Dopo aver ascoltato e letto le nuove idee sull'euro in arrivo dall'Italia, la stampa tedesca lancia la Strafexpedition. La FAZ schiera subito un pezzo da novanta come Hans Werne Sinn il quale non ha dubbi: il boom dei partiti eurocritici è dovuto al fatto che in Italia si è fatta poca austerità e poca moderazione salariale. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung
La spettacolare ascesa dei partiti radicali in Italia, e il loro tentativo di mettersi in mostra promettendo incredibili benefici economici, sarebbe una conseguenza degli errori commessi durante gli euro-salvataggi. E' questa la tesi sostenuta dall'economista Hans-Werner Sinn, l'ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco, nella sua ultima analisi sullo sviluppo del sud-europa dall'inizio dell'eurocrisi che verrà pubblicata a breve dal Ces-Ifo come documento di lavoro dal titolo"The ECB’s Fiscal Policy“.
I risultati di questo studio, pubblicati in anticipo dalla FAZ, sono spiazzanti: la relazione fra la forte crescita dei partiti estremisti nell'Europa meridionale e le difficoltà economiche dovute alla crisi dell'euro è piu' un'illusione che una verità. La colpa di quanto accaduto, secondo Sinn, sarebbe invece degli stati europei e della Banca Centrale Europea (BCE) i quali si sarebbero addentrati sempre piu' in una "spirale interventista" fino ad arrivare al QE e all'acquisto dei titoli di stato da parte della banca centrale, uscendo quindi dal campo della politica monetaria per entrare in quello della politica fiscale.
Solo la Grecia, la Spagna e la Francia hanno fatto progressi
La ripresa che a partire dall'eurocrisi puo' essere osservata nell'Europa meridionale, Sinn la definisce un "Flash Keynesiano"; un fuoco di paglia creato dai salvataggi, dalle misure di sostegno, dall'abbassamento artificiale dei tassi di interesse e dai diversi programmi di acquisto titoli della BCE. Questo stimolo economico avrebbe portato ad una certa ripresa nell'Europa del sud, soprattutto nel settore dei beni non commerciabili e dei servizi locali. Cio' tuttavia avrebbe impedito l'aggiustamento verso il basso dell'eccessivo livello salariale e in parte avrebbe garantito anche degli aumenti salariali. Al contrario, in questi paesi il settore internazionale dei beni commerciabili e l'industria non ne avrebbero affatto beneficiato. Non è vero che in questi paesi ci sarebbero al momento delle difficoltà, nonostante la falsa ripresa - le difficoltà persistono, in parte, proprio per questa ragione.
"I problemi di competitività restano", scrive Sinn. Lo mostra un confronto tra i tassi di cambio reale, cioè il prezzo dei beni auto-prodotti in questi paesi in rapporto al resto dell'eurozona. "Italia e Portogallo in 10 anni non hanno fatto nulla di concreto per migliorare la loro competitività", dice Sinn. Solo la Grecia e la Spagna - "e in parte anche la Francia" - avrebbero fatto qualche passo in avanti. "Per la Grecia e la Spagna tuttavia lo sforzo per l'adeguamento è particolarmente grande e il percorso particolarmente lungo", afferma Sinn. Entrambi i paesi, sotto l'influenza dei programmi di aiuto, avrebbero cessato ogni sforzo per diventare piu' competitivi.
L'Irlanda è un caso eccezionale
Se si confronta il prodotto interno lordo reale di oggi e quello di prima della crisi, l'Italia con un meno 5% è al penultimo posto in Europa prima della Grecia. La Germania è cresciuta del 13%, la Francia è a un piu' 8%, la Spagna al 4% e il Portogallo intorno allo zero %.
Considerando solo la produzione dell'industria e del settore manifatturiero („Manufacturing output“) nei rispettivi paesi rispetto a prima della crisi dell'euro, il dato per l'Italia sarebbe ancora peggiore con un meno 17%. La Germania in questo confronto avrebbe un piu' 9%, la Francia segna un meno 9%, Grecia e Spagna addirittura un meno 20% ciascuna. "Queste cifre gettano una luce sui problemi economici che hanno portato al violento e drammatico aumento dei partiti estremisti in questi paesi negli ultimi anni", afferma Sinn.
Un caso notevole è l'Irlanda, sottolinea l'economista. L'Irlanda è stato il paese con la maggiore svalutazione reale e allo stesso tempo è riuscita a ripristinare la propria competitività. "Non è successo grazie agli aiuti, ma perché il paese è entrato in crisi già alla fine del 2006, non ha ricevuto nessun aiuto ed è stato costretto a tirare la cinghia - con una riduzione dei prezzi e dei salari", dice Sinn. Quando nel 2011 sono arrivati i salvataggi, l'auto-aiuto irlandese è cessato immediatamente: "fortunatamente il lavoro era già stato fatto".