giovedì 15 novembre 2018

Il documento segreto del ministero degli interni: nel 2015 il governo tedesco avrebbe potuto chiudere i confini

Dal ministero degli interni spunta un documento segreto redatto all'epoca da funzionari di alto livello secondo il quale la chiusura delle frontiere nell'estate del 2015 sarebbe stata perfettamente legale, a differenza di quanto Merkel sin da allora ha sempre sostenuto.  Ne parlano RT Deutsch e Die Welt



Il governo tedesco ha sempre motivato la scelta di non aver voluto chiudere i confini prima dell'arrivo in massa dei rifugiati nell'autunno del 2015 adducendo presunte "preoccupazioni legali". Ora invece si viene a sapere: in un documento segreto alti funzionari ministeriali dichiaravano il contrario.

Le frontiere tedesche nell'autunno 2015 potevano essere chiuse senza alcuna preoccupazione di carattare legale. Lo riporta la "Welt am Sonntag" sulla base di un documento segreto del Ministero degli Interni in suo possesso. Il documento includeva un piano elaborato dagli alti funzionari del ministero per chiudere i confini durante l’ondata migratoria innescatasi nel settembre 2015.

Nel documento dal titolo "Possibilità di respingere coloro che cercano protezione alle frontiere tedesche", i funzionari discutevano le modalità per chiudere i confini e impedire ai rifugiati di attraversare il confine fra Austria e Germania. In alcuni atti non destinati alla pubblicazione i funzionari ministeriali erano arrivati alla conclusione: il respingimento sarebbe stato possibile e perfettamente legale.

A partire dal 2015 il governo tedesco ha sempre parlato di "preoccupazioni legali" come elemento cruciale per motivare la sua decisione di mantenere i confini aperti ai rifugiati. La rivelazione della WamS dimostra che si è trattato piuttosto di una decisione puramente politica. Ciò dovrebbe rendere ancora più difficile lo sforzo dell'Unione di lasciarsi definitivamente alle spalle la questione dei rifugiati. Ancora in ottobre, prima di dare l'annuncio del suo ritiro dalla corsa per la segreteria del partito, Merkel durante il congresso CDU della Turingia aveva detto:

"Se vogliamo passare il resto del decennio ad occuparci di cosa è accaduto nel 2015 e di come sono andate le cose, e a sprecare il tempo in questo modo, allora finiremo per non essere piu’ un partito di massa".


La pubblicazione del documento del Ministero dell'Interno spinge almeno una parte dell'opposizione a rianalizzare gli eventi del 2015. Il leader della FDP Christian Lindner chiede "un chiarimento complessivo sul tema":

"Le rivelazioni gettano una luce abbagliante sulle pratiche di governo della signora Merkel. Le questioni centrali per il paese vengono dibattute in circoli chiusi e oscuri. La decisione relativa alla necessità da parte del nostro paese di accogliere rifugiati al di là di quanto previsto dal quadro normativo, tuttavia, doveva essere discussa in pubblico e in parlamento."

Anche Oskar Lafontaine valuta l'argomento in maniera simile a Lindner. Il leader della Linke nel parlamento della Saar ha detto che è necessario discutere quanto accaduto nel 2015:

"Né il Bundestag né gli stati federali, né i vicini europei furono adeguatamente coinvolti in quelle decisioni. Fino ad oggi è mancata la necessaria trasparenza, che è il prerequisito indispensabile per una decisione democratica".



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domenica 11 novembre 2018

Intervista a Clemens Fuest sulla situazione italiana: "come creditori siamo ricattabili"

Clemens Fuest, il presidente del prestigioso Istituto Ifo di Monaco di Baviera, intervistato da T-Online ci spiega quanto il rischio di implosione della moneta unica sia reale e ci ricorda un concetto di base, apparentemente molto chiaro anche ai tedeschi: i creditori sono sempre ricattabili. Da T-Online


T-Online: Herr Fuest, i partiti di governo nel nostro paese attualmente sono molto presi da questioni personali. Un altro tema con conseguenze enormi per la Germania sta invece passando in secondo piano: la crisi economica in Italia. Il nuovo governo di Roma vuole fare piu' deficit. La Commissione europea ha respinto il bilancio. E ora?

Clemens Fuest: un paese senza una propria moneta non può permettersi un debito pubblico superiore al 130% del PIL. Il vero problema in Italia non è l'eccesso di indebitamento, ma la stagnazione economica. L'Italia non cresce, la produttività del lavoro ristagna dagli anni '90. L'economia italiana è stata duramente colpita dalla globalizzazione e non è riuscita ad adattarvisi. Le ragioni risiedono in un sistema educativo mal funzionante, in un sistema giudiziario poco efficace e in una regolamentazione del mercato del lavoro paralizzante.

T-Online: Quindi l'Italia ha bisogno di riforme Hartz sul modello tedesco?

Clemens Fuest: bisogna essere molto attenti con il messaggio: fate come i tedeschi! L'Italia è un paese con condizioni diverse. Nel mercato del lavoro, a differenza della Germania prima delle riforme Hartz, il problema non è che i benefici per i disoccupati sono troppo generosi. Si tratta piuttosto del fatto che chi ha un impiego ha delle forti tutele e che i giovani hanno scarse possibilità di essere integrati nel mercato del lavoro.

T-Online: ciò si riflette anche sul mercato dei capitali, dove il nervosismo si sta diffondendo e i rendimenti dei titoli di stato italiani stanno crescendo. Un problema per il mercato finanziario dell'UE?

Clemens Fuest: i rendimenti crescenti dimostrano che il mercato finanziario funziona e che i rischi vengono prezzati. Se in Italia arriva una crisi finanziaria, i creditori avranno un problema. Lo stato italiano e le banche sono fortemente indebitate con i propri cittadini. Per quanto riguarda i paesi esteri, le banche tedesche sono molto meno coinvolte in Italia rispetto ad esempio a quelle francesi. Un terzo della cosiddetta esposizione verso l'estero dell'Italia, circa 300 miliardi di euro, è nei confronti della Francia. Ma difficilmente questo ci aiuterebbe in caso di emergenza, perché se la Germania ha prestato poco all'Italia, è invece molto esposta nei confronti della Francia. Il problema ci colpirebbe comunque.

T-Online: quanto è concreto il rischio di una bancarotta pubblica in Italia?

