venerdì 21 dicembre 2018

La questione tedesca

"L'immagine che la Germania ha di sé è cambiata radicalmente rispetto al XIX secolo"; ma quel "senso di superiorità morale è rimasto", scrive German Foreign Policy, facendo un parallelo fra la questione tedesca del 1871 e quella attuale. La Germania di oggi si trova esattamente nella stessa condizione del 1914: "di fatto la maggiore potenza in Europa, ma in una situazione di conflitto con molti altri stati". Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


"Non in grado di resistere alle crisi"

Nella politica europea della Germania, secondo gli esperti, sarebbero necessari dei cambiamenti, in particolar modo in merito alla moneta unica. Una grave debolezza dell'Unione monetaria è il fatto che l'Eurozona, nonostante le varie misure adottate dopo lo scoppio della crisi finanziaria, "da tempo ormai non è in grado di resistere alle crisi", scrive Daniela Schwarzer, direttrice dell'Istituto di ricerca della Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) [1]. In effetti, il problema di fondo resta immutato: "l'introduzione della moneta unica senza una politica economica comune ... divide politicamente il Nord dal Sud Europa", scrive il direttore dell'Istituto per la politica di sicurezza dell'Università di Kiel (ISPK), Joachim Krause. [2] Le richieste, soprattutto da parte della Francia, di introdurre una sorta di governo economico per l'Eurozona, come proposto dal presidente Emmanuel Macron nel suo discorso in favore di un bilancio dell'Eurozona, fino ad oggi sono state regolarmente bloccate da Berlino; sebbene un altro focolaio di crisi, ad esempio a causa della situazione di instabilità in Italia e delle sue banche, non sia affatto da escludere. In futuro, se non si prenderanno delle misure precauzionali, avverte l'esperto della DGAP Schwarzer, potrebbero sorgere "crisi di entità ancora maggiore". Le risposte ad hoc, come quelle date a partire dal 2010, sarebbero oggi ancora più "difficili" di quanto non fossero allora "poiché la polarizzazione politica all'interno dell'UE e all'interno degli stati membri è aumentata".

"Divisi"

Come sollecitato, fra gli altri, anche dal direttore dell'ISPK Krause, Berlino dovrebbe finalmente affrontare "i problemi strutturali dell'Eurozona", e non solo quelli. Il governo federale e l'UE, infatti, dovrebbero mettere in agenda anche il "problema dell'immigrazione", che fino ad oggi "ha diviso l'Europa orientale da quella occidentale" [4]. In realtà "la gestione da parte del governo federale della crisi dell'euro (dal 2010) e della crisi migratoria del 2015", "ha fatto rivivere la diffidenza nei confronti del presunto unilateralismo tedesco e delle sue ambizioni egemoniche". Krause ritiene che ciò sia controproducente. Nonostante ciò Berlino si appresta ad approfondire ulteriormente i solchi già esistenti in Europa estendendo il voto a maggioranza nell'UE. La decisione di accogliere i rifugiati nell'UE, presa a maggioranza nel settembre 2015, aveva irritato diversi paesi membri dell'est spingendoli a schierarsi con forza contro la Repubblica federale e provocando una frattura che dura ancora oggi, e che probabilmente continuerà ad approfondirsi [5]. Il governo federale si sta infatti concentrando su una ulteriore e rapida espansione delle decisioni da prendere a maggioranza e vorrebbe sottrarre ai singoli paesi dell'UE il diritto di veto sulla politica estera e perfino su quella militare. Se i singoli Stati membri in futuro dovessero essere scavalcati su ulteriori importanti decisioni, il potenziale per ulteriori rotture politiche non potrebbe che aumentare.

1871 e 1990

L'ambivalenza della politica di Berlino - imporre le proprie posizioni sulle questioni chiave, unita all'incapacità di ottenere un riconoscimento generale per queste stesse posizioni - recentemente ha spinto alcuni osservatori a fare un confronto con alcune fasi antecedenti della storia tedesca. Da quando la Repubblica federale ha "trovato una nuova forza economica" - "diciamo da circa il 2005" - ha di nuovo "quella posizione dominante in Europa di cui già si parlava ai tempi dell'impero di Bismarck", scrive lo Storico Andreas Rödder. [7] "Fin dal 1871 e dal 1990 la questione tedesca" - "ha riguardato il tema della compatibilità fra la forza tedesca e l'ordine europeo". Altri paesi europei ai tempi dell'impero del Kaiser avevano già individuato una "minaccia proveniente dalla forza tedesca" e consideravano la Germania allo stesso tempo "imprevedibile e volubile". "Questo punto di vista sulla Germania è stato confermato ancora una volta dalla crisi debitoria dell'euro e dalla crisi dei rifugiati". In entrambi i casi la Repubblica federale "ha agito da sola" cercando di imporre la propria volontà agli altri paesi membri dell'UE. In termini di politica di potenza, la Germania "oggi si trova esattamente dove si trovava nel 1914" - "di fatto la maggiore potenza in Europa", ma in conflitto con molti altri stati [8]. Il membro della CDU Rödder ritiene che ciò sia "inquietante".

