lunedì 17 ottobre 2016

Schäuble: sarà l'ESM a controllare i bilanci pubblici nazionali

Intervista della stuttgarter-nachrichten.de a Wolfgang Schäuble sui temi europei. Secondo il ministro tedesco in futuro i bilanci pubblici nazionali dovranno essere controllati e approvati dal Fondo ESM. Dalle stuttgarter-nachrichten.de


SN: Il FMI ha appena detto che la sua partecipazione al programma di aiuti per la Grecia non è certa, poiché la sostenibilità del debito è dubbia.

Schäuble: Questo è un equivoco

SN: Non sta andando verso un nuovo conflitto con il FMI?

Schäuble: Niente affatto. Il FMI dubita - ma non è una novità - che la Grecia riuscirà a mettere in pratica quello che ha promesso per far tornare il paese alla crescita. I greci al contrario hanno sempre detto: ce la faremo. In primavera abbiamo pertanto concordato che Atene dovrà adottare ulteriori misure se il FMI con il suo pessimismo dovesse avere ragione. Di questo ho parlato con i miei colleghi greci nella seduta dell'euro-gruppo di lunedì' - e anche il FMI lo ha confermato.

SN: Quindi nessun taglio del debito?

Schäuble: Il terzo programma durerà fino alla fine del 2018 e poi decideremo che cosa sarà ancora necessario. Se ora iniziamo a parlare di riduzione del debito, si ridurrà anche la determinazione a fare le riforme. Il problema della Grecia non è il debito, piuttosto la debolezza della sua amministrazione e la mancanza di competitività.

SN: Negli ultimi anni ha investito una quantità di lavoro simile a quella necessaria per la crisi greca nell'unione bancaria. Che cosa è andato storto, se ancora una volta ci troviamo a discutere se è giusto o meno che ad intervenire sia il contribuente?

Schäuble: Alcuni istituti portano con sé il peso del passato. E questo non ha niente a che fare con l'unione bancaria. E' sulla buona strada: le regole dicono che in caso di difficoltà dovranno intervenire prima gli azionisti e poi determinati tipi di creditori. Le nostre banche sono dotate di più' capitale - non ci si troverà mai d'accordo sul fatto che sia sufficiente o meno, poiché non sappiamo quali saranno gli sviluppi. Il rischio contagio oggi è molto più' basso. Tutti i partecipanti hanno imparato la lezione, quindi tutti siamo meglio attrezzati per affrontare le sfide future.

SN: Lei ha  appena detto, si applicano le regole. Non è un problema il fatto che siano approvate piu' leggi di quante ne vengano poi rispettate? La nuova Europa non dovrebbe avere bisogno di regole più' vincolanti?

Schäuble: Ho già sottolineato una volta, che le funzioni della Commissione dovrebbero essere separate nettamente. E' una conseguenza logica del fatto che il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker cerca di ottenere dal trattato di Lisbona e dalle elezioni europee un ruolo di guida politica. Questo stride con il ruolo di guardiano neutrale dei trattati che la Commissione dovrebbe avere. Per questo io penso che il fondo salva-stati ESM dovrebbe muoversi in questa direzione - almeno per i paesi dell'unione monetaria. Il Fondo ESM non valuterebbe i bilanci pubblici in chiave politica, piuttosto li valuterebbe rigorosamente secondo le regole.

SN: Questo sarebbe possibile solo con la modifica dei trattati UE

Schäuble: No, non dovremmo modificare il diritto di base. Potremmo ottenere questo risultato per la zona Euro anche solo con la modifica del trattato sull'ESM.

SN: Lei è sempre stato a favore di una maggiore unione politica, necessaria per difendere l'unione monetaria. Dopo il voto sul Brexit lei pero' si è speso per soluzioni pragmatiche. Non ha più' una visione per l'Europa?

Schäuble: Io ho molte idee su come poter migliorare i trattati europei. Mi manca pero' ogni idea sul modo in cui in un tempo ragionevole si possa arrivare ad una modifica dei trattati - con le votazioni e i referendum che sarebbero necessari. Dobbiamo quindi rendere l'Europa piu' efficace tenendola al di sotto della soglia di modifica dei trattati UE. Le visioni servono ad essere trasformate in realtà quando si presenterà un'opportunità. Questa non è la situazione attuale.

SN: Nel lungo periodo ritiene necessarie modifiche piu' ampie?

Schäuble: Naturalmente

SN: Come convive con il fatto di essere considerato da un lato un pensatore europeo, dall'altro di essere elemento di polarizzazione, soprattutto nel sud-Europa?

Schäuble: Non credo di essere causa di polarizzazione. Io voglio che si vada avanti e che i risultati siano raggiunti. E io sono uno che sta cercando di portare avanti l'Europa tutta insieme. Questo è il compito piu' urgente per i tedeschi. Non è sempre facile, e non posso essere sempre "everybody's darling". Si' a volte sono anche un po' scontroso. Cio' è dovuto al mio lavoro di Ministro del Bilancio: se non fosse cosi' tutti mi porterebbero la loro lista dei desideri, che io non potrei soddisfare.


venerdì 14 ottobre 2016

Non è tutta colpa dei sindacati tedeschi

Gustav Horn, direttore del prestigioso Instituts für Makroökonomie und Konjunkturforschung (IMK) presso la Hans-Böckler-Stiftung, ci spiega perché i sindacati tedeschi non possono essere il capro espiatorio della crisi Euro. Da Makronom.de

I sindacati sono stati accusati spesso di eccessiva moderazione salariale. Di fatto, la formazione dei salari in Germania, e soprattutto in Europa, non è ottimale. Purtroppo i critici ignorano la realtà della contrattazione collettiva. Un commento di Gustav Horn.

Da un po' di tempo alcuni economisti considerano poco ragionevoli le contrattazioni collettive condotte dai sindacati, criticandone i risultati raggiunti perché giudicati insufficienti. Poiché i salari in Germania, per un lungo periodo di tempo, sia in una prospettiva storica che in un confronto internazionale sono cresciuti molto poco, questa critica non puo' essere respinta a priori. Considerando i giganteschi avanzi commerciali con l'estero, è necessario domandarsi se questi non siano stati raggiunti con il dumping salariale e se non siano alla radice della crisi dell'Eurozona.