Clemens Fuest: nel breve periodo il rischio maggiore risiede in un'ondata di panico sul mercato dei capitali che potrebbe portare rapidamente alla bancarotta di stato. Sarebbe una situazione in cui gli investitori avrebbero dei dubbi sul fatto che l'Italia possa rifinanziare i propri debiti. Per questo i titoli di stato in scadenza non verrebbero riacquistati e il paese diverrebbe insolvente. Nel lungo periodo il rapporto debito/PIL dovrebbe scendere, altrimenti l'Italia nella prossima recessione economica si troverebbe in gravi difficoltà.

T-Online: se il gioco si fa duro, si aspetta che l'UE usi lo scudo salva stati e aiuti l'Italia a suon di miliardi?

Clemens Fuest: l'Italia è dieci volte più grande della Grecia. Stiamo parlando di molti soldi. Ma non penso che i fondi per il salvataggio siano insufficienti, come spesso si sostiene. Se l'Italia chiedesse un programma di aiuti al Meccanismo europeo di stabilità (ESM), la BCE potrebbe acquistare obbligazioni governative italiane e mantenere l'Italia liquida. La vera domanda è: possono ancora esserci programmi ESM?

T-Online: si riferisce alla questione delle competenze nazionali?

Clemens Fuest: sì. Non è chiaro se il Bundestag possa ancora approvare i programmi di salvataggio dell'ESM. Secondo la sentenza della Corte costituzionale tedesca, il programma OMT (acquisto illimitato di titoli di stato da parte della Banca centrale europea) costituisce un superamento delle competenze della BCE, mentre la Corte di giustizia europea afferma il contrario. Ciò solleva la questione su quale Corte il Bundestag dovrebbe seguire. Ancora più importante, in Italia c'è un governo che non vuole attenersi ai regolamenti dell'UE. In questa situazione i fondi di salvataggio europei non sono disponibili. Gli aiuti sarebbero disponibili solo se collegati a dei requisiti di ristrutturazione.

T-Online: qual'è influenza reale della Commissione europea nel tiro alla fune politico con il governo italiano?

Clemens Fuest: l'importanza del tiro alla fune politico fra Bruxelles e Roma è sovrastimata. E' il governo italiano che prende le decisioni in materia di bilancio, per questo è stato eletto. L'UE non sarà in grado di impedirlo. Le regole europee aiutano i governi che vogliono rispettare i criteri europei e implementarli contro le resistenze del proprio paese. L'idea che Bruxelles possa imporre le regole europee contro la volontà di un governo nazionale è un'illusione. Non funziona cosi'. Non possiamo costruire l'Eurozona su queste basi.

T-Online: e allora su quali?

Clemens Fuest: la chiave di tutto sta nella disciplina di mercato. Da un lato è corretto dire che gli elettori italiani hanno democraticamente deciso di indebitarsi. Ma ciò significa anche dire che non possono trasferire i costi ai contribuenti degli altri Stati dell'euro.

T-Online: sembra ragionevole, ma anche un po troppo semplice. Di nuovo piu' concretamente: quale margine di manovra ha a disposizione l'UE per impedire alla crisi italiana di infettare il resto d'Europa?

Clemens Fuest: in sostanza, l'Unione europea deve fare due cose: in primo luogo tenere aperto un canale di dialogo. Abbiamo un interesse fondamentale affinché in Italia non vi sia una bancarotta dello stato. In secondo luogo l'UE deve prepararsi per una crisi. Ciò significa che bisognerebbe ridurre l'esposizione al rischio Italia e quindi essere meno ricattabili.

T-Online: quindi ritirare il denaro dall'Italia, denaro che lì è effettivamente necessario e farlo in maniera urgente.

Clemens Fuest: non è compito degli altri stati della zona euro mantenere liquido uno stato italiano che intende abbandonare le regole del gioco concordate con gli altri paesi. Il problema è che come creditore sei ricattabile. Le banche nel resto dell'eurozona dovrebbero ridurre i loro crediti finanziari verso lo stato italiano e le sue banche o meglio coprirli con il patrimonio netto. Altrimenti, in caso di crisi, saremo costretti a salvare un'altra volta le nostre banche con i soldi dei contribuenti.

T-Online: guardiamo avanti: cosa succede se il governo italiano non si ferma, ma si attiene al suo corso e continua a fare debito per ampliare lo stato sociale?

Clemens Fuest: lo scenario più probabile è che il paese al prossimo rallentamento economico finisca in una crisi finanziaria: una bancarotta statale in Italia porterebbe a una crisi dei mercati finanziari sulla cui portata si può solo speculare. Se il sistema bancario italiano dovesse essere di fronte ad un crollo, l'Italia potrebbe introdurre volontariamente una nuova valuta. C'è anche la variante della valuta parallela, i cosiddetti mini-Bot. Tutto ciò, tuttavia, porterebbe a degli scontri molto forti all'interno della zona euro.

T-Online: quindi un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari potrebbe essere una soluzione, come alcuni stanno chiedendo?

Clemens Fuest: nella situazione attuale sarebbe un grave errore. L'Italia in questo modo potrebbe  vendere più titoli di stato alle proprie banche. Se dovessero fallire, le perdite verrebbero trasferite alla comunità dell'Eurozona. La pressione dei mercati finanziari sull'Italia si ridurrebbe, e verrebbe incentivato il superamento dei limiti all'indebitamento concordati con gli altri stati. Se vogliamo che l'eurozona nel lungo periodo funzioni, abbiamo bisogno di un'assicurazione comune sui depositi. Tuttavia, il prerequisito obbligatorio per fare ciò è che le banche abbandonino completamente o almeno in gran parte il finanziamento dei loro rispettivi stati di appartenenza. Altrimenti è meglio lasciar stare.

T-Online: detto in maniera piu' semplice: da anni l'Italia scivola da una situazione di precarietà politica ed economica all'altra. Il Paese è riformabile?

Clemens Fuest: credo di sì. Possiamo guardare alla situazione italiana anche in modo diverso. Immaginate che la Germania abbia attraversato un periodo stagnazione di 20 anni. Come sarebbe il nostro paese dal punto di vista politico? Il fatto che la società italiana sia rimasta stabile per così tanto tempo merita rispetto. Ciò che manca sono delle riforme convinte; forse arriveranno quando sarà chiaro che la politica attuale sta solo esacerbando i problemi.

T-Online: diamo un'occhiata alla Germania. In che modo la crisi italiana ci influenzerà?