Il senso di superiorità tedesco

Rödder inoltre, facendo riferimento ai crescenti conflitti all'interno dell'UE, mette in guardia dall'arroganza tedesca. Nel diciannovesimo secolo, a differenza del Regno Unito o della Francia, la Germania non poteva fare riferimento a un territorio tradizionalmente definito - e quindi "si considerava una nazione culturale". Questa "coscienza di sé e del proprio ruolo" ha "sempre implicato una tendenza alla superiorità morale", sostiene Rödder, che insegna storia contemporanea all'Università Johannes Gutenberg di Mainz. [9] Sicuramente "l'immagine che di sé ha la Germania è radicalmente cambiata rispetto al XIX secolo"; ma quel "senso di superiorità morale è rimasto". Oggi si esprime "contro i polacchi" considerati xenofobi, "o gli ungheresi, per esempio, o anche i pazzi inglesi che osano lasciare l'UE". Al contrario, "i tedeschi ritengono di essere una potenza civile multilaterale e illuminata", mentre in altri paesi dell'UE vengono percepiti come una minaccia egemonica. Su questa discrepanza si tende a "riflettere troppo poco", avverte Rödder: "anche questa è una costante storica, e cioè che i tedeschi sono molto concentrati su se stessi".
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[1] Daniela Schwarzer: Das nächste Europa. Die EU als Gestaltungsmacht. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[2] Joachim Krause: Der Wandel der internationalen Ordnung. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[3] S. dazu Das Eurozonen-Budget.
[4] Joachim Krause: Der Wandel der internationalen Ordnung. deutschland-und-die-welt-2030.de.
[5] S. dazu "Deutsche Überheblichkeit".
[6] S. dazu Wie man weltpolitikfähig wird.
[7] Claudia Schwartz: Der Historiker Andreas Rödder: "Alle haben Angst vor Deutschland, einschliesslich der Deutschen selbst". nzz.ch 28.11.2018.
[8] S. dazu Alles oder nichts.
[9] Claudia Schwartz: Der Historiker Andreas Rödder: "Alle haben Angst vor Deutschland, einschliesslich der Deutschen selbst". nzz.ch 28.11.2018.


giovedì 20 dicembre 2018

Welt: è un giorno nero come la pece per l'Europa

"L'Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi", scrive Die Welt nel giorno dell'accordo fra il governo italiano e l'UE. Per il prestigioso quotidiano di Amburgo si tratta di un compromesso troppo generoso che servirà piu' che altro ai populisti tedeschi e al loro corso anti-euro. Ne scrive Olaf Gersemann su Die Welt


Nella battaglia per il debito il governo di Roma riesce ad imporsi sulla Commissione europea. Tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni per stabilizzare l'euro di fatto vengono azzerati. Un segnale fatale per la moneta comune.

Il governo italiano aveva promesso che nel prossimo anno il deficit pubblico si sarebbe ridotto allo 0,8% per poi arrivare a zero nel 2020. Le richieste della Commissione europea non erano sadismo, ma pura necessità per un paese il cui debito pubblico supera di gran lunga il PIL annuale e in cui il risanamento delle finanze è reso urgente dal rapido invecchiamento demografico.

Il governo di Roma nel frattempo è cambiato, in primavera Giuseppe Conte con il suo gabinetto populista ha sostituito il presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Ma oltre ad aver votato per l'uscita di scena del socialdemocratico Gentiloni, diciamo che gli italiani non hanno votato anche contro quegli stessi obblighi internazionali che egli aveva assunto. Il deficit al 2,4% del PIL che il governo Conte avrebbe voluto raggiungere, almeno secondo la prima versione della legge di bilancio, era una aperta provocazione.

Ora è stato trovato un accordo sul 2,04 percento, e Bruxelles non vuole più avviare una procedura di infrazione per eccesso di deficit. Non solo il valore su cui è stato raggiunto un compromesso è molto più vicino alle idee dei populisti di Roma che non agli impegni originari.

Ma la domanda di fondo riguarda il motivo per cui Bruxelles dovrebbe andare incontro alle richieste degli italiani. Perché è vero che le prospettive di crescita del PIL si sono ridotte - con conseguenze indiscutibilmente negative per il bilancio dello Stato. Ma il fatto che l'economia italiana possa perdere ancora piu' slancio è più che altro un problema interno. Il governo Conte sta di fatto smantellando le riforme sociali e del lavoro fatte dai suoi predecessori, e non crede nell'euro. Quale imprenditore, interno o estero, dovrebbe effettivamente investire in Italia in queste condizioni?

La Commissione europea con le sue concessioni sta premiando un tale corso politico. Gli elettori dei paesi piu' deboli dell'eurozona si chiederanno: perché dobbiamo effettivamente intraprendere riforme strutturali e perseguire il consolidamento dei conti, se gli italiani a proprio piacimento possono tirarsi indietro quando vogliono?

In paesi come la Germania, a loro volta, i populisti anti-Europa sapranno come sfruttare la codardia di Bruxelles. L'Europa non è una macchina per la ridistribuzione della ricchezza a spese dei tedeschi. Ma spiegare in maniera convincente questo punto ora  diventa molto più difficile. Two pack, Six pack, semestre europeo, tutte belle e altisonanti invenzioni che dovrebbero dare rigore all'unione valutaria ma che in pratica non portano a nulla, come stiamo scoprendo ora.

L'euro è stato indebolito dalla vittoria di Pirro di Roma. L'UE è diventata più debole. In ogni modo nel lungo periodo non ci saranno vincitori. Un giorno nero per l'Europa. 

