mercoledì 28 settembre 2016

Rischi tedeschi

Ascesa e declino di una banca tedesca che voleva conquistare il mondo e che ora invece deve chiedere aiuto al governo. Da Die Zeit, 

Ha giocato d'azzardo e ha perso: Deutsche Bank voleva conquistare Londra e Wall Street, ora si parla invece di aiuti pubblici.

Deutsche Bank ha raggiunto il punto più' basso. Le azioni dell'istituto di Francoforte, che un tempo voleva dominare i mercati finanziari internazionali, all'inizio della settimana sono scese di oltre il 6% fino a 10.29 € per azione. Da quando il dipartimento di Giustizia americano ha minacciato la banca con una multa da 14 miliardi di dollari per la vendita dei mutui ipotecari, i mercati si chiedono se la banca, dato il ridotto margine di capitale, sia veramente in grado di far fronte a questa cifra. Circolano voci di una richiesta di aiuto al governo tedesco. Sono state categoricamente smentite dal governo e dalla banca.

Sono passati esattamente 20 anni dall'ingresso della banca nel settore dell'investment banking su scala globale, da quando con i suoi ambiziosi piani di espansione voleva conquistare Londra e Wall Street. Deutsche Bank a New York voleva diventare grande almeno come le banche di investimento americane in Europa - era l'obiettivo aziendale nel 1996. Le agenzie di rating già allora erano stupite. Moody's sottolineava che Deutsche Bank con l'ingresso nell'investment banking sarebbe sicuramente diventata meno dipendente dai ricavi sul mercato interno. Allo stesso tempo pero', con l'investment banking internazionale sarebbe aumentata la volatilità degli utili, i rischi di mercato e i rischi di bilancio da coprire con capitale proprio.

Stava piu' o meno accadendo a tutte le grandi banche europee: nel mercato interno cresceva la concorrenza e c'erano sempre piu' banche straniere nel corporate e retail banking domestico. A Londra e Wall Street la banca era attratta dai grandi guadagni degli affari di borsa su scala globale, dal trading sui titoli e sulle divise, dalla ristrutturazione delle aziende nell'era della globalizzazione. Deutsche Bank accompagnava le aziende tedesche nella loro espansione internazionale.

Gli azionisti erano felici, gli avvertimenti erano ignorati

L'espansione nell'investment banking, per 10 anni, fino alla crisi finanziaria del 2007, ha portato lauti guadagni. Ritorni a due cifre sul capitale proprio non erano rari, a volte anche oltre il 20%. Gli azionisti applaudivano.

Gli avvertimenti delle banche tedesche tradizionali cadevano nel vuoto. Deutsche Bank dipendeva dagli alti guadagni realizzati a Londra e Wall Street. E i guadagni sembravano dare ragione alla sua politica di espansione.

L'espansione aveva funzionato, ma solo perché gli esorbitanti guadagni provenienti dalla forte crescita dell'investment banking nascondevano i rischi del business, la scarsa copertura del rischio, i costi in rapida crescita e le conseguenze di pratiche commerciali alquanto discutibili. Il modello di business in sé non veniva messo in discussione, sebbene l'istituto di credito fosse pericolosamente dipendente dall'Investment banking. Deutsche Bank non poteva in realtà appoggiarsi al grande mercato americano, ma solo ad un meno remunerativo mercato interno - a causa dell'influenza delle Sparkasse e delle Landesbank pubbliche. Non aveva nessuna gestione patrimoniale lucrativa come colonna portante, come invece accade alle grandi banche svizzere. Non aveva il controllo del mercato asiatico, come la concorrenza britannica di HSBC e Standard Chartered. E non era Goldman Sachs. Goldman Sachs era pagata per la competenza e l'esperienza nella consulenza dei suoi dipendenti (e a volte anche per la loro mancanza di scrupoli). Deutsche Bank era invece pagata per l'utilizzo rischioso dei suoi bilanci. Cosi' nel 2007 è riuscita a raggiungere il suo obiettivo: era fra le 3 piu' potenti banche di investimento del mondo.

Un cambiamento tardivo

Poi è arrivata la crisi finanziaria ed è diventato chiaro che la rapida crescita economica finanziata a debito non si sarebbe ripetuta per decenni. Non è passato un anno senza l'introduzione di un requisito di capitale più' alto, di una più' rigida gestione dei rischi negli attivi o di normative più' severe in tema di liquidità. L'investment banking è diventato piu' costoso, l'uso rischioso del bilancio insostenibile.