Clemens Fuest: la Germania ha un interesse urgente affinché in Italia possa arrivare quanto prima una ripresa economica. Il governo tedesco dovrebbe rivolgersi al governo di Roma e cercare di convincerlo a fare politiche europee che dal punto di vista finanziario possano ridurre il peso sugli altri paesi membri. Invece da Berlino arriva solo un silenzio minaccioso.

T-Online: cosa potrebbero fare insieme Germania e Italia per stabilizzare la situazione?

Clemens Fuest: la Germania e l'Italia potrebbero sviluppare una politica estera e di sicurezza europea e cooperare più strettamente nella politica  migratoria e dello sviluppo. Acquisti militari congiunti, la messa in comune di ambasciate e consolati, aiuti allo sviluppo europei invece che nazionali e frammentati, tutto ciò ridurrebbe il peso sul bilancio dello Stato. Si ha l'impressione che la Germania sia troppo impegnata con se stessa e troppo poco con l'Europa.

T-Online: perché è così?

Clemens Fuest: nella Große Koalition si tengono sotto controllo a vicenda. Fanno allo stesso tempo lavoro di governo e di opposizione.

T-Online: il governo federale non sta quindi lavorando efficacemente?

Clemens Fuest: bisogna essere prudenti con simili giudizi. Ma la lotta per il potere a Berlino è una realtà. Gli argomenti europei passano in cavalleria. Sono importanti almeno quanto la questione abitativa o la migrazione. Il pericolo che l'UE e l'euro cadano in pezzi è molto reale.
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sabato 10 novembre 2018

Commemorazioni e perdono a basso costo

Mentre i greci e i polacchi continuano a chiedere un risarcimento per i danni di guerra causati dalla furia distruttrice dei nazisti, i tedeschi scelgono una strategia finalizzata a distogliere l'attenzione: spedire i loro politici di alto livello in giro per l'Europa a celebrare e commemorare le vittime del nazismo, negando tuttavia ogni forma di risarcimento. Da un lato Berlino chiede piu' responsabilità ai governi del sud, dall'altro si rifiuta di assumere ogni responsabilità per i crimini commessi dai nazisti tra il 1939 e il 1945. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


Prestiti UE come un bavaglio

Il rapporto della commissione bipartisan del Parlamento greco che stima in 288 miliardi di euro le riparazioni di guerra che la Germania deve alla Grecia - e a cui si aggiungono gli undici miliardi di euro di un prestito forzoso fatto ai nazisti e mai rimborsato - è stato completato nel mese di agosto del 2016. Come confermato da Kostas Douzinas, professore di diritto presso il London Birkbeck University e presidente del Comitato parlamentare di Atene per gli Affari Esteri e la Difesa, il governo di Atene negli ultimi due anni non ha potuto trarre le dovute conseguenze dal rapporto e quindi ottenere da Berlino le riparazioni spettanti, in quanto la Grecia fino ad agosto 2018 "ha continuato a ricevere prestiti dall'UE". [1] Bruxelles pertanto  grazie ai cosiddetti "aiuti finanziari" ha contribuito a far risparmiare alla potenza egemone dell'UE il pagamento delle riparazioni previste dalla normale giurisprudenza in riferimento alle peggiori devastazioni di guerra causate dall'occupazione nazista negli anni fra il 1941 e il 1944. Poco dopo la fine del "programma di aiuti" il Presidente del parlamento greco, Nikos Voutsis, ha annunciato che Atene già quest'anno intende prendere le misure  necessarie per chiedere e ottenere i risarcimenti dovuti. [2] Nel mese di ottobre, il presidente greco Prokopis Pavlopoulos durante la visita del suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier ha confermato che il governo greco intende portare avanti le sue legittime richieste. [3] A breve sono quindi attesi i primi passi della parte greca.

Lo sviluppo impedito

Allo stesso tempo i politici ateniesi sottolineano che il danno di guerra causato dalla Germania ha contribuito in maniera significativa a rallentare lo sviluppo economico greco. Secondo le stime degli esperti durante l'occupazione tedesca a causa della malnutrizione sono morti circa un quarto di milione di greci. Circa 60.000 greci ebrei sono stati deportati nei campi di sterminio tedeschi e lì sono deceduti; almeno 30.000 greci sono stati invece uccisi nei massacri compiuti dalle SS e dalla Wehrmacht. Il danno materiale è "difficile da calcolare", scrive lo storico Hagen Fleischer, un esperto di storia della Grecia sotto l'occupazione tedesca. [4] Subito dopo l'invasione gli occupanti hanno razziato materie prime e generi alimentari in enormi quantità; non hanno solo sottratto il sostentamento alla popolazione, ma hanno anche distrutto le basi dell'artigianato greco e della già debole industria. A ciò si aggiungono, come sostenuto da Fleischer, "le perdite causate dall'iperinflazione e dalla distruzione delle infrastrutture in seguito allo sfruttamento economico da rapina (miniere, foreste, ecc) e la distruzione sistematica durante la ritirata: la maggior parte dei ponti ferroviari abbattuti, ben oltre l'80% del materiale rotabile distrutto, il 73% delle navi commerciali affondate, quasi 200.000 case totalmente o parzialmente distrutte". La distruzione è stata "così profonda", riassume il giornalista ed europarlamentare greco Stelios Kouloglou "che ha avuto un ruolo significativo nel ritardare lo sviluppo e la trasformazione del nostro paese in uno stato europeo moderno." [5]

Politica della terra bruciata

Secondo un verdetto unanime, al di fuori del mondo slavo la Grecia è stato il paese ad aver sofferto piu' di ogni altro sotto il regno del terrore tedesco. Fra i paesi del mondo slavo ad essere colpiti in maniera ancora piu' terribile dalla guerra di sterminio tedesca c'è sicuramente la Polonia. La guerra di annientamento e il terrore durante l'occupazione hanno causato la morte di circa sei milioni di polacchi. Senza precedenti sono anche i danni materiali causati dagli occupanti tedeschi con la loro "politica della terra bruciata" nelle azioni di guerra, nella guerra contro i partigiani, nei massacri oppure durante la ritirata. L'esempio più noto è la distruzione per oltre il 90% della capitale Varsavia. Come quello greco, anche il parlamento polacco ha voluto quantificare il danno causato dagli occupanti tedeschi. I danni ammonterebbero a 840 miliardi di euro. [6] Anche a Varsavia si prepara una richiesta di risarcimento da presentare alla Germania e, se possibile, se ne verifica la fattibilità. "A mio avviso, le riparazioni di guerra non sono un problema risolto" ha infatti recentemente dichiarato il presidente polacco Andrzej Duda in occasione delle consultazioni governative fra tedeschi e polacchi. [7]