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mercoledì 19 dicembre 2018

Problemi molto seri per i fondi pensione tedeschi

"Un terzo dei 137 fondi pensione che gestiscono le pensioni integrative di otto milioni di tedeschi sono già sotto la stretta sorveglianza dell'Autorità per la supervisione finanziaria Bafin. Per alcuni fondi, la situazione è drammatica". A dimostrazione del fatto che l'euro non sta facendo dei danni solo nell'Europa del sud, ma anche sul lato nord dell'unione monetaria, dove la lunga stagione dei tassi a zero sta mettendo nei guai molti fondi pensione e milioni di pensioni integrative: "la crisi finanziaria, emersa dieci anni fa con i fallimenti bancari, ora si è spostata e sta colpendo sempre di più le pensioni integrative aziendali". Ne parla il Tagesspiegel


L’incertezza è grande e c'è sempre piu' preoccupazione per le pensioni integrative aziendali. Anche presso l'Autorità per la supervisione finanziaria Bafin. "La situazione oggi è molto più seria rispetto a due anni fa. E se i tassi di interesse resteranno al livello attuale, non potrà che peggiorare", ha avvertito Frank Grund, direttore dell'autorità di controllo sulle assicurazioni. Un terzo dei 137 fondi pensione che gestiscono o pagano le pensioni integrative aziendali di otto milioni di tedeschi sono già sotto la stretta sorveglianza del Bafin. Per alcuni fondi, la situazione è drammatica. Due piccoli fondi pensione sarebbero sul punto di tagliare le prestazioni pensionistiche attuali e future. Il nome dei fondi, però il Bafin non lo rivela. 

"Il Bafin sta facendo troppo poco per la protezione degli assicurati", ha dichiarato al Tagesspiegel Gerhard Schick, esperto finanziario del gruppo parlamentare dei Verdi al Bundestag. Il suo gruppo parlamentare ha appena presentato una richiesta al governo federale per cercare di capire quanto sia grave la situazione, quali sono le casse pensionistiche colpite e quanti sono i cittadini che dovranno preoccuparsi per i loro piani pensionistici. 


La crisi finanziaria colpisce la previdenza sociale 



Per circa il 10% dei fondi pensione tedeschi, afferma lo stesso Bafin, la situazione è "molto seria". I Verdi vorrebbero sapere quali sono i fondi coinvolti e quante sono le persone assicurate. Il governo federale, inoltre, dovrebbe fornire informazioni su quante sono le persone che dovranno fare i conti con il taglio della loro pensione integrativa o delle loro aspettative sulla pensione futura. "La situazione per molti fondi pensione è seria", afferma Schick. "La crisi finanziaria, emersa dieci anni fa con i fallimenti bancari, ora si è spostata e sta colpendo sempre più le pensioni integrative aziendali", avverte l'esperto finanziario. "Penso che gli assicurati abbiano il diritto di sapere qual'è lo stato di salute del loro fondo. Per molte persone, i versamenti per la pensione integrativa sono una parte essenziale della loro previdenza sociale". 



Problemi ce ne sono già da molto tempo 

Già due anni fa il Bafin aveva usato parole insolitamente molto chiare: bisogna mettere sotto stretto controllo un po' più di una manciata di fondi pensione tedeschi, dichiarava Grund. Recentemente l'autorità tedesca di controllo sulle assicurazioni ha usato parole ancora piu' dure: "senza capitale aggiuntivo proveniente dall'esterno, alcuni fondi pensione non saranno più in grado di erogare tutte le loro prestazioni". La situazione è ancora più seria rispetto a due anni fa. 

Da dove arrivano i problemi 

La causa dei problemi è soprattutto l'attuale situazione dei tassi di interesse. In particolare, gli assicuratori pensionistici spesso devono garantire ai vecchi clienti  dei rendimenti elevati. Attualmente i fondi pensione devono generare in media il 3,2% per poter onorare non solo i contratti recenti, con prestazioni nettamente piu' basse, ma anche i vecchi contratti con rendimenti ancora più elevati. Ma a causa della bassa redditività degli investimenti sicuri, il compito sta diventando sempre più difficile. I fondi pensione devono inoltre far fronte all'aumento dell'aspettativa di vita. Che cosa questo poi significhi per gli assicurati, dipende dal contratto e dal datore di lavoro. 

Glie effetti gli squilibri 

Sono soprattutto i lavoratori più anziani ad essere avvantaggiati, dato che gli obblighi pensionistici a tasso fisso devono essere rispettati, come previsto dalla legge sulla previdenza aziendale. Se un fondo pensione entra in difficoltà e deve ridurre i pagamenti, sarà il datore di lavoro a dover subentrare e a farsene carico, e quindi a pagare ai pensionati la differenza tra le pensioni promesse e quelle effettivamente erogate, attingendo dal patrimonio aziendale. I dipendenti più giovani, al contrario, non ricevono piu’ da parte delle assicurazioni degli impegni precisi in merito alle prestazioni future. Nelle attuali circostanze dovranno adeguarsi a ricevere prestazioni pensionistiche integrative in calo - a meno che la situazione sul mercato dei tassi d'interesse non subisca delle sostanziali modifiche. 