Deutsche Bank inizialmente non ha reagito. Proprio come Bob Diamond, il capo di Barclays, Anshu Jain, l'allora capo dell'investement banking e successivamente amministratore di Deutsche Bank, si aspettava che le altre banche indebolite dalla crisi finanziaria si sarebbero ritirate dal business dell'investment banking globale, che la concorrenza si sarebbe fatta più' sottile, e che i ricavi dal trading in un periodo di incertezza e volatilità sarebbero stati maggiori. Ma Jain aveva sottovalutato quanto la regolamentazione avesse reso più' costoso il business, che il bilancio delle banche universali non poteva piu' sostenere i rischi dell'investment banking e che la politica di tassi a zero delle banche centrali avrebbe eroso i margini sul mercato interno.

Da allora per Deutsche Bank le cose vanno sempre peggio, il modello di business non funziona piu'. Nei primi nove mesi del 2016 è scesa in ottava posizione dietro a J.P. Morgan, Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch, Morgan Stanley, Citigroup, Barclays e Credit Suisse. In tutte e 3 le aree dell'investment banking, obbligazioni, azioni e finanziamenti in pool, secondo le indicazioni della società di ricerca Dealogic, la banca ha perso quote di mercato, e non solo sui mercati globali, ma anche nei mercati domestici europei.

La banca di Francoforte ora ha iniziato a risparmiare. Il cost-income ratio, pari al 115.3%, è ancora molto superiore rispetto a quello della concorrenza globale. Fa in maniera solo marginale quello che altri istituti fanno da molto tempo, e cerca di ridurre l'investment banking. La banca non riesce né a raggiungere guadagni sufficienti, che potrebbe trattenere per generare capitale, né ci sono compratori a cui poter cedere in maniera sufficientemente rapida dei business, per poter liberare capitale: la cessione di una partecipazione del 20% nella banca cinese Hua Xia Bank potrebbe portare alla banca 4 miliardi di dollari entro l'anno. La vendita di Postbank, che assorbe il 10,5 % del capitale di rischio, e che contribuisce tuttavia all'11% degli utili, è sempre piu' difficile.

La minaccia di una multa da 14 miliardi di dollari da parte del Dipartimento di Giustizia americano è il momento in cui la discussione sul modello di business della banca si infiamma - questa volta con conseguenze esistenziali. L'istituto ha accantonato circa 6.2  miliardi di Euro per coprire eventuali sanzioni legali. Fino al 2017 si aggiungeranno 3.3 miliardi di dollari. Poiché una larga parte di questi 9.4 miliardi di Euro dovranno essere utilizzati per altri pagamenti diversi dal contenzioso con il Ministero della Giustizia americano, restano solo 4 miliardi di dollari per il pagamento agli americani.

Alla ricerca di capitale

Anche se gli americani dovessero ridurre la loro attuale richiesta di 14 miliardi di dollari, per ogni miliardo superiore ai 4 miliardi coperti, le cose si fanno difficili, calcola Kian Abouhossein, analista bancario di JP Morgan. Deutsche Bank non avrebbe piu' alcun spazio per pagare sanzioni superiori. Dovrebbe trovare denaro per altre riserve oppure raccogliere capitali. Alla fine della prima metà dell'anno il coefficiente di adeguatezza patrimoniale era del 10.8%, entro la fine del 2018 dovrà pero' raggiungere il 12.5%.

Altrettanto importante è la domanda se la prossima primavera Deutsche Bank avrà liquidità sufficiente per pagare le cedole sulle obbligazioni, che in caso di necessità possono essere trasformate in capitale (AT1). Sembra tecnico ma è importante: le cedole possono essere pagate solo se le riserve sono sufficientemente alte. Qualora non accadesse, gli investitori sul mercato obbligazionario scomparirebbero, e salirebbe il costo per rifinanziarsi sul mercato obbligazionario.

La situazione è difficile. La politica americana probabilmente non vuole avere la reputazione di aver contribuito al collasso del sistema bancario europeo. Il Ministero di Giustizia potrebbe tendere una mano in questo modo: una parte della multa viene pagata dalla banca immediatamente. Un'altra parte viene ripagata nel corso degli anni ai clienti a cui sono stati rifilati i mutui ipotecari. Le autorità di vigilanza potrebbero anche riflettere se in caso di necessità non sia possibile utilizzare gli spazi di manovra offerti dalle norme vigenti. Cio' aiuterebbe Deutsche Bank ad evitare un aumento di capitale precipitoso, che in considerazione dell'attuale prezzo delle azioni sarebbe molto caro e finirebbe per scoraggiare tutti gli azionisti.

John Cryan, da oltre un anno co-amministratore di Deutsche Bank è sulla strada giusta, sta cambiando la cultura e riducendo i rischi. Dal 2007 Deutsche Bank ha aumentato il capitale da 37 a 62 miliardi di Euro, ha triplicato le riserve da 65 a 223 miliardi di Euro, ha ridotto le sue posizioni a rischio da 88 a 29 miliardi di Euro. In secondo luogo, per poter tornare alla crescita, si dovrà procedere ad una digitalizzazione della rete al dettaglio nazionale e del business con i clienti piu' piccoli.

