sabato 2 maggio 2020

Per molti lavoratori autonomi Hartz IV è l'unica via d'uscita

Se per il governo di Berlino non è un problema trovare 9 o 10 miliardi di euro per salvare Lufthansa, i soldi per gli aiuti immediati promessi ai lavoratori autonomi in molti casi non si sono ancora visti e forse non si vedranno mai. Per alcuni di loro non resta altro che richiedere l'aiuto di Hartz IV. Ne scrive la Frankfurter Rundschau


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Mareike Kesten (nome inventato) pensa che probabilmente non riuscirà piu’ ad avere i soldi. Il 25 marzo, infatti, la proprietaria del salone per la cura delle unghie ha presentato una domanda per l'erogazione degli aiuti d'emergenza al Land Brandeburgo - e poi, tranne una conferma di ricezione, per settimane non ne ha piu' saputo nulla. Su sua richiesta, la Brandenburg Investment Bank le ha assicurato che chiunque avesse presentato una domanda corretta avrebbe ricevuto i soldi sul conto nel corso del mese di aprile. Ma dopo un mese, durante il quale molti altri lavoratori autonomi della sua regione sono rimasti a mani vuote, la questione per lei è già "conclusa": "Non arriverà nulla", Kesten ne è convinta. Ora posso solo sperare che i saloni di bellezza riaprano quanto prima.

Kesten non è sola. Mentre molti piccoli imprenditori subito dopo l'inizio del programma per l'erogazione degli "aiuti d'emergenza" si sono rallegrati per aver ricevuto sul conto il denaro dal governo regionale o statale, cresce invece il numero di coloro che stanno ancora aspettando i soldi e che sono sempre più preoccupati per il loeo sostentamento. Un gruppo di Facebook, fondato il 10 marzo, sul quale i piccoli imprenditori si scambiano informazioni sulla loro situazione e sugli aiuti di stato, ha raggiunto quasi 19.000 membri, e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi in cerca di consigli e incoraggiamento.

La maggior parte di questi gestisce piccole imprese o sono lavoratori autonomi, in una ampia gamma di settori: dai tuttofare, ai consulenti assicurativi, ai piccoli spedizionieri, agli showmen oppure fotografi. Il problema principale è l'erogazione lenta degli aiuti di emergenza da parte dei Laender. "È quasi passato un mese ormai e non ci sono ancora né soldi né una risposta dal Land dello Schleswig-Holstein", ha scritto un uomo. "Come va da voi?" Quasi 50 persone hanno risposto: aiuto richiesto il 24 marzo - ancora nessuna risposta. Inviato il primo aprile - non ho ancora sentito nulla. Il 27 marzo inviato - finora ho ottenuto solo l'approvazione.

I ritardi ci sono in quasi tutti gli stati federali, ma un numero particolarmente elevato proviene dal Nord Reno-Westfalia. Lì la Cancelleria di Stato poco prima di Pasqua ha completamente interrotto il pagamento degli aiuti dopo aver scoperto che dei truffatori avevano tentato di utilizzare dei siti web fasulli per ottenere gli aiuti immediati. All'inizio il NRW aveva infatti posto una particolare enfasi nel cercare di rendere il processo particolarmente veloce, completamente digitale e "il più semplice, snello e non burocratico possibile". Così aveva affermato il ministro delle finanze del NRW Andreas Pinkwart (FDP). (...)

Ma non ci sono solo i ritardi a causare una forte incertezza per i tanti che ora sono seriamente preoccupati per la loro esistenza professionale; molte procedure e regolamenti non solo differiscono da uno stato federale all'altro, ma cambiano anche all'interno del singolo Land. Le differenze sono evidenti, ad esempio, quando si tratta di capire ciò che può essere pagato con i fondi degli aiuti di emergenza. Il contesto: secondo le linee guida federali, gli aiuti dovrebbero essere utilizzati solo per coprire i costi operativi come gli affitti degli uffici o i costi del personale. Le perdite in termini di reddito, invece, non devono essere compensate. Molte società individuali sono quindi escluse dalla rete di assistenza per il Coronavirus in quanto non hanno quasi nessun costo operativo. Finanziano le loro spese di sostentamento direttamente con i loro redditi.

La crisi causata dal Coronavirus colpisce i lavoratori autonomi: i regolamenti sono "lontani dalla realtà"

I regolamenti pertanto sono "lontani dalla realtà della maggior parte dei lavoratori autonomi", afferma Robert Flachenäcker. È un fotografo e gestisce un piccolo studio a Francoforte. La sua specialità sono le fotografie dell'iride in grande formato. Con il suo studio sicuramente ha dei costi operativi e per questo in parte ha potuto beneficiare anche degli aiuti. Ma non trova giusto che il titolare di una Srl (GmbH), ad esempio, possa usare gli aiuti per farsi un proprio stipendio, mentre un libero professionista come lui se dovesse avere problemi a coprire le sue spese di sostentamento dovute alla perdita di guadagno dovrebbe richiedere Hartz IV.

Perché Hartz IV attualmente per molti lavoratori autonomi resta l'ultima risorsa. Almeno nella maggior parte degli stati federali. Alcuni Laender - come il Baden-Württemberg, Amburgo e la Turingia - sono andati oltre le normative federali e concedono sussidi agli autonomi per le spese di sostentamento. All'inizio anche il NRW e Berlino avevano gestito gli aiuti in modo simile, ma ora li hanno aboliti. In Baviera, sono stati pagati 1.000 euro al mese anche agli artisti indipendenti.

Queste differenze regionali, tuttavia, non sono l'unica cosa a confondere i lavoratori autonomi e i proprietari di piccole imprese che si tengono da soli la propria contabilità. Molti a causa della fretta hanno commesso degli errori durante la compilazione dei documenti per la  domanda. Il ministro dell'economia bavarese Hubert Aiwanger (Freie Wähler) ha spiegato così i lunghi tempi per l'elaborazione delle domande nel suo Land. Durante una conferenza stampa di metà aprile, si è infatti lamentato del fatto che molte delle persone colpite, apparentemente non erano in grado di completare in maniera corretta la domanda di due pagine. E questo avrebbe causato un sacco di lavoro inutile per l'amministrazione.