Perdono gratuito

Berlino ha scelto di dare la sua consueta risposta sia alle richieste della Grecia che a quelle della Polonia: diniego e distrazione. Ad essere negati non sono i crimini tedeschi, ma il fatto che ad essi debbano seguire degli obblighi di risarcimento e di indennizzo definiti giuridicamente: Berlino continua a sostenere che in primo luogo avrebbe già pagato un risarcimento piu' che sufficiente e che in secondo luogo non è obbligata a pagare altri soldi. Entrambe le argomentazioni non sembrano essere vere, nonostante tutti gli sforzi fatti dal governo di Berlino, mediante diversi trucchi legali, per evitare le pretese delle numerose vittime del nazismo (german-foreign-policy.com riportato [8]). Le autorità tedesche cercano infatti di distrarre l'attenzione dalla crescente insoddisfazione presente nei paesi colpiti, partecipando incessantemente a una commemorazione dietro l'altra; fatto che suggerisce un apprezzamento simbolico per le vittime, ma che allo stesso tempo implica un rigoroso rifiuto di qualsiasi compensazione materiale. Recentemente il presidente della repubblica Steinmeier ha voluto celebrare questo concetto durante la sua visita in Grecia. Steinmeier in una cerimonia commemorativa di metà ottobre ha detto: ​​"Ci inchiniamo alle vittime, e soprattutto chiediamo perdono per quello che è successo in Grecia". [9] Il "perdono" tuttavia dovrebbe essere concesso gratuitamente. Steinmeier intende visitare il prossimo primo settembre la Polonia in occasione dell'ottantesimo anniversario dell'invasione tedesca. Dal punto di vista di Berlino, dovranno essere presentate formulazioni simili a quelle proposte durante la visita del presidente federale in Grecia.

La responsabilità della Germania

Chi dalla Grecia critica il rifiuto tedesco di pagare un risarcimento fa ricorso a un termine che anche al governo tedesco spesso piace usare: "responsabilità". Nel gergo di Berlino viene spesso usato per descrivere la nuova ambizione egemonica globale tedesca: poiché la Germania ha concquistato un "nuovo potere", ora deve farsi carico anche di una "nuova responsabilità", almeno cosi' era scritto già diversi anni fa in maniera esemplare in un lavoro programmatico della Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik ( SWP), che in questo modo cercava di legittimare l'offensiva politica a livello mondiale della Repubblica Federale. [10] Più di recente, tra gli altri, anche il Ministro degli Esteri Heiko Maas, ha postulato una "crescente responsabilità del nostro Paese" - "ai tavoli negoziali di Minsk, Vienna e Losanna, Bruxelles e New York": bisogna "accettare la responsabilità, dove ci viene chiesto di farlo" ha detto Maas. [11] "La Germania", dice il deputato greco Koúloglou, "non ha mai assunto la sua storica responsabilità per aver completamente distrutto il nostro paese" [12]. Questo vale non solo per la Grecia, ma anche per la Polonia e per tutti gli altri paesi invasi dal terrore nazista nel continente europeo.

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[1] Helena Smith: Greece reiterates claim of €288bn for damages under Nazi occupation. theguardian.com 29.10.2018.

[2] German war reparations report to come to House this year, Parl't speaker says. ekathimerini.com 12.09.2018.

[3] Greece broaches war reparations issue again. ekathimerini.com 11.10.2018.

[4] Hagen Fleischer: Die deutsche Besatzung(spolitik) in Griechenland und ihre "Bewältigung". sogde.org, Dezember 2013.

[5] Helena Smith: Greece reiterates claim of €288bn for damages under Nazi occupation. theguardian.com 29.10.2018.

[6] Jan Puhl: Muss Deutschland jetzt Milliarden an Polen zahlen? spiegel.de 11.09.2017.

[7] "Kein erledigtes Thema". tagesschau.de 28.10.2018.

[8] S. dazu Die Regelung der Reparationsfrage und Die Reparationsfrage.

[9] Steinmeier bittet Griechen um Verzeihung. zeit.de 11.10.2018.

[10] Neue Macht - Neue Verantwortung. Elemente einer deutschen Außen- und Sicherheitspolitik für eine Welt im Umbruch. Ein Papier der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) und des German Marshall Fund of the United States (GMF). Berlin, Oktober 2013. S. dazu Die Neuvermessung der deutschen Weltpolitik.

[11] Rede zum Amtsantritt von Bundesaußenminister Heiko Maas. auswaertiges-amt.de 14.03.2018.

[12] Helena Smith: Greece reiterates claim of €288bn for damages under Nazi occupation. theguardian.com 29.10.2018.


venerdì 9 novembre 2018

La questione nucleare tedesca

Sulle riviste specializzate tedesche si torna a parlare della necessità di trasformare la Germania in una potenza nucleare. Consapevoli tuttavia delle difficoltà che una simile scelta comporterebbe, i tedeschi ipotizzano di condividere il potenziale nucleare francese facendolo passare come un progetto di difesa europeo. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


Il Trattato per la proibizione delle armi nucleari

La "classe politica della Repubblica federale tedesca" deve "tornare a prendere la parola in merito alle questioni nucleari". E' quanto chiede Michael Rühle, un dirigente NATO di lungo corso, nell'ultimo numero della rivista "Internationale Politik" pubblicato dalla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Rühle, attualmente a capo della sicurezza energetica nel Dipartimento NATO che si occupa delle nuove sfide alla sicurezza, fa riferimento al fatto che il nuovo Trattato per la proibizione delle armi nucleari espone anche la Germania ad un certo livello di pressione. Il trattato è stato elaborato nell'ambito delle Nazioni Unite e vieta di sviluppare, fabbricare, provare, possedere, immagazzinare, trasferire o utilizzare ogni arma atomica. Viene espressamente vietata anche ogni minaccia di un loro possibile uso. Il 20 settembre 2017, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha presentato il trattato per sottoporlo alla firma dei membri. Finora 69 stati l'hanno firmato, 19 lo hanno già ratificato. Entrerà in vigore 90 giorni dopo il deposito del cinquantesimo attestato di ratifica. Per ora tra i firmatari ci sono solo quattro paesi europei (Austria, Irlanda, Liechtenstein, Vaticano). Non un solo membro della NATO sostiene l'accordo. [2]

