso 344 miliardi di euro di interessi non percepiti. Per l'anno appena terminato si aggiungono altri 90 miliardi di euro. Si tratta di una somma enorme, che non è affatto compensata dai risparmi ottenuti in termini di interessi risparmiati da parte dei mutuatari tedeschi.

I tedeschi sono un popolo davvero paziente, va proprio detto. Con coraggio stanno a guardare mentre le loro riserve per la vecchiaia si dissolvono, ciò affinché nel sud tutto possa andare avanti senza un programma di austerità. E dopo cio' si sentono dare anche del nazista. Forse è arrivato il momento di rispondere pan per focaccia e di tornare allo stesso livello. Chi permette che un buffone come Beppe Grillo sia a capo della forza politica piu' forte del paese e riporta sulla scena un artista della tintura dei capelli come Berlusconi, non merita nulla di piu' che essere preso in giro, dico io.

mercoledì 28 febbraio 2018

La Tafel di Essen e la depravazione delle élite politiche: la lotta per il cibo è solo l'inizio

La triste storia della Tafel di Essen, un caso di guerra fra poveri in una zona della Germania già colpita dalla crisi, ha dato l'occasione alle élite socialdemocratiche di mettersi in mostra e di profilarsi come un'autorità morale condannando l'accaduto. Un altro fallimento comunicativo e politico da parte di una forza in declino che ormai ha evidentemente perso il contatto con il paese reale. Un commento molto interessante di Jens Berger sulle NachDenkSeiten.


ll motivo per cui la Tafel di Essen ha imposto uno stop alle iscrizioni di nuovi utenti di origine straniera non sarà sicuramente politicamente corretto, ma è comprensibilissimo. Nel giro di 2 anni la percentuale di stranieri, fra gli attuali 6.000 utilizzatori della Tafel di Essen, è passata dal 35% al 75%. Uomini giovani e a volte anche aggressivi, secondo il racconto degli stessi volontari della Tafel, stanno sempre più' prendendo il posto dei pensionati e delle madri single, anche loro ormai dipendenti dalle briciole della società dei consumi. E' successo, come del resto era prevedibile, perché le élite erano dell'opinione che un'immigrazione di massa non regolata non avrebbe causato alcun disturbo nella parte più' bassa della società. Pensiero sbagliato. Dall'inizio della crisi dei migranti le NachDenkSeiten non hanno fatto altro che mettere in guarda dal rischio: senza un massiccio intervento politico, sociale e finanziario nella parte più' bassa della società si arriverà ad una concorrenza spietata fra i "vecchi poveri", le vittime di Hartz IV e i pensionati in povertà, e i "nuovi poveri", cioè i migranti e i rifugiati. Un posto come la Tafel, in una città povera e disperata come Essen, era senza dubbio il luogo perfetto in cui sarebbero potuti scoppiare i primi conflitti sostitutivi di questo tipo, che sicuramente non saranno nemmeno gli ultimi.

Accusare proprio la Tafel di Essen di razzismo, volontari che da sempre si impegnano affinché le persone più' anziane e più' deboli nella lotta predatoria fra poveri per accaparrarsi il cibo non se ne vadano col piatto vuoto, è squallido e stupido. Senza dubbio tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro nazionalità, dall'età o dal sesso dovrebbero avere diritto ad un'alimentazione sufficiente. Ma le moderne mense dei poveri, come le Tafel, non vivono nell'abbondanza: ogni giorno sono costrette a cercare di riparare agli errori e agli abusi di cui si è resa responsabile la politica. Per questa ragione è particolarmente assurdo che proprio i politici, corresponsabili delle condizioni catastrofiche generali, cerchino ora di mettersi in mostra da un punto di vista morale e di profilarsi attaccando coloro che ogni giorno sul posto e su base puramente volontaria fanno di tutto per mitigare le conseguenze delle politiche immorali portate avanti in questi anni.


Prendiamo ad esempio il politico della SPD berlinese nonché Segretario di Stato, Sawsan Chebli. A lei "corrono brividi freddi sulla schiena", fa sapere al popolo via Twitter. "Generi alimentari solo per i tedeschi. Esclusi i migranti", cosi' Chebli. Di fronte ad una quota di stranieri che alla Tafel di Essen raggiunge il 75%, lei esclude ogni argomento fattuale. Chebli deve ringraziare proprio il suo ruolo di portavoce al Ministero degli Esteri, perché è stata proprio lei, con il suo viso giovane e simpatico, a rivendere alla stampa la politica estera del suo governo, quella stessa politica che ha sicuramente contribuito al fatto che ora ci siano cosi' tanti pensionati poveri e madri single costrette a dover lottare con i rifugiati per accaparrarsi gli avanzi di cibo. La negligenza delle élite non è una questione di età, di genere o di religione, signora Chebli.


