venerdì 7 settembre 2018

Perché Hartz IV non è un reddito di cittadinanza ma un sistema fondato sulle sanzioni

Non è un mistero che l'Hartz IV tedesco sarà il modello per il futuro reddito di cittadinanza italiano. Hartz IV tuttavia prevede un sistema sanzionatorio molto rigido affidato allo zelo degli impiegati dei Jobcenter i quali possono accanirsi sul singolo percettore di sussidio vessandolo con richieste e minacce fino alla cancellazione dell'intera indennità. La trasmissione televisiva PlusMinus della ARD (tv pubblica) affronta il problema e offre un'ottima sintesi delle vessazioni tipiche del regime sanzionatorio Hartz. 


Klaus Brieger era un uomo di successo. Viveva in una villetta a Iserlohn, nel Nord Reno-Westfalia. Aveva fatto prima il direttore delle vendite, poi si era messo in proprio con una sua palestra. Non erano rari i giorni in cui lavorava fino a 14 o 16 ore. La situazione è cambiata bruscamente, come dice Klaus Brieger: "c'è stato un crollo totale, un burn-out, mi sono semplicemente accasciato, sono svenuto e quando mi sono svegliato ero in ospedale".

Dopo un anno si sente nuovamente in buona forma fisica tanto da accettare un mini-job come conducente di autobus. Al mattino porta i bambini disabili a scuola. E fa domanda per Hartz IV. Vorrebbe avere accesso alle prestazioni, ma solo temporaneamente, almeno secondo il suo piano. A causa dell'impegno con il suo mini-job chiede agli impiegati del Jobcenter di essere convocato per gli appuntamenti nell'orario successivo a quello in cui porta i bambini a scuola, almeno dopo le 10. Ma nessuno dal jobcenter prende in considerazione la sua richiesta: "Mi hanno sempre convocate alle 7.30, anche se sapevano che avevo un mini-job e gli avevo anche detto che in quell'orario non potevo andare. Nonostante cio' hanno continuato a chiamarmi in quell'orario e dato che non mi sono potuto recare al centro per l'impiego sono stato sanzionato".

Poiché non si è presentato nelle date assegnate, il suo sussidio Hartz IV è stato tagliato, prima per 30%, poi del 60% e alla fine in maniera completa. L'Arbeitsamt non gli pagava piu' nemmeno l'affitto - secondo l'ufficio del lavoro avrebbe ripetutamente omesso di adempiere ai propri obblighi.

La pressione sulle persone fa parte del programma

Dietro Hartz c'è anche l'idea di fare pressione sui disoccupati affinché questi accettino un lavoro. "A nessuno in futuro sarà permesso di essere pigro a spese della collettività. Chi rifiuterà un lavoro ragionevole - e cambieremo i criteri di ragionevolezza - onorevoli colleghi, dovrà fare i conti con le sanzioni" cosi' parlava nel 2003 il cancelliere Gerhard Schröder al Bundestag.

Destini tragici

Rifiutare un lavoro ritenuto inadeguato, scrivere troppe poche applicazioni, saltare gli appuntamenti al centro per l'impiego: tutto questo può costare il cosiddetto "sostegno". Ma i Jobcenter spesso mancano l'obiettivo, afferma l'avvocato Dirk Feiertag. Circa il 90% di tutte le notifiche sanzionatorie contiene un errore, tuttavia vengono applicate perché le persone colpite non sanno difendersi. Feiertag lo ha imparato con il suo lavoro: "Ho avuto dei casi anche qui, c'è stato ad esempio un uomo che per mesi si è nutrito di foglie, perché in pratica non riceveva il denaro del sussidio, nemmeno i buoni alimentari. Il numero non quantificabile di persone che non va dall'avvocato, che non va in tribunale, che non presenta un'obiezione, specialmente nel caso di sanzioni, è incredibilmente alto. Le sanzioni causano una sofferenza enorme".


Senso e dignità portati via

Lo stesso è accaduto a Klaus Brieger. Presumibilmente in diverse occasioni non è riuscito a rispettare gli obblighi previsti dal Jobcenter e per questo ha ricevuto la sanzione di livello piu' alto: il pagamento del sussidio mensile è stato completamente annullato e l'affitto è stato bloccato. Ciò ha avuto delle conseguenze fatali: Brieger prima ha fatto debiti per pagare l'affitto, poi senza preavviso gli hanno tolto l'appartamento.

"Quello è il momento in cui ti chiedi se tutto ciò abbia ancora un senso. Stai lì e ti chiedi: cosa ci sarà in serbo ancora per me, niente di più? Se questa gente può rovinare una persona in questo modo e farla anche diventare un senzatetto, allora mi chiedo: per quale motivo andare avanti? "

Perché il Jobcenter abbia punito così duramente Klaus Brieger, anche se stava lavorando ed era disponibile per un appuntamento in una data successiva, l'Arbeitsamt di Iserlohn non intende rivelarlo davanti ai microfoni - ufficialmente per ragioni di protezione dei dati.

Nessuna punizione affrettata

Il ricercatore di Colonia, il Prof. Christoph Butterwegge, esperto in materia di povertà, da tempo chiede che i centri per l'impiego, invece di sanzionare frettolosamente, facciano uso del loro margine discrezionale: "La punizione non può essere la soluzione, ma deve essere un aiuto per le persone colpite. Soprattutto chi si trova in Hartz IV da molto tempo ha bisogno di sostegno. Alcuni hanno problemi psico-sociali, altri hanno problemi di dipendenza e per questo devono essere aiutati: se vieni tormentato e vessato, come accade con le sanzioni, allora spingi le persone verso la totale rassegnazione".

Tribunale sociale: il sostentamento ha la precedenza

Il Tribunale sociale di Gotha ha messo in discussione il regime sanzionatorio nei confronti dei beneficiari di Hartz IV nel suo complesso. Secondo una sentenza del tribunale i tagli all'Alg II (sussidio Hartz) sarebbero addirittura incostituzionali: "la Costituzione tedesca stabilisce che le persone abbiano diritto almeno ad una sussistenza minima e che abbiano a disposizione un minimo di mezzi finanziari per assicurarsi il proprio sostentamento e per poter partecipare attivamente alla vita sociale. Per questa ragione secondo il tribunale non sarebbe più possibile applicare le sanzioni previste dal SGB II (Sozialgesetzbuch Zweites Buch)".