L'alleanza nucleare

Rühle rifiuta categoricamente l'idea che il governo tedesco possa firmare il trattato per la proibizione delle armi nucleari. Berlino, constata il dirigente di unità NATO, non solo condivide "la maggiore enfasi sull'importanza del deterrente nucleare presente nei documenti pertinenti della NATO", ma "non intende in alcun modo sconvolgere il ruolo della Germania nella cosiddetta compartecipazione nucleare" all'interno dell'alleanza militare. La NATO, a sua volta, "secondo il parere di tutti gli alleati, dovrà rimanere un'alleanza nucleare fino a quando esisteranno le armi nucleari". C'è probabilmente da aspettarsi che il trattato per la proibizione delle armi nucleari "presto diventi una realtà politica e morale di lungo periodo". In tale caso Rühle chiede che "la leadership politica e militare sia in grado di difendere il deterrente nucleare dai suoi critici, ... i quali cercheranno costantemente di screditarne il concetto di fondo". A ciò si aggiunge che "i dubbi circa l'affidabilità degli Stati Uniti come alleato dell'Europa permarranno anche nel prossimo futuro". Per questa ragione Berlino dovrebbe posizionarsi con convinzione a favore delle armi nucleari.

La Germania potenza nucleare

Rühle in questo quadro si esprime esplicitamente contro la richiesta di dotare la Germania di una propria arma nucleare. Una richiesta che recentemente è stata avanzata più volte pubblicamente. Cosi' ad esempio il professore emerito di scienze politiche di Bonn Christian Hacke nel mese di luglio su diversi giornali e in diversi articoli di riviste chiedeva di "discutere pubblicamente e senza riserve" la seguente questione: "Come potremmo affrontare il tema di una Germania potenza nucleare?". [4] Hacke scriveva che "una futura difesa nazionale tedesca fondata su di un proprio deterrente nucleare, alla luce delle nuove incertezze transatlantiche e dei potenziali conflitti, dovrebbe avere la priorità". E' necessario capire a "quali condizioni e con quali costi," la "potenza centrale europea potrebbe trasformarsi in una potenza nucleare". Rühle, al contrario avverte con insistenza che una "bomba tedesca" avrebbe delle gravi conseguenze negative - "dai limiti imposti dal diritto internazionale alle conseguenze per la non proliferazione nucleare fino alle gravi e inevitabili controversie intra-europee e transatlantiche" [5]. Allo stesso modo si era già espresso in estate Wolfgang Ischinger, capo della Conferenza per la sicurezza di Monaco di Baviera". Se la Germania "dovesse uscire dallo stato di potenza non nucleare", cosa potrebbe impedire ad esempio alla Turchia o alla Polonia di fare lo stesso passo?", si chiedeva Ischinger, "la Germania sarebbe il becchino del regime internazionale di non proliferazione" [6]

"Deterrente esteso"

Nel nuovo dibattito berlinese sul nucleare, discussione che vorrebbe sfruttare le attuali divergenze con gli Stati Uniti per chiedere un "ombrello nucleare europeo" come possibile alternativa alla "bomba tedesca", spesso si fa riferimento alle forze nucleari francesi. Ad esempio Ischinger ha messo in campo l'opzione secondo la quale Parigi in futuro potrebbe "assumere un ruolo nucleare esteso nel senso di deterrenza ampliata a livello europeo". In questo ambito "paesi partner come la Germania potrebbero contribuire alle necessarie spese dei francesi" [7]. Ischinger tuttavia non menziona il fatto che al cofinanziamento è solitamente associato anche il diritto di co-decidere. Il suo intervento, tuttavia, è in linea con altre proposte fatte a Berlino per avviare la cooperazione nucleare con Parigi [8].

Una nuova garanzia nucleare

Il giornale "Internationale Politik" elenca invece delle opzioni concrete. Come scrive Bruno Tertrais, vicedirettore della Fondation pour la Recherche Stratégique di Parigi, nell'ultima edizione della rivista, la Francia sicuramente non permetterà "nessuna forza nucleare europea comune sotto la guida dell'UE" [9]. E' inoltre completamente "irrealistico" che "i partner europei possano co-finanziare le forze armate francesi" - e "in cambio ottengano il diritto di essere interpellati sulla politica di sicurezza francese". E' pensabile piuttosto che Parigi interpreti la clausola di mutua assistenza dell'UE nel senso di una garanzia di protezione nucleare e, per sottolineare questo, ad esempio possa far stazionare a turno gli aerei da combattimento nelle basi degli alleati dell'UE. Se gli Stati Uniti dovessero ritirare inaspettatamente le loro armi nucleari dall'Europa, sarebbero allora possibili dei passi più ampi, conclude Tertrais. Ad esempio Parigi potrebbe "collocare una parte del suo arsenale (ad esempio, dieci missili) in Germania o in Polonia". Sarebbe anche ipotizzabile l'impegno delle potenze non nucleari a "partecipare ad un attacco nucleare con mezzi convenzionali ".

"Discussione aperta"

Tertrais conclude: "Non sappiamo come le relazioni transatlantiche si svilupperanno, ed è per questo che è arrivato il momento di avviare una discussione aperta e onesta sulla questione nucleare tra i politici europei e gli esperti" [10].
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[1] Michael Rühle: Debatte der Extreme. Internationale Politik, November/Dezember 2018. S. 102-107.

[2] Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons. New York, 7 July 2017. treaties.un.org.

[3] Michael Rühle: Debatte der Extreme. Internationale Politik, November/Dezember 2018. S. 102-107.

[4] Christian Hacke: Falsches Hoffen auf die Zeit nach Trump. cicero.de 20.07.2018. Christian Hacke: Eine Nuklearmacht Deutschland stärkt die Sicherheit des Westens. welt.de 29.07.2018. S. dazu Die deutsche Bombe.

[5] Michael Rühle: Debatte der Extreme. Internationale Politik, November/Dezember 2018. S. 102-107.

[6], [7] Wolfgang Ischinger: Ein atomares Deutschland wäre verhängnisvoll. welt.de 30.07.2018.