Sulla stessa linea si muove anche il politico della SPD che ama tanto considerarsi come la coscienza fattasi uomo del suo partito. Karl Lauterbach scrive: "La fame è uguale per tutti", e pensa che sia un "peccato" che "l'odio per gli stranieri ora sia arrivato anche fra i piu' poveri". Questa citazione toglie la parola perfino ad un osservatore della scena politica ormai vaccinato. Proprio l'uomo corresponsabile delle politiche che hanno affamato i pensionati, le madri single e i migranti ora pensa che sia un "peccato" che si sia arrivati alla lotta per la sopravvivenza fra le vittime della politica dell'Agenda. L'uomo la cui politica ha reso indispensabili le Tafel, ora trova addirittura la faccia tosta di accusare i volontari della Tafel di "odio contro gli stranieri". Solo perché fanno in modo che i pochi mezzi di cui dispongono siano distribuiti anche agli anziani e ai più' deboli? A questo punto si può' citare solo Max Liebermann: "Non riesco a mangiare cosi' tanto quanto avrei voglia di vomitare". Solo il fatto che probabilmente Lauterbach nelle prossime elezioni non riuscirebbe a tornare in Parlamento sarebbe una ragione sufficiente per chiedere le elezioni anticipate. Nessun paese ha bisogno di queste élite.

Ma il massimo viene raggiunto ovviamente dal Ministro federale per gli Affari Sociali Katarina Barley. Per i poveri e per i volontari ha un appunto che arriva direttamente dall'album delle poesie: "il metro di giudizio deve essere il bisogno, non il passaporto", cosi' secondo la signora che molto probabilmente ha contribuito alla scrittura del nuovo accordo di coalizione e con il quale sicuramente farà in modo che in futuro ci siano ancora più' bisognosi. Nessun politico oggi si vergogna? Prima spingi le persone verso la povertà e poi non solo le deridi, ma deridi anche coloro che aiutano i poveri e che cercano di mettere una pezza sulle crepe di questa società. E' squallido, è disgustoso, è la depravazione delle élite. E diciamocelo: il cibo è solo l'inizio. I semi di una politica negligente hanno appena iniziato a germogliare. Un'antica maledizione cinese dice: "che tu possa vivere in tempi interessanti". Io temo che i prossimi anni saranno molto interessanti. 

martedì 27 febbraio 2018

"L'Italia dovrebbe negoziare un'uscita ordinata dall'euro"

Lucio Baccaro, economista e filosofo italiano, è il nuovo direttore del prestigioso Max-Planck-Institut für Gesellschaftsforschung (MPIfG) di Colonia. In una recentissima intervista alla FAZ si schiera a favore di un'uscita ordinata dell'Italia dalla moneta unica. Dalla FAZ.net


Non ci sono molti ricercatori italiani di punta che riescono a fare carriera in Germania. Lucio Baccaro in questo senso è un'eccezione: dallo scorso settembre l'economista politico nato in Puglia nel 1966 è il nuovo direttore del prestigioso Istituto Max Planck per lo studio della società di Colonia. E ovviamente non vuole essere da meno rispetto al suo predecessore Wolfgang Streeck, il quale amava inserirsi nei dibattiti sociali: in una intervista alla FAZ Baccaro si schiera a favore di una uscita ordinata del suo paese dalla moneta unica. L'errore è stato soprattutto entrare nella moneta unica. "L'Italia dovrebbe negoziare un'uscita? Nel complesso sì!", dice Baccaro.

Il ricercatore giustifica la sua posizione, insolita fra gli economisti tedeschi, con i problemi strutturali dell'economia italiana emersi durante un lungo arco di tempo. L'uscita dall'euro potrebbe aiutare a risolverli. "Al momento dell'adesione alla moneta unica nel 1999 molti italiani hanno sognato di poter giocare nella Premier League delle economie nazionali", secondo Baccaro, "ma questo si è rivelato un errore". Lo sviluppo della Grecia all'interno dell'euro è stato un disastro. "L'Italia è il secondo disastro in ordine di grandezza", ha detto Baccaro. La produttività delle imprese italiane è stagnante da 2 decenni, l'economia cresce piu' lentamente di quella tedesca o francese e il rapporto debito pubblico/PIL è con oltre il 130% circa il doppio del rapporto tedesco. Con l'ingresso nella moneta unica il paese del sud-europa si è privato della possibilità di recuperare competitività internazionale attraverso gli aggiustamenti del tasso di cambio - "legandosi entrambe le mani all'albero della UE".