Fino ad ora tuttavia non sembra essere cambiato molto, il management della banca sotto il presidente Paul Achleitner non ha indicato nessuna vera alternativa rispetto al modello di business attuale. E' necessario un cambiamento, affinché gli investitori tornino ad avere coraggio.

lunedì 26 settembre 2016

Le radici del successo di AfD nei Laender dell'est

Il governo federale è preoccupato per la violenza xenofoba nell'est del paese. Su Deutschlandfunk, Dirk Birgel, giornalista delle "Dresdner Neuste Nachrichten" prova a spiegare le radici dell'odio verso gli stranieri.

Il governo federale nel suo documento annuale sull'unità tedesca scrive che la pace sociale nell'est del paese è in pericolo. E' difficile non essere d'accordo, scrive Dirk Birgel. Nell'est del paese, le aggressioni agli stranieri e ai politici fanno ormai parte delle buone maniere.

Il Cancelliere Helmut Kohl, ai tempi della riunificazione, fece 2 promesse fondamentali ai tedeschi dell'est: la prima, paesaggi in fiore; la seconda, a nessuno le cose andranno peggio, ma a molti meglio. Da allora sono passati 26 anni, e chi oggi guarda alla Germania riunificata, deve ammettere: Kohl ha mantenuto in linea di massima le sue promesse. Finanziati dai tedeschi dell'est e dell'ovest e affiancati dall'Europa, nella Germania dell'est sono affluiti miliardi di Euro: sono state risanate le strade e le abitazioni, sono sorte centrali elettriche moderne, ospizi per gli anziani dignitosi e ospedali di alto livello. Nella Sassonia si è sviluppata l'industria automobilistica, nella zona di Dresda è nato un centro di ricerca di livello internazionale. I dati sull'occupazione sono buoni come non lo erano mai stati dalla riunificazione. Un bilancio di cui i tedeschi possono essere orgogliosi, senza se e senza ma

E infatti lo sono, almeno la maggior parte. Ma c'è anche un altro lato della medaglia, che spesso prende la forma di attacchi xenofobi verso gli stranieri. Rostock-Lichtenhagen e Hoyerswerda si sono verificati nei primi anni '90. Heidenau, Freital, e recentemente Bautzen hanno fatto una pubblicità molto negativa. Si ha l'impressione che le aggressioni contro gli stranieri e i politici, nell'est del paese, facciano parte delle buone maniere. Il Governo Federale nella sua relazione annuale sull'unità tedesca presentata questa settimana parla di "simboli di una xenofobia sedimentata". Ne constata uno sviluppo particolarmente preoccupante, che potrebbe mettere in pericolo la pace sociale nella Germania orientale.

Non tutto l'Est è xenofobo

E' difficile non essere d'accordo. Ma è necessario andare per ordine. Non tutto l'Est è xenofobo, al massimo una piccola parte. Il sindaco di Bautzner Alexander Ahrens lo ha già detto: ha fatto una campagna elettorale per una città tollerante e aperta al mondo ed è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini di Bautzen. La città sulla Sprea non è certo il covo marrone di cui tutti parlano. 

Il fatto è che nell'est troppe poche persone alzano la voce quando ci sono aggressioni contro gli stranieri. Manca la reazione delle persone per bene. Nell'Ovest le reazioni sono diverse. E non c'è quindi da meravigliarsi se Pegida dopo poco tempo è scomparso da tutte le strade - tranne a Dresda, dove ogni lunedì fra le 2000 e le 3000 persone scendono in strada per protestare. Che tutto ciò' non vada a vantaggio dei nuovi Laender è chiaro, ed è probabile che abbia addirittura degli effetti economici estremamente negativi. Per questo il Presidente del Sachsen-Anhalt Reiner Haseloff si è affrettato a dichiarare che con le generalizzazioni non si risolve nulla, anzi si aiuta il lato destro della politica. Ma anche Haseloff sa bene che i suoi corregionali fra Rügen e l'Erzgebirge hanno consegnato ad AfD un risultato elettorale che nell'ovest può' solo sognare.

Molte persone stanno peggio rispetto ai tempi della DDR

Cosa sta accadendo allora nel cuore delle persone, al di là dei numeri e dei risultati? Bisogna ammettere che non tutti i paesaggi sono fioriti come era stato promesso e per molte persone, che sia la realtà oppure solo una sensazione, le cose vanno peggio che ai tempi della DDR. Per chi è disoccupato da anni, per chi aspetta una pensione che non basta nemmeno per sopravvivere, oppure per chi guadagna cosi' poco che non puo' permettersi alcun extra, non è molto importante chi va al potere. Per alcuni anche la democrazia e la libertà sono relativamente importanti. Chi ascolta i Pegida, spesso percepisce una nostalgia per i bei vecchi tempi andati della DDR. Nessuno pensa alla Stasi o al muro, in molti invece pensano ad un lavoro sicuro, all'uguaglianza relativa, alla protezione totale dalla criminalità, all'idillio domestico non disturbato dalle influenze esterne.

