lunedì 8 giugno 2020

FAZ - L'Italia ha bisogno di un taglio del debito?

Ristrutturare o non ristrutturare il debito italiano? Friedrich Heinemann dello Zew di Mannheim, dichiara alla FAZ: "quando nel 2022 la fase acuta della crisi sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E naturalmente, i detentori dei titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare in parte ai loro crediti". Anche Hans Werner Sinn è d'accordo nel far pagare il conto della crisi ai detentori dei titoli di stato italiani. Lars Feld, il consigliere del governo tedesco, invece è molto piu' cauto e tende ad escludere un taglio del debito pubblico italiano. Dalla FAZ e dalla Germania arriva l'ennesimo pistolotto sulla ristrutturazione del debito italiano.




(...) La situazione di partenza quindi è piuttosto tetra. La questione ora è la seguente: per risolvere i suoi problemi l'Italia ha davvero bisogno di un taglio del debito?. Ad ogni modo, un passo del genere non deve più essere considerato un tabù, raccomanda Hans-Werner Sinn, ex presidente dell'istituto Ifo di Monaco di Baviera. "Per quanto io sia favorevole ad un generoso aiuto finanziario nei confronti dell'Italia: è inaccettabile che i creditori italiani e stranieri vengano costantemente salvati dai contribuenti europei invece di partecipare essi stessi alle perdite", dice l'economista. Sinn fa riferimento al "Club di Parigi", un circolo informale per la negoziazione internazionale nell'ambito del quale solitamente vengono regolamentate tali cancellazioni del