In Baviera, secondo il quotidiano regionale Mainpost, fino al 17 aprile, solo 150.000 delle 400.000 richieste di aiuti di emergenza ricevute erano state elaborate, nonostante il massimo utilizzo del personale.

La crisi del Coronavirus colpisce i lavoratori autonomi: rabbia e paura per la propria esistenza

Nella loro grande incertezza, molte persone colpite cercano consigli nei forum e nei social network, dove le voci, la rabbia e la paura esistenziale provocano una miscela esplosiva. Robert Flachenäcker nella sua cerchia di conoscenti ha osservato che per molte persone la rabbia "cuoce a fuoco lento". Lentamente tutti si stanno svegliando dalla prima ondata di "shock" e iniziano a mettere in discussione i requisiti legali, a causa dei quali a soffrire sono soprattutto le piccole imprese: "Chiedono: perché posso mettermi in fila davanti a Obi, ma non posso farlo da solo ad un tavolo fisso nel negozio di kebab?"

Non è sorpreso dall'impazienza: "Molti finiranno per restare strozzati". Anche lui avrebbe chiuso il suo studio se non avesse ricevuto dei soldi entro la fine di questo mese. Perché Flachenäcker presume che molti lavoratori autonomi alla fine dovranno anche investire in pubblicità e promozioni speciali prima di riavviare la propria attività dopo il blocco.

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martedì 28 aprile 2020

Daniel Stelter - Una patrimoniale del 20% sulle famiglie italiane!

Daniel Stelter è un economista tedesco che in questi giorni sta facendo il giro della stampa per ribadire la sua opposizione agli eurobond e soprattutto per spiegare ai tedeschi che gli italiani si possono e si devono salvare da soli applicando una tassa patrimoniale straordinaria del 20% sui beni delle "ricche" famiglie dello stivale. Secondo Stelter sarebbe impensabile chiedere alle "povere" famiglie tedesche di trasferire altre risorse verso l'Italia, un paese in cui la ricchezza privata delle famiglie, secondo l'autore, è decisamente piu'  alta. Ne scrive Daniel Stelter su Focus.de


Nell'intervista alla "Süddeutsche Zeitung" di lunedì scorso, il Presidente del consiglio italiano Giuseppe Conte ha criticato la posizione dei governi di Germania e Olanda. La loro prospettiva "deve cambiare". In questa crisi è necessaria la solidarietà europea e per questo è arrivato il momento di emettere delle obbligazioni comuni.

A parte il fatto che preferirei aiutare l'Italia in maniera intelligente e per farlo sarebbe meglio mobilitare i nostri crediti TARGET-2 in costante crescita, anche se ad un certo punto si pone il tema della giustizia. Non solo le famiglie italiane, secondo tutti i dati disponibili, sono significativamente più ricche di quelle tedesche, ma sono anche meno indebitate.

Lo scorso fine settimana, pertanto, su Twitter ho sottolineato che l'Italia potrebbe risolvere da sola il problema del suo debito pubblico. Un prelievo una tantum del 20 % del patrimonio sarebbe sufficiente per ridurre il debito pubblico italiano del 100 % del PIL, portandolo ad un livello inferiore rispetto a quello tedesco. Anche dopo un simile taglio, infatti, le famiglie italiane avrebbero ancora un patrimonio superiore rispetto a quello delle famiglie tedesche.

Questa tesi tuttavia ha scatenato una accesa discussione che è culminata con la dichiarazione di un importante economista tedesco secondo il quale si tratterebbe di un calcolo non credibile, che avrebbe inevitabilmente portato a una grave depressione in Italia. Motivo per cui non si tratterebbe di un'opzione praticabile e per questa ragione è necessario aiutare l'Italia mediante l'emissione di obbligazioni comuni.



Un motivo sufficiente per farmi dare un'occhiata più da vicino ai numeri. Perché se si respinge con veemenza una tassazione della ricchezza privata nel paese che chiede solidarietà, e allo stesso tempo non si riscontrano problemi nell'imporre oneri aggiuntivi ai contribuenti di un altro paese, allora deve essere qualcosa davvero impossibile.

Ma in realtà le cose stanno diversamente.

Il punto di partenza per le mie considerazioni sono i seguenti fatti (tutti numeri arrotondati):

- Gli italiani hanno un patrimonio privato di 9.900 miliardi di euro.

- Il debito dello stato italiano è di 2.500 miliardi di euro.

- Il PIL italiano prima del Covid era di 1.800 miliardi di euro.

- Una tassa del 20% sulla ricchezza privata porterebbe 1.980 miliardi di euro: lo stato resterebbe quindi con un debito di 520 miliardi di euro, che corrispondono a meno del 30% del PIL. Se si volesse ridurre il debito al 60 % del PIL, sarebbe sufficiente una tassa del 14 % sulla ricchezza privata.

Poiché questo calcolo approssimativo ha incontrato diverse critiche, esaminiamo più da vicino i dati. La tabella fornisce una panoramica dei livelli di debito dei vari settori - governo, società non finanziarie e famiglie - in percentuale rispetto al prodotto interno lordo dei rispettivi paesi:



Questi dati sono estremamente interessanti:

- La Francia è in testa nella classifica del debito, con il 316,8 % di debito non finanziario rispetto al PIL. Nessuno dovrebbe quindi sorprendersi del fatto che sia proprio la Francia ad attribuire così tanto valore alle obbligazioni comuni a livello di eurozona

- I Paesi Bassi hanno il piu' basso livello di debito pubblico, ma un livello molto elevato di debito privato.

- In nessun altro paese il settore privato è così poco indebitato come lo è in Italia! In nessun altro paese le famiglie sono così poco indebitate, e solo in Germania le società hanno meno debiti in rapporto al PIL.

Quindi è ovvio - come del resto ho fatto io - chiedersi perché l'Italia non si aiuti da sola. E' evidente che non si tratta di un problema di debito eccessivo, ma di un'errata distribuzione tra il settore statale e quello privato. Se il governo italiano trasferisse parte del proprio debito verso il settore privato, questo sarebbe comunque meno indebitato rispetto al settore privato della maggior parte degli altri paesi.