[8] S. dazu Make Europe Great Again und Der Schock als Chance.

[9], [10] Bruno Tertrais: Europas nukleare Frage. Internationale Politik, November/Dezember 2018. S. 108-115.

giovedì 8 novembre 2018

El-Erian su Handelsblatt: perché il governo italiano non ha torto

Mohamed El-Erian, consigliere economico capo di Allianz, il gigante tedesco delle assicurazioni, su Handelsblatt ci spiega perché nella interminabile disputa con la Commissione Europea probabilmente il governo di Roma non ha torto. La politica economica del governo italiano incassa un'altra apertura di peso dal dirigente di un gigante finanziario. Da Handelsblatt


I mercati, i decision-maker politici e i risk-manager stanno monitorando con attenzione la disputa sulla legge di bilancio tra il governo italiano e la Commissione europea. L'episodio evidenzia una tendenza sempre piu' forte a mettere in discussione l'ortodossia economica nelle economie sviluppate e in quelle emergenti.

Il governo italiano ha ricevuto dagli elettori un mandato per promuovere una crescita più sostenuta e piu' inclusiva e ora intende mettere in pratica una politica fiscale più espansiva. Il suo progetto di bilancio tuttavia è stato "respinto" dalla Commissione europea in quanto non rispetterebbe le norme UE sul deficit. Di conseguenza Moody's ha declassato il rating sul debito italiano portandolo di poco sopra al livello spazzatura. Moody's giustifica il declassamento con i timori relativi alla situazione debitoria del paese e alle proiezioni di crescita eccessivamente ottimistiche del governo.

Data l'insistenza del governo italiano nel sostenere che non ci sarebbe "alcun piano B", i premi al rischio sui titoli di Stato italiani sono drasticamente aumentati. Contemporaneamente stanno aumentando anche le preoccupazioni in merito al sistema finanziario italiano. Alcuni arrivano addirittura a sostenere che l'Italia è una minaccia esistenziale per l'Eurozona.

Altri, invece, la considerano una pericolosa esagerazione: l'Italia beneficia di un profilo di servizio del debito di breve periodo, ha un avanzo di bilancio primario e un'eccedenza delle partite correnti nonché un potenziale economico considerevole.

Il vecchio problema della scarsa crescita italiana viene ora aggravato dal recente rallentamento dell'andamento economico europeo, dalle  frammentazioni regionali e dalla graduale riduzione delle iniezioni di liquidità da parte della Banca centrale europea. Per compensare questi fattori, l'Italia fa ricorso alla politica fiscale. In altre parole: il governo intende fare un deficit di bilancio più ampio per generare una maggiore crescita economica reale e potenziale.

Guardando al futuro, molto dipenderà dal fatto che la grande scommessa politica italiana resti in linea con le regole e le prescrizioni della Commissione europea. Non è la prima volta che nel mondo un governo da poco eletto mette in discussione l'ortodossia economica.

Entrato in carica nel gennaio 2015, il governo Syriza in Grecia ha immediatamente segnalato la sua volontà di abbandonare l'approccio convenzionale seguito dai suoi predecessori cercando perfino una conferma elettorale in un referendum nazionale.

Alla fine, tuttavia, a causa del rischio incombente di dover uscire dalla zona euro è stato costretto a tornare nell'ortodossia politica. Negli Stati Uniti, il governo Trump e i Repubblicani al Congresso nella fase finale del ciclo economico hanno imposto uno stimolo fiscale tramite una riduzione delle tasse.

Allo stesso modo la Turchia ha riscritto le regole relative alla gestione delle crisi. Fino ad ora, almeno, il governo è riuscito a superare una crisi valutaria senza aumentare in modo aggressivo i tassi di interesse o senza dover ricorrere ai finanziamenti del FMI.

Queste politiche non ortodosse mettono in discussione in maniera fondamentale le opinioni convenzionali su quale dovrebbe essere la sequenza delle misure di politica economica. Così sia l'Italia che la Turchia hanno respinto la credenza secondo la quale la stabilità macroeconomica deve venire prima dello stimolo fiscale e monetario.

Oppure detto in maniera piu' elegante: la stabilità macroeconomica non è tutto, ma senza di essa, tutto è nulla. La crescente attrattività degli approcci politici non ortodossi è la conseguenza immediata causata da anni di crescita lenta, insieme ai crescenti timori dovuti alla triade della disuguaglianza (reddito, ricchezza e opportunità).

Invece di rigettare semplicemente ogni forma di reazione, gli esperti dovrebbero essere più aperti nel loro approccio con gli elementi che stanno alla base dell'etica non ortodossa. In particolare, i compromessi insiti negli approcci convenzionali dovrebbero essere attentamente quantificati e chiaramente comunicati. Inoltre, tali approcci dovrebbero essere aggiornati per un mondo in cui la crescita esangue sembra essere ormai diventata la caratteristica strutturale di un numero sempre maggiore di economie.

In un mondo di aspettative auto-rinforzanti e di stati di equilibrio molteplici, alcuni sforzi prudenti fatti per rilanciare l'economia potrebbero facilitare il successo delle riforme strutturali di lungo periodo. Nel caso dell'Italia, l'UE dovrebbe pertanto restare flessibile.

Allo stesso tempo, tuttavia, il governo italiano dovrà dimostrare di fare molto più sul serio quando si tratterà di attuare i cambiamenti sul lato dell'offerta necessari per garantire una maggiore crescita di lungo periodo.


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mercoledì 7 novembre 2018

Gustav Horn su die Zeit: cosa si deve fare per disinnescare il ricatto italiano

Sulla stampa tedesca è arrivato il tempo delle colombe, dopo quello dei soliti avvoltoi, e Gustav Horn su Die Zeit prova a spiegare ai tedeschi un modo semplice per fermare il "ricatto italiano": autorizzare la BCE ad acquistare titoli di stato italiani quando lo spread supera una soglia di allarme, a patto che le partite correnti italiane restino in territorio positivo. In questo modo il debito pubblico sarebbe una questione tutta italiana e il governo di Roma non avrebbe piu' a disposizioni le solite armi per ricattare Bruxelles e Berlino. Gustav Horn su Die Zeit


Gustav A. Horn dirige l'Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung della Fondazione Hans Böckler, fondazione vicina al sindacato. È membro della SPD e membro consultivo della Commissione di base del partito.