I giudici di Gotha hanno inviato le loro conclusioni alla Corte costituzionale federale con la richiesta di esaminarle. La Corte dovrebbe pronunciarsi entro l'anno. Le sanzioni nei confronti dei beneficiari di Hartz IV sono destinate a sparire?

aufRecht – L'associazione che aiuta gli Hartz IV

Klaus Brieger non è diventato un senzatetto solo grazie agli amici e ai familiari. Ha anche ricevuto aiuto da Ulrich Wockelmann. Egli stesso vive di Hartz IV e con la sua piccola associazione "aufRecht" ha già aiutato piu' di 2.400 persone in difficoltà. Wockelmann è riuscito a convincere Klaus Brieger ad andare in tribunale: "La sanzione non era valida, ma è stata ugualmente eseguita, i soldi non c'erano piu' e le vie legali purtroppo sono troppo lunghe".

Il tribunale non ha riscontrato alcuna violazione degli obblighi e ha pertanto ordinato al centro per l'impiego di pagare a Klaus Brieger i soldi trattenuti ingiustamente. Per lui, tuttavia si è trattato di una vittoria amara: "Ho recuperato tutto, ma il momento in cui vieni accusato, in cui non hai piu' nulla, ti senti come un monticello di miseria. I miei diritti fondamentali, tutto ciò che avevo, l'umanità, la dignità, tutto ciò mi è stato tolto da queste persone ". E questa dignità, che gli è stata tolta per cinque anni, non gliela restituirà nessun ufficio del lavoro.

Il servizio della ARD su PlusMinus:





mercoledì 5 settembre 2018

Chemnitz e le fake news di governo

Lo ha detto oggi il presidente della Sassonia davanti al parlamento regionale di Dresda, e lo aveva detto anche la Procura generale della Sassonia: a Chemnitz non c'è stata nessuna caccia allo straniero. Si tratta evidentemente di una fake news filo-governativa che invece ha fatto il giro del mondo dopo che il governo di Berlino ha iniziato a pomparla come "arma di distrazione di massa" basandosi peraltro su alcuni secondi di un video poco significativo. Un comportamento miope che finirà per portare ulteriore consenso ad AfD. Ne parla un ottimo Alexander Wendt su Publico


È una  frase semplice e chiara quella pronunciata da Wolfgang Klein, portavoce del Procuratore generale della Sassonia: "secondo il materiale a nostra disposizione, a Chemnitz non c'è stata nessuna caccia all'uomo". Cosi' ha risposto il funzionario della procura a una domanda di Publico. Con questa dichiarazione ha contraddetto in un colpo solo le affermazioni della cancelliera Angela Merkel e del suo portavoce Steffen Seibert, i quali hanno entrambi affermato, basandosi su dei non meglio specificati video, che a Chemnitz avrebbero avuto luogo diverse "cacce all'uomo" -  anche piu' di una quindi.

Il Procuratore generale della Sassonia sta perseguendo tutti i reati relativi alla violazione del diritto di riunione e manifestazione verificatisi a Chemnitz domenica scorsa e lunedì: saluti nazisti, lancio di petardi e bottiglie, possibili assalti. Le autorità stanno gestendo una dozzina di denunce per i saluti nazisti fatti in pubblico. È anche acclarato che domenica 26 agosto, in una manifestazione spontanea di circa 800 persone avvenuta dopo l'uccisione di un giovane abitante di Chemnitz da parte di due richiedenti asilo, in giro per la città c'erano circa 50 persone potenzialmente violente appartenenti alla scena degli Hooligan di estrema destra. Diversi passanti sono stati insultati e minacciati da questo gruppo. Ma nelle strade di Chemnitz, secondo gli elementi a disposizione delle autorità, non c'è stata una caccia all'uomo, né esistono fino ad oggi foto o video che possano supportare questa accusa.

Klein ribadisce ciò che la polizia di Chemnitz aveva già confermato, così come aveva fatto anche il redattore capo della "Freie Presse" di Chemnitz Torsten Kleditzsch, i cui collaboratori domenica avevano assistito agli eventi in prima persona, mentre in giro per la città non c'erano troupe di emittenti nazionali.

Come è stato possibile allora che anche i media nazionali abbiano potuto parlare di una caccia all'uomo a Chemnitz? Se cerchi la fonte, ti imbatti solo in un breve video, filmato e pubblicato in rete dal gruppo "Antifa Zeckenbiss". Su di esso si vede un gruppo di uomini; uno corre minaccioso verso un passante, grida qualcosa come "Kanake", la persona minacciata fugge. Si sente una donna dire la frase: "lepre, tu resti qui." Il mini-video è arrivato fino all'ARD, il Morgenpost ha messo perfino un frame del video sulla sua prima pagina. Il frammento mostra indubbiamente un tentativo di aggressione - ma nessuna caccia all'uomo. 

Cosi' il resoconto delle "cacce all'uomo" di Chemnitz ha preso il volo quando il portavoce del governo federale Steffen Seibert il 27 agosto è intervenuto davanti alla stampa e ha detto:

"Ciò a cui abbiamo assistito ieri a Chemnitz e che in parte è stato ripreso nei video (...), non puo' trovare alcun posto nel nostro stato di diritto. Tali scontri, le cacce a persone di diversa apparenza e altra origine, (...) non possono essere accettate. "

Il "Tagesschau" ha colto l'occasione come un'opportunità per riportare i fatti con il titolo: "Il governo federale denuncia la caccia all'uomo". Come prova durante la trasmissione è stato utilizzato un'altra volta solo il video clip di "Antifa Zeckenbiss".

Ma non solo Seibert, anche Angela Merkel è comparsa davanti alla stampa e ha dichiarato:

"Abbiamo filmati che dimostrano che ci sono stati scontri e cacce all'uomo (...)"

Nessuno almeno fino a quel momento ha mai visto tali registrazioni video. Ma la dichiarazione non solo del portavoce Seibert, ma del capo del governo stesso, usando il "noi" - cioè il governo - il quale disporrebbe del materiale video appropriato, doveva fungere da alta conferma ufficiale.

Solo che il governo non ha pubblicato i video minacciosi della caccia ed evidentemente non li ha messi a disposizione nemmeno dell'autorità inquirente.

(...)

Questo è solo l'inizio della vicenda: il fatto che il capo del governo stesso confermi una fake-news in modo da dare grande slancio e visibilità ad un resoconto falso e isterico e poi ignori le domande dei media sul tema sarebbe un modo di fare senza precedenti.

Il caso verrà certamente trattato anche al Bundestag.



Puntate precedenti sul caso Chemnitz:

Chemnitz ovvero la rivergination della stampa e della politica tedesca









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Paul Collier: perché è giusto, etico e ragionevole aiutarli a casa loro

Bellissima intervista della Neue Zürcher Zeitung al grande economista britannico Paul Collier che sul tema immigrazione non le manda a dire: Merkel ha sbagliato tutto ed è un politico irresponsabile mentre chi vuole continuare ad attrarre in Europa i migranti piu' giovani ed istruiti è un criminale. Dalla NZZ un'ottima riflessione di un grande economista sul tema delle politiche migratorie 


NZZ: Da decenni si occupa di politiche migratorie. Perché l'argomento è diventato un tema così dibattuto e come si puo' andare avanti dal punto di vista politico?