Quindi sicuramente non è una questione di numeri. Per questo i critici avanzano l'ipotesi secondo la quale non lo si potrebbe fare perché andrebbe a gravare in maniera eccessiva sul settore privato.

L'alternativa sostenuta dai miei critici è che gli altri paesi dell'UE - soprattutto la Germania - si facciano carico dei debiti. Ma questo non sarebbe altro che un rimborso basato sulla forza economica, motivo per cui questa idea mi soddisfa solo in misura molto limitata. Come ho sottolineato più volte, anche qui, sono favorevole ad aiutare l'Italia. Ma il paese dovrebbe e potrebbe fare qualcosa per se stesso.

Non è solo teoria

È molto facile applicare un prelievo una tantum sui patrimoni. Secondo i dati del Credit Suisse, le famiglie italiane, se rapporatata al PIL, hanno la più grande ricchezza privata fra i paesi europei.

Banca d'Italia riferisce regolarmente sullo sviluppo della ricchezza privata.

Nel 2017 erano 9.743 miliardi e queste erano le posizioni più importanti (in miliardi ciascuna):

Immobiliare residenziale: 5.247

Contanti / depositi bancari: 1.361

Azioni: 1,038

Assicurazioni/pensioni: 995

Immobili commerciali: 679

Fondi di investimento: 524

Obbligazioni: 314

Per inciso, le famiglie italiane detengono direttamente solo 100 miliardi di titoli di stato. I principali creditori sono le banche e gli istituti esteri e - ovviamente - la BCE. Una tassazione della ricchezza non sarebbe quindi un taglio del debito, come ha notato un altro critico delle mie considerazioni sull'imposta patrimoniale italiana.

Continuiamo con il calcolo: supponiamo che lo stato italiano voglia organizzare una ripartenza dell'economia e quindi ridurre drasticamente il suo debito del 100 percento del PIL, come da me ipotizzato. Sarebbero 1.800 miliardi di euro, vale a dire circa il 18,5 % della ricchezza delle famiglie italiane. Supponiamo che ci sia un'area non tassabile per proteggere i patrimoni più piccoli, alla fine potrebbe corrispondere a circa il 25%.

Supponiamo una riduzione del debito più moderata e pari al 50 % - un passo che ridurrebbe il debito pubblico italiano al di sotto del livello della maggior parte dei paesi dell'area dell'euro - si tratterebbe comunque del 12,5 % di tutti i patrimoni. Per inciso, il sistema di condivisione degli oneri introdotto in Germania dopo la seconda guerra mondiale riguardava il 50 % dei patrimoni censiti e doveva essere versato in 120 rate trimestrali.

I beni degli italiani sono nel settore immobiliare

Evidentemente gli italiani non hanno così tanti soldi liquidi. Ciò riflette una migliore gestione degli investimenti rispetto a noi tedeschi. Il settore immobiliare è la componente patrimoniale più importante. Dall'altro lato, il debito è molto basso. Gli italiani potrebbero facilmente prendere in prestito i soldi necessari per pagare le tasse. Se supponiamo che i titolari di liquidità e mezzi equivalenti effettuino il pagamento direttamente dalle loro disponibilità, e che in questo modo siano investiti soprattutto i patrimoni più piccoli - e quindi si applichi il limite per l'esenzione dalla tassazione - ciò comporterebbe già un gettito di 300 Miliardi di euro (ipotizzando un tasso del 10 percento). I restanti 1.500 miliardi di euro nello scenario massimo corrisponderebbero a circa il 25 % delle attività immobiliari italiane.

Lo stato italiano potrebbe quindi partecipare a tutte le proprietà immobiliari e imporre una tassa su di esse

Già nel 2017, il think tank francese France Stratégie aveva suggerito che lo stato sarebbe dovuto diventare comproprietario di tutte le proprietà e in cambio imporre una tassa annuale. Se il proprietario non vuole o non può pagare annualmente, lo sconto viene detratto in caso di vendita o di successione ereditaria. Il governo francese aveva preso le distanze dalla proposta. Ma ciò non cambia il fatto che gli stati possano avvalersi di questa opzione in caso di difficoltà finanziarie.

Nel caso specifico dell'Italia, per lo Stato sarebbe sensato imporre delle ipoteche obbligatorie sugli immobili. I pagamenti andrebbero direttamente allo Stato e il rimborso avverrebbe nel periodo di tempo piu' lungo possibile, ad esempio piu' di 30 anni, come accadeva nel sistema di condivisione degli oneri tedesco, e considerando la politica monetaria della BCE, a tassi molto favorevoli.

L'Italia potrebbe persino ridurre il proprio debito

Se assumiamo un volume di 1.500 miliardi di euro, ciò corrisponderebbe a un onere annuale per le famiglie di 67 miliardi di euro con un interesse del 2 % e una durata di trenta anni. Si tratterebbe circa del 3,5 % della produzione economica annuale. Se il governo si accontentasse di un onere inferiore rispetto allo scenario massimo, parleremmo allora di un onere annuale di circa l'uno per cento del PIL.

In cambio, il governo italiano una volta ridotto il debito potrebbe abbassare significativamente tutte le altre tasse e imposte. Non sarebbe più necessario avere ogni anno un cosiddetto avanzo primario, vale a dire un avanzo di bilancio prima del pagamento degli interessi. Lo stato lascerebbe libere le forze che contribuiscono alla crescita del paese, invece di rallentarle, come ha fatto negli ultimi anni. In questo modo l'Italia avrebbe finalmente la possibilità di superare la stagnazione degli ultimi 20 anni.


Aiutiamo l'Italia a cogliere questa opportunità!

Cosa impedisce di suggerire agli italiani di risolvere i loro problemi in questo modo? Sarebbe la chiave di volta per una ripresa economica. Chi invece fa affidamento sulle famiglie tedesche, decisamente più povere, per ridurre l'onere debitorio degli italiani - in qualsiasi modo lo si voglia impacchettare o nascondere - non solo sta dando una mano alle forze euro-critiche del nostro paese, ma sta anche negando all'Italia un'opportunità unica!