"Quando è iniziata la vosta xenofobia?", domanda un fumettista ad un uomo dietro il recinto del giardino. "Quando sono arrivati gli Wessi", è la risposta.

L'unità tedesca ha portato a molti quello che Helmut Kohl aveva promesso 26 anni fà. Ma molte aspettative sono state amaramente disattese. E l'odio che ne è nato, nelle famiglie viene spesso tramandato alla generazione successiva. Con i profughi finalmente molti hanno trovato un capro espiatorio su cui sfogare le loro frustrazioni. La calma relativa dopo Hoyerswerda e Rostock era fallace. Una generazione dopo l'unità tedesca si deve tristemente ammettere che molti non sono riusciti a fare il loro ingresso nel nuovo ordine sociale. Siamo ancora molto lontani da avere condizioni paritarie - sia economiche che emotive.

domenica 25 settembre 2016

Il tramonto di Merkel

Eric Bonse, dal blog Lost in Europe, analizza il tramonto della Cancelliera: debolezze interne ed europee si sommano, è iniziata la fine di una lunga stagione politica. Da Lost in Europe, un blog indipendente da Bruxelles.

Dove sta andando l'Europa? Dopo la Brexit non è accaduto nulla, la riforma dell'Euro è stata rinviata, il vertice di Bratislava è stato un flop. Una sola cosa è chiara: la Germania non è più' il paese guida. Ormai sa solo frenare.

Un anno fà l'Europa tedesca era sulla bocca di tutti. La Cancelliera Merkel imponeva alla Grecia le richieste del ministro Schäuble e si rifiutava di applicare il trattato di Dublino.

Tutta Europa, con stupore e incredulità, osservava la gestione della crisi dei profughi da parte di Merkel. Oggi tutta la stessa Europa è sgomenta e soffre per le conseguenze delle sue decisioni unilaterali.

Non solo la rapida ascesa di AfD segna il declino del suo potere. Nella politica europea la Brexit è stata molto piu' importante - perché la politica europea di Merkel si appoggiava prima di tutto su Londra.

Dopo il NO di Downing Street la Cancelliera sta solo cercando di difendere lo Status Quo e di mantenere il controllo sugli stati del sud. Ma non sta piu' guidando, non puo' piu' guidare.

Il vertice di Bratislava lo ha dimostrato chiaramente. Sebbene in precedenza avesse fatto il giro di mezza Europa, da Merkel non è arrivata alcuna strategia, nessun piano, nessun obiettivo. E' lei che si sta intralciando la strada da sola.

Renzi si è "fatto beffa" del giro in barca, che oltre alle belle parole sulla sicurezza non ha portato molto altro. Non è emerso nemmeno un nuovo trio; e' rimasto solo Hollande a dare man forte a Merkel.

Ci dobbiamo pertanto preoccupare? In teoria no, perché in ogni caso non dovrebbe essere la Germania a guidare, soprattutto non da sola. L'iniziativa dovrebbe essere presa dalla Commissione UE a Bruxelles.

Ma qui arriva il problema successivo. Da Juncker e dal suo team non arriva più' nulla, nessuno ormai prende sul serio la Commissione. Bruxelles è diventata irrilevante - e non da ultimo, proprio perché era Berlino a volerlo.

Che si trattasse della Grecia, della crisi dei profughi o dell'accordo con la Turchia, Merkel ha fatto tutto sempre da sola, tenendo la Commissione ai margini della discussione. Il cui compito era solo quello di legittimare il risultato.

Ma ora la legittimazione sta svanendo contemporaneamente sia a Berlino che a Bruxelles. Il trucco di Merkel, quello di far passare la sua agenda come un'agenda europea ricadrà su entrambi: sulla Germania e sull'UE.

Lo si potrebbe chiamare circolo vizioso.

venerdì 23 settembre 2016

Il piano Letta bocciato dalla stampa tedesca

Enrico Letta, Jörg Asmussen, Pascal Lamy ed altre personalità di spicco presentano un piano per riformare l'Eurozona. Die Welt accusa il piano di ingenuità e lo boccia: la Germania potrà concedere aiuti solo in cambio di riforme, no ad una unione di trasferimento. Da Die Welt.

Economisti e politici di primo piano hanno realizzato un manifesto per il salvataggio del continente e della sua moneta. Chiedono piu' potere per l'UE. In questo modo fanno un favore ai populisti.

Gli amici dell'Europa sono preoccupati per il continente. Sono inquieti per la Brexit, l'avanzata dei populisti e per l'incombente Euro-crisi. Tanto più' che i timidi tentativi di salvataggio della politica - come al recente vertice di Bratislava - rivelano che i governanti non hanno una soluzione per i problemi europei. 