L'autorità Bafin chiede un'iniezione di capitale 

Il Bafin già da tempo sollecita i fondi previdenziali piu’ deboli a chiedere iniezioni di capitale ai loro proprietari e azionisti per cercare di stabilizzare l'attività. Le aziende tuttavia sono obbligate a coprire le prestazioni promesse e non erogate, ma non a rafforzare la posizione finanziaria dei fondi pensione. I datori di lavoro possono pagare solo se sono ancora esistenti, se non sono falliti e se sono liquidi. Ma con il sette per cento di tutti i beneficiari, il Bafin ha dei forti dubbi sul fatto che i datori di lavoro possano fornire sostegno. Secondo l'autorità di vigilanza finanziaria questo vale soprattutto per i fondi che lavorano per un grande numero di aziende. In 17 casi i fondi pensione negli ultimi quattro anni allo scopo di evitare problemi ancora maggiori hanno già tagliato il cosiddetto coefficiente di capitalizzazione della pensione a scapito dei pensionati futuri. Il coefficiente di capitalizzazione regola il rapporto fra i contributi versati e le erogazioni successive durante la fase pensionistica. Se viene ridotto, la pensione futura sarà più bassa.

Il fondo Protektor può aiutare? 

Se un fondo pensionistico dovesse andare in insolvenza, in alcuni casi può intervenire il fondo di sicurezza Protektor, al quale sono collegati circa 20 fondi pensione. I pensionati ricevono quindi la pensione integrativa direttamente da questa organizzazione di supporto. Questi fondi, come è accaduto agli assicuratori sulla vita, dal 2011 hanno dovuto accumulare anche delle riserve aggiuntive per meglio fronteggiare la stagione dei tassi a zero. Tuttavia, la maggior parte dei fondi pensione sono organizzati sotto forma di associazione e in caso di emergenza possono tagliare le loro prestazioni o richiedere contributi più elevati. In entrambi i casi, sono i datori di lavoro a dover colmare le eventuali lacune nelle prestazioni pensionistiche promesse. I fondi pensione sono una forma particolarmente popolare di previdenza integrativa professionale in Germania, oltre alle assicurazioni dirette o alle casse mutua previdenziali. 

Chi ha già tagliato 

Il fondo pensione più grande, misurato in base al patrimonio gestito di circa 27 miliardi di euro, è la BVV (Versicherungsverein für das Bankgewerbe), seguito dai fondi pensione di Allianz, Bayer, BASF e Hoechst. La BVV già nel 2016 a causa dei bassi tassi di interesse ha dovuto trarre le dovute conclusioni e a partire dal 1 gennaio 2017 ha ridotto del 24 per cento i propri impegni pensionistici - anche per i contratti in essere, ma solo per i contributi pagati dopo tale data. La maggior parte delle banche aveva immediatamente accettato di coprire eventuali lacune nelle prestazioni erogate. In totale, il fondo pensione gestisce 757 società, 352.000 assicurati e 111.000 pensionati. Anche il fondo pensionistico federale e statale, che assicura oltre 350.000 dipendenti pubblici, a metà 2016 di colpo ha tagliato i tassi di capitalizzazione. In alcuni casi ciò corrisponde ad una riduzione di due terzi. Tali calcoli tuttavia di solito restano validi solo per un breve periodo di tempo.



martedì 18 dicembre 2018

Taz: saranno anche populisti, ma hanno una certa competenza economica

"Il governo italiano sarà anche populista, ma ha una certa competenza economica..." scrive la Taz, ma soprattutto: "l'Italia non puo' essere trattata come se fosse la famiglia Mayer di Dinslaken". Non capita spesso di trovare sulla stampa tedesca un commento positivo nei confronti dell'attuale governo italiano. Ne scrive Ulrike Herrmann sulla Taz



Il governo italiano sarà anche populista, ma ha una certa competenza economica. Gli italiani senza usare mezzi termini hanno fatto sapere che la Commissione europea ha trattato il loro paese molto peggio di quanto non abbia fatto con altri stati europei. L'ultimo caso: il presidente francese Macron per il 2019 sta pianificando  un deficit di bilancio di oltre il 3%, ma a Bruxelles nessuno sembra esserne turbato. L'Italia, invece, è stata minacciata con miliardi di euro di sanzioni per un obiettivo di deficit al 2,4% del PIL. Come può essere? 

Gli italiani giustamente sono sorpresi, soprattutto perché la Francia non è il solo paese a interpretare in maniera alquanto generosa le regole sul deficit. Il budget del Belgio, ad esempio, sin dalla crisi finanziaria del 2008, ha sempre registrato un elevato livello di deficit. Ma nei confronti dei belgi non c'è mai stata una procedura per eccesso di disavanzo. 

La Commissione Europea resta però inflessibile: per gli italiani valgono altre regole, perché il loro debito è già troppo alto! Roma deve risparmiare per ridurne il peso. Bruxelles sta trattando l'Italia come se fosse paragonabile alla famiglia Mayer di Dinslaken. I Mayer certamente non possono indebitarsi senza poi dover rimborsare il debito. 

Ma è un equivoco sostenere che gli stati possano risparmiare per ridurre i loro debiti come fanno le famiglie. Gli italiani da decenni ormai stanno risparmiando invano. Lo stato italiano a partire dal 1991 di fatto non ha aumentato la spesa pro-capite, come illustrato dall'economista Antonella Stirati in un'intervista alla Taz. 

Un circolo vizioso 

Nel 1991, infatti, la spesa pubblica italiana - prestazioni sociali, stipendi dei dipendenti pubblici, investimenti, spesa per interessi - era di 12.500 euro pro capite. Oggi è di 13.000 euro. In Germania, invece, negli stessi anni la spesa pubblica pro capite è passata da € 11.800 a € 15.000 e in Francia da € 12.600 a € 18.000. 