Non sarebbe certo un salvataggio del progetto UE o dell'euro. L'amicizia non la si può comprare. E alla luce della dura discussione attualmente in corso in Europa, ogni giorno possiamo sperimentare quanto questo detto sia vero. Se gli economisti e i politici locali pensano che la soluzione consista nello spostare altre risorse verso le famiglie più ricche  d'Europa, stanno sopravvalutando le prestazioni dell'economia tedesca. Dati i cambiamenti demografici, i cambiamenti strutturali e lo sviluppo deludente della produttività, ci aspettano degli anni alquanto difficili.

La Germania pertanto, come ho scritto nel mio appello pubblicato su queste pagine due settimane fa, dovrebbe contribuire in particolare con degli investimenti diretti e dei prestiti mirati a sostegno del sistema sanitario. In cambio, dovremmo tuttavia sollecitare una partecipazione del settore privato italiano.

A proposito: anche Spagna, Portogallo, Belgio e persino la Francia potrebbero aiutarsi da soli, come mostrano i numeri.

lunedì 27 aprile 2020

Thomas Fricke - Perchè i tedeschi dovrebbero mettere da parte la solita caricatura dell'italiano inaffidabile

"La prima cosa di cui l'Europa ha bisogno per potersi salvare sono dei nuovi esperti tedeschi", scrive Thomas Fricke su Der Spiegel. La stampa tedesca che conta dà spazio anche alle colombe, ma nel dibattito complessivo, si tratta comunque di poche voci con un peso limitato. Thomas Fricke su Der Spiegel spiega ai tedeschi perché è arrivato il momento di prendere sul serio gli italiani mettendo da parte i soliti stereotipi sull'inaffidabilità dei latini. Da Der Spiegel




Forse è solo il frutto dei molti film sulla mafia. Forse è solo l'invidia per il fatto che in Italia semplicemente c'è un clima piu' mite, cibo migliore, più sole e mare. In ogni caso, ci deve essere qualcosa che spiega tutto questo bisogno di insistere sul fatto che noi tedeschi saremmo più risparmiosi, più seri e soprattutto più affidabili. E che gli italiani invece su questi temi sarebbero alquanto deficitari. Ed è proprio quello che alcuni vorrebbero continuare ad insegnarci, proprio ora nel bel mezzo del dramma piu' grande degli ultimi decenni e per il quale nessuno ha colpa.

Tanta arroganza tedesca, non solo ora, ma proprio ora è particolarmente tragica. Perché? Perché da molto tempo ormai la litania tedesca non ha piu' molto a che fare con la vita reale dell'italiano, come del resto accade con la storia della puntualità tedesca e la vicenda dei tempi di costruzione del nostro grazioso aeroporto di Berlino. Una storia che tutto sommato ci sembra ancora divertente.

Al posto della imbarazzante discussione sulla possibilità di una partecipazione tedesca agli Eurobond per aiutare altri paesi - i tedeschi preferiscono continuare a fantasticare sul fatto che l'italiano in passato avrebbe dovuto risparmiare di piu'. Il che dovrebbe spiegare la mancanza di zelo da parte dei tedeschi nell'avviare finalmente una storica operazione di salvataggio all'interno dell'UE, come del resto abbiamo visto al vertice di questa settimana. L'Europa rischia un dramma, non perché gli italiani abbiano torto, ma perché probabilmente ad essere sbagliata è una parte importante della percezione tedesca sulla questione.

Se lo stato italiano in una crisi come questa è finito sotto pressione, sempre che la responsabilità sia degli italiani, dipende soprattutto dal fatto che il paese ha un livello di debito pubblico alquanto elevato, vale a dire tanti debiti fatti in passato. Solo che questo ha poco a che fare con la realtà attuale, ma molto di piu' con una fase di vero deragliamento durante gli anni '80 - sebbene ciò all'epoca non fosse di per sé dovuto solo a una mentalità dello sperpero, ma anche ad un aumento improvviso e molto forte dei tassi di interesse, come del resto evidenziato da Antonella Stirati dell'Università di Roma Tre.


Sono almeno quattro decenni fa. Piccolo rompicapo: se noi tedeschi non avessimo avuto all'estero dei cari amici che nel 1953 ci hanno condonato parte dei nostri debiti, anche noi oggi saremmo ancora qui alquanto stupidi e con il carico dell'eredità del passato. Come rischia di andare a finire, quando le persone devono continuare a pagare per i debiti fatti in passato lo si è già visto in Germania dopo la prima guerra mondiale, quando il sistema è crollato, come del resto rischia di fare da anni in Italia.

Quanto e soprattutto se gli italiani hanno effettivamente sperperato denaro, lo si può vedere bene dallo sviluppo del bilancio statale. Dal 1992, i governi italiani, anno dopo anno, hanno registrato un avanzo di bilancio primario, escluso quindi il pagamento di interessi per il servizio sul vecchio debito. In altre parole, lo stato per 30 anni ha speso meno per i suoi cittadini rispetto a quanto non abbia preso da loro. Con l'unica eccezione dell'anno della crisi finanziaria mondiale del 2009. Si tratta di un risparmio da record, e non di uno sperpero, cara casalinga sveva.

E tutto ciò dopo la crisi dell'euro si è trasformato in una catastrofe, quando i capi di governo come Mario Monti, sotto la pressione internazionale e soprattutto tedesca hanno fatto una riforma dopo l'altra. A volte sul mercato del lavoro, a volte del sistema pensionistico. Dolce vita? Sciocchezze. Dal 2010, gli investimenti pubblici in Italia, sotto la pressione dell'austerità, sono scesi del 40 %, afferma Stirati. Un vero crollo. Lo stato ora investe quasi un 10% in meno nell'istruzione. Follia.