La miccia sta bruciando, ma quale sarà il suo percorso verso la polveriera non è ancora chiaro. Per questo spegnerla è ancora piu' difficile. Il rischio più grande è che presto ci si possa trovare davanti alle macerie dell'edificio europeo perché si è cercato di salvarlo agendo sui punti sbagliati.

Il punto sbagliato è proprio il tanto discusso bilancio pubblico italiano. Il deficit al 2,4% del prodotto interno lordo (PIL) previsto dal governo italiano è una violazione delle promesse fatte dai precedenti governi e rappresenta quindi un'erosione della fiducia. Di per sé questo valore tuttavia non è un disastro economico. In uno scenario realistico caratterizzato da uno sviluppo economico ragionevolmente immutato e da un lento aumento del tasso di inflazione, il rapporto debito/PIL italiano, anche con questo valore, continuerebbe a scendere. A ciò si aggiunge che l'Italia ha un surplus commerciale con l'estero. Non si tratta quindi di una combinazione esplosiva fra un rapporto debito/PIL in crescita e un aumento del debito estero, che fra l'altro sui mercati finanziari internazionali ha spinto la Grecia verso l'abisso. L'Italia, al contrario, si è indebitata con i propri cittadini e le proprie imprese, e sono proprio loro che alla fine dovranno convivere con le conseguenze.

Al momento non è nemmeno chiaro se questo maggior deficit in futuro non finirà per restringere significativamente il margine di manovra fiscale. L'introduzione di un reddito di base, data la totale inadeguatezza del sistema di protezione sociale italiano, potrebbe rivelarsi una benedizione. A beneficiare dell'aumento di spesa e del relativo aumento dei consumi sarebbe l'andamento della congiuntura economica generale e ciò potrebbe contribuire a far rientrare molte più persone nel mercato del lavoro. Il resto delle spese aggiuntive, tuttavia, è alquanto discutibile e piu' che altro sembrerebbe orientato a servire la propria clientela elettorale. Dal lato dei tagli fiscali non ci sono benefici economici significativi che ci si possano attendere. In ogni caso contribuiranno ad aumentare ulteriormente l'onere debitorio, già estremamente elevato a causa dell'eredità del passato.

Tutto sommato questo approccio del governo italiano, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe causare un po' di rabbia a livello europeo, ma non dovrebbe essere sufficiente per far scattare scenari catastrofici. I mercati finanziari possono restare tranquilli. Ma non lo sono - a ragione.

La ragione non risiede tanto nella discutibile logica economica delle proposte, ma nella loro controversa intenzione politica. Alla fine la coalizione di governo italiana, alla luce degli orientamenti politici totalmente diversi, è unita da un solo elemento: dalla lotta a un presunto establishment a Roma, Berlino, Bruxelles e altrove ostile ai veri interessi del popolo. Questa è la sostanza di cui sono fatti i governi populisti di questo periodo. La loro forza motrice arriva dalla paura dell'immigrazione sulla quale vengono proiettate tutte le preoccupazioni culturali ed economiche di questa società globalizzata, e dalla convinzione che i populisti sono gli unici che possono rappresentare il popolo di fronte a questo progetto di globalizzazione guidato dalle élite. Tutto ciò è una mezza verità o forse è completamente falso, in ogni caso ipocrita, ma politicamente efficace.

Questa miscela non promette nulla di buono per l'Europa. Perché è lecito aspettarsi che il governo italiano non farà nulla per calmare i mercati. Al contrario, è nel loro interesse farli andare nel panico con delle provocazioni retoriche sempre più violente. Solo allora gli altri membri dell'unione monetaria, o per l'aumento dei tassi di interesse o per l'incertezza dilagante sulla coesione dell'unione monetaria, saranno colpiti dalla politica di deficit del governo italiano e quindi saranno obbligati a confrontarsi con il governo di Roma e con le sue richieste radicali, ad esempio, in materia di immigrazione.

Si sta presentando la vendetta per non aver voluto introdurre nell'unione monetaria dei cosiddetti "safe assets". Ogni area valutaria funzionante dispone di simili forme di investimento sicure, di solito titoli di stato, che vengono difesi dalla rispettiva banca centrale con tutti i mezzi a disposizione. Un investimento sicuro all'interno dell'area dell'euro renderebbe impossibile ogni forma di ricatto attraverso i mercati finanziari.

Nell'area dell'euro attualmente non vi sono investimenti sicuri, per questo gli italiani possono mettere in campo la loro strategia. Il governo tedesco e gli altri stati membri si trovano di fronte ad una spiacevole scelta: fare delle concessioni di vasta portata all'Italia su molte questioni politiche, oppure rischiare il collasso dell'unione monetaria.

Ma c'è un altro modo per aggirare questo dilemma. I ministri delle finanze potrebbero, almeno temporaneamente, autorizzare la Banca centrale europea (BCE) ad orientare il suo programma di acquisto titoli sui singoli paesi, e cioè sulla base dello spread dei tassi di interesse. In altre parole, la BCE acquisterebbe sul mercato soprattutto titoli di stato per i quali il premio al rischio è elevato, e che quindi vengono considerati rischiosi dai mercati finanziari. Questo tipo di acquisti tuttavia dovrebbe essere subordinato al fatto che la bilancia commerciale esterna del paese non sia in deficit. Con questo approccio, o semplicemente con il suo annuncio, sarebbe possibile evitare un aumento dei tassi d'interesse in grado di mettere a repentaglio l'intera unione monetaria. L'obiezione attesa, e cioè che in questo modo stiamo dando all'Italia una licenza per fare piu' debito, è giusta solo a metà. Certo, l'Italia ora potrà continuare a indebitarsi senza dover temere i mercati finanziari. Ma a causa della condizionalità relativa al saldo commerciale estero, l'indebitamento potrebbe avvenire solo a livello nazionale, quindi all'interno del paese. Le conseguenze del maggiore indebitamento verrebbero infatti sopportate solo dagli italiani, e il ricatto verso gli altri paesi sarebbe inefficace.

Questo passo richiederebbe indubbiamente molto coraggio politico ed economico. Ma sarebbe un passo con il quale forse faremmo ancora in tempo a staccare la miccia dalla polveriera europea.