Collier: Le attuali politiche migratorie e sui rifugiati sono un disastro. È un sistema che non funziona. In realtà non meriterebbe nemmeno di essere chiamato "sistema". Come si è arrivati a questo punto? Con decisioni politiche di breve periodo incredibili e irresponsabili prese da figure chiave in Europa - in particolare Angela Merkel, che nel 2011 prima ha  ignorato il problema dei rifugiati, per poi svegliarsi all'improvviso nel panico nel 2015.

In maniera irresponsabile e unilaterale ha quindi deciso di aprire le porte - credendo che sarebbero arrivate solo 10.000 persone -  sei mesi dopo poi con la stessa unilateralità ha dovuto chiudere quelle stesse frontiere negoziando un affare incredibilmente costoso con Erdogan - un uomo davvero gentile. Poi ha cercato di costringere gli altri paesi europei ad accettare i rifugiati che aveva fatto entrare unilateralmente. Si tratta senza dubbio di una incredibile irresponsabilità, e quindi, ovviamente, anche la politica europea è fuori controllo.

NZZ: Quali sono le principali cause delle migrazioni?

Collier: Innanzitutto dobbiamo fare una chiara distinzione tra immigrati e rifugiati. I rifugiati sono solo un sottogruppo delle persone che lasciano la loro patria. Coloro che non emigrano volontariamente ma vengono espulsi, per definizione sono persone sfollate o rifugiati. Non vogliono emigrare e quindi non sono immigrati. Questo è il primo punto. Gli sfollati trovano per lo piu' un posto dove vivere all'interno del proprio paese d'origine, che vengono appunto definiti sfollati interni: in tutto il mondo sono circa 65 milioni. Circa un terzo degli sfollati lascia il proprio paese di origine attraverso il confine più vicino e, legalmente parlando, diventa rifugiato. La maggior parte di loro trova rifugio immediatamente dietro il confine del proprio paese, nelle immediate vicinanze dell'area del conflitto. Questo è il vero problema dei rifugiati: provvedere ai rifugiati in questi luoghi di fuga regionali.

NZZ: Proprio come la maggior parte dei rifugiati siriani che si trova in Libano. 

Collier: Sono in Libano, in Turchia e in Giordania. L'agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, l'UNHCR, fondata all'inizio degli anni '50, è nata in un contesto completamente diverso. A quel tempo, la soluzione adottata era quella delle tendopoli con i pasti e gli alloggi gratis, che nei successivi quaranta anni ha rappresentato una soluzione ragionevole. Per la situazione dei rifugiati attuale, tuttavia non ha piu' senso. L'intero sistema dell'UNHCR nel mondo è ignorato dal novanta per cento dei rifugiati perché non è più' all'altezza di ciò' che loro desiderano. Vogliono riavere la loro indipendenza. Provi a immaginare: deve fuggire dal suo paese d'origine. Vuole essere indipendente e ripristinare la sua comunità e il modo più semplice per farlo è andare in una città. Ed è quello che fa la maggior parte dei rifugiati: cerca un lavoro in una città.

I rifugiati siriani che arrivavano in Giordania, in un certo senso, erano in paradiso: la stessa religione, la stessa lingua. La grande differenza è che in Giordania il reddito pro capite è sei volte più alto che in Siria. Se un siriano potesse quindi trovare un lavoro in Giordania, starebbe decisamente bene. Avrebbe trovato il paradiso in terra. Per il governo giordano, tuttavia, si tratterebbe di un problema molto serio perché non potrebbe permettere ad altre persone - i siriani - di mettersi a fare concorrenza al ribasso con i giordani sul mercato del lavoro. Alex Betts ed io abbiamo allora proposto al governo una strategia ponendo la seguente domanda: "Se sia i giordani che i rifugiati potessero trarne beneficio, permettereste ai rifugiati di lavorare?" L'idea era che l'Europa fornisse lavoro - sia per i rifugiati che per la popolazione giordana.

NZZ: La sua idea di fondo era quella di creare incentivi per tutte le parti?

Collier: Sì, certo. Sarebbe stato da folli alzare il dito e dire: "Dovete dargli dei posti di lavoro!". Possiamo usare la globalizzazione per creare posti di lavoro laddove ci sono rifugiati. L'Europa - e in particolare la Germania - era ben attrezzata per farlo. Con tutte le aziende che già operano nella regione, la Germania era predestinata per farlo. Le aziende tedesche nel corso degli anni hanno creato centinaia di migliaia di posti di lavoro in Turchia. E questo non è costato alcun posto di lavoro in Germania.

Al contrario: in Germania c'è stato un aumento della produttività perché i lavori meno qualificati, i posti di lavoro meno produttivi, sono stati trasferiti in Turchia. Questa è la globalizzazione nella sua forma migliore. Ma la risposta dell'UNHCR alla nostra proposta è stata: "non siamo un centro per l'impiego. Non diamo lavoro ai rifugiati. Forniamo loro cibo e tende gratis". Questo è il problema. Le persone non vogliono essere nutrite gratuitamente per dieci anni e restare nelle tende. Vogliono lavorare.

NZZ: Lei distingue tra persone sfollate, rifugiati e persone che diventano migranti per altre cause?

Collier: Potrei raddoppiare le mie entrate se mi trasferissi in Norvegia. Con un tale trasferimento la stragrande maggioranza della popolazione mondiale aumenterebbe il proprio reddito di oltre il doppio. Ma non ha il diritto di farlo. Nel complesso è molto triste quando le persone vengono definite in base all'aspirazione di lasciare il proprio paese. L'Europa rischia in maniera involontaria di fare esattamente questo con l'Africa.

Lavoro per il novanta per cento del mio tempo con i governi africani, il cui incubo peggiore è che i giovani si innamorino della narrativa secondo la quale la loro unica speranza risiede nell'emigrazione. Attualmente sto lavorando con il governo del Ghana - un ottimo governo; il presidente, il vicepresidente e il ministro delle finanze sono degli ottimi politici, sicuramente migliori dei loro omologhi nella maggior parte dei paesi europei. Il PIL del Ghana è aumentato del 9% l'anno scorso. Il governo sta facendo un buon lavoro. Ma quest'anno tuttavia non potrà creare opportunità economiche che siano migliori rispetto alla possibilità di trovare un lavoro in Europa - mai e poi mai. Ma ciò non significa che abbiamo il diritto di attirare in Europa i migliori giovani ghanesi. Servono in Ghana.