Nel complesso la spesa pubblica reale in Italia dal 2006 è rimasta stagnante. Per fare un confronto: da allora in Germania è aumentata di quasi il 20 %. E questo, caro furbacchione, non può essere considerato come un presunto risarcimento per il fatto che in passato l'italiano aveva speso troppo. In Germania, il nostro padre-stato spende un 25% in più pro-capite rispetto all'Italia. Fatto che in queste settimane si mostra in tutta la sua miseria.

E tutto ciò nell'attuale crisi sta diventando un dramma senza fine: i governi italiani dal 2010 in poi hanno anche tagliato la spesa pubblica per la salute, mentre in Germania la spesa pro-capite continuava a crescere anno dopo anno. Il che ha portato al fatto che quando la pandemia è scoppiata in Italia, dove mancavano posti letto, la gente è morta, e molte di quelle persone oggi potrebbero essere ancora vive. Nessuna colpa diretta dei politici tedeschi, ovviamente. Ma è giunto il momento di smetterla di dare ordini sbagliati, e invece aiutare a risolvere il disastro, caro signor Schäuble. Oppure di dire "scusateci".

I pagliacci che invece vorrebbero spiegarci il funzionamento del mondo, in questi giorni continuano a parlare della "tossicodipendenza da debito" degli italiani. Ecco un piccolo suggerimento: se rapportato al prodotto interno lordo, in nessun altro paese il debito privato è così basso come in Italia.

Ancora una domanda: perché la percentuale di coloro che in Italia vorrebbero uscire dall'UE è aumentata e nelle ultime settimane ha superato il 50%? Per capirlo, almeno in una certa misura, bisognerebbe solo provare a mettersi nei panni di quelle persone che a Milano o Bergamo per anni si sono dovuti sorbire tutti i tagli sopra menzionati nella loro vita quotidiana, e che a causa degli ospedali sovraccarichi potrebbero aver perso il padre o la madre - e ora leggono dagli spacconi tedeschi che avrebbero dovuto risparmiare di piu'. A volte semplicemente è solo scomodo. Come italiano, prima o poi mi sentirei nel diritto di dirgli: "levatevi di torno!".

Di questa situazione, tuttavia, non si possono rimproverare i tedeschi in generale. Dietro piuttosto c'è il grande fallimento degli esperti che da noi fanno politica a mano libera, e agiscono come se fossero dei papi dell'economia e mostrando risentimento. E chi per pigrizia o altro preferisce rimestare i soliti cliché, invece di occuparsi delle persone o avere a che fare con delle regole relativamente semplici di analisi e statistica macroeconomica. Non è sufficiente recitare la solita storia del rapporto debito/PIL italiano.

Se il debito pubblico italiano dopo la crisi dell'euro è cresciuto, ciò non è dovuto alla mancanza di austerità. Chi durante la crisi riduce le uscite e aumenta le tasse, semplicemente sta peggiorando la situazione sia sul lato economico che di bilancio - e finisce per avere un deficit e un debito pubblico piu' alto di prima. Qualcosa del genere, con un po 'di buona volontà, dovrebbe essere comunicato anche in Germania. Non siamo mediamente piu' stupidi rispetto ad altri paesi.

Se Hans-Werner Sinn per anni, grazie ad una interpretazione eccessiva ed errata dei saldi target, ha strombazzato ai quattro venti la fiaba dei sud-europei malvagi, lo ha fatto piu' che altro per zelo e anche risentimento, ma non per mancanza di competenza (certamente no). Ma è davvero assurdo se persino un ex capo-economista della Banca centrale europea come Ottmar Issing sembra dimenticare i numeri reali e invece si lamenta sostenendo che i politici italiani chiedono gli Eurobond solo per potersi indebitare all'infinito - dopo che i politici italiani da oltre tre decenni stanno generando un avanzo primario. Cosa vuol dire allora tutto ciò?

Forse la prima cosa di cui l'Europa ha bisogno per potersi salvare sono dei nuovi esperti tedeschi. Alcuni, che in questo periodo continuano a parlare ad alta voce, non meritano affato la buona immagine di cui gode la Germania nel mondo.

Non siamo al circo. Ma in una crisi incredibilmente grave. Per come le cose si stanno mettendo, crescerà il numero di italiani stufi dell'Europa e che non ne vorranno piu' sapere di farsi dire cosa fare nella loro vita quotidiana, da persone che apparentemente non ne hanno idea.

È giunto il momento di fermare il dramma - sia esso con gli Eurobond, come simbolo di un destino da condividere, che del resto abbiamo già fatto con la valuta comune. C'è ancora tempo per i tedeschi, dopo le ultime settimane difficili e incasinate, per raddrizzare la curva.

Altrimenti tra qualche anno l'Unione Europea non sarà più un'Unione. E in paesi come Italia e Francia arriveranno al potere persone che come Donald Trump o Boris Johnson, non avranno piu' alcuna intenzione di prendere parte al gioco. Quel gioco grazie al quale la Germania per decenni ha costruito la propria prosperità. 



sabato 25 aprile 2020

Olaf Scholz - Fondi in cambio di una maggiore integrazione europea

Intervista molto interessante al Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz della radio pubblica DLF durante la quale il vice-cancelliere socialdemocratico fa trapelare, senza tuttavia fornire dettagli, che il "recovery fund" di cui si è parlato nell'ultimo consiglio europeo sarà di natura temporanea e sottoposto a delle specifiche condizionalità. Per Scholz prima di mettere sul tavolo dei fondi si dovranno fare dei passi aggiuntivi verso un'ulteriore integrazione europea. Da Deutschlandfunk.de

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(...) Quindi la Germania quanto sarebbe disposta a trasferire in più a Bruxelles?

Scholz: si tratta di un discorso molto concreto che non dobbiamo fare in questa intervista e che ovviamente dovrà essere fatto con coloro che sono coinvolti - penso che questa non sia la sede adatta. Ma abbiamo detto che siamo pronti a pagare di più rispetto al passato, e grazie a Dio a farlo anche all'inizio di questo periodo legislativo. Avrà un senso agire nel modo in cui ci siamo preposti.

Münchenberg: I ​​dati della Commissione europea tuttavia sono già disponibili, lì si parla almeno del 2 % del PIL anziché solo dell'1,2 %. Sarebbe un numero accettabile anche per lei?