Accordi salariali moderati

La critica avanzata può' essere illustrata in maniera esemplare dalla recente negoziazione salariale nell'industria meccanica. L'accordo raggiunto prevede che i salari crescano questo e il prossimo anno del 2.5%. Questi accordi vengono criticati in quanto sarebbero un esempio concreto di moderazione salariale da parte del sindacato tedesco. Considerare un accordo "troppo basso" significa avere uno standard di riferimento, secondo il quale gli aumenti salariali dovrebbero essere più' o meno giusti.

La critica si basa su di una misura che può' essere descritta come il contributo della politica salariale alla stabilità dell'economia in generale, e quindi come una politica salariale macroeconomica.  L'ipotesi di fondo è che la tendenza nominale complessiva dei salari debba seguire il trend degli aumenti di produttività piu' l'obiettivo di inflazione della BCE (intorno al 2%).

Una politica salariale orientata all'economia in generale

In primo luogo assicura che la dinamica salariale sia orientata all'aumento dell'efficienza dell'economia senza che le condizioni sul lato dell'offerta si deteriorino. Inoltre, la partecipazione alla crescita della produttività assicura che la produttività aggiuntiva si trasformi in un aumento del potere di acquisto, e che quindi la domanda ne esca rafforzata. Un tale approccio permette di mantenere un equilibrio fra domanda e offerta. Gli aumenti contrattuali dovrebbero orientarsi al trend degli aumenti di produttività, al fine di evitare le fluttuazioni cicliche nella tendenza dei salari.

Sempre secondo questo concetto i salari dovrebbero allinearsi all'obiettivo di inflazione della BCE. In questo modo si evita che la dinamica salariale possa mettere in pericolo la stabilità dei prezzi nell'economia.

Con l'introduzione dell'Euro, l'importanza di questo requisito è diventata ancora maggiore. All'interno dell'area Euro non esiste né un tasso di cambio nominale né un'autorità fiscale europea in grado di compensare le disparità economiche tra le diverse economie. Cosi' la stabilità del tasso di cambio reale, vale a dire i prezzi relativi fra i diversi paesi, è determinante.

Se il tasso di cambio reale fra le diverse economie si disallinea in maniera strutturale, e cioè se i prezzi crescono in un paese molto piu' rapidamente di quanto accade in un altro paese, si crea uno squilibrio esterno con un accumulo di asset nel paese che ha svalutato e un indebitamento nel paese sopravvalutato. Che una tale situazione non sia sostenibile, la crisi del 2009 lo ha mostrato in maniera drammatica.

Se misurati su questo criterio, i recenti accordi salariali sono di fatto troppo bassi. Dal punto di vista dell'economia nazionale, invece, la politica salariale è molto vicina al suo obiettivo macroeconomico


Alla base c'è anche il fatto che il trend degli aumenti di produttività in Germania ha rallentato sensibilmente - di conseguenza resta poco spazio per aumenti salariali nominali. Da questo punto di vista la critica mossa nei confronti dei sindacati non è giustificata.

Le cose stanno diversamente se osserviamo la politica salariale tedesca dal punto di vista europeo. In questo caso non è sufficiente prendere gli sviluppi recenti come metro di giudizio. E' necessario prendere in considerazione anche gli anni passati per poter correggere la lunga fase di svalutazione e riportare il tasso di cambio reale ai requisiti di stabilità europei.


In questa immagine si vede chiaramente che l'evoluzione dei salari in Germania, i cui effetti si riversano sul costo del lavoro per unità di prodotto, da molto tempo non è piu' in linea con l'obiettivo di stabilità dei prezzi della BCE. Affinché il riallineamento possa avvenire, i salari dovrebbero crescere con forza ancora per molti anni. Su questo punto la critica appare giustificata. La politica salariale in Germania non ha fatto nulla per stabilizzare l'Eurozona.

La politica salariale oberata

Sulla base di questa constatazione è opportuno sollevare una questione fondamentale: una politica salariale con cosi' tanti compiti macroeconomici, non è oberata?

Da un punto di vista puramente interno è cosi'. I critici spesso sembrano dimenticare che alla politica salariale appartengono due lati: sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro. Queste ultime, per difendere i loro interessi economici, si oppongono ad ogni richiesta di aumento salariale - le considerazioni macroeconomiche per loro non hanno alcuna importanza. Scaricare solo sui sindacati la responsabilità di un risultato contrattuale insoddisfacente, è un approccio asimmetrico.

A cio' si aggiungono ulteriori elementi economici. In periodi di alta disoccupazione la posizione contrattuale dei sindacati è debole. Anche se la disoccupazione -  come nei decenni passati - è il risultato di una mancanza di domanda e da un punto di vista macroeconomico sarebbe auspicabile una forte crescita dei salari, è tuttavia impossibile raggiungerla in queste condizioni. Qui è necessario l'intervento della politica fiscale - il settore privato non puo' risolvere da solo una tale crisi.

Non dobbiamo tuttavia trascurare che anche i sindacati hanno dei legittimi interessi economici. Cosi' nelle contrattazioni sindacali non si parla solo di aumenti salariali, ma spesso anche di miglioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti di un settore. Questi successi negoziali dei sindacati non possono pero' essere convertiti in un determintato livello di salario. I datori di lavoro, invece, per ogni concessione qualitativa si rifanno sui lavoratori con un minore aumento. Considerare questo scambio solo come una moderazione salariale significa avere una visione incompleta.

Ancora piu' importanti sono le tendenze strutturali che si scontrano con le riflessioni macroeconomiche, in particolare la sempre minore copertura dei contratti collettivi: solo il 50% dei dipendenti ha un contratto collettivo di categoria. La differenza fra gli aumenti salariali previsti dai contratti collettivi e gli aumenti salariali complessivi (lohndrift) in passato è stata considerevole. Ma su questo punto i sindacati non hanno alcuna responsabilità.

Dietro la decrescente applicazione dei contratti collettivi si nasconde, dal punto di vista dei sindacati, una grave tendenza - e cioè la crescente eterogeneità all'interno dei diversi settori. Ad esempio nell'industria automobilistica ci sono imprese molto redditizie che senza problemi potrebbero pagare un salario decisamente piu' elevato rispetto agli aumenti salariali contrattuali. Lungo la catena del valore ci sono pero' a volte delle differenze significative.

Cosi' alcuni fornitori subiscono la pressione dei grandi produttori finali, i quali riescono a spingere verso il basso i prezzi dei loro fornitori, fatto che ne peggiora la loro redditività. Gli aumenti salariali complessivi metterebbero perciò' in difficoltà i fornitori, perché hanno una debole posizione di mercato nei confronti dei loro clienti finali - e non perché, ad esempio, dispongono di una limitata capacità innovativa. La loro uscita dal mercato non porterebbe alcun vantaggio macroeconomico - al contrario.

Molto piu' difficile invece è il trasferimento a livello europeo del concetto di salario macroeconomico. Mentre in Germania i presuppostoti istituzionali per la definizione di un salario che tenga conto delle condizioni generali dell'economia ci sono già, questa struttura è quasi completamente assente nell'unione monetaria. 

In queste circostanze riuscire a definire una regola comune per la definizione dei salari è teoricamente possibile nel lungo periodo, ma sicuramente impossibile nelle condizioni attuali. La critica secondo cui alle politiche salariali tedesche manca un orientamento europeo puo' essere giustificata in considerazione di quanto sarebbe necessario fare, ma è ipocrita. Per arrivare a risultati sostenibili serve un lungo lavoro  di costruzione delle strutture di negoziazione salariale a livello europeo.

La politica salariale attuale

Senza dubbio la formazione dei salari in Germania, e ancora di piu' in Europa, non puo' essere considerata ottimale. Gli accordi istituzionali e le condizioni politiche del mercato del lavoro non lasciano sperare in un miglioramento. Non ha molto senso, in questo contesto, accusare i sindacati di eccessiva moderazione salariale. Da un lato, come mostrato sopra, gli attuali accordi salariali dal punto di vista delle necessità dell'economia interna non possono essere considerati troppo bassi. Dall'altro, i problemi a livello europeo sono troppo gravi per poter essere risolti solo dai sindacati. Qui sono responsabili prima di tutto i governi.

Anche i criteri macroeconomici utilizzati dai critici sono assolutamente ragionevoli - solo che il mancato rispetto di questi criteri non è esclusivamente responsabilità dei sindacati, come i critici invece amano ripetere.

martedì 11 ottobre 2016

Flassbeck: il FMI e l'ignoranza tedesca

Heiner Flassbeck su Makroskop.eu parla del livello di ignoranza e omologazione raggiunto dai commentatori tedeschi: è ormai impossibile criticare gli avanzi commerciali con l'estero. Da Makroskop.eu
La sessione autunnale del Fondo Monetario Internazionale è stata dedicata all'assurdità del risparmio tedesco. Ma in Germania nessuno vuole ammetterlo. La gente non ha piu' fiducia nei media, perché i mezzi di informazione sono allineati sulle posizioni del governo. 

Der Spiegel lo sapeva già prima che il meeting di Washington iniziasse: la Germania sarà il bersaglio di tutte le critiche per il suo doppio surplus (bilancio pubblico e partite correnti con l'estero), tuttavia avrà a sua disposizione argomenti preparati con cura. In particolare, la Germania intende sottolineare che anche secondo John Maynard Keynes lo stato nei periodi buoni deve fare degli avanzi e ridurre il debito. Addirittura il settimanale riferisce che Schäuble lo avrebbe detto con un certo compiacimento, sempre leggendo gli articoli del ben informato scribacchino nella capitale americana.

Questo tipo di obbedienza preventiva nel giornalismo di guerra viene definito giornalismo "embedded". Il giornalista scrive, anche prima che qualcosa sia successo, quello che i suoi "committenti" vogliono ascoltare e ottiene come ricompensa un paio di informazioni privilegiate. Ma anche negli altri media "di qualità" le cose non vanno molto meglio. Si legge che ci sono stati conflitti, ma secondo Handelsblatt si tratta di una "relazione in crisi" fra il FMI e la Germania, mentre secondo Focus Schäuble lascia che Christine Lagarde vada ad "incagliarsi". Sulla FAZ Otmar Issing difende le politiche tedesche dagli attacchi del FMI , sebbene l'ex capo-economista di Bundesbank e BCE mostra soprattutto che anche dopo lunghi anni di studi, non ne ha capito o non ne ha voluto capire l'interdipendenza.

A Washington è successo qualcosa di sensazionale, ma il pubblico tedesco non lo deve sapere. Che il capo del FMI sul palco, davanti a tutti e in anticipo rispetto al vero meeting, abbia esortato la Germania (insieme a Canada e Corea) a fare di più' per la congiuntura interna, è estremamente insolito. Che in seguito abbia commentato l'annuncio di Schäuble, useremo  6 miliardi per la riduzione delle tasse (meno del 2 per mille del PIL tedesco), con un sarcastico "fantastico", non mostra una "relazione in crisi", piuttosto una profonda frustrazione per la testardaggine tedesca.

Ed è anche abbastanza chiaro che dietro questo atteggiamento sorprendentemente poco diplomatico del FMI ci sono sicuramente i paesi piu' importanti, prima di tutto gli Stati Uniti, ma probabilmente anche alcuni europei. La Francia critica con sempre maggior forza l'atteggiamento tedesco, e l'Italia è sul punto di esplodere. A mio avviso in molti paesi si inizia a capire che in considerazione degli avanzi crescenti delle partite correnti tedesche e della continua debolezza della congiuntura interna nel paese "modello", l'atteggiamento tedesco puo' essere modificato, se ancora possibile, solo esercitando una forte pressione dall'esterno. Che il ministro delle finanze tedesco, nonostante il doppio avanzo, a Washington abbia avuto il coraggio di dire che la Germania tiene insieme l'Europa, a Roma e Parigi sarà sembrato uno scherzo di cattivo gusto.

Schäuble almeno su di un punto ha ragione. Lo dice nella stessa discussione: le persone non hanno piu' fiducia nei media, e lo dice come se fosse indignato. Dovrebbe fare almeno un po' di autocritica, allora scoprirebbe che le sue decisioni politiche sono trattate dai media tedeschi con la massima cura e attenzione. La maggior parte dei corrispondenti da Washington non sono disponibili ad affrontare il tema degli avanzi commerciali con l'estero, per non parlare del fatto che non sono disposti a trarne le necessarie conseguenze. Perché la gente dovrebbe fidarsi dei media, che su di un punto cosi' decisivo non sono stati all'altezza?

Alle usuali affermazioni difensive della politica e dei media tedeschi appartiene quella secondo cui la congiuntura interna sta prendendo velocità, perché nel frattempo gli stipendi in Germania stanno crescendo con forza. Purtroppo non vi è niente di vero. Analizzando lo sviluppo dei salari nominali negli ultimi anni e per l'anno prossimo, si ottengono i dati qui sotto. Poiché alcuni contratti collettivi saranno validi per tutto il 2017, la stima per il prossimo anno è abbastanza credibile. Quella per il 2018 è al contrario pura fantasia.

Contrariamente a quanto viene fatto credere pubblicamente, in Germania (in piena occupazione, come spesso amano aggiungere) la crescita dei salari non sale di anno in anno, ma al contrario scende. La retribuzione contrattuale oraria è la misura più' importante. La crescita è passata dal 3% del 2014 al 2.4% dello scorso anno e al 2.1% di quest'anno. Anche per il 2017 gli istituti di ricerca ipotizzano un aumento del 2.2%.
Da dove possa arrivare, in un tale scenario, la spinta alla domanda interna, è difficile da capire. I salari reali quest'anno sono cresciuti più' dello scorso anno, perché i prezzi sono aumentati meno o addirittura sono diminuiti. Per il prossimo anno nessuno si aspetta che accada lo stesso. Anche i vicini europei, ormai senza alcuna ombra di dubbio, devono riconoscere che in Germania non si fa nulla per portare il cambiamento che darebbe loro l'aria per respirare.

Perché è cosi', fuori dalla Germania ormai lo hanno capito quasi tutti. Dal passato spunta Otmar Issing e dice:

"...possiamo dire che una correlazione diretta fra il saldo del bilancio pubblico e le partite correnti è tutt'altro che chiara."

Un tempo una tale dichiarazione poteva essere anche accettabile. Oggi il rapporto è molto chiaro. In un paese come la Germania, dove i privati (famiglie e imprese) risparmiano sistematicamente (sono risparmiatori netti), lo stato può fare un avanzo oppure ridurre i suoi deficit, nella misura in cui scarica sull'estero le necessarie contropartite sotto forma di indebitamento netto.

Poiché in Germania nessuno pensa seriamente di spingere le famiglie oppure le imprese in una posizione debitoria, la relazione fra il saldo dello stato e il saldo delle partite correnti è assolutamente chiara: ogni consolidamento del bilancio pubblico oppure ogni avanzo di bilancio pubblico possono essere realizzati solo se l'estero è disposto ad accettare un maggiore indebitamento. Per questo, l'ho detto chiaramente poco fa, sono finiti i bei tempi a cui si riferiscono tutti quelli che vogliono difendere gli avanzi dello stato.

Chi insiste sulla posizione tedesca divide l'Europa, perché gli altri paesi non possono seguire i diktat tedeschi ed europei sul consolidamento dei bilanci pubblici senza causare un deterioramento della loro situazione economica ed un aumento della loro disoccupazione. Anche loro non sono infatti in condizione di spingere le famiglie e le imprese in una posizione debitoria. Chi difende la posizione tedesca, che capisca o meno le relazioni, vuole solo dividere e non pacificare, anche se sostiene il contrario. 

domenica 9 ottobre 2016

Otmar Issing: il mito delle politiche fiscali espansive in Germania

Otmar Issing, ex capo-economista della BCE, dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung attacca il FMI: la Germania non puo' applicare politiche espansive, sono dannose e non aiuterebbero i paesi in crisi. Da FAZ.net
Una politica fiscale espansiva per la Germania va contro ogni logica economica. Il potenziale economico è interamente utilizzato. Solo su di un punto si avrebbe una riduzione delle disuguaglianze.

Per l'ennesima volta il FMI ha invitato i paesi che dispongono di "spazio fiscale" a mettere in pratica misure espansive. Dopo che le politiche monetarie espansive hanno raggiunto i loro limiti e gli effetti negativi del "mondo senza tassi di interesse" sono sempre più' chiari, ora sarebbe arrivato il momento di puntare sulla politica fiscale.

Questo appello, con un ampio sostegno da piu' parti, si rivolge prima di tutto alla Germania. A parte il fatto che l'idea audace secondo cui una politica fiscale espansiva in un paese di medie dimensioni come la Germania possa salvare la congiuntura globale, va contro ogni logica economica. La richiesta si rivolge ad un paese la cui situazione economica ha da tempo le seguenti caratteristiche: pieno utilizzo delle capacità produttive, crescita effettiva superiore rispetto al potenziale produttivo. Sul mercato del lavoro poi c'è piena occupazione. Il tasso di disoccupazione residuo è di natura strutturale, e difficilmente potrà ridursi tramite un aumento della domanda.

Aggiustamento di bilancio invece di nuovo debito

Contemporaneamente l'economia è stimolata grazie ad una politica monetaria troppo espansiva per la Germania (la BCE deve rivolgersi alle condizioni dell'intero continente europeo). A questo si aggiunge il debole tasso di cambio dell'Euro,  che sostiene le esportazioni tedesche. Come può' un serio economista avere l'idea di raccomandare in un tale paese una politica economica ancora più' espansiva?

Ma gli investimenti nelle infrastrutture non sarebbero urgenti? Certo, ma il punto è come devono essere finanziati. La Germania dovrebbe ulteriormente indebitarsi a questo scopo? Gli interessi negativi sul debito pubblico non sono necessariamente una ragione per farlo. Nel nostro paese non vi è la necessità di un ulteriore stimolo della domanda. La maggior spesa per le infrastrutture, per l'educazione,  per le strade, per le ferrovie etc, nelle condizioni attuali, deve essere finanziata tramite una riorganizzazione del bilancio pubblico che preveda una riduzione del consumi pubblici.

Gli effetti positivi sarebbero modesti

Ma le partite correnti tedesche non sono persistentemente in avanzo con l'estero? Da un lato possiamo dire che una correlazione diretta fra il saldo del bilancio pubblico e le partite correnti è tutt'altro che chiara. Dall'altro possiamo dire che secondo tutte le stime disponibili un aumento dell'import in Germania non andrebbe a vantaggio unicamente dell'Italia, ad esempio, e cioè il paese che con maggiore forza chiede un'espansione fiscale in Germania. Nel complesso, l'effetto positivo sullo sviluppo economico all'estero sarebbe poco piu' che modesto.

Dopo questa analisi, la richiesta di utilizzare lo spazio fiscale in Germania al fine di stimolare l'economia negli altri paesi, risulta essere un mito (non molto buono). L'utilizzo dello spazio fiscale potrebbe allora essere inteso, in quanto tesi, come il tentativo di un paese, il cui debito è rimasto indietro rispetto a quello degli altri paesi, di eliminare rapidamente questa condizione. Quando poi tutti i paesi saranno poi indebitati allo stesso modo, la disuguaglianza, almeno nella miseria dei debiti pubblici, sarà sconfitta.

sabato 8 ottobre 2016

I primi della Klasse

Holger Zschäpitz, su "Welt.de" intervista Yoram Gutgeld, il consigliere economico del governo italiano. Per il giornalista tedesco l'Italia è probabilmente irriformabile e destinata ad uscire dalla moneta unica. Articolo zeppo di luoghi comuni, i primi della Klasse salgono in cattedra. Da Welt.de
Yoram Gutgeld è il principale consigliere economico del primo ministro italiano Matteo Renzi. Crede nella volontà dei suoi connazionali di riformare il paese - e chiede nuove regole per l'Europa.

Yoram Gutgeld non può' accettare un'accusa del genere. Non per lui, non per il governo e nemmeno per il paese. Ha 56 anni ed è diventato il piu' importante consigliere del primo ministro italiano Matteo Renzi. E vuole sapere cosa si dice di negativo sul suo paese in questi giorni.

Il FMI lancia previsioni economiche cupe per l'Italia, gli economisti più' importanti parlano di una generazione perduta nel mercato del lavoro, i politici stranieri non risparmiano consigli da primo della classe. Il centro delle critiche: per il debole stato-stivale non c'è posto nell'Euro.

Questa settimana il premio Nobel Joseph Stiglitz in un'intervista al quotidiano "Welt" ha parlato dell'uscita dell'Italia dall'Euro ormai vicina. Secondo Stiglitz, gli italiani sarebbero arrivati alla conclusione che è meglio uscire prima che il loro paese finisca in rovina.

La maggioranza degli italiani vuole restare nell'Euro

Gutgeld di fronte a queste dichiarazioni può' solo scuotere la testa: "i sondaggi piu' recenti evidenziano che la maggioranza degli italiani vuole mantenere l'Euro", dichiara in un'intervista a "Welt". "L'Euro ci ha fatto risparmiare miliardi di Euro di interessi". Grazie alla moneta unica gli italiani non hanno più' potuto fare affidamento sulle collaudate e puntuali svalutazioni competitive per tenere l'economia in carreggiata.

"Non abbiamo sfruttato gli ultimi due decenni per fare le riforme necessarie a rendere piu competitivo il paese e a farlo restare nell'Euro. Ora abbiamo bisogno di recuperare il tempo perduto", dice Gutgeld.

Nato in Israele, a 30 anni si è trasferito in Italia per lavorare con la società di consulenza McKinsey, e aiutare il paese a diventare più' efficiente. Si sente un vero italiano, lo si capisce chiaramente dal modo in cui parla dell'Italia. Non distanziato, come un consulente esterno, ma con il "noi".

L'ambizioso obiettivo di Gutgeld è fermare il declino economico e riportare l'economia del paese nuovamente in pista. E sa anche da dove deve partire. "Siamo noi la causa dei nostri problemi. Non possiamo dare la colpa all'Europa", ci dice.

Yoram Gutgeld vuole fermare il declino

Il tempo stringe. L'Euro, a quanto pare, ha privato gli italiani della crescita e reso la gente piu' povera. Dall'inizio dell'unione monetaria nel 1999 il reddito pro-capite è sceso. In nessun'altro paese le statistiche sono cosi' negative, anche i greci in questa statistica sono messi meglio rispetto a 17 anni fà.

Secondo il FMI l'Italia raggiungerà i livelli di PIL pre-crisi solo nel 2022. La disoccupazione è ben al di sopra della media europea, in particolare sono i giovani ad essere senza lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile è del 38.8%.

Sicuramente non è il livello più' alto dell'Eurozona. Ma in nessun'altro paese europeo la differenza con il tasso di disoccupazione generale, all'11.4%, è cosi' grande. Si rischia una generazione perduta, e un ritardo nella crescita che non potrà mai piu' essere recuperato.

Ma questa sguardo al paese è proiettato verso il passato, dice Gutgeld: "abbiamo appena riformato il mercato del lavoro e ora quello italiano è il mercato del lavoro piu' moderno e flessibile d'Europa". I primi successi sono già visibili. C'è un 3% di posti di lavoro in piu' nel settore privato.

Il referendum è una grande opportunità

Ma non è ancora tutto. Il paese ha davanti a sé una revisione generale. "Abbiamo diverse grandi aree problematiche sulle quali stiamo lavorando", dice Gutgeld. Un grande progetto è il processo decisionale politico, che deve essere semplificato. "Accadrà con la riforma costituzionale, su cui gli italiani voteranno all'inizio di dicembre".

L'esito del referendum tuttavia è incerto. C'è un testa a testa fra sostenitori e oppositori. Gutgeld è fiducioso che il premier Renzi saprà convincere i suoi concittadini: "Il referendum è una grande opportunità per riportare il paese di nuovo sulla strada del successo".

Nel frattempo anche gli italiani sono diventati consapevoli del fatto che non si può' andare avanti in questo modo. "Nel 1992 abbiamo già avuto una forte crisi. Allora abbiamo perso l'opportunità per fare le riforme decisive. Oggi l'atteggiamento dei cittadini è diverso. Gli italiani vogliono le riforme e voteranno di conseguenza al referendum".

Abbiamo bisogno di una vera unione bancaria e di un mercato dei capitali unico.

Gutgeld sie lo lascia sfuggire: considera sbagliate e funeste le severe misure di austerità che Berlino ha imposto in Europa. Tuttavia vuole copiare qualcosa dalla Germania, ad esempio il sistema duale della doppia formazione professionale. Sembra quasi che Gutgeld voglia far diventare gli italiani un po' più' tedeschi. Anche gli stereotipi sull'etica italiana del lavoro devono essere smentiti.

I pregiudizi ormai non arrivano piu' solo dall'esterno. La filosofa italiana Gloria Origgi ha identificato una norma sociale unica in Italia, che lei ha definito Kakonomics: gli italiani spesso producono un lavoro mediocre, in cambio si aspettano anche dalle loro controparti un lavoro mediocre. Tutti sono soddisfatti con questa situazione. Si basa su di un contratto sociale specifico: io credo che tu non sarai in grado di soddisfare completamente la tua promessa e intendo tenermi aperta la possibilità di non mantenere le mie promesse, cosi' secondo Origgi. 

Gutgeld considera questo tipo di teorie assurde. Come prova cita il surplus commerciale in continua ascesa. Invece di affrontarsi reciprocamente con i cliché, i paesi europei dovrebbero muoversi insieme nella stessa direzione. "In Europa abbiamo bisogno di una vera unione bancaria e di una mercato dei capitali unico", dice Gutgeld, ed è pronto ad affrontare un ulteriore tema di riforma, gli istituti bancari. Anche lui è consapevole della forte interdipendenza fra le banche in crisi, lo stato in difficoltà e l'economia fatta di piccole e medie imprese, strettamente dipendenti dal funzionamento del settore finanziario. "Il sistema italiano si è stabilizzato. Con le fusioni fra le banche cooperative si arriverà ad una ristrutturazione del settore. Ma anche su Monte dei Paschi siamo sulla buona strada", ci dice Gutgeld. In merito ai problemi di Deutsche Bank guarda a Berlino senza malizia, e aggiunge: "non avremo bisogno di aiuti pubblici. Con il fondo Atlante abbiamo trovato una soluzione all'interno del settore privato".

Soluzioni nell'economia privata, riforme, programmi di austerità - ascoltando Gutgeld si potrebbe effettivamente pensare che presto l'Italia passerà a qualcun'altro il titolo di fanalino di coda. Chi avrà ragione alla fine, Gutgeld oppure i critici dell'Italia, lo si vedrà già in dicembre, quando gli italiani dovranno votare sulle riforme costituzionali. Perché in realtà in ballo c'è molto di più': probabilmente il futuro del paese nell'Euro.

mercoledì 5 ottobre 2016

Il Portogallo a rischio

Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank, dalla sua rubrica su FAZ.net ci spiega cosa potrebbe accadere al Portogallo se anche l'ultima agenzia di rating il 21 ottobre decidesse di abbassare a Junk il rating sul debito portoghese. Da FAZ.net
Il Portogallo ha un alto debito e l'economia non cresce. Il paese rischia di fallire, non appena l'ultima agenzia di rating cambierà idea.

Le 3 grandi agenzie di rating per la valutazione delle obbligazioni sono Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. La canadese DBRS non sembrerebbe particolarmente importante. Si tratta di un'agenzia di rating fondata nel 1976 e acquistata nel 2015 da un consorzio "alternativo" di asset manager sotto la guida delle società di private equity Carlyle Group e Warbung Pincus.

In verità non ci sarebbe bisogno di conoscere DBRS, se da questa agenzia non dipendesse il destino del Portogallo, e probabilmente lo sviluppo dell'Euro. E' infatti l'unica fra le agenzie di rating riconosciute dalla BCE a non aver ancora classificato come Junk le obbligazioni portoghesi. Per la BCE è infatti sufficiente che almeno una delle 4 agenzie dia un rating superiore al Junk. In questo modo DBRS assicura al Portogallo l'accesso al programma di acquisto dei titoli di stato della BCE e alle banche la possibilità di usare i titoli di stato portoghesi per rifinanziarsi presso la BCE. Se DBRS dovesse assegnare un rating Junk ai titoli di stato portoghesi, come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch fanno ormai da molto tempo, lo stato probabilmente perderebbe l'accesso ai mercati e avrebbe bisogno di un nuovo programma di aiuti. Le banche non potrebbero piu' rifinanziarsi presso la BCE dando in pegno i loro titoli di stato e dovrebbero essere tenute a galla con la liquidità di emergenza della BCE. Il 21 ottobre DBRS si dovrà pronunciare sul nuovo rating del Portogallo.

Nella sua relazione del 29 aprile l'agenzia canadese ha giustificato il suo rating al Portogallo (BBB-) con una buona struttura delle scadenze e un miglioramento del conto corrente con l'estero. Le prospettive del rating sono state valutate stabili, in base ad una previsione di crescita dell'economia e ad una riduzione del deficit e del rapporto debito pubblico/PIL. Al contrario, il rating dovrebbe essere abbassato, scriveva allora l'agenzia, se la politica economica del governo dovesse deteriorarsi o se la crescita si indebolisse, causando un peggioramento delle finanze pubbliche. Nella prima metà dell'anno il tasso annuo di crescita del PIL è sceso dall'1.5% all'1%. Per raggiungere la previsione di crescita dell'1.8%, l'economia portoghese dovrebbe crescere del 2.6% nella seconda metà dell'anno. Ma questo è molto improbabile. 

Il deficit pubblico dovrebbe scendere dal 4.4% del 2015 al 2.2% di quest'anno, ma la crescita economica inferiore alle previsioni rende tutto piu' difficile. Non aiuta il fatto che il nuovo governo di sinistra abbia aumentato le pensioni e dal primo di luglio abbia introdotto una riduzione a 35 ore settimanali per i dipendenti pubblici. Se per queste ragioni il deficit pubblico non dovesse scendere sotto il 4% del PIL, il rapporto debito/PIL raggiungerà il nuovo record del 130%. Solo Italia e Grecia hanno un livello piu' alto. 

Date queste circostanze e la dichiarata "politica anti-austerità" del governo di sinistra, ci si dovrebbe aspettare che DBRS segua le altre agenzie e abbassi il rating dei titoli di stato portoghesi al livello spazzatura. Ma la pressione sugli analisti di DBRS per non farlo deve essere enorme, perché se lo facessero ci sarebbe bisogno di un ulteriore piano di salvataggio per il governo e per le banche. Le banche portoghesi hanno investito circa 60 miliardi di Euro, pari al 23% di tutti i prestiti, in titoli di stato portoghesi. Dal momento che i crediti in sofferenza e non esigibili rappresentano il 15% dei prestiti, se l'agenzia abbassasse il rating portoghese, il 38% di tutti gli attivi bancari sarebbero di scarsa qualità. Le banche non avrebbero probabilmente nessuna possibilità di rifinanziarsi sul mercato e la BCE sarebbe obbligata ad intervenire con i prestiti di emergenza. Le passività del Portogallo nei confronti dell'Eurosistma (Target II), ora pari a 66 miliardi di Euro, salirebbero rapidamente. 

A questi si aggiungono i 76 miliardi di Euro che il Portogallo deve agli altri paesi dell'Eurozona per i precedenti programmi di assistenza, e 21 miliardi di Euro di titoli di stato che la BCE ha acquistato nell'ambito del suo programma di acquisto. Ci sarebbe bisogno di un nuovo programma di salvataggio per lo stato e per le banche, questa volta pero' sarebbe impossibile nascondere che il denaro dei precedenti fondi di salvataggio è stato inutile e che adesso il Portogallo è insolvente. Spetta solo a DBRS sollevare il velo - oppure soddisfare i desideri del governo portoghese e dei suoi sostenitori nell'UE.

martedì 4 ottobre 2016

Fiaski tedeschi

Der Spiegel sull'ascesa e il declino di una banca che voleva conquistare il mondo e che invece rischia di affondare per le cause legali e per i troppi rischi. Da spiegel.de

I peccati del passato hanno raggiunto Deutsche Bank, ora la banca deve preoccuparsi per il suo futuro. Come un rispettato istituto di credito si è trasformato prima in una centrale del gioco d'azzardo e poi in un cumulo di macerie.

Era il 1989, l'anno che ha cambiato non solo il destino della Germania, ma anche quello di Deutsche Bank. Al vertice della prestigiosa banca c'era Alfred Herrhausen. Un manager brillante e carismatico che si immischiava volentieri nelle grandi discussioni politiche e sociali del tempo. Lo stesso Kohl si faceva consigliare dal manager.

Herrhausen ha per Deutsche Bank una grande visione: deve diventare internazionale e scrollarsi di dosso la reputazione di banca burocratica e polverosa. Fra i tradizionalisti della banca incontra pero' poco entusiasmo. Nelle torri di Francoforte si mormora. 

Herrhausen non è uno sciocco. Insieme ai consulenti d'impresa di McKinsey e a Roland Berger ha sviluppato un nuovo concetto di business per l'ingresso nell'investment banking. Con i libretti di risparmio e le tradizionali attività di prestito non si guadagnano abbastanza soldi. D'ora in poi la banca dovrà entrare nel business delle grandi acquisizioni e nel trading sui mercati azionari mondiali. "Quello che noi ammiriamo e che non possediamo è la cultura degli affari anglosassone", diceva Herrhausen. Il 27 novembre 1989 Deutsche Bank annuncia l'acquisizione della banca britannica Morgan Grenfell per 2.7 miliardi di Marchi. Tre giorni più' tardi Herrhausen muore in seguito ad un attentato della RAF mentre stava andando ad una riunione del board.

Con l'acquisizione di Morgan Grenfell inizia per Deutsche Bank un conflitto culturale che sarebbe durato per decenni. Fra i banchieri conservatori di Francoforte, gli affaristi anglosassoni non sono molto popolari. Molti non capiscono nemmeno la loro lingua. E con i nuovi arrivati, arriva anche il primo scandalo. Un giovane manager ha giocato d'azzardo. La banca deve risarcire i clienti. 

I successori di Herrhausen, Hilmar Kopper e Rolf Breuer, portano avanti il nuovo corso. Nel 1995 Kopper porta a Deutsche Bank una stella: Edson Mitchell arriva dalla banca americana Merrill Lynch - e porta con sé un'intera squadra di 50 trader. Fra loro un giovane indiano, Anshu Jain, che già allora era considerato un giovane talento. Mitchell assume la direzione del reparto commerciale di Deutsche Bank nel vecchio edificio di Morgan-Grenfell a Londra. Come si diceva allora, guadagna piu' soldi lui di tutto il consiglio di amministrazione. 

Kopper e Breuer vogliono di più' pero': vogliono andare a New York - nel cuore del nuovo capitalismo finanziario. Nel 1999 raggiungono l'obiettivo. Deutsche Bank acquista per 17 miliardi di marchi la banca di investimento statunitense Bankers Trust. Un prezzo alto per una banca che nel giro di Wall Street è conosciuta come una "centro per il gioco d'azzardo".

Per Deutsche Bank inizia una nuova era. La metà dei quasi 100.000 dipendenti ora lavora all'estero. Il 4 di giugno la banca festeggia l'acquisizione davanti alle torri della sede di Francoforte con lo sloglan "Let's go global". "Pirotecnici americani hanno lanciato verso il cielo razzi di coriandoli, la birra americana Miller è finita alla svelta", raccontava Der Spiegel - e cita un investment banker, soddisfatto per il nuovo equilibrio di potere nel board: "ora siamo in maggioranza".

Deutsche Bank è ora la più' grande del mondo. Il suo bilancio ha raggiunto quasi 900 miliardi di Euro.

Nel 2000, l'anno dopo l'acquisizione, registra un utile di quasi 5 miliardi di Euro. Circa la metà arriva dall'investment banking, divisione guidata da uno svizzero emergente: Josef Ackermann.

Nel 1998 ha fatto un patto con Edson Mitchell, il leader dei banchieri di investimento, e si è cosi' assicurato il sostegno della principale divisione del gruppo. O almeno cosi' scrive il giornalista Georg Meck nel suo libro "The Deutsche: Investment banker an der Macht". Meck cita Ackermann: "ho dato agli investment banker la sensazione di essere a casa in Deutsche Bank".

Nel 2002 Ackermann diventa CEO - con l'aiuto degli investment banker. Porta avanti l'espansione della banca e nel 2007 Ackerman batte tutti i record. Nel 2007 è all'apice: durante la conferenza stampa annuale presenta orgoglioso un utile di oltre sei miliardi di Euro. Oltre il 70% arriva dall'investment banking, di cui nel frattempo Anshu Jain è diventato il capo.

Jain è considerato un genio. Soprattutto nelle vendite e nel trading è difficile battere Deutsche Bank. Nessun'altra banca al mondo tratta ogni giorno cosi' tante obbligazioni e valuta. Ma anche nella negoziazione dei titoli ipotecari statunitensi, Deutsche Bank brilla. Da lontano si sentono già i primi tuoni della tempesta in arrivo, la più' grande crisi finanziaria di tutti i tempi. Ma a quanto pare il CEO Ackermann non ha sentito nulla. "Per l'economia globale e per il settore finanziario ho delle buone sensazioni", diceva allora.

Puo' anche essere che i buoni presentimenti arrivassero dal suo portafoglio. Con l'investment banking anglosassone si è diffusa anche la cultura dei bonus. Gli stipendi sono cresciuti rapidamente. Nel 2006 Ackermann incassa piu' di 13 milioni di Euro. Per fare un confronto: nel 1988 l'intero board composto da 12 consiglieri riceveva 14.8 milioni -  e allora erano ancora D-Mark.

Nel maggio 2007 il prezzo delle azioni della banca tedesca raggiunge il massimo di 102 € . Da li' inizia la discesa.

Negli Stati Uniti crolla il mercato immobiliare. In estate in Germania le prime banche iniziano a tremare. La piccola banca di Duesseldorf IKB deve essere salvata dal collasso. Aveva acquistato in massa titoli ipotecari americani - tra gli altri anche da Deutsche Bank. Tuttavia Ackermann vuole passare come un gestore della crisi. Durante una riunione del settore finanziario a Francoforte il presidente delle Sparkassen Heinrich Haasis è alquanto irritato. Si chiede perché a consigliare sulle misure antincendio sia stato messo "chi fino ad ora ha raccolto la legna da ardere guadagnandoci un bel po' di soldi".

Anche Deutsche Bank viene tuttavia colpita dalla crisi. Ma apparentemente è uno dei pochi istituti ad attraversare la tempesta senza danni particolari. Mentre molte banche sono state salvate dalla rovina, Ackermann si permetteva di affermare: "mi vergognerei se per la crisi dovessimo aver bisogno di denaro pubblico", dichiarava a Der Spiegel. Già nel 2009 la banca tedesca raggiungeva quasi 5 miliardi di Euro di utile.

La fattura piu' grande pero' arriva con un po' di ritardo. Dopo aver superato il picco della crisi finanziaria, parte il contrattacco della politica e delle autorità di regolamentazione. Gli errori del passato devono essere espiati. E almeno qualche miliardo speso per salvare le banche deve tornare indietro.

Seguono azioni legali, processi e commissioni di inchiesta per elaborare la crisi. E presto si scopre che Deutsche Bank era ovunque gli affari non fossero puliti. Che si tratti di manipolazione dei tassi di interesse, del corso delle valute o della negoziazione di titoli ipoetacari - Deutsche Bank deve pagare. E che cosa ha imparato?

Nella primavera 2012 Josef Ackermann dopo 10 anni alla guida della banca si ritira. Per la sua successione c'è una rissa. Ackermann avrebbe volentieri come suo successore l'ex presidente di Bundesbank Axel Weber - un uomo che in maniera credibile avrebbe potuto fare pulizia e annunciare un nuovo corso.

Ma Ackermann perde la lotta di potere interna. Invece di Weber sale al vertice Anshu Jain - il geniale giocatore d'azzardo che ha guidato l'investment banking per molti anni e nelle cui aree di responsabilità sono nati quasi tutti gli scandali. 

La banca ha cercato di far passare questa scelta come una mossa brillante. Secondo il motto: solo chi ha smontato la macchina può' essere capace di rimontarla correttamente. Per non compromettere l'immagine pubblica con troppa sfacciataggine, Jain si mette accanto Jürgen Fitschen, un rispettabile banchiere appartenente alla vecchia scuola, molto apprezzato dai clienti, che in seguito parlerà spesso di un cambiamento culturale nella banca. Jain al contrario parlerà principalmente di continuare a giocare con i piu' grandi player del mondo. Come se la crisi finanziaria non ci fosse mai stata.

Il piano non funziona. Affiorano sempre più' scandali, sempre più' vicini a Jain. La banca deve accantonare solo fra il 2012 e il 2015 più' di 12.7 miliardi di Euro per contenziosi legali. I profitti sono divorati dalle sanzioni. La sola cosa a restare alta sono gli stipendi. 

Nell'assemblea del 2015 gli azionisti piu' potenti prendono le distanze da Jain. Poche settimane piu' tardi Jain si dimette. Il fossato fra la sede centrale di Francoforte e le banche di investimento a Londra e New York è profondo come mai fino ad ora.

Il successore di Jain è Joh Cryan, un britannico, roccioso, che finalmente dovrebbe fare pulizia. E la sta facendo. Secondo alcuni anche un po' troppo. Cryan si è lamentato per le condizioni della banca, per il sistema IT scadente e per i bonus alti. Ha fatto svalutare rami di azienda che in bilancio avevano un valore troppo alto - fra questi Bankers Trust. Il risultato è stato una perdita di 6.8 miliardi di Euro - la più' alta nei 145 anni di storia di Deutsche Bank.

Cryan sta lottando. Ha ereditato un mucchio di rovine - e fino ad ora non ha presentato un piano convincente per poterle trasformare in una banca.