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lunedì 5 novembre 2018

Perché Hartz IV potrebbe diventare un reddito di cittadinanza incondizionato

La Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe ha fatto sapere che entro gennaio si pronuncerà sulla costituzionalità del regime sanzionatorio Hartz. Se le sanzioni e le decurtazioni del sussidio fossero dichiarate illegittime in quanto lesive dei diritti fondamentali, Hartz IV potrebbe finalmente trasformarsi in un reddito di cittadinanza incondizionato. Difficile che accada contro la volontà del governo di Berlino, tuttavia per gli oltre 400.000 sussidiati che ogni anno vengono puniti e privati del minimo esistenziale sarebbe senza dubbio una svolta. Ne parla Susan Bonath su Junge Welt



Neanche un soldo per il cibo e l'elettricità, il padrone di casa minaccia lo sfratto, le bollette restano sul tavolo, i debiti si accumulano, nessun aiuto dagli uffici pubblici preposti: uno scenario che minaccia costantemente i percettori di un sussidio Hartz IV, e che a partire dal 2005 milioni di persone hanno dovuto sperimentare. Il "reato" da loro commesso: hanno interrotto una misura di formazione assegnata dal centro per l'impiego, hanno rifiutato un'offerta di lavoro, non hanno fatto un numero sufficiente di candidature o semplicemente si sono allontanate dalla zona di residenza senza il permesso del centro per l'impiego. Ogni anno, i centri per l'impiego infliggono quasi un milione di sanzioni a circa 420.000 persone in stato di bisogno. A seconda del tipo di "infrazione" possono ridurre il sussidio minimo di sussistenza del 10, del 30, del 60 o del 100 %. Le sanzioni Hartz IV tuttavia, secondo il Tribunale sociale di Gotha, violerebbero i diritti fondamentali relativi alla dignità umana, alla libertà di scelta e all'integrità fisica. E nel 2015 i giudici di Gotha per questa ragione si sono rivolti alla Corte costituzionale tedesca (BVerfG). Le persone colpite dalle misure punitive hanno dovuto attendere a lungo ma ora Karlsruhe ha dato luce verde: il 15 o 16 Gennaio 2019 la Corte dovrà discutere il ricorso, ha fatto sapere l'associazione dei senza lavoro Tacheles, che martedì scorso ha pubblicato la lettera.

Il ricorso si basa sul caso di un giovane a cui il Jobcenter di Erfurt aveva comminato 2 sanzioni consecutive di tre mesi. La riduzione iniziale era stata del 30% per non aver accettato una prima offerta di lavoro. Poco dopo però l'uomo si è rifiutato di iniziare un periodo di lavoro di prova. L'ufficio del lavoro gli ha cancellato il 60 % del sussidio. I giudici del tribunale di Gotha in Turingia dubitano che la pratica del Jobcenter sia compatibile con la Costituzione e per questo si sono rivolti alla Corte. Il primo tentativo è fallito a causa di un "errore formale", ma nel 2016 ci hanno riprovato. L'Arbeitslosengeld II (Hartz IV) copre a malapena il minimo indispensabile, per questo i giudici del tribunale sociale ritengono che la decurtazione dell'indennità potrebbe "implicare un peggioramento dello stato di salute oppure un pericolo per la vita stessa".

L'associazione Tacheles è una delle 19 associazioni che due anni fa aveva chiesto alla corte suprema di Karlsruhe di pronunciarsi sul tema. E non sono gli unici a ritenere le sanzioni Hartz "completamente sproporzionate" e quindi una grave violazione della legge. Anche l'associazione "Paritätische Wohlfahrtsverband" sostiene che le sanzioni creano terrore e conducono alla miseria, facendo riferimento ad una decisione della Corte di Karlsruhe del 1977. Secondo questa sentenza, anche ai peggiori criminali sarebbe doveroso assicurare il minimo esistenziale. E il rifiuto di un lavoro, inoltre, non è nemmeno un reato. L'associazione di assistenza sociale "Erlacher Höhe" parla invece di casi drammatici criticando soprattutto l'arbitrarietà con cui gli impiegati dei Jobcenter possono applicare la legge. E' sufficiente un'accusa unilaterale, in quanto le obiezioni e le denunce nella giurisprudenza speciale Hartz IV non hanno un effetto sospensivo.

Le persone vengono spinte a vivere al di sotto del minimo esistenziale, sostiene la Confederazione dei sindacati tedeschi (DGB). Le prestazioni in natura con le quali lo stato giustifica le sanzioni devono essere richieste separatamente dal disoccupato e non sempre vengono concesse. In secondo luogo si tratta per lo più di buoni alimentari per un valore massimo della metà di quanto previsto da Hartz IV. Resta tuttavia completamente ignorato il fatto che anche i costi dell'abitazione e dell'energia hanno natura esistenziale. "Il regime delle sanzioni non tiene conto delle necessità minime", sostiene la DGB. L'Associazione degli avvocati tedeschi ha accusato i Centri per l'impiego di accanirsi in particolar modo con i percettori mentalmente instabili, malati o indifesi. L'associazione sociale VdK ha condannato la sanzioni e le ha definite una grave interferenza nei diritti fondamentali. La Caritas e la Diakonie accusano la responsabilità solidale dei membri della famiglia, la riduzione dei sussidi per l'alloggio e le dure sanzioni nei confronti dei ragazzi fra i 15 e i 24 anni, tuttavia si limitano a chiedere una riduzione delle sanzioni. Anche l'associazione "Deutsche Sozialgerichtstag" la vede in maniera simile: la pratica deve essere riesaminata e rivalutata. Al momento "è molto probabile che possa causare o esacerbare problemi di salute", accusa l'associazione.

Solo cinque istituzioni sostengono con convinzione la pratica crudele. Oltre alla Bundesagentur für Arbeit (BA), al Ministero federale del lavoro e degli affari sociali (BMAS) e alla Confederazione delle associazioni dei datori di lavoro (BdA), ci sono anche le associazioni dei distretti e delle città. Come al solito ritengono che i centri per l'impiego possono comunque concedere un buono per il cibo. Le persone colpite avrebbero semplicemente il dovere di "collaborare" per evitare di incorrere nelle sanzioni. Inoltre, a loro avviso, non esisterebbe un "diritto fondamentale alla concessione incondizionata di benefici sociali".

Martedì il presidente di Tacheles Harald Thomé ha accolto con favore il fatto che la corte di Karlsruhe abbia finalmente messo in agenda una sentenza su questo ricorso "dopo che per mesi e anni era stata data priorità ad altre decisioni". "Possiamo almeno essere curiosi" ha constatato Thomé.
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