L'Italia ha risparmiato per quasi trent'anni, ma il debito pubblico non si è ridotto. Qualsiasi profano a questo punto capirebbe immediatamente che in una situazione come questa fare austerità non aiuta. Solo la Commissione europea non si scoraggia e continua a ripetere il suo mantra neoliberista secondo il quale il bilancio deve essere "consolidato". L'Italia non ha problemi sul lato della spesa pubblica – ma su quello delle entrate. L'economia italiana è rimasta ferma per vent'anni. Sin dall'introduzione dell'euro l'economia italiana nel suo complesso non è cresciuta, mentre quella tedesca nello stesso periodo di tempo cresceva di circa il 30 per cento. 

Se gli italiani avessero beneficiato di una crescita come quella tedesca, oggi il loro debito non sarebbe al 130 % del PIL, ma solo al 100 %. L'Italia si troverebbe nella stessa categoria insieme al Belgio e alla Francia e potrebbe stare molto piu' tranquilla. Invece si trova in un circolo vizioso: perché il debito pubblico è alto, e per questo deve risparmiare. Ma poiché risparmia, l'economia non riparte e il debito pubblico continua a salire. 

La responsabilità non è degli italiani 

Gli altri paesi dell’eurozona non sembrano avere molta comprensione. C'è l'impressone diffusa che sia l'Italia ad essere responsabile per i suoi problemi. Ma si tratta di un pregiudizio. Gli italiani non sono i colpevoli, sono piuttosto le vittime della crisi dell'euro. Il primo contraccolpo ha anche una data esatta: era il 21 luglio 2011 quando i tassi di interesse sui titoli di stato italiani improvvisamente raggiungevano dei livelli insostenibili, in quei giorni infatti era in discussione un possibile taglio del debito greco. 

L'Italia notoriamente non è la Grecia, ma gli investitori non sembravano essere più di tanto interessati a questa differenza. La BCE ha dovuto aspettare un anno prima di interrompere definitivamente il panico finanziario. Per l'Italia è stato un periodo troppo lungo, il paese è scivolato in una grave recessione, dalla quale fino ad oggi non si è ancora ripreso. 

Ora la Commissione europea fra le righe minaccia ancora una volta di sguinzagliare i mercati finanziari e di far salire i tassi di interesse sul debito pubblico. Immediatamente, gli italiani si sono piegati e hanno tagliato il loro budget. Ma la crisi dell'euro in questo modo non è risolta, si è solo ulteriormente aggravata.
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lunedì 17 dicembre 2018

Due rifugiati su tre sono sussidiati Hartz

L'associazione degli imprenditori nei giorni scorsi ha elogiato il livello di integrazione raggiunto dai rifugiati sul mercato del lavoro, del resto gli industriali non hanno di che lamentarsi: in una fase di forte crescita economica hanno a disposizione un esercito di lavoratori a basso costo la cui permanenza in Germania spesso è legata al mantenimento del posto di lavoro, uno scenario ideale per portare avanti la guerra fra poveri. Dati alla mano, quelli della Bundesagentur für Arbeit, a piu' di 3 anni dalla decisione unilaterale con cui il governo nell'estate del 2015 apriva le frontiere, due rifugiati su tre sono sussidiati Hartz. Ne parla la Bild Zeitung su dati della Bundesagentur für Arbeit


Il presidente dell'associazione dei datori di lavoro (BDA) Ingo Kramer nei giorni scorsi ha elogiato il livello di integrazione raggiunto dai rifugiati nel mercato del lavoro tedesco. "Io stesso sono sorpreso che tutto stia procedendo così velocemente", ha detto Kramer alla "Augsburger Allgemeine".

- Degli 1,6 milioni di migranti provenienti dai principali paesi di partenza dei rifugiati (Afghanistan, Eritrea, Iraq, Iran, Nigeria, Pakistan, Somalia e Siria), 360.000 sono attualmente occupati (settembre 2018). Il 41% in più rispetto a un anno fa!

- Ciò significa: il 31,6% dei migranti provenienti dai principali paesi di partenza (in età compresa tra i 15 e i 65 anni) è occupato. Fra gli stranieri questa quota raggiunge il 50,3%, il 67,7% fra tutte le persone residenti in Germania.

- Il 36%, cioè 185.580 persone, restano comunque disoccupate! Un anno fa erano ancora il 44,8%. Un confronto: nel complesso, il tasso di disoccupazione tra i bulgari e i rumeni in Germania è rispettivamente del 5,8% e del 7,7%.

- Ma: due rifugiati su tre provenienti dai principali paesi di partenza dei rifugiati (63,7%) percepiscono un sussidio Hartz IV, sul totale della popolazione i percettori di un sussidio sono invece il 9% e il 20,6% fra tutti gli stranieri che vivono in Germania. Nel complesso 992.202 rifugiati ad agosto percepivano un sussidio Hartz IV.

- Secondo la Bundesagentur für Arbeit, i rifugiati disoccupati sono "prevalentemente giovani e maschi". Sempre secondo l'analisi della BA, "vengono spesso utilizzati per lavori in cui le competenze linguistiche non sono il fattore più importante". A novembre c'erano infatti 22.000 rifugiati disoccupati in cerca di un lavoro nelle pulizie, 21.000 cercavano nella logistica, 15.000 come aiutanti in cucina e 10.000 nelle vendite.