Per risolvere i dilemmi dell'UE c'era bisogno di un importante gruppo di economisti e di rinomati ex politici europei. Hanno presentato una sorta di Euro-manifesto, un piano in tre fasi per il salvataggio del continente e della sua moneta comune.

La parola degli autori del manifesto è sicuramente di peso. Fra loro ci sono ad esempio Enrico Letta, ex primo ministro italiano. Ma anche Jörg Asmussen, ex segretario di stato presso il Ministero delle Finanze tedesco, fa parte del gruppo. Come Pascal Lamy, ex direttore generale del WTO.

Il gruppo intende stimolare la politica e allo stesso tempo alleggerire il ruolo della BCE, che attualmente è il solo garante per i tassi a zero e per le iniezioni di liquidità miliardarie.

Euro-salvataggio in 3 fasi

"Una riforma dell'Euro può' essere impopolare per i politici, ma è decisiva. L'azione di Draghi ha salvato l'Euro, ma ora i governi devono fare il loro lavoro" scrivono nell'appello. "L'Euro è vulnerabile e ha bisogno di riforme urgenti, altrimenti non sopravviverà alla prossima crisi. Non sappiamo, se la prossima crisi sarà fra 6 settimane, 6 mesi oppure 6 anni. Ma dobbiamo agire adesso".

Il salvataggio avrà successo in 3 fasi

Prima di tutto è necessario ampliare le misure di aiuto e di primo soccorso. Cosi' la zona Euro, ora in crisi, in futuro dovrà essere in grado di resistere agli shock esterni e interni. Gli strumenti già esistenti, come il meccanismo di stabilità ESM o l'unione bancaria dovranno essere ampliati e resi flessibili - per scongiurare le minacce in maniera preventiva. Con un budget di emergenza di 200 miliardi di Euro, in caso di necessità si potrebbero acquistare titoli di stato. 

Nella seconda fase le economie divergenti dovrebbero essere riportate verso un comune percorso di crescita. Qui il gruppo degli Euro-salvatori propone il metodo del bastone e della carota. Gli stati in crisi dovranno applicare immediatamente le riforme strutturali. In cambio saranno ricompensati rapidamente con un pacchetto di investimenti miliardari. 

A quel punto l'Europa sarebbe pronta per il terzo e ultimo passo. I salvatori lo chiamano il "momento federale". E qui arriva il loro messaggio principale. Gli stati nazionali dovranno alla fine cedere la loro sovranità e fare spazio al più' Europa. Ne nascerebbe una unione monetaria "basata su di un'ampia condivisione dei rischi e della sovranità", guidata da un governo economico democraticamente eletto.

L'Euro-manifesto arriva in un momento critico

L'ESM dovrebbe diventare una sorta di Fondo Monetario europeo. Un ministro finanziaro dell'Euro sotto il controllo parlamentare si assumerebbe la responsabilità politica sui programmi di aiuto. Ci sarebbe un budget Euro e una assicurazione comune sui depositi. In questa fase la battaglia contro la crisi sarebbe conclusa e si avrebbe un quadro solido e di lungo periodo in grado di garantire a tutti i cittadini europei una struttura democratica e la stabilità economica. Il primo passo per il completamento dell'Unione monetaria dovrebbe essere la modifica dei trattati UE.

La proposta dei presunti salvatori arriva in un momento critico. Nei 5 principali paesi dell'Eurozona nei prossimi mesi ci saranno importanti elezioni o referendum. In Germania, Francia e Olanda e probabilmente anche Spagna si dovranno votare i nuovi capi di governo o i presidenti. L'Italia ha sull'agenda, entro dicembre, un referendum sulla riforma costituzionale. Nella maggior parte dei paesi, l'idea del piu' Europa, ed è esattamente questo il punto centrale del manifesto, non è particolarmente popolare. Che gli autori del manifesto siano le classiche Euro-élite, che non hanno saputo mantenere le loro promesse di crescita e prosperità, contribuisce ad alimentare lo scetticismo di molti critici. 

Dopo tutto gli autori rivendicano la volontà di sopperire alle debolezze strutturali dell'Eurozona. In parole semplici, ci sono solo 2 sistemi costituzionali stabili: quello in cui i membri della zona Euro mantengono le libertà degli stati nazionali. In questo caso devono anche assumersi la responsabilità delle loro azioni, che nel caso di una unione monetaria significa anche la possibilità di fallire. Oppure, le decisioni e le responsabilità vengono messe in comune. Vale a dire: l'Europa avrebbe l'ultima parola anche sui bilanci pubblici nazionali, nella definizione dei salari o nelle politiche per la concorrenza.