Baccaro, che oltre al suo incarico a Colonia ha una cattedra in sociologia all'Università di Ginevra, non è un amico delle politiche di austerità, tanto criticate nel sud-Europa e che spesso hanno imposto riforme strutturali dolorose. Al loro posto il ricercatore sostiene la necessità di favorire politiche sul lato della domanda che possano aiutare i paesi a crescita più' lenta. Soprattutto chiede che sia lo stato ad intervenire. "Quando la domanda interna e la domanda estera tendono a stagnare, spetta al governo spendere di piu', almeno all'inizio", ha detto il ricercatore. Nel caso dell'Italia cio' sarebbe difficilmente conciliabile con le regole del Trattato di Maastricht, secondo il quale il deficit annuo non dovrebbe superare il 3% del PIL, per Baccaro non si tratta di un criterio di esclusione: "abbiamo bisogno di alleggerire alcune di queste restrizioni, possibilmente quella del limite del 3%".

Anche se Baccaro, che originariamente ha studiato filosofia e in seguito economia, arriva alle sue conclusioni partendo da un punto diverso - la sua posizione sull'euro e sui programmi di spesa non è molto lontana da quella del partito euroscettico della Lega Nord o del partito di Silvio Berlusconi (Forza Italia). 

All'economia tedesca il nuovo direttore dell'Istituto Max Planck dà una pagella con luci e ombre. Da un lato "quella tedesca è la sola economia che nel passato è riuscita a passare da una crescita guidata dai salari ad una guidata dalle esportazioni". Dall'altro lato questo stesso modello di sviluppo in futuro potrebbe rivelarsi fatale per la Germania. All'ombra delle aziende esportatrici di successo è nato un ampio settore a basso salario - soprattutto nel settore dei servizi - con le conseguenti disuguaglianze sociali. La Germania non ha utilizzato le abbondanti entrate fiscali per cercare di aiutare questo gruppo sociale. 

lunedì 26 febbraio 2018

Il funerale della socialdemocrazia tedesca

I sondaggi parlano di una SPD in caduta libera rispetto al magro 20,5% ottenuto alle ultime elezioni di settembre. Con un'altra Große Koalition le cose non potrebbero che peggiorare e per AfD probabilmente si aprirebbe un'autostrada elettorale. Ecco perché la SPD dovrebbe rifiutare l'abbraccio mortale della CDU e spingere Merkel a formare un governo di minoranza. Ne parla Timothy Garton Ash su The Guardian.


Il 4 marzo sarà un giorno molto importante per l'Europa. Nello stesso giorno si terranno le elezioni generali in Italia e scopriremo se un referendum interno ai socialdemocratici tedeschi darà il via libera al governo di Grande Coalizione a Berlino e quindi al proseguimento dell'attuale collaborazione con i cristiano-democratici di Angela Merkel.

La saggezza convenzionale ci dice che questo dovrebbe essere un buon risultato per l'Europa. Io penso invece che la saggezza convenzionale si sbagli. Come indossare un corsetto medico per cercare di alleviare un problema grave alla schiena e poi continuare la stessa vita di prima: un'altra grande coalizione sarebbe forse una buona cosa nel breve periodo ma cattiva nel lungo. Bisogna affrontare le cause, non i sintomi. E c'è un'alternativa. 

Questa settimana ho trascorso due giorni a Berlino e non ho mai visto meno entusiasmo per un possibile nuovo governo. Dovrebbe essere un matrimonio, ma invece sembra di essere ad un funerale. Ed è ciò' che potrebbe diventare: il funerale della SPD, uno dei più' antichi ed importanti partiti europei di centro-sinistra. In un sondaggio scioccante di pochi giorni fa il partito di estrema destra AfD veniva dato al 16%, mezzo punto in più' dei socialdemocratici. Potrebbe essere solo un fuoco di paglia, ma già il 20.5% ottenuto alle ultime elezioni è stato il risultato più' basso di sempre.

Sappiamo dalla storia che una grande coalizione fra il principale partito di centro-sinistra e quello di centro-destra tende a rafforzare le ali estreme - e questo è già accaduto. Il risultato di questa stessa grande coalizione - o Groko - che ha governato per 8 dei precedenti 12 anni, è stato proprio il voto dato ad AfD da parte di un elettore tedesco su 8. E guardate che messo accanto ad AfD lo Ukip sembra un partito moderato e Silvio Berlusconi un distinto gentiluomo conservatore.

...