Alcuni ritengono erroneamente che attirare i giovani dotati usando le parole "benvenuti in Europa" sia una grande azione moralmente nobile. In questo modo vengono allontanati dai loro veri doveri e dalle opportunità in Africa, così che finiscano a vivere frustrati nelle strade di Roma, che corrisponde molto piu' alla realtà dei fatti. L'Africa deve creare milioni di posti di lavoro. Invece, continuiamo a sedurre migliaia di africani e africane spingendoli a salire su una barca. Questo è estremamente irresponsabile e immorale, perché quando le persone arrivano per la prima volta dall'Africa in Europa, capiscono immediatamente la verità, ma sono intrappolati: perché il ritorno li renderebbe ridicoli davanti ai loro amici e parenti.

Cosi continuiamo a celebrarci come se fossimo persone buone, ma siamo profondamente non etici. Ciò di cui l'Africa ha bisogno è un rafforzamento della produzione, non un diritto al consumo. L'Africa non ha bisogno della nostra elemosina, ma delle nostre imprese. Durante i nostri sforzi per spingere le aziende ad andare in Giordania per dare lavoro ai rifugiati, abbiamo parlato con molte aziende. Sa qual'era per loro l'ostacolo piu' grande?

NZZ: Quale?

Collier: Le aziende temevano che se fossero andati in Giordania le organizzazioni non governative europee le avrebbero accusate di gestire fabbriche in cui i rifugiati vengono sfruttati. Le stesse ONG che sostengono di essere i grandi difensori dei rifugiati in realtà erano il vero problema .

NZZ: Ovviamente puoi fare entrambe le cose: puoi anche creare lavori decenti.

Collier: Certo, ma onestamente, se arrivi dalla Siria, dove persino prima della guerra guadagnavi in media 2.000 dollari all'anno, e ora in Giordania potresti guadagnare un reddito medio di 13.000 dollari, probabilmente ogni lavoro ti sembrerebbe fantastico. E naturalmente nei parchi industriali volevamo portare delle imprese decenti che rispettassero la legislazione giordana e creassero dei buoni posti di lavoro per i siriani. Gli standard di lavoro e tutto il resto non sarebbero stati un problema. Si tratta di una preoccupazione totalmente ingiustificata.

Quello che invece è accaduto è che solo il 5% dei siriani si è spostato in Germania, ma erano ben selezionati. Chi è andato in Germania? Giovani uomini benestanti, così che ora il 40% di tutti i laureati siriani si trova in Germania. Si tratta di un fatto cosi' irresponsabile che dovrebbe essere condannato pubblicamente.

NZZ: Come spiega il fatto che la questione dei rifugiati è diventata un tema così polarizzante in Europa?

Collier: Perché sull'argomento non si è riflettuto abbastanza. All'opera ci sono stati leader politici che non hanno rispettato il loro mandato di pensare a lungo termine, che appunto nel lungo periodo sarebbe la politica migliore. Invece, si ha l'impressione che abbiano reagito agli eventi di settimana in settimana o peggio di giorno in giorno. Con delle decisioni di breve respiro dovute ad eventi immediati si finisce per affondare sempre più nel caos. Nel complesso dovremmo chiederci: "Quale sarebbe una politica sostenibile?" Credo che potremmo raggiungere molto rapidamente un ampio consenso su come dovrebbe essere una tale politica sostenibile - un consenso che sia la sinistra sia la destra potrebbero dare.

Una politica sostenibile sarà caratterizzata da tre elementi: uno di questi è che sarà etica. Sarà quindi all'altezza dei nostri obblighi etici nei confronti dei rifugiati e nei confronti delle persone che nei paesi poveri hanno un disperato bisogno di avere una speranza. Hanno bisogno di una possibilità.

NZZ: In cosa consistono esattamente questi compiti?

Collier: Uno dei doveri nei confronti dei rifugiati è mostrare solidarietà. Quando nel 2011 è iniziata la prima grande ondata di profughi dalla Siria, l'Europa ha avuto una responsabilità, così come la Giordania, la Turchia e il Libano. Dobbiamo mostrare solidarietà e unirci alle misure di solidarietà secondo il principio del vantaggio comparato. "I giordani fanno ciò che sanno fare meglio: mantenere aperti i confini, offrire un luogo di rifugio sicuro e consentire alle persone di lavorare. Facciamo anche noi ciò che sappiamo fare meglio: portiamo ai rifugiati i posti di lavoro che ridanno loro l'indipendenza e mettiamo a disposizione il denaro che rende l'affare redditizio per la Giordania". Ma non abbiamo fatto nulla di cio'. Il deficit di bilancio della Giordania è esploso perché il paese è  ha dovuto far fronte a questi rifugiati senza aiuto esterno.

NZZ: Se dovesse consigliare un politico europeo in vista delle elezioni europee del prossimo anno, quale mix di politiche suggerirebbe?

Collier: Ci troviamo in un dibattito polarizzante perché le persone discutono dei temi sbagliati. Potremmo ottenere un ampio consenso se non ci concentrassimo solamente su ciò che dobbiamo fare domani, ma se ci occupassimo di come far funzionare un sistema sostenibile nel lungo periodo. Il punto di partenza è che tutto ciò che facciamo deve essere etico. Ciò significa che deve rispettare i nostri obblighi nei confronti dei rifugiati. E lo sarà se riusciremo a portare ai rifugiati dei posti di lavoro e se riusciremo a fornire un enorme sostegno ai governi dei paesi di prima accoglienza, in modo che i confini di questi paesi rimangano aperti. Questa è la chiave. Se le società dei paesi di destinazione non trarranno alcun vantaggio dalla situazione, non terranno piu' le loro frontiere aperte, e avremo quindi la temuta nave a pressione degli sfollati che non possono lasciare il loro paese.

Un altro nostro dovere etico è quello di portare opportunità nei paesi in cui si sta diffondendo la pericolosa narrativa secondo la quale non puoi fare altro che fuggire via. Tutta la mia vita lavorativa di oltre quarant'anni è stata dedicata all'idea che le società povere debbano poterci raggiungere. Non saranno in grado di raggiungerci se le loro persone più brillanti lasceranno il paese.

Al momento ho uno studente che è un medico del Sudan. Non gli insegno la medicina ma le politiche pubbliche, perché vorrebbe tornare in Sudan per lavorare nell'ufficio del Primo Ministro. I suoi amici - altri medici sudanesi nel Regno Unito - pensano che sia pazzo. Ci sono più medici sudanesi che lavorano a Londra che in tutto il Sudan. È uno scandalo etico il fatto che il Regno Unito recluti medici sudanesi per il suo sistema sanitario invece di formare dei medici nel proprio paese. La Gran Bretagna ha tre delle migliori dieci università del mondo. L'Africa non ne ha nemmeno una. L'idea che dipendiamo da medici che hanno studiato in Africa è assurda. L'Africa ha bisogno di medici formati nel Regno Unito. È vergognoso che una tale politica venga perseguita in Europa.