La centralizzazione da sola non è la panacea

Ogni individuo nella sua vita quotidiana prende delle decisioni, le cui conseguenze non possono semplicemente gravare sui vicini di casa. L'UE funziona esattamente in questo modo - con risultati modesti. La BCE, con il suo programma di acquisti, è sola nel tentativo di mantenere in piedi una struttura instabile. Una integrazione maggiore e piu' profonda, secondo il gruppo di esperti, sarebbe la soluzione agli attuali difetti di costruzione.

Che la centralizzazione da sola non sia una panacea, lo mostra chiaramente la situazione del nostro vicino in difficoltà, la Francia. L'economia è sclerotizzata, la competitività è in caduta libera a causa della mancanza di volontà riformatrice. Uno sviluppo in questa direzione non salverebbe l'UE dal baratro - al contrario. Inoltre, solo pochi stati sono pronti a trasferire le loro competenze a Bruxelles. 

Questo lo sanno anche gli autori del manifesto e per questo propongono un "approccio intergovernativo". Questo punto in particolare in Germania non sarebbe particolarmente popolare. E' stato in primo luogo il Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble in Europa ad affermare un principio. Temendo che la disponibilità ad un aiuto immediato avrebbe ridotto gli sforzi di riforma, gli aiuti sono stati concessi solo in cambio delle riforme.

E' vero che anche gli autori vorrebbero far fluire gli aiuti solo dopo aver visto le riforme. Ma il pacchetto di aiuti di primo soccorso potrebbe invogliare molti governi a rinviare le dolorose riforme economiche necessarie. Tanto piu' che i 200 miliardi di Euro previsti non sarebbero nemmeno sufficienti per calmare i mercati finanziari in caso di crisi. 

giovedì 22 settembre 2016

La Bundesbank difende Draghi

Nell'ultimo bollettino mensile Bundesbank analizza gli effetti redistribuivi della politica monetaria della BCE. Secondo la banca centrale tedesca i tassi a zero non sono necessariamente un favore ai ricchi, ci sarebbero effetti positivi anche per i redditi piu' bassi. Un riassunto da bundesbank.de, per l'analisi completa qui
L'obiettivo della politica monetaria dell'Eurosistema è una moneta stabile. La redistribuzione dei redditi e dei patrimoni all'interno della società è un compito della politica. Nonostante questa chiara divisione dei compiti, le banche centrali dell'Eurosistema sono state accusate di favorire la disuguaglianza nella redistribuzione della ricchezza all'interno della società. "Nel dibattito pubblico i programmi di acquisto delle banche centrali sono considerati responsabili dell'aumento di valore di alcune voci dell'attivo, come gli immobili e le azioni, che nelle dinamiche di redistribuzione sono associate ai patrimoni di grandi dimensioni", si dice nel rapporto mensile. Questa conclusione secondo gli economisti di Bundesbank è avventata.

I critici escludono la possibilità di una riduzione della disuguaglianza

In primo luogo per i critici le misure dell'Eurosistema avrebbero effetti esclusivamente sull'aumento del valore dei patrimoni, ma non ad esempio sulla congiuntura e sul mercato del lavoro. Se le misure di politica monetaria migliorano le condizioni del mercato del lavoro, diminuisce il rischio di restare disoccupato. I lavoratori poco qualificati, e le famiglie piu' povere ne possono approfittare, dato che i membri di queste categorie di solito rischiano di perdere il lavoro non appena la situazione economica peggiora. Il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro potrebbe potenzialmente ridurre le disuguaglianze distributive. 

Gli effetti redistribuivi nel tempo possono cambiare

Molti studi non considerano che gli effetti della politica monetaria agiscono attraverso differenti canali e in tempi diversi. Il prezzo delle azioni, la cui crescita va di solito a vantaggio delle famiglie piu' ricche, reagisce in maniera indiretta alle misure di politica monetaria. Anche gli effetti della politica monetaria sull'occupazione sono d'altra parte visibili solo dopo un certo periodo di tempo. Ed è possibile che ad approfittarne siano le famiglie piu' povere. Secondo gli autori, gli effetti redistribuivi delle misure straordinarie di politica monetaria possono modificarsi nel corso del tempo. "Misure che in un primo momento possono avere effetti redistribuivi verso l'alto, potrebbero in una fase successiva avere un effetto opposto", scrivono gli esperti Bundesbank. Inoltre, i critici non possono sapere, come si sarebbe sviluppata la situazione se le misure di politica monetaria non fossero state adottate.

L'effetto complessivo sulla distribuzione della ricchezza non è chiaro

Sulla base delle ricerche attuali gli economisti della Bundesbank hanno studiato gli effetti redistribuivi delle misure straordinarie di politica economica dell'Eurosistema. Le misure straordinarie di politica monetaria, nel breve termine, potrebbero aver fatto aumentare la diseguaglianza attraverso un aumento del valore dei patrimoni, secondo gli esperti Bundesbank. L'effetto di medio e lungo termine per il momento non è chiaro, poiché questo dipende in modo significativo dai processi generali di aggiustamento dell'economia in risposta alle politiche monetarie.