Certo, nuove elezioni ora, dopo 5 mesi di confusione politica senza precedenti potrebbero produrre un voto di protesta ancora piu' ampio a favore di AfD. Ma c'è un'alternativa migliore che la Cancelliera e il Presidente Federale potrebbero tentare se i militanti del partito socialdemocratico dovessero votare no: un governo di minoranza cristiano-democratico guidato da Merkel. Il governo di minoranza sarebbe sicuramente un'innovazione nella storia della Repubblica federale, anche se è già stato messo in pratica in molte altre democrazie e nella costituzione tedesca non c'è scritto da nessuna parte che non lo si possa fare anche in Germania. In realtà, il ruolo importante che la Costituzione deliberatamente conferisce al Cancelliere potrebbe rendere più facile sostenere un governo di minoranza. I principali partiti d'opposizione, i Liberali, i Verdi, nonché i Socialdemocratici, offrirebbero sicuramente il loro sostegno sulle politiche europee o di sicurezza, come del resto sulle leggi di bilancio e sui voti di fiducia. Si', il governo di minoranza potrebbe perdere alcuni voti parlamentari su altri temi, ma come sottolineato dallo storico tedesco Heinrich-August Winkler, cio' aumenterebbe l'importanza dei dibattiti parlamentari e il lavoro delle specifiche commissioni. Sarebbe un male per una democrazia parlamentare? Al contrario.

La riposta di Berlino alle proposte di Macron sull'Europa sarebbe un po' meno entusiasta, specialmente in merito all'Eurozona. Ma si tratterebbe di una sintesi molto piu' realistica della posizione su cui si trova la maggioranza dei tedeschi sull'argomento. Sicuramente molto lontana dalla visione dell'ex leader della SPD Martin Schulz, quella degli Stati Uniti d'Europa da creare entro il 2025. Allo stesso tempo i cristiano-democratici sarebbero spronati ad offrire qualcosa in piu' a Macron sui temi della politica estera, della sicurezza e della difesa comune - specialmente di fronte al terribile trio Brexit, Trump e Putin. Sarebbe un male per l'Europa? Al contrario.

Un governo di minoranza sotto Merkel probabilmente non durerebbe un intero mandato, ma non sarebbe nemmeno la fine del mondo. Sono un grande ammiratore di Merkel, ma ci stiamo decisamente avvicinando al momento di un cambiamento al vertice. La democrazia è anche questo. Un'elezione nel 2019 o 2020 con dei partiti di opposizione meglio delineati e con un nuovo e piu' giovane leader cristiano-democratico difficilmente potrebbe essere peggiore di quella imposta da una grande coalizione stantia e in rovina.

Il motto silenziosamente sospeso sulla saggezza convenzionale che domina a Berlino è un motto conservatore usato per la prima volta nel 1957: Keine Experimente!  (nessun esperimento!). Ma ciò' di cui invece la Germania avrebbe bisogno in questo momento è il grido di Willy Brandt del 1969: Mehr Demokratie wagen! (osare piu' democrazia!). L'esperimento di un governo di minoranza creerebbe alcune incertezze nel breve periodo, ma nel lungo periodo sarebbe un vantaggio sia per la Germania che per l'Europa. 

domenica 25 febbraio 2018

Sahra Wagenknecht:"aiutiamoli a casa loro"

Le Tafel sono associazioni di volontariato che distribuiscono ai bisognosi i generi alimentari ricevuti in dono dai supermercati o dalle aziende. Nei giorni scorsi la Tafel di Essen ha deciso di dare la precedenza ai tedeschi nella distribuzione degli alimenti. Ne è nato un dibattito politico che sembra fatto apposta per portare acqua al mulino di AfD. Sahra Wagenknecht, leader della Linke, con un'intervista coraggiosa a DLF dice quello che anche a sinistra sono in molti a pensare: "aiutiamoli a casa loro!". Da deutschlandfunk.de


DLF: Lei ha detto che non bisogna consentire le strumentalizzazioni.Tuttavia lei stessa viene accusata nel suo partito, nella Linke, di voler favorire la gente del posto o che almeno si è espressa in questa direzione. Non è stata anche lei in passato a favorire proprio questo conflitto?

Wagenknecht: non si tratta solo di favorire, si tratta piuttosto di fare in modo che non siano proprio coloro a cui già ora le cose vanno male ad essere ulteriormente gravati dal peso dell'immigrazione. E queste sono le conseguenze della politica del governo federale. La responsabilità non è dei rifugiati ma della politica che ha creato le condizioni affinché potessero arrivare in massa e che ora non si preoccupa affatto del modo in cui i problemi connessi devono essere risolti. Le Tafel sono solo una parte della storia, ma ce ne sono certamente altre, ci sono le scuole sovraffollate e i problemi abitativi. Ci sono molti problemi che si sono aggravati a causa della crisi dei migranti. E il governo federale continua come se non fosse successo niente, lascia i comuni da soli, lascia le Tafel da sole. E ora fanno finta di arrabbiarsi quando da qualche parte si accende un conflitto come questo, io lo trovo ipocrita.