Scholz: credo che dobbiamo essere molto chiari sul fatto che attualmente ci troviamo in una fase decisiva. Il punto non è che ora possiamo operare con grandi numeri, ma che prima bisogna definire quello che sarà effettivamente necessario. Come ho detto, non si tratta di definire ora cosa ci sarà nei prossimi sette anni, ma in particolare, come sarà effettivamente possibile raccogliere piu' denaro, almeno nella fase iniziale. Questo è un compito completamente diverso, e quindi si dovrà definire quanto effettivamente sarà necessario e in che modo ciò dovrà essere fatto. Una cosa mi è assolutamente chiara: quello che sta accadendo ora non potrà andare avanti senza una ulteriore integrazione europea. Farci carico di ulteriori compiti senza prima aver sviluppato entrate e forme di finanziamento comuni, senza affrontare il dumping fiscale nell'UE, senza fare in modo che ci siano dei compiti comuni da affrontare insieme, non potrà funzionare. 

Dobbiamo spingere in avanti il processo di unificazione e integrazione europea. Solidarietà significa anche che quello che sta accadendo ora, altrimenti non funzionerà, sostanzialmente non è mai stato fatto in nessuna parte del mondo e nella storia. Chi ora non capisce che questo in pratica è il momento in cui l'integrazione europea dovrà compiere un decisivo passo in avanti non sarà in grado di risolvere nessuno dei problemi attuali.

Münchenberg: Herr Scholz, quando afferma che è necessaria una maggiore integrazione europea, significa anche un maggiore controllo, ad esempio, su quello che si dovrà fare con i soldi che l'UE metterà a disposizione nel corso della crisi?

Scholz: Sì, infatti non ha senso mettere sul tavolo grandi somme di denaro senza prima definire a cosa serviranno. Non si tratta di finanziare i bilanci, si tratta di qualcosa di simile a quello che abbiamo appena fatto, ad esempio. Abbiamo dato alla Commissione europea l'opportunità di prendere in prestito fino a 100 miliardi di euro, ad esempio per finanziare il programma di "Kurzarbeit" di breve periodo che abbiamo anche qui in Germania, e che in altri paesi attualmente non sarebbero in grado di finanziare da soli. E dobbiamo essere specifici e precisi come in quel caso, e quindi è probabile che si possano generare somme che sono molto più grandi di quanto è stato discusso in passato, ma forse non sono così alte come quelle impressionanti che ora alcuni stanno sparando un po' a caso.

Münchenberg: C'è anche un altro punto in discussione, queste somme sono sovvenzioni oppure prestiti - qual è la posizione del governo federale?

Scholz: Suppongo che sarà un mix fra le diverse opzioni, ed è chiaro che quello che stiamo facendo ora è garantire che i diversi paesi siano in grado di svolgere i loro compiti per i loro cittadini, come mantenere i posti di lavoro e finanziare le imprese. Ciò farà aumentare il debito pubblico ovunque, anche da noi. Siamo riusciti a ridurre il nostro debito al di sotto del 60 % del PIL, e quindi possiamo far fronte a un aumento al 75 % che al momento è il livello che stiamo prendendo in considerazione, anche al di sotto rispetto all'ultima crisi finanziaria, quando avevamo più dell'80% cento. Altri paesi partono dal 100 % o più di debito, e questa è sicuramete una grande sfida per quei paesi. È quindi importante affrontare il problema generale e tenerlo d'occhio.

Münchenberg: Herr Scholz, ora ci vorrà un po 'di tempo prima che questo fondo per la ricostruzione venga creato e che se ne conoscano tutti i dettagli. La politica forse non può farsi da parte perché alla fine potrà affidarsi alle banche centrali, in particolare alla Banca centrale europea, che alla fine pomperà ancora un trilione di euro nei mercati entro la fine dell'anno?

Scholz: la BCE fa parte dell'Eurosistema e svolge un ruolo essenziale, proprio come stanno facendo attualmente le banche centrali di tutti i paesi. Dovrà avere la forza necessaria. Le decisioni di cui abbiamo parlato all'inizio, messe in piedi dai ministri delle finanze, significano, ad esempio, che i paesi avranno la possibilità di mobilitare dei fondi aggiuntivi attraverso il meccanismo europeo di stabilità. Ciò significa che mentre la banca centrale sostiene il finanziamento pubblico, si aprirà una buona opportunità di combinazione in maniera ordinata con le attività della banca centrale. Credo questa volta sia stato tutto organizzato in maniera molto piu' saggia rispetto a quanto non fosse accaduto dieci anni fa, perché sia ​​con la politica fiscale sia con le capacità della banca centrale, possiamo assicurarci di superare al meglio questo momento molto difficile.

Münchenberg: Ciononostante la BCE per un certo periodo acquisterà obbligazioni spazzatura, ovvero titoli che sono stati declassati allo status di spazzatura dalle agenzie di rating. Non si sta spingendo un po' troppo lontano?

Scholz: questo è un messaggio che non corrisponde esattamente a ciò che ha deciso la BCE. Ha fatto qualcosa che penso sia facilmente comprensibile, e cioè affermare che le obbligazioni che erano buone e che ora non possono piu' essere considerate buone perché la loro valutazione è diventata improvvisamente difficile a causa della situazione attuale, dovranno esere considerate come prima. Questo è qualcosa che la normale attività commerciale fa ovunque. Se hai un buon rapporto con i tuoi clienti, se sei ragionevole, come azienda cercherai di tenerti i tuoi clienti e di attraversare questa crisi con loro, la si può vedere anche in questo modo. (...)


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L'export italiano stava asfaltando quello tedesco...

Breve post per ricordare come la congiuntura del settore industriale tedesco anche prima del Covid-19 non fosse affatto buona, mentre sul fronte italiano c'erano segnali incoraggianti. E infatti nei primi 2 mesi del 2020 l'export italiano era partito molto bene proseguendo il trend positivo del 2019 e registrando un ottimo +4,7% rispetto ai primi 2 mesi del 2019, mentre l'export tedesco nei primi due mesi dell'anno scendeva addirittura in territorio negativo segnando un -0,1%, coerentemente con il risultato decisamente deludente dell'export germanico nel corso di tutto il 2019.