- Tra il dicembre 2017 e il novembre 2018, 116.000 persone provenienti dai paesi di partenza dei rifugiati hanno trovato un lavoro, hanno avviato un'attività in proprio o hanno iniziato un percorso di formazione. Più di un rifugiato su tre ha trovato un'occupazione nel "lavoro temporaneo", cioè nel lavoro interinale.


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Deutsche Bank simbolo del declino tedesco

"C'è stato un tempo in cui Deutsche Bank era considerata l'incarnazione delle virtù tedesche: serietà, affidabilità, solidità e onestà...", peccato ora non sia piu' cosi'. Quello di Deutsche Bank è solo uno fra i numerosi scandali degli ultimi anni, e qualcuno inizia a chiedersi se anche per la grande Germania i tempi buoni non siano definitivamente passati. Una interessante riflessione di Hubert von Brunn da Epoch Times, una testata online con qualche simpatia populista.


C'è stato un tempo in cui - i più anziani ricorderanno - Deutsche Bank era considerata l'incarnazione delle virtù tedesche: serietà, affidabilità, solidità e onestà... E grazie a queste qualità eccezionali DB godeva di un'ottima reputazione internazionale, arrivando ad essere una delle più grandi banche mondiali. Fino a quando lo svizzero Josef Ackermann nel 2002 ne ha assunto la guida e nei suoi 10 anni di mandato ha trasformato questo faro dell'economia tedesca in un cumulo di macerie. Proprio laddove un tempo dei potenti imprenditori e degli statisti facevano la fila per siglare degli affari, nelle ultime settimane ci sono state le perquisizioni dei funzionari della polizia criminale, della polizia federale e del dipartimento investigativo fiscale, perquisizioni che hanno riguardato anche gli uffici esecutivi.

Ancora una volta si tratta di riciclaggio di denaro. Per ora ci sarebbero due dipendenti di alto livello sospettati di aver aiutato i clienti a creare delle società fittizie nel paradiso fiscale delle Isole Vergini per ripulire del denaro. Secondo le comunicazioni iniziali della procura, in ballo ci sarebbero anche i "profitti" derivanti dalle attività criminali. Le indagini sono in corso da agosto e si riferiscono agli anni fra il 2013 e il 2018. Ackermann era già da tempo a proprio agio nel suo castello in Svizzera. Le irregolarità che ora sono oggetto di indagine si sarebbero quindi verificate sotto i suoi successori: Anshu Jain (indiano britannico) e John Cryan (britannico).

Non siamo ancora fuori dal pantano

Avete notato qualcosa? Per oltre 16 anni la più grande banca tedesca non è stata gestita da un tedesco. 16 anni in cui arroganza, avidità e debolezze di carattere si sono fatte largo nelle torri gemelle di Francoforte e hanno trasformato Deutsche Bank, un tempo un istituto rispettato, in una banca dalla reputazione molto dubbia. Dalle file della sinistra si è anche alzata la richiesta di ritirare la licenza bancaria appesa al muro della banca. Non siamo ancora arrivati ​​a questo punto, ma il mondezzaio che l'attuale presidente Christian Sewing - di nuovo un tedesco - dovrà cercare di ripulire, è davvero un compito titanico. Operazioni rischiose sui mutui (in particolare negli Stati Uniti), tassi di interesse manipolati, riciclaggio di denaro, Panama Papers, off-shore Leaks, transazioni azionarie cum-ex, ecc - i dirigenti di Deutsche Bank hanno partecipato a tutti questi affari loschi riempiendosi le  tasche. E ciò ha già portato a innumerevoli procedimenti legali e a oltre 20 miliardi di euro di multe. E il pantano - come si può ben vedere - è tutt'altro che asciutto.

Come abbia fatto una banca così rispettabile a portarsi in casa un incosciente come Josef Ackermann, una mente ragionevole difficilmente riesce a capirlo. Lo svizzero nel 2004 era già stato inquisito nel processo Mannesmann per irregolarità nella battaglia per l'acquisizione combattuta con Vodafone. Non importa, si è comportato come un Messia, ha mostrato il segno della vittoria e si è seduto comodamente sulla poltrona di presidente esecutivo di DB con uno stipendio annuale di circa 13 milioni di euro. Nel 2005 ha suscitato un vero scandalo quando contro tutte le voci che lo mettevano in guardia ha voluto fissare il folle obiettivo di raggiungere un rendimento sul capitale proprio pari al 25% (!).  Mentre annunciava la riduzione di 6.400 posti di lavoro, un grido di indignazione attraversava il paese. E tutto ciò accadeva proprio il  giorno dopo che il numero dei disoccupati in Germania per la prima volta aveva superato i cinque milioni. I politici e i sindacalisti all'epoca parlavano di un "porcheria", vedevano al lavoro "stupide persone che pensano solo al denaro" e chiedevano di boicottare la banca. Da allora in poi è andato tutto a picco. Ackermann & Co. non solo hanno rovinato il bilancio e il prezzo delle azioni di Deutsche Bank, ma anche la sua reputazione, che per molti decenni fin ad allora in tutto il mondo non era mai stata messa in discussione.