DLF: il governo federale la vede in maniera diversa. Nel vostro stesso partito i vertici dicono chiaramente che stanno perseguendo un corso politico favorevole ai profughi, vogliono le frontiere aperte, vogliono proteggere le persone in difficoltà, anche se poi ci saranno sempre piu' persone che arrivano in Germania. E questo significa anche che le Tafel saranno frequentate sempre piu'  da una maggioranza di stranieri che hanno bisogno di aiuto. Qual'è allora la posizione della Linke?

Wagenknecht: riteniamo che le persone perseguitate politicamente abbiano diritto all'asilo. Ma riteniamo che né per la Germania né per i paesi di origine sia opportuno promuovere e favorire la migrazione di manodopera. Da un lato nei paesi di origine è soprattutto la classe media istruita a migrare, e questo avviene a spese dei piu' poveri, che non vengono perché non possono. E non abbiamo interesse a creare ulteriore concorrenza in Germania nel settore a basso salario dando alle  imprese ancora di piu' la possibilità di giocare mettendo l'uno contro l'altro, perché tanto avranno sempre qualcuno che a causa della situazione personale è disposto a lavorare per un salario peggiore. Tutto cio' non ha senso e noi non lo appoggiamo.

DLF: chi sono allora gli elettori della Linke? La gente del posto oppure gli immigrati bisognosi?

Wagenknecht: ci impegniamo per le persone a cui le cose non  vanno bene, che sono anche i perdenti delle politiche degli ultimi anni. E vorremmo anche un ordine economico globale che impedisca alle persone di essere cacciate dalle loro case. Ad esempio quando parliamo di rifugiati vediamo che solo il 10% di tutti i rifugiati ce la fa ad arrivare nei paesi sviluppati, il 90% vive vicino alla propria terra di origine, la maggior parte di loro viene lasciata da sola e senza aiuto. Dobbiamo aiutarli in quei paesi, a casa loro.

DLF: è una tipica posizione della CDU quella da lei rappresentata.

Wagenknecht: quella che le ho appena descritto non è una posizione della CDU ma è la realtà. Il 90% delle persone vive in quei paesi. E se anche questa fosse la posizione della CDU allora mi chiedo perché la signora Merkel ha tagliato i trasferimenti tedeschi all'UNHCR, ad esempio, durante la grande ondata di rifugiati. Questo è stato uno dei motivi per cui così tante persone sono arrivate in Europa dai paesi confinanti con la Siria. Perché in quei paesi hanno condizioni miserabili. E ora assistiamo ad una escalation nella guerra in Siria a causa dell'intervento della Turchia. La Turchia è un nostro alleato, i carri armati tedeschi vengono usati per uccidere e, naturalmente, causano la fuga delle persone, creano rifugiati e i flussi di rifugiati. E penso che se vuoi davvero fare qualcosa affinché non ci sia cosi' tanta gente che fugge in Europa, dovresti finalmente smettere di vendere armi in tali conflitti e anche impegnarti chiaramente nei confronti dei nostri alleati in modo da fermare la guerra.

DLF: Bernd Riexinger, il vostro collega di partito, ha detto che i rifugiati di oggi sono gli operai di domani. La sinistra può davvero permettersi di perdere la futura clientela di migranti?

Wagenknecht: questa è una posizione troppo semplice. Prima di tutto, ci auguriamo che tutti coloro che vivono in Germania abbiano anche la possibilità di trovare un lavoro, cosa che attualmente resta un grosso problema. Dopo tutto, la maggior parte delle persone arrivate in Germania nell'ultima ondata migratoria non ha ancora un lavoro, e hanno grandi difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro. E non è nemmeno la nostra posizione, quella di portare più gente possibile in Germania, questo deve essere molto chiaro, non può essere una posizione di sinistra. Puoi aiutare solo le persone che le tue infrastrutture e le tue capacità ti permettono di aiutare.

DLF: ma questo non faceva parte del vostro programma di partito

Wagenknecht: beh, questo è solo normale e ragionevole buon senso, vale a dire che non si possono aiutare le persone quando le risorse non sono disponibili, non serve a nessuno in verità...

DLF: quindi è il resto del suo partito a comportarsi in maniera irragionevole?