E poi dobbiamo seguire una politica che incontri un'ampia approvazione democratica, per la quale la maggioranza delle persone dice: "Sì, va bene". Se si cercasse di applicare una politica che la maggioranza delle persone in questa società ritiene irresponsabile, la democrazia verrebbe messa in questione. Ed è esattamente ciò che sta accadendo. I governi di tutta Europa hanno perso la fiducia dei loro cittadini - e in misura notevole. Questo è un disastro, perché i governi hanno bisogno della fiducia per poter lavorare, non solo nell'ambito dell'immigrazione, ma in tutti i settori.

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martedì 4 settembre 2018

Come il neoliberismo di Bruxelles ha distrutto il modello di welfare svedese

Su Makroskop, il sito web di Heiner Flassbeck, è da poco uscita un'analisi molto interessante di Steffen Stierle, economista e giornalista tedesco, in merito al ruolo svolto dalle politiche europee nell'indebolimento del welfare e nella redistribuzione della ricchezza dopo l'ingresso nell'UE della Svezia avvenuto nel 1995. Per Stierle il risultato dello studio è chiaro: negli ultimi venti-trent'anni in Europa le cose sono andate decisamente meglio al di fuori dell'UE che non all'interno. Ne parla RT Deutsch.


La Svezia ha aderito all'UE nel 1995. La Norvegia ne è rimasta fuori. Un recente studio comparato mostra che da allora le economie di entrambi i paesi sono cresciute in egual misura, ma in Norvegia alla gente comune, con il "no" all'UE, è andata decisamente meglio.

(...) Negli stati membri i principi cardine del neoliberismo europeo permeano tutti gli ambiti della vita: dalle massicce privatizzazioni, fino ai servizi pubblici, agli ospedali, alle scuole e alle università; gli stati sono venuti meno alla loro responsabilità sociale; i disoccupati sono considerati responsabili per la loro condizione; ognuno deve prendersi cura di se stesso, se necessario, a spese degli altri; i vincitori, i piu' forti, le banche e le aziende prendono tutto; la redistribuzione nel frattempo è diventata una brutta cosa, etc. etc.

Ma torniamo alla Svezia: come risultato della sua adesione all'UE lo sviluppo nella distribuzione della ricchezza è andato chiaramente a svantaggio di quelle che spesso e volentieri vengono definite le persone "normali" o anche il "popolo" - diversamente da quanto è accaduto in Norvegia. In altre parole, la Svezia sarebbe stata travolta dall'orientamento anti-sociale dell'UE, stretta nella camicia di forza neo-liberista, mentre la situazione in Norvegia sarebbe rimasta relativamente stabile e sostanzialmente immutata. Lo afferma  nel suo paper appena pubblicato su Makroskop l'autore dello studio comparato, Steffen Stierle, economista e giornalista specializzato in "Economia politica dell'integrazione europea".

Fino all'ingresso nell'UE, secondo l'autore, la Svezia era considerata il paese modello del welfare scandinavo: distribuzione del reddito elevata e regolare, ampio settore pubblico, forte redistribuzione operata attraverso politiche fiscali e sociali, ecc. Ma da allora l'UE ha avuto più influenza sulla Svezia di quanta non ne abbia avuta la Svezia sull'UE, ad esempio con le regole europee in materia di politica economica e fiscale. Queste direttive UE sono le cosiddette "hard laws", vale a dire quei regolamenti rigidi o leggi che devono essere applicati da tutti i membri e la cui mancata applicazione viene sanzionata con multe significative, cosi' secondo Stierle.

"Dall'altra parte invece", prosegue il critico dell'UE Stierle, "a causa delle dure regole sull'indebitamento, in Svezia è aumentata la pressione per tagliare la spesa sociale e far arretrare il perimetro del settore pubblico". Inoltre, "le norme relative al mercato interno dell'UE e al diritto della concorrenza hanno portato a una liberalizzazione sempre crescente nel mercato delle merci e del lavoro". Gli effetti negativi sono stati percepiti anche in materia di sicurezza sul lavoro.

Vi è inoltre un problema molto svedese legato all'afflusso incontrollato di stranieri. Secondo l'analisi di Stierle "la competizione diretta, tra le altre cose anche con i lavoratori tedeschi altamente qualificati e a basso salario, ha di fatto scardinato il modello ad alto salario della Svezia". Sfortunatamente il massiccio afflusso di migranti e richiedenti asilo provenienti dai paesi extraeuropei e sostenuto dall'UE non viene menzionato. Tuttavia, è probabile che l'afflusso massiccio di migranti eserciti una pressione considerevole sulla spesa pubblica già drasticamente ridimensionata nella sua componente sociale.

Inoltre, la forte concorrenza fra i paesi ha fortemente ridotto le imposte sui profitti, i redditi finanziari e i patrimoni, comprimendo le entrate statali. Per il modello sociale scandinavo, fondato su alte entrate dello stato, questa è stata la campana a morto.

Inoltre, sulla base di ampie statistiche UE disponibili e di altre fonti, Stierle nota ad esempio che la quota dei salari sul Pil della Svezia è passata dal 54,8% del 2000 al 46,9% del 2016, fatto che segnala una forte redistribuzione della torta dai lavoratori a favore dei detentori di capitale. In Norvegia, invece la tendenza si è invertita e la quota dei salari nella torta complessiva è aumentata dalla fine del secolo di 4,5 punti percentuali e ora è superiore a quella svedese.

Un quadro simile emerge dalla distribuzione del reddito: il rapporto fra il 20 % degli svedesi con il reddito più alto e il 20 % con il reddito più basso alla fine del millennio era di 3,3. Vale a dire che il 20 % più ricco guadagnava 3,3 volte il 20 % più basso. Nel 2016 - l'ultimo anno per il quale sono disponibili statistiche - questo rapporto è salito a 4.3. "Un enorme aumento della disuguaglianza", afferma l'autore Stierle.

Anche in Norvegia, il divario di reddito fra il 20% più alto e quello più basso nello stesso periodo ha continuato ad aumentare, tuttavia in maniera molto piu' debole, passando da 3,4 a solo 3,7. "Anche qui i norvegesi sono riusciti a superare i loro vicini svedesi dopo che questi ultimi sono entrati nell'UE", scrive Stierle.

Ma queste differenze non hanno forse a che fare con le divergenze nello sviluppo dei livelli salariali generali dei due paesi? L'autore ha risposto anche a questa domanda e ha rilevato che i lavoratori norvegesi hanno goduto di un forte aumento delle retribuzioni medie passate dai  35.800 dollari di fine millennio ai 46.400 dollari del 2016, con un aumento del 31%. In Svezia, invece, l'aumento delle retribuzioni è stato molto più modesto, nello stesso periodo sono passate da 29.800 dollari a 31.600 dollari, un aumento solo del 6%.