Qui sotto i dati relativi all'export tedesco nei primi due mesi dell'anno (fonte Destatis.de). L'export passa dai 217,7 miliardi di euro nei primi mesi del 2019 ai 216 miliardi del 2020. 







lunedì 20 aprile 2020

Il progetto europeo si sgretola sul confine franco-tedesco

A metà marzo il governo tedesco ha deciso di chiudere il confine con la Francia, ufficialmente nel tentativo di arginare l'epidemia. A poco piu' di un mese da quella decisione, sul lato tedesco si registra un crescendo di toni nazionalisti, con episodi di lancio di uova contro le auto francesi e insulti razzisti contro gli alsaziani. In questo clima di rinnovato spirito nazionalista, il progetto europeo è ancora attuale? Ne scrivono l'ottimo Albrecht Müller sulle Nachdenkseiten e la Frankfurter Allgemeine Zeitung


Francis Joerger da 30 anni è il sindaco del villaggio di Scheibenhard in Alsazia, e da sempre lavora in favore della comprensione e della collaborazione tra francesi e tedeschi. Instancabilmente e con grande impegno. Nella foto qui sotto si trova sul ponte tra Scheibenhard (Alsazia) e Scheibenhardt (Palatinato meridionale) di fronte a una barriera costruita su lato tedesco del confine - apparentemente in accordo con il governo francese. Francis Joerger non può piu' visitare la comunità gemella nella parte tedesca. Anche la tradizionale festa del ponte, un simbolo di comprensione reciproca e riappacificazione, che non sempre è stata facile, quest'anno non si terrà.


Secondo l'opinione del mio amico Francis, con la recente chiusura del confine sono stati fatti dei danni enormi. Egli infatti registra con attenzione e preoccupazione un crescendo di toni nazionalisti. I vertici politici continuano a parlare di una forte amicizia, ma la situazione in basso invece è molto diversa. L'animosità tra il di qua e il di là sembra essere in crescita. Gli alsaziani che lavorano in Germania se fanno acquisti in un supermercato tedesco rischiano una multa. Come del resto risulta anche a noi, egli registra degli insulti alquanto stupidi provenienti dalla parte tedesca, ad esempio al confine tra Francia e Saar.

La chiusura delle frontiere è stata fatta senza considerare le interdipendenze che si sono create nel corso degli ultimi decenni. Lavoratori francesi, alsaziani e lorenesi che lavorano in Germania e viceversa. Ci sono tedeschi che vivono in Francia. I francesi che lavorano in Germania, invece, devono percorrere lunghe distanze a causa della chiusura dei piccoli valichi di frontiera.

Le chiusure sono assurde, sopratutto dal momento in cui sono state emanate regole di base relativamente rigide in tutti i paesi. Ad esempio, Francis Joerger, come tutti gli altri alsaziani che non vanno a lavoro, è autorizzato a lasciare casa sua solo per un breve periodo di tempo e può spostarsi solo entro 1 km. Allora perché gli viene impedito di passare il confine? È ragionevole, necessario e privo di rischio che questi possano essere riaperti il ​​più rapidamente possibile a Scheibenhard(t), come in molti altri luoghi tra l'Alsazia e la Lorena da un lato, e il Baden, il Palatinato e la Saarland dall'altro.

Ma è improbabile che i governi centrali e regionali se ne accorgano. Alcuni di loro potrebbero persino credere che il solo attraversamento del confine fra un Land e l'altro o una visita al Mar Baltico possano diffondere il virus.

Le modalità con le quali l'Europa si sta sgretolando su larga scala, si capiscono da quanto poco e in maniera esitante i singoli stati si siano aiutati in termini di assistenza sanitaria, e anche perché le mosse dei singoli stati alla fine non siano state coordinate fra loro. Affrontare la crisi causata dal Coronavirus mette in luce gli Stati nazionali. La pacca sulla spalla nazionalista è diventata ormai di uso comune. "Oh, come siamo stati bravi. Siamo stati cosi' previdenti e non abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi”. Questa è la sottile e inconscia melodia dei tedeschi. Da Peter Altmaier fino all'emissione televisiva sulla borsa prima delle otto.

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Il ponte dell'amicizia tra Kleinblittersdorf e Grosbliederstroff, che collega la Saarland con la Lorena, presto dovrebbe tornare ad avere giustizia per il nome che porta. Il primo ministro della Saar Tobias Hans (CDU) venerdì 17 aprile, infatti, ha annunciato di voler riaprire il ponte per i pendolari transfrontalieri. "La cooperazione transfrontaliera nelle regioni di confine è particolarmente importante nonostante e anche a causa della pandemia di corona-virus", afferma Hans. Non bisogna creare ulteriori ostacoli a coloro che ogni giorno attraversano i confini  per andare a lavorare.

"Questo è un segnale importante", afferma il deputato francese Christophe Arend del partito presidenziale La République en marche. "Ma il nostro obiettivo deve essere quello di riaprire tutti i valichi di frontiera", ha detto alla FAZ. Arend dirige il gruppo inter-parlamentare franco-tedesco e la nuova assemblea parlamentare franco-tedesca ed è preoccupato per la battuta d'arresto negli scambi transfrontalieri. “Il virus non conosce confini. Abbiamo urgentemente bisogno di regole comuni e non di una gara fra chi si chiude di piu'", afferma.

I dipendenti francesi devono rimanere a casa

Su sua richiesta, il valico tra Großrosseln e Petite-Rosselle è stato riaperto, ma solo durante il giorno. Non è una soluzione soddisfacente per i pendolari con un turno di mattina o di notte. "C'è voluta una quantità infinita di sforzi ed energia per riuscire a fare un passo così piccolo", afferma Arend. La chiusura unilaterale del confine imposta dalla Germania il 16 marzo ha messo alla prova l'amicizia franco-tedesca, in quanto va a colpire tutte le abitudini quotidiane.