Wagenknecht: non serve a nessuno un'integrazione che non funziona. Dobbiamo evitare che emergano mondi paralleli, dobbiamo prevenire, anche nell'interesse di coloro che vengono in Germania, che la xenofobia si intensifichi. Ed è altrettanto vero che se parli oggi con persone immigrate in passato, ti accorgi che non sono affatto d'accordo sul fatto che ci sia bisogno di più' immigrazione. Perché in molti casi anche loro lavorano nel settore a basso salario e anche loro sono colpiti quando la pressione salariale aumenta, e sono proprio loro a vivere in quelle zone residenziali e vogliono che gli affitti non continuino a salire. Non è difficile capire che si tratta di una posizione che viene sostenuta proprio nelle zone ad elevata immigrazione.

Le radici intrinsecamente antidemocratiche e fasciste del pareggio di bilancio

Su Kontrast.at un articolo molto interessante ripercorre le origini intrinsecamente fasciste e reazionarie del cosiddetto "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse), la legge tedesca che ha ispirato il pareggio di bilancio inserito poi nella Costituzione italiana. Sia in Italia che in Germania non sarebbe mai stato introdotto senza il voto favorevole dei principali partiti socialdemocratici. Da Kontrast.at


Il cosiddetto "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse) è un'idea peculiare degli anni '40 riconducibile ad un ristretto gruppo di uomini facoltosi che erano soliti riunirsi sulle Alpi svizzere. Nato dalle idee di uno strano personaggio con una certa predilezione per i regimi autoritari, ha avuto bisogno di un po' di tempo prima di affermarsi economicamente; una rete neo-liberale fatta di giornalisti, politici e think tank con molto denaro e molto potere nel corso degli anni è riuscita a farlo emergere e a dargli una grande visibilità. Con un grande danno per la collettività.

Era il 1947 quando sulle montagne svizzere poco piu' di una decina di uomini decise di cambiare radicalmente le regole della convivenza globale: era nata la „Mont Pèlerin Society“. Da allora un network di giornalisti, politici e think tank finanziati da super-ricchi, industriali ed ereditieri si riunisce regolarmente per portare avanti un progetto finalizzato ad imporre l'ideologia economica neoliberista - nella gestione dello stato, nell'economia e nella mente delle persone. "Il liberalismo in quanto principio dominante se non principio assoluto di organizzazione sociale" in molti campi ha imposto un pensiero che considera l'uomo un „Homo oeconomicus“ interamente orientato al raggiungimento del profitto e al perseguimento del proprio interesse economico. L'amicizia, l'amore, oppure il prendersi cura dell'altro, secondo questa ideologia non avrebbero alcuna importanza. Una concezione dell'uomo che ci rivela molto sui seguaci di questo pensiero.

Negli anni '40 il neoliberismo era ancora marginale, nessuno lo prendeva sul serio. Tuttavia nel corso dei decenni il lavoro sistematico condotto da una rete di think tank, politici e giornalisti è riuscito a trasformarlo in una corrente mainstream.

Gli inventori del pareggio di bilancio - non erano amici della democrazia

E' proprio da questa area politica che arriva l'idea del cosiddetto "freno all'indebitamento" (Schuldenbremse). L'ideatore è stato il defunto economista ed ex presidente della „Mont Pèlerin Society“, James McGill Buchanan. Quando la storica Nancy MacLean dopo la scomparsa di Buchanan ha perlustrato la sua tenuta, ha scoperto che l'economista per diversi anni era stato finanziato direttamente dall'industriale statunitense Charles G. Koch, il nono uomo piu' ricco al mondo. Tra Koch e Buchanan non scorreva solo denaro ma anche idee. Si incontravano regolarmente per lo scambio di opinioni, occasioni in cui ad esempio i due parlavano di come si potevano contenere e limitare le istituzioni democratiche:

"Buchanan non era un grande amico della democrazia, per lui il dispotismo era un'alternativa possibile e forse migliore. In questo senso Buchanan era convinto che i politici eletti democraticamente e le loro azioni dovevano essere fortemente limitate. Ad esempio attraverso un "freno all'indebitamento" che stabilisca quanto uno stato puo' spendere, indipendentemente da cio' che è necessario socialmente o dall'andamento dell'economia."

Buchanan nella sua avversione per la democrazia si è spinto ancora oltre appoggiando la sanguinosa dittatura in Cile attiva sotto Augusto Pinochet. Ha contribuito a scrivere la Costituzione dello stato autoritario sud-americano ed è stato consigliere di Pinochet sulle questioni di politica economica. Le conseguenze di quelle politiche furono tagli radicali, privatizzazioni catastrofiche e lo smantellamento dei diritti dei lavoratori.

Bilanci pubblici e privati sullo stesso piano.