"È probabile che l'andamento salariale e redistribuivo in Svezia, relativamente piu' modesto, abbia a che fare con il fatto che dopo l'adesione all'UE il livello di sindacalizzazione svedese è passato da oltre l'80% della forza lavoro al 66,8% del 2015. Sebbene questa cifra in Norvegia a causa di un diverso sistema di contrattazione collettiva sia intorno al 55% e quindi  significativamente piu' bassa, negli ultimi due decenni è rimasta costante. Ciò suggerisce che i lavoratori di quel paese non abbiano subito una perdita di potere contrattuale degna di nota, mentre in Svezia c'è stata una certa frammentazione", prosegue lo studio comparativo.

Le statistiche fornite come esempio dallo studio mostrano che "la forza lavoro norvegese è riuscita a garantirsi una fetta della torta molto più ampia rispetto alla controparte svedese", in quanto la dimensione della torta per entrambi i paesi a partire dall'ingresso della Svezia nell'UE è cresciuta all'incirca allo stesso modo. Ma questo significa anche - secondo l'autore - che "i detentori di capitali e i redditi più alti in Svezia sono diventati relativamente piu' forti e possono quindi rivendicare per sé una parte sempre maggiore della ricchezza creata".

In altre parole, questa analisi dimostra che fondamentalmente l'adesione all'UE è stata la causa per la quale la Svezia è caduta dal suo decennale piedistallo di paese modello in materia di welfare scandinavo e che invece la Norvegia, paese non membro dell'UE, ha preso il suo posto. "Potrebbero essere citati anche altri indicatori relativi ad esempio alla protezione dei dipendenti, alla diffusione dei contratti collettivi, alla distribuzione dei patrimoni o al grado di controllo e indirizzo dello stato nell'economia. Si potrebbero includere nell'analisi anche altri paesi simili come l'Islanda e la Finlandia. Ma il quadro generale non cambierebbe", cosi' secondo Stierle.

"Per le "persone normali", per coloro che non dispongono di un patrimonio significativo e devono guadagnarsi un reddito con il lavoro e/o l'aiuto del governo, negli ultimi venti-trent'anni in Europa le cose sono andate meglio al di fuori dell'UE che non all'interno".

E questo dovrebbe essere un insegnamento per i sostenitori della Brexit.

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domenica 2 settembre 2018

Perché la presunta mancanza di lavoratori qualificati è più che altro una campagna di PR degli industriali tedeschi

A scriverlo non è un foglio sovversivo dell'est ma la liberale e liberista Die Welt. In un paese con 2 milioni e mezzo di disoccupati ufficiali e un altro milione e mezzo nascosto nelle statistiche gli imprenditori tedeschi continuano a lamentarsi per la mancanza di forza lavoro qualificata e chiedono al governo una legge sull'immigrazione che faciliti l'importazione di lavoratori a basso costo dai paesi extra UE. Molti economisti di rango tuttavia, dati alla mano, mettono in dubbio questa narrazione che le associazioni imprenditoriali nel frattempo sono riuscite ad imporre sui media. Il vero problema è un altro: le posizioni lavorative restano aperte a lungo perché la paga oraria è troppo bassa. Ne parla Die Welt


Se dobbiamo credere ai rappresentanti delle associazioni economiche, la Germania sta affrontando dei tempi molto difficili. Le esportazioni vanno bene, gli acquisti crescono in maniera ininterrotta, il portafoglio ordini della maggior parte delle aziende è pieno. Ma ogni anno che passa, a quanto pare, è sempre più difficile evadere gli ordini - perché mancherebbero i lavoratori per farlo. Soprattutto gli specialisti. E questo nel lungo periodo potrebbe rivelarsi un rischio per l'economia.

Secondo la Camera di commercio e dell'industria tedesca (DIHK), quasi un'azienda su due lamenta di non essere in grado di coprire nel lungo periodo le posizioni lavorative aperte. Altrettante invece, a causa della scarsità di personale sono preoccupate per le prospettive di crescita. Nel complesso, ci sarebbero circa 1,6 milioni di posti di lavoro non coperti a causa della mancanza di candidati idonei, avverte l'associazione.

Ma c'è una lunga serie di esperti che considera questi allarmi esagerati - e ritiene che la presunta mancanza di manodopera specializzata in Germania sia invece una favola. L'Istituto per l'economia e le scienze sociali (WSI) della Hans Böckler Stiftung, vicino al sindacato, in un'analisi giunge invece ad un'altra conclusione: le cifre della DIHK sono eccessive e poco significative.

Di previsioni cupe ne circolano da anni

Il problema non è tanto che non ci sarebbero abbastanza lavoratori, ma che le aziende non sono disposte a pagare salari decenti, afferma Eric Seils, autore dell'ultimo rapporto WSI sul mercato del lavoro. "Le continue lamentele di molti imprenditori in merito ad un presunto rischio aziendale causato dalla carenza di lavoratori qualificati avrebbero come unico scopo quello di contenere l'aumento del costo del lavoro nel settore a basso salario tedesco", sostiene Seils.

La nuova legge sull'immigrazione, che si pone proprio l'obiettivo di attrarre il maggior numero possibile di lavoratori dall'estero e che il governo federale sta pianificando, non sarebbe necessaria, al contrario dannosa.

Di previsioni cupe, secondo le quali in Germania presto mancheranno lavoratori, in particolar modo quelli qualificati, ne girano da anni. L'istituto di ricerca Prognos, ad esempio, la scorsa estate ha calcolato che solo a causa dell'invecchiamento della popolazione, entro il 2030 ci saranno tre milioni di lavoratori in meno. E l'Institut der Deutschen Wirtschaft (IW) nel suo rapporto MINT sul mercato del lavoro per i matematici, gli informatici, gli scienziati e i tecnici conclude che attualmente mancherebbero 237.500 di questi professionisti.

Paga cattiva, alto turn-over

La DIHK aveva suonato l'allarme per un gran numero di settori. Ad esempio, l'83 per cento delle aziende operanti nel lavoro interinale nel lungo periodo non riuscirebbe ad occupare i posti vacanti per mancanza di candidati qualificati. Nel settore della sicurezza, il 78% delle aziende ha riscontrato questo problema, nel trasporto merci su strada il 63% e nel settore dell'ospitalità il 62%.