Nella distribuzione dei redditi le misure straordinarie di politica monetaria potrebbero aver portato ad una riduzione delle disuguaglianze. Studi empirici recenti negli Stati Uniti e nel Regno Unito mostrano che un taglio dei tassi di interesse può' ridurre le disparità di reddito. Per raggiungere questo obiettivo è stato fondamentale il calo dei tassi e la conseguente riduzione della disoccupazione. "Una riduzione delle disparità di reddito a seguito delle misure straordinarie di politica monetaria sembra probabile, purché le misure straordinarie almeno negli elementi essenziali non abbiano sulla redistribuzione gli stessi effetti delle politiche tradizionali", concludono gli economisti di Bundesbank.

mercoledì 21 settembre 2016

H. W. Sinn: i tassi a zero impediscono la ripresa

H. W. Sinn, ormai in pensione, non rinuncia ad attaccare la politica delle banche centrali: i tassi a zero sono la vera causa della lunga stagnazione. Da Wirtschaftswoche

Denaro a basso costo e tassi a zero non stimolano la crescita, piuttosto aiutano a difendere i patrimoni dei ricchi. Una ripresa duratura sarà possibile solo con un cambio di paradigma economico. 

Quando John Williams, il presidente del potente distretto FED degli stati della costa ovest, ha recentemente proposto di aumentare l'obiettivo di inflazione della FED dal 2 al 3%, molti investitori hanno tirato un sospiro di sollievo. Hanno interpretato la proposta come un segnale per ulteriori bassi tassi di interesse. Tassi più' alti avrebbero significato azioni ed immobili ad un prezzo più' basso - e quindi bilanci in difficoltà.

Williams ha motivato la sua raccomandazione con il pericolo di una "Stagnazione Secolare", un concetto introdotto nel 1938 da Alvin Hansen, un contemporaneo di Keynes. Stagnazione secolare significa: c'è un duraturo eccesso di risparmio rispetto agli investimenti, che anche con i tassi a zero non scompare, perché le opportunità di investimento redditizie sono esaurite. Hansen intendeva smaltire gli eccessi di risparmio attraverso un permanente deficit di bilancio dello stato.

Williams invece si affida alla politica monetaria. Poiché il tasso di interesse reale naturale, quello con il quale viene realizzata la quantità necessaria di investimenti, è nullo o addirittura negativo, la banca centrale dovrebbe puntare a raggiungere un'inflazione più' alta con un tasso di interesse nominale più' basso.

Con la sua paura di una stagnazione secolare l'autore non è solo. Economisti come Carl Christian von Weizsäcker o Larry Summers hanno espresso timori simili. Anche io nel 2009 ho descritto i pericoli di una stagnazione secolare di tipo giapponese.

Nel frattempo molta acqua è passata sotto i ponti, ed in considerazione degli interventi delle banche centrali, ai limiti del loro mandato, emerge una nuova ipotesi. Io la chiamo "malattia cronica auto-prodotta".

Alla base di questa ipotesi c'è il ciclo economico Schumpeteriano. A causa di aspettative regolarmente errate si formano bolle speculative. Le bolle scoppiano, e dopo si torna alla crescita. Gli investitori in previsione di un aumento dei prezzi e dei redditi acquistano immobili e proprietà commerciali, fondano nuove imprese. I prezzi immobiliari crescono, c'è un boom edilizio. 

Inizia una fase di espansione, che si autoalimenta con l'aumento della domanda interna e che coinvolge anche il settore dei servizi. I redditi crescenti spingono la concessione del credito, e l'economia inizia a surriscaldarsi. La valuta si apprezza, l'import aumenta.

Poi la bolla scoppia. L'economia collassa, i prezzi degli immobili scendono, la valuta si deprezza, le aziende falliscono. Terreni, capannoni e case restano inutilizzati e invenduti, e non meno importante, anche i lavoratori restano senza un impiego. Con prezzi più' bassi, un tasso di cambio più' basso e salari più' bassi ci sono nuovi investitori pronti ad entrare, e a fondare nuove aziende con nuove idee di business. Dopo la "distruzione creatrice" c'è una nuova fase di espansione.

Nella fase attuale la distruzione creatrice, come base per una nuova fase espansiva, viene impedita dalla politica monetaria. Le banche centrali si sono lasciate persuadere dai possessori di patrimoni a superare il ciclo economico di Schumpeter mediante la stampa di denaro su larga scala. Hanno fermato la caduta dei prezzi degli asset ed evitato la dissoluzione di molti patrimoni, ma hanno anche evitato che un numero sufficiente di giovani imprenditori e investitori entrasse in campo.