Per decenni il debito pubblico è stato considerato una conseguenza delle crisi economiche, non una sua causa. Le reti neo-liberiste hanno tuttavia cercato di capovolgere la situazione e negli anni successivi al 2008/2009 sono riuscite ad imporsi e a far passare l'idea che i bilanci pubblici e privati possano essere messi sullo stesso piano. Il risultato è stato un programma di austerità che ha fatto scivolare le economie in una crisi sempre piu' profonda.

L'idea alla base del "freno all'indebitamento" risiede nella convinzione che i bilanci pubblici e quelli privati funzionino allo stesso modo. L'intero quadro finanziario riguardante diversi milioni di persone dovrebbe essere organizzato esattamente come il bilancio di una famiglia di 3 o 4 persone. E' ovvio che si tratta di una conclusione completamente errata: il settore pubblico investe nelle infrastrutture, costruisce e gestisce gli ospedali, le scuole e le università, finanzia i vigili del fuoco, la protezione civile e la polizia. Ed è grazie ad una migliore formazione, ad infrastrutture piu' solide e ad una maggiore sicurezza che gli investimenti contribuiscono ad incrementare i redditi. Una riduzione delle uscite porta spesso anche ad una riduzione delle entrate. Per le famiglie private non puo' valere la stessa dinamica delle entrate e delle uscite.

Il freno all'indebitamento è un freno agli investimenti

Dal punto di vista macroeconomico il freno all'indebitamento (Schuldenbremse) è un freno agli investimenti: i margini di manovra politici vengono fortemente limitati, coloro che vivono del loro lavoro subiscono i tagli, i titolari dei grandi patrimoni invece ottengono vantaggi fiscali. Il freno agli investimenti è esattamente il contrario del concetto di giustizia - sia all'interno della società che tra le generazioni: la ricchezza viene infatti redistribuita da coloro che lavorano a coloro che invece vivono dei loro patrimoni e possedimenti. Il motore economico dello sviluppo si ferma e le società neo-liberiste vivono consumando le loro risorse. Sarebbe molto piu' importante invece investire nell'economia reale e rafforzare i settori fondamentali per il futuro invece di seguire un piano egoistico creato da un piccolo e bizzarro gruppo di persone.



lunedì 23 ottobre 2017

Perché i minijob non possono essere la soluzione

I grandi quotidiani nazionali italiani ci ricordano quanto siano utili e belli i minijob alla tedesca e che sarebbe arrivato il momento di introdurli anche nella nostra penisola. Le cose non stanno esattamente cosi'. Una ricerca del prestigioso Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) riportata da Die Welt evidenzia che al boom dei minijob corrisponde un boom del doppio lavoro. Il motivo: le esenzioni fiscali garantite dai minijob (fino a 450 € al mese) spingono i lavoratori ad iniziare un secondo lavoro. Invece della crescita professionale nell'impiego principale, i minijob di fatto incentivano la creazione continua di milioni nuovi lavoretti che molto spesso sono dei veri e propri "dead-end job". Da Die Welt


Il mercato del lavoro tedesco passa da un record all'altro: mai fino ad ora la disoccupazione era stata cosi' bassa, mai nella Repubblica Federale c'erano state cosi' tante persone occupate - e il loro numero dovrebbe continuare a crescere anche questo e il prossimo anno.

Le cifre ufficiali tuttavia non riflettono le vere dimensioni della crescita occupazionale perché la parte piu' ampia del boom occupazionale da alcuni anni ha luogo in un'area del mercato del lavoro che non compare nelle statistiche ufficiali: e cioè nel doppio lavoro.

Un recente studio dell'Institut für Arbeitsmarkt- und Berufsforschung (IAB) illustra la crescita quasi esplosiva dei secondi lavori: nel primo trimestre di quest'anno c‘erano 3.07 milioni di lavoratori dipendenti, autonomi o pubblici con un secondo lavoro. Il numero di coloro che hanno piu' di un lavoro dal 2003 è piu' che raddoppiato.



Nessuna tassa

Due sono i fattori che piu‘ di tutti stanno alimentando questo sviluppo; accanto al buon andamento del mercato del lavoro c'è stata soprattutto una modifica della normativa: dal primo aprile 2003 infatti sono cambiate le leggi che regolano i minijobs. Il limite massimo di guadagno è passato prima da 325 a 400 euro e in seguito ha raggiunto i 450 euro mensili; i minijobs di fatto sono stati esentati dalle tasse e dai contributi.

Chi lavora con uno o piu' minijob e guadagna fino a 450 euro, infatti, non deve pagare né le imposte sul reddito né i contributi previdenziali. La maggior parte dei lavoratori si fa esentare anche dal versamento dei contributi previdenziali. Solo il datore di lavoro versa alla Minijob-Zentrale una somma forfettaria per coprire i contributi sociali e le tasse.