Secondo Eric Seils ad essere interessati sarebbero in particolar modo i settori a basso salario in cui "i requisiti richiesti sono di gran lunga inferiori rispetto alla media". Tuttavia la probabilità che vi sia una carenza di lavoratori proprio in questi settori è molto bassa. La verità è che nei settori sopra-menzionati la retribuzione è bassa, il turn-over del personale è molto forte e quindi anche il numero dei posti vacanti è alto, secondo Seils.

Tuttavia i datori di lavoro avrebbero un forte incentivo a spiegare l'incremento dei posti di lavoro vacanti come un problema di mancanza di forza lavoro qualificata, egli suggerisce: "Se hanno partecipato al sondaggio DIHK e si sono lamentati per la carenza di lavoratori qualificati, possono allora sperare che l'associazione di categoria si impegni politicamente per far importare dall'estero lavoratori stranieri a basso costo".

La BA non vede una carenza generale di lavoratori qualificati

Diversi esperti condividono questa valutazione. Il fatto che le associazioni imprenditoriali si lamentino continuamente per la carenza di lavoratori qualificati, fa parte di una strategia conosciuta come "Rent-Seeking", afferma l'economista Thomas Straubhaar. Secondo questo approccio gli imprenditori possono valutare se è meglio fare progressi attraverso le prestazioni della propria azienda oppure grazie agli aiuti di Stato. "Se sembra più facile ed economico innescare nei ministeri competenti delle reazioni di aiuto, invece di far fronte con nuove idee alla mancanza di lavoratori, allora si sceglie di spedire i propri rappresentanti di associazione a Berlino", sostiene Straubhaar.

È indiscutibile che in determinati settori sia difficile trovare abbastanza lavoratori dipendenti. La vera domanda è un'altra: qual è la dimensione del problema? Seils del WSI sottolinea che il numero  specificato dal DIHK, pari a 1,6 milioni di posti di lavoro non coperti per mancanza di lavoratori qualificati, sarebbe del 60 per cento superiore rispetto ai quasi 984.000 posti di lavoro indicati come immediatamente disponibili dal sondaggio rappresentativo dell'istituto scientifico dell'Agenzia Federale per il lavoro (IAB).

E l'Agenzia Federale per il Lavoro (BA) nella sua analisi di giugno sulle difficoltà nel mercato del lavoro qualificato scrive: "nonostante il forte incremento del periodo in cui le posizioni restano vacanti, e un rapporto molto basso fra disoccupati e posti di lavoro, in Germania non si può ancora parlare di una carenza di lavoratori qualificati. Piuttosto possiamo dire che in alcune professioni e in alcune regioni vi siano notevoli problemi nel coprire le posizioni di lavoro aperte". Inoltre, la BA aggiunge: ".. un indice onnicomprensivo in grado di misurare le carenze oppure la mancanza di forza lavoro tuttavia non esiste".

L'esperto DIW ritiene i sondaggi solo parzialmente credibili

Secondo gli esperti il criterio utilizzato, cioè quanto tempo è necessario per coprire una posizione lavorativa aperta, ci dice poco sulle reali dimensioni della carenza di lavoratori qualificati. "L'aumento delle posizioni vacanti fra quelle disponibili può anche essere il segno che l'agenzia per il lavoro è in ritardo nella intermediazione oppure che i datori di lavoro sono troppo selettivi", afferma Karl Brenke, da molti anni esperto di mercato del lavoro presso il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (DIW). I sondaggi sulle aziende, come quelli del DIHK, sono solo in parte credibili. Perché le aziende cercherebbero di assicurarsi una riserva di manodopera disponibile - e questo anche lanciando allarmi sulla presunta mancanza di personale qualificato.

"Se ci fosse effettivamente una significativa carenza di lavoratori qualificati, la potremmo osservare probabilmente nell'aumento dei salari, perché le aziende dovrebbero sforzarsi per ottenere le persone adatte", dice Brenke. Negli ultimi anni, tuttavia, ci sono stati degli aumenti salariali relativamente bassi.

Come Seil, anche Brenke non vede alcun motivo per portare in Germania altri lavoratori attraverso una nuova legge sull'immigrazione. "Abbiamo un mercato del lavoro aperto, esiste già la Carta blu all'interno dell'UE e in Germania abbiamo altri regolamenti aggiuntivi che consentono l'immigrazione e i relativi permessi di lavoro per i lavoratori qualificati provenienti dai paesi extra UE. Non abbiamo bisogno di una nuova legge sull'immigrazione come quella prevista dal governo", dice l'esperto. Il mercato del lavoro nell'UE è enorme e la disoccupazione in molti stati membri, anche fra i giovani istruiti, è spesso così alta che la Germania potrebbe reclutare in questi paesi la maggior parte dei lavoratori qualificati necessari.

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sabato 1 settembre 2018

Chemnitz ovvero la rivergination della stampa e della politica tedesca

Le vicende di Chemnitz degli ultimi giorni ci mostrano quanto sia divisa la società tedesca e quanto sia sottovalutato il malessere di alcune regioni. Ma soprattutto Chemnitz è il luogo in cui la politica e la stampa tedesca possono rifarsi la verginità e accusare indiscriminatamente di nazismo una città e una regione intera. Un'assurdità che sarà punita dagli elettori. Ne parla un ottimo Jens Berger sulle Nachdenkseiten.de


Divide et impera

(...) Nel corso degli anni, la lotta "contro la destre" è diventata una caratteristica comune, anzi quasi determinante, della cosiddetta sinistra politica. Le contro-dimostrazioni ai raduni di AfD oppure le marce congiunte contro la violenza di destra raccolgono il consenso di tutti: dal funzionario della destra dell'IG Metall fino al rappresentante dell'ala "antifa" del partito di sinistra. Essere "contro la destra" oggi è il minimo comune denominatore della sinistra politica, che altrimenti mancherebbe di unanimità su quasi ogni altro argomento. E naturalmente anche il centro politico almeno a parole è "contro le destre" e quindi ogni dichiarazione di appartenenza al fronte "anti-destra" oggi corre il rischio di diventare quasi universale. Anche la Bild-Zeitung fa finta di essere "contro le destre" ma nonostante ciò continua a pubblicare le sue prime pagine xenofobe. Questo ci mostra quanto valgano in realtà queste dichiarazioni puramente formali e come possano essere applicate anche al "campo della sinistra".

Perché se i fattori socio-economici sono il motivo principale per il successo elettorale di AFD e soprattutto - ma non solo - nell'est del paese hanno contribuito alla creazione di una scena di estrema destra, allora ad essere corresponsabili per la crescita dell'estremismo di destra sono proprio coloro che oggi marciano in prima fila nelle contro-manifestazioni - e cioè i sostenitori della corrente dell'Agenda 2010 nella SPD e fra i Verdi. Senza le leggi Hartz, senza i posti di lavoro precari e la povertà in vecchiaia da loro volontariamente introdotti, la divisione e lo spostamento verso destra all'interno della nostra società certamente non ci sarebbe stato.