Il mondo ci ride dietro

Ma non è abbastanza. Il disastro Deutsche Bank, anche preso singolarmente, sarebbe già abbastanza grave, se poi lo si inquadra nel concerto dei fallimenti che in questi ultimi anni la Germania ha mostrato al resto del mondo, la questione allora si fa enorme. C'è il tentativo senza speranza di costruire un aeroporto nella capitale. Semplicemente non ne vuole sapere di avere successo. I guasti si sommano ai guasti - e il mondo ride a crepapelle. Il Dieselgate! L'avidità e l'arroganza hanno messo a repentaglio il fiore all'occhiello dell'economia tedesca, l'industria automobilistica, in particolare Volkswagen. Quali incredibili profitti siano stati fatti dalla società negli ultimi decenni, lo dimostra il fatto che i 20 miliardi di dollari di sanzioni che VW è stata condannata a pagare negli Stati Uniti non hanno impressionato piu' di tanto l'azienda. Il danno di immagine che i marchi premium tedeschi con i loro imbrogli hanno fatto al marchio di qualità "Made in Germany" tuttavia è immenso. Mentre le condanne contro le aziende tedesche arrivano principalmente dagli Stati Uniti.

Alla stessa maniera è stato colpito anche il gigante della chimica Bayer, dopo aver inghiottito il concorrente americano Monsanto. All'improvviso c'è una valanga di cause legali - e persino multe per ca. 80 milioni di euro - dovute alla produzione di glifosato. Per decenni la Monsanto ha fabbricato questo pesticida e l'ha usato in tutto il mondo,  Stati Uniti compresi. Ma ciò non era mai stato un problema. Solo dopo che la società tedesca ne è diventata proprietaria, si è invece trasformato in  un problema.

Cosa c'è che non va in Germania?

Per non dimenticare la Bundeswehr. In varie missioni all'estero, dove di fatto l'esercito non ha nulla da cercare, le truppe vengono duramente messe alla prova, mentre  in realtà non riescono nemmeno a garantire il loro compito primario, cioè la difesa nazionale: perché le navi non galleggiano, i sommergibili non si immergono, gli elicotteri non volano e i Panzer non si muovono.  Il mondo ci ride dietro, e poi l'aereo del governo, che ha sempre dei problemi, e che recentemente ha costretto la Cancelliera ad arrivare al vertice del G-20 a Buenos Aires con un giorno di ritardo. La situazione è ancora più imbarazzante e il mondo intero ci ride dietro.

Cosa c'è che non va in Germania? La terra di poeti e pensatori, inventori, ingegneri, scienziati e innovatori? Non ce la facciamo piu'? Abbiamo già sparato tutte le nostre cartucce e dobbiamo solo guardare a come altri paesi - Cina, Svizzera o Turchia - riescono a terminare grandi progetti apparentemente senza troppi sforzi? Al momento sembra proprio che sia così. L'antica reputazione che un tempo avevamo di economia di grande successo, è stata messa in discussione da ben note società (vedi sopra) per avidità e arroganza.

Un paese con un'economia forte ha anche bisogno di una leadership adeguata, specialmente nell'era della globalizzazione. Ma questo è esattamente ciò che non abbiamo - e sembra che non lo avremo anche nei prossimi anni. Come abbia fatto la rivista americana "Forbes", a nominare la cancelliera Merkel la "donna più potente del mondo", non mi riesce proprio di capirlo.

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sabato 15 dicembre 2018

Der Spiegel: dell'eurobudget di Macron praticamente non è rimasto nulla

Secondo Der Spiegel anche Merkel avrebbe scaricato il giovane presidente francese e i suoi piani per una unione di trasferimento finanziata dai tedeschi. Con il vertice europeo di venerdì, di fatto, il progetto di una "Transferunion" finanziata dal lato nord dell'unione monetaria viene definitivamente sepolto e il finto europeismo di Macron smascherato per quello è: il tentativo di imporre gli interessi francesi a livello europeo. Anche la cosiddetta stampa di qualità tedesca, dopo l'apertura di lunedi' ai gilet jaunes e quindi ad un aumento del deficit, scarica definitivamente l'enfant prodige di Rotschild. Da Der Spiegel


(...) E' certo che il bilancio dell'eurozona troverà un posto nel futuro bilancio dell'UE. Ma è rimasto poco della grande idea di Macron, cioè quella di intervenire con diversi miliardi di euro in soccorso degli stati della zona euro in difficoltà. Certo, lo si puo' vedere come un inizio - e sia Macron che Merkel sono abbastanza intelligenti da rivendere il risultato del summit come un successo.

Macron, con alle spalle uno sfondo blu scuro e il tricolore, elogia le conclusioni del vertice sull'euro come "una svolta decisiva nei piani che la Francia ha presentato un anno fa" e loda la cooperazione con Merkel. "Svolgiamo un ruolo storico, insieme alla Germania, nell'andare avanti". Nella sala accanto Merkel fa lo stesso. Abbiamo trovato un accordo sulle proposte di Macron "in una versione alla quale tutti gli stati dell'Eurozona vi possano partecipare", afferma la Cancelliera. Sia lei che Macron sono "abbastanza soddisfatti di essere riusciti a farlo".

Ma la verità è amara: l'Europa ha lasciato Macron appeso. Da venerdì pomeriggio, la "finestra di opportunità", di cui spesso si è parlato, si è chiusa. Come previsto, al vertice UE, sono stati fatti solo dei piccoli passi in avanti in materia di riforma dell'Eurozona. Ci sarà un ulteriore scudo di emergenza per le banche in difficoltà, e il fondo di salvataggio ESM avrà dei nuovi compiti. Meglio di niente, ma non una ripartenza.