Ad occupare la scena sono sempre le vecchie imprese che a fatica restano a galla, ma che non hanno le forze necessarie per fare nuovi investimenti. Soprattutto in Europa si tengono in vita aziende e banche zombie, bloccando i concorrenti emergenti, che potrebbero guidare la crescita futura. Cosi' l'economia si irrigidisce in una situazione che assomiglia alla stagnazione secolare di Hansen - ma che in realtà è una stagnazione auto-prodotta.

Poiché i bassi tassi implicano un alto valore dei patrimoni, ma non guadagni in conto capitale, i tassi dovranno essere sempre ulteriormente ridotti al fine di garantire agli investitori finanziari i guadagni e i redditi personali da essi derivanti. Con i tassi calanti l'economia finisce in una situazione di "malattia cronica permanente". Questa potrà terminare solo quando nella politica monetaria ci sarà un cambio di paradigma - se non una vera e propria rivoluzione culturale. 

martedì 20 settembre 2016

Trucchi tedeschi

Come il Ministero delle Finanze tedesco cerca di nascondere l'evidenza: in Germania si fanno pochi investimenti pubblici. Mark Schieritz su Die Zeit.


Per il Ministro delle Finanze tedesco la vita non è mai stata troppo facile. Non c'è una singola conferenza economica internazionale durante la quale al ministro non venga chiesto di fare di più' per rafforzare gli investimenti in Germania. Non può' andare avanti così, avrà pensato qualcuno al Ministero delle Finanze, e avrà quindi deciso di creare un documento per cercare di togliere il vento dalle vele degli avversari.

Come si fa? Semplice, basta riformulare il problema, con ordine pero'.

Nel rapporto pubblicato dal Ministero delle Finanze vengono confrontati i tassi di investimento fra i diversi paesi. Dal documento emerge che il settore privato in Germania investe (relativamente) molto, fatto che nella relazione e nella documentazione viene ampiamente evidenziato (grafico).


Se gli investimenti privati crescono è sicuramente un dato positivo, ma viviamo in una economia di mercato e per gli investimenti privati lo stato è solo indirettamente responsabile. Il dibattito politico non dovrebbe essere se BMW decide o no di mettere in funzione una nuova linea di produzione. Si dovrebbe invece discutere se lo stato contribuisce sufficientemente al mantenimento e alla salvaguardia delle infrastrutture pubbliche - parole chiave in questo caso sono scuole e ponti fatiscenti.

Al Ministero delle Finanze la vedono in maniera diversa e nel documento appena pubblicato si legge la seguente conclusione:

"la richiesta di un aumento degli investimenti pubblici, per rafforzare gli investimenti nel loro complesso, non è sufficiente. Sarebbe sbagliato voler compensare con gli investimenti pubblici un basso livello di quelli privati. Se lo stato intende garantire un maggiore livello complessivo di investimenti, in primo luogo è suo compito migliorare le condizioni in cui gli investimenti possono essere realizzati dall'economia privata.  Detto in altre parole, indipendentemente dai bisogni reali, chiedere un aumento della spesa pubblica, potrebbe rivelarsi controproducente"

Probabilmente dipende anche dal fatto che il bilancio degli investimenti pubblici in Germania, nonostante diverse iniziative del governo federale, è tutt'altro che positivo, come del resto il rapporto stesso riconosce.


Negli investimenti pubblici la Germania è l'ultima della classe - e per relativizzare questa constatazione vengono utilizzati essenzialmente 3 argomenti: negli Stati Uniti gli investimenti sono riconducibili anche alle spese militari; nel resto dell'unione monetaria i fondi strutturali UE hanno spinto il tasso di investimento verso l'alto; in Francia lo stato fa più' investimenti perché lì lo stato ha ancora un ruolo importante nell'economia.

Potrebbe anche essere - ma è realmente plausibile che ci siano sempre fattori speciali per giustificare il fatto che il tasso di investimento è più' alto che in Germania? La situazione non migliora se si allarga il gruppo di paesi, come mostra il grafico seguente dell'OCSE (quota degli investimenti pubblici sul totale degli investimenti).



Anche la BCE arriva ad una conclusione simile (questa volta calcolando gli investimenti pubblici come quota del PIL).

Ma non è tutto, gli investimenti pubblici sono molto bassi non solo se confrontati con gli altri paesi, ma anche in una prospettiva storica. La loro quota sul PIL oggi è solo la metà di quella degli anni '70, come emerge da questo grafico del Consiglio dei Saggi economici (Sachverständigenrats).


Si potrebbe argomentare che cio' è riconducibile alle privatizzazioni, ma alla fine questa strategia evasiva non è convincente. E' necessario prendere una posizione chiara: lo stato tedesco investe molto meno di quanto faceva prima, e molto meno rispetto a ogni altro paese sviluppato su questa terra.

Per me è chiaro che stanno solo cercando di nascondere con qualche trucco questo fatto ormai evidente.