Le persone felici non votano per i nazisti e non hanno paura degli stranieri. Le persone senza paura del futuro sono immuni ai Gauland e agli Hoecke (AfD). Così il rafforzamento delle destre è anche una conseguenza della politica di chi oggi sulle proprie bandiere dichiara la guerra "contro le destre". Ciò ha un metodo. Perché chi marcia "contro le destre" almeno dall'esterno non sembra essere sospettabile di aver creato il terreno di coltura in cui avviene lo spostamento verso destra. Divide et impera.

E persino una parte della sinistra, che nella lotta contro la "destra" vuole mettersi in evidenza, con questa dichiarazione di coesione è sospettabile di voler distogliere l'attenzione dal fatto che le loro proposte socio-economiche si muovono nelle sfere celesti. Chi vede la salvezza dell'anima solo in un'utopia post-capitalista e post-crescita con confini aperti e un reddito di base incondizionato da tempo ha abbandonato la lotta per i cuori e le menti di coloro che sono meno fortunati. E se poi la gente preferisce votare per il "passero marrone" piuttosto che per la "colomba rossa sul tetto", cio' viene interpretato come l'ordine di marciare in maniera ancora più decisa "contro la destra". Tutto sta diventando sempre piu' folle.

Tutto è cosi' tollerante qui

La vecchia canzone partigiana "Bella Ciao", nella sua versione tecno-chewing-gum, è diventata l'hit dell'estate e a quanto pare questa estate vengono pubblicati anche molti articoli di editorialisti partigiani che con un certo coraggio hanno deciso di spostarsi sulle montagne per combattere il fascismo. Che assurdità. Quando i giornalisti che probabilmente da anni non parlano con persone senza un diploma di liceo o che guadagnano meno di 5.000 euro al mese (camerieri, addetti alle pulizie o tassisti) si trasformano in coraggiosi portavoce del popolo, è davvero troppo facile. Naturalmente, le "echo chamber" berlinesi del distretto governativo popolate dagli editorialisti sono molto tolleranti. Ma a cosa serve continuare ad intrattenere la tua echo chamber? Il rischio che un redattore di Die Zeit, un deputato dei Verdi o Sascha Lobo (Der Spiegel) possano essere trattenuti dal voler trasformare domani Chemnitz in una zona libera...è trascurabile.

Ed è altrettanto trascurabile la probabilità che tali editoriali vengano letti da chi è in difficoltà economiche oppure propende verso l'estremismo di destra. La vita quotidiana di un disoccupato della di Dortmund-Nord non ha molto in comune con la vita di un hipster mediatico di Prenzlauer Berg. E ancora di piu' bisognerebbe chiedersi, se almeno conosce il giornale "Die Zeit". Non solo economicamente, ma anche culturalmente, siamo di fronte ad una società divisa in cui i punti di contatto sono sempre meno. Il redattore di "Die Zeit" ha molto più a che fare con i suoi colleghi del centro di Londra o di New York che non con i non accademici della Ruhr, della cintura del maiale della Bassa Sassonia o dei palazzi prefabbricati di Francoforte sull'Oder. Ma questo è normale in tempi di globalizzazione. Cio' diventa tuttavia problematico quando il redattore di "Die Zeit" cerca di spiegare alla sua "echo chamber" perché i "left-behind" non credono più nella nostra democrazia liberale così brillante e non si fidano più dei valori liberali occidentali.

Il sassone è uno stupido nazista

Poche persone diventano estremisti di destra per ragioni socio-economiche. Le risposte concrete a tali problemi comunque le destre non le hanno. Tuttavia, lo squilibrio socioeconomico spesso è la ragione per la quale le persone si allontanano dal sistema e scelgono la xenofobia come sfogo per l'insoddisfazione diffusa. "Perché devi essere contro qualcuno, ed essere contro di loro è facile" - così ha detto una Chemnitzerin  in maniera libera e franca. Queste sono persone che raramente leggono gli editoriali dei nostri buoni giornali di qualità, ma percepiscono tuttavia in maniera indiretta un po' dell'umore del paese. Se ora ti metti a pontificare in maniera indifferenziata contro gli stupidi sassoni, che sarebbero tutti in qualche modo di destra, sicuramente non stai facendo nulla di utile per impedire a un singolo sassone di votare AfD. In generale poi la fissazione sulla Sassonia è stupida. Nel Baden-Württemberg e nella Renania-Palatinato AfD ha ottenuto risultati elettorali a due cifre e gli attacchi xenofobi purtroppo avvengono in tutto il territorio federale. Dortmund come "hotspot" delle destre non è meglio o peggio della Dresda capitale dei Pegida.



Nel quartiere governativo di Berlino, tuttavia, tali differenziazioni non vengono fatte volentieri. Lì si preoccupano piu' che altro per le sorti della democrazia liberale. Questa preoccupazione pero' molto probabilmente viene accolta favorevolmente dagli stessi considerati come "il pericolo". L'elettorato di AfD che non appartiene alla borghesia facoltosa e benestante, si considera piu' che altro come un "oppositore del sistema" e vorrebbe gettare una chiave negli ingranaggi della classe politica di Berlino percepita come elitaria. Tanto piu' forte sarà l'agitazione dei rappresentanti di queste élite, tanto maggiore sarà la soddisfazione con cui questi "avversari del sistema" potranno fregarsi le mani.

Chiunque si preoccupi per le sorti della "democrazia liberale" senza affrontare lo squilibrio socioeconomico sta parlando in primo luogo alla propria camera di risonanza. Argomenti sui quali il professore, il caporedattore e il capo d'azienda sono devotamente concordi. Ma quali sono i "danni collaterali" di una tale politica di comunicazione?

Viene generalizzato tutto cio' che è possibile: "tutti Nazi tranne Mutti". Ma cosa succede in una Chemnitz in cui ci si preoccupa per la mancanza di sicurezza nel centro città e in cui molti cittadini in maniera apolitica hanno partecipato alle manifestazioni poi prese in ostaggio a proprio uso e consumo da una piccola, ma molto "fotogenica", banda di radicali di destra? Se mettiamo tutti gli insoddisfatti nel "cassetto di destra" allora un giorno potrebbero avere la sensazione di trovarsi a casa loro. E poi avremo esattamente la profezia autoavverante che nelle urne ci porta direttamente ad una svolta a destra. Se tutti continuano a considerare come dei nazisti queste persone insoddisfatte senza offrire loro un'alternativa seria, saranno in molti ad accettare questo verdetto e si comporteranno come nazisti votando da nazisti. Almeno il resto pero' potrà finalmente marciare unito "contro la destra". È davvero quello che vogliamo?

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