Questa nuova normativa ha reso i minijob improvvisamente molto attraenti per tutte le persone che al di fuori degli orari del lavoro principale intendono guadagnare qualcosa. Nei mesi successivi all'entrata in vigore della legge infatti è cresciuto radicalmente il numero di coloro che svolgono 2 o piu' lavori.



Ci sono piu' offerte di lavoro

Da allora il numero di persone con doppia occupazione continua a crescere. I due ricercatori dello IAB, Sabine Klinger e Enzo Weber, sostengono che l’andamento sia da ricondurre allo sviluppo storicamente buono del mercato del lavoro. Chi ha un secondo lavoro beneficia del fatto che nel complesso c'è una maggiore offerta di posti di lavoro. "La crescita relativa del doppio lavoro è stata sicuramente piu' pronunciata rispetto a quella dei dipendenti con una sola occupazione", scrivono gli autori.

Cio' è confermato anche da una ulteriore analisi statistica: soprattutto nelle regioni in cui c'è piena occupazione, come il Baden-Württemberg o la Baviera, negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il numero di minijob svolti come un secondo lavoro.

Un altro fattore importante secondo gli autori potrebbe essere il fatto che fino al 2010 i salari reali sono cresciuti solo per i lavoratori piu' qualificati. Molti lavoratori hanno percio' avvertito la pressione e la necessità finanziaria di migliorare il reddito derivante dall'attività principale.

In un'analisi separata, gli autori dello studio Klinger e Weber, utilizzando i dati della Bundesagentur für Arbeit, hanno cercato di capire chi sono coloro che svolgono un secondo lavoro. Non c'è da sorprendersi nello scoprire che sono soprattutto gli occupati che guadagnano molto poco ad avere un secondo lavoro. Di conseguenza la probabilità di svolgere un secondo lavoro è sicuramente piu' alta nelle fasce di reddito piu' basse.

Molte donne hanno due posti di lavoro

Nell'ambito di questa indagine, fatta sui dati del ministero, non erano considerati i lavoratori autonomi. "Se lo studio dovesse prendere in considerazione anche i lavoratori autonomi che hanno un secondo lavoro, nelle statistiche probabilmente comparirebbero anche persone con una buona situazione finanziaria", dice l'autore Enzo Weber. "Spesso si tratta  di persone che cercano di guadagnare autonomamente un po' di soldi sfruttando le loro elevate competenze".

Attualmente gli esperti del mercato del lavoro distinguono tra due gruppi di secondi lavori: nel primo ci sono persone che svolgono un secondo lavoro perché con la loro attività principale guadagnano troppo poco e quindi dipendono dal reddito percepito con il secondo lavoro. Nel secondo gruppo ci sono invece coloro che hanno solo un part-time e che vorrebbero lavorare di piu'

In questo secondo gruppo ci sono soprattutto donne; sono infatti le donne ad essere sovrarappresentate fra coloro che esercitano un secondo lavoro, cosi' come fra i lavoratori a basso reddito. Ad un altro  gruppo appartengono invece gli scienziati o i ricercatori che per ragioni di prestigio svolgono un secondo lavoro oppure coloro che semplicemente provano piacere nello svolgere una seconda attività; è il caso ad esempio dei manager che insegnano all'università, o degli impiegati che dopo il lavoro vanno a suonare con una band musicale.

I vantaggi dovrebbero essere eliminati

Gli autori  fondamentalmente criticano il fatto che lo stato sovvenziona i minijobs attraverso l'esenzione delle tasse e dei contributi. "Questo beneficio statale nei confronti dei minijobs non è necessario e dovrebbe essere annullato", afferma Weber, direttore della ricerca IAB. Utlizzare le esenzioni fiscali dei minijobs per spingere le persone ad avere piu' di un lavoro è una scelta miope.

"Al momento il sostegno fiscale del governo incentiva le persone ad intraprendere un minijob come secondo lavoro, un lavoro che di fatto non porta nulla se non un po' piu' di soldi. Sarebbe invece necessario migliorare le opportunità di reddito nel lavoro principale, ad esempio attraverso una riduzione dei contributi e delle tasse per i redditi piu' bassi", sostiene Weber.

"Le persone dovrebbero essere incentivate a lavorare nella loro attività principale, impegnandosi in quello che fanno, eventualmente ampliando l'orario di lavoro, in modo da svilupparsi professionalmente ed essere in grado di versare contributi per avere poi una pensione in vecchiaia. Aver ridotto le tasse e i contributi sociali per i minijob è servito solamente a mettere le persone sulla strada sbagliata".