Questo vale soprattutto per il bilancio della zona euro. Nella dichiarazione finale del vertice di Bruxelles, sull'argomento c'è solo un paragrafo secco, che non contiene nemmeno la parola eurobudget. I soldi dovranno essere spesi per rendere i membri della zona euro più competitivi. Non viene affatto menzionata la funzione di stabilizzazione del bilancio, cosi' importante per Macron. L'obiettivo era, ad esempio, in caso di crisi sostenere con dei crediti le assicurazioni contro la disoccupazione degli Stati membri.

I ministri delle finanze ora dovranno presentare delle proposte per la struttura del bilancio. Alla dimensione del piatto, che in origine Macron voleva riempire con diversi punti di PIL dell'UE, i capi di stato e di governo non dedicano nemmeno una parola. Sarà deciso nel contesto dei negoziati sul prossimo bilancio pluriennale dell'UE, si dice. Che saranno completati non prima dell'autunno del 2019. Prima di ciò, entro giugno, sarà necessario trovare un "approccio generale" all'eurobudget.

Che tradotto significa: per ora non succede nulla. Le elezioni europee sono previste per maggio 2019 e poi si dovrà formare una nuova Commissione. È possibile che solo la prossima crisi costringa gli europei ad agire di nuovo.

La Germania esita, l'Austria frena

Tutto era iniziato in maniera così favorevole. Pochi giorni dopo le elezioni presidenziali, Macron nell'autunno 2017 aveva presentato la sua visione per una riforma dell'UE. Le richieste sull'euro rappresentavano solo una piccola parte di questo brainstorming pubblico, ma la più importante. Il presidente francese voleva riformare l'UE Insieme alla Cancelliera tedesca.

Ma la formazione del governo a Berlino si è trascinata a lungo. Quando l'accordo di coalizione con il suo capitolo introduttivo favorevole all'UE è stato finalmente concluso, probabilmente non valeva nemmeno la carta su cui era scritto. Anche se poi a giugno a Meseberg si è riusciti a trovare un accordo per andare avanti insieme sulle riforme. Il ministro delle Finanze federale Olaf Scholz (SPD) per molte notti si è anche sforzato insieme al suo collega francese Bruno Le Maire, di mettere nero su bianco un possibile bilancio della zona euro.

Ma alla fine tutto è rimasto molto incerto, il motore franco-tedesco non si è mai veramente messo in modo. A ciò si aggiunge anche la crescente resistenza da parte di altri stati dell'UE. Da un lato, ci sono gli stati dell'UE, come la Polonia o la Svezia, che non sono fra i 19 membri dell'Eurozona. Non è ben chiaro per quale motivo dovrebbero concordare su un budget che dovrebbe essere ritagliato dal bilancio effettivo dell'UE e dal quale non avrebbero nulla indietro.

Lo stesso Macron minaccia di diventare un peccatore finanziario

Ma ci sono anche massicce critiche dall'Eurozona, specialmente dai Paesi Bassi e dall'Austria. "Non sono un amico del bilancio della zona euro", ha detto il capo di governo di Vienna, Sebastian Kurz, a Bruxelles. L'UE ha già un budget. Un budget separato della zona euro "ai contribuenti finirebbe per costare solo molto denaro in piu'".

Per potersi ulteriormente avvicinare dal punto di vista della politica fiscale, cosi' secondo l'argomento preferito dai critici, bisogna prima ridurre i rischi nell'eurozona. Un primo esempio di ciò sarebbero i piani dei nazionalisti di destra italiani e dei populisti di sinistra per aumentare in maniera massiccia il debito pubblico. Ma proprio Macron ora rischia di atterrare nel club dei peccatori finanziari. I benefici socio-politici che ha promesso ai manifestanti dei "gilet jaunes" potrebbero indurre la Francia a oltrepassare nuovamente la soglia del deficit al 3 per cento.

I primi dubbi sull'immagine dell'europeista modello

Cosi' l'autorità di Macron a Bruxelles subisce un primo duro colpo. Una Francia riformata, che per un lungo periodo di tempo riesce a rispettare le regole del Patto di stabilità e crescita, era stata questa la promessa di Macron agli europei - e in particolare ai partner delle riforme a Berlino. Ma ora si accorgono che: se le cose per lui si mettono male, il presidente francese se ne frega delle regole finanziarie dell'UE.

È probabile che coloro che hanno sempre diffidato di Macron ora si sentano confermati. Come tutti gli altri, anche lui cerca di imporre gli interessi del suo paese, dicevano malignamente i rappresentanti di diversi paesi dell'UE, fra cui la Germania. La facciata del grande europeista è esattamente questa: una facciata.

L'euforia con cui gran parte d'Europa ha celebrato la vittoria elettorale di Macron sulla populista di destra Marine Le Pen è stata già dimenticata. Ma era solo un anno e mezzo fa - e i populisti di destra potrebbero presto contrattaccare. Prima di tutto con Matteo Salvini, il capo della Lega in Italia, un partito radicale di destra. Il quale alle elezioni europee vorrebbe inscenarsi come il grande avversario di Macron.

Puntate precedenti sullo stesso argomento:


Da Meseberg verso l'unione di trasferimento

Perché il bilancio dell'eurozona è un compromesso al ribasso che non serve a nessuno






Merkel ha già scaricato Macron?

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