Nel suo collegio elettorale della Lorena, i pendolari spesso gli hanno riferito di dover fare fino a 50 chilometri di deviazione per raggiungere il posto di lavoro nella Saarland. "I francesi inizialmente sono stati  trattati come dei lebbrosi", afferma Arend. La situazione  ora sembra essere migliorata. Ma per i 2.000 dipendenti francesi del fornitore automobilistico ZF a Saarbrücken è stato molto difficile quando senza preavviso gli hanno chiesto di restare lontani dal posto di lavoro. ZF ora ha ripreso la produzione, ma solo per i dipendenti tedeschi.

I pendolari, fra cui 150 dipendenti francesi della Clinica di Saarbrücken, devono affrontare delle lunghe deviazioni. La stampa francese ha anche riferito di reazioni ostili con cui i francesi della Saarland devono fare i conti. Qualche giorno fa, Michael Clivot, sindaco del comune di confine di Gersheim, ha suscitato scalpore perché si è rivolto alla popolazione con un videomessaggio: "Si era diffuso un certo livello di ostilità nei confronti dei nostri amici francesi". Alcuni francesi sarebbero stati insultati o fermati per strada. Clivot afferma che alcuni francesi vengono in Germania per fare acquisti senza essere autorizzati, ma anche gli abitanti della Saarland fanno lo stesso in Francia.

Il pregiudizio dello "sporco francese"

Anche il ministro degli esteri Heiko Maas, originario della Saarland, e il vice Primo Ministro della Saarland, Anke Rehlinger (entrambi SPD), si sono espressi criticando con forza tali incidenti. Arend ha affermato di essere preoccupato per la rapidità con cui sono tornati i pregiudizi sugli "sporchi francesi". Il console generale francese a Saarbrücken, Catherine Robinet, ha confermato che si tratta di "casi individuali".

Sono state lanciate uova contro le auto con targhe francesi, i clienti di lingua francese nei supermercati tedeschi sono stati insultati ed è stato chiesto loro di tornare in "Corona-Francia". Robinet ha anche riferito di dipendenti di un'impresa di pulizie tedesca della Saarland, che si dice abbia negato l'accesso ai dipendenti francesi durante la notte.

(...) Il deputato Andreas Jung (CDU) sottolinea la difficile situazione dei genitori franco-tedeschi divorziati che condividono la custodia dei figli. Ci sono stati casi simili di difficoltà anche tra le famiglie che vogliono visitare parenti anziani dall'altra parte del confine. Situazioni che non dovrebbero essere lasciate alla discrezione degli agenti di polizia, ma dovrebbe essere sempre chiaro quando è consentito oltrepassare la frontiera. Si dice che un ufficiale di polizia abbia insultato un francese al confine tra Großrosseln e Petite-Rosselle. Almeno questa è l'accusa della parte lesa. Nel frattempo, sono stati avviati procedimenti penali contro ignoti.

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domenica 19 aprile 2020

La lotta tra Francia e Germania per il potere nell'UE

"Loro sono per l'Europa quando si tratta di esportare le merci che fabbricano. Loro sono per l'Europa quando si tratta di procurarsi manodopera a basso costo. Ma non sono per l'Europa quando si tratta di condividere i debiti. Non è possibile". Non sono le parole di un blogger sovranaro qualsiasi, ma quelle usate dal presidente francese nell'intervista al FT di venerdì per descrivere l'atteggiamento dei tedeschi in Europa. La lotta per il primato nell'UE del dopo pandemia è iniziata. Ne scrive Lost in Europe


Fra Berlino e Parigi è scoppiata una dura lotta di potere per dettare il futuro dell'UE. Fondamentalmente la controversia dovrebbe riguardare la battaglia per la solidarietà finanziaria e i "corona-bonds". In verità, si tratta di più, di molto di più.

Al giorno d'oggi bisogna leggere i giornali per avere il polso di quello che succede nell'UE. Ai tempi del corona-virus e delle videoconferenze, la politica europea si fa con le interviste, sempre che si continui a farla. Il presidente del Consiglio dell'UE Michel ha rilasciato a tal proposito un' intervista alla FAZ. L'introduzione dei cosiddetti corona-bonds non è piu' in programma. "Ci sono sensibilità diverse all'interno del Consiglio", ha detto Michel alla "FAZ".

In questo modo il belga ha mostrato una strana concezione del suo ufficio. Come presidente del Consiglio non dovrebbe andare in cerca delle "sensibilità", ma piuttosto guidare l'organo più importante dell'UE. Dovrebbe fare in modo che la struttura continui a funzionare, non correre dietro ad essa.

Come si fa ad accendere l'UE, tuttavia, è un arte che nessuno conosce meglio del presidente francese Macron. "Ora è il momento della verità, in cui si tratta di stabilire se l'Unione Europea è un progetto politico o solo un mercato", ha detto al "FT".

A differenza di Michel, Macron ancora una volta si è pronunciato in favore di trasferimenti finanziari e di nuovi prestiti. E allo stesso tempo, si è espresso energicamente contro la cancelliera Merkel e contro la politica europea dei tedeschi e degli olandesi, ha detto infatti in un'intervista al FT:

"Loro sono per l'Europa quando si tratta di esportare le merci che fabbricano. Loro sono per l'Europa quando si tratta di procurarsi manodopera a basso costo", ha detto Macron. “Ma non sono per l'Europa quando si tratta di condividere i debiti. Non è possibile"

Macron in passato si era già espresso con toni simili. Ma questa volta, nel bel mezzo della peggiore crisi economica degli ultimi cento anni (secono l'ex presidente Von Rompuy), le sue parole sembrano quasi minacciose.

Macron ha anche messo in guarda dai danni ingenti al mercato interno causati dalle misure di sostegno nazionali - anche in questo caso si riferiva alla Germania. Dopo questa crisi non potrà esserci un semplice "proseguiamo così".

La ragione di fondo apparentemente è la preoccupazione che la Germania e la sua economia possano emergere ancora più forti dalla pandemia, mentre la Francia ancora piu' indebolita. Il mercato interno allora diventerebbe solo un mercato tedesco, e l'UE sarebbe sicuramente una "Europa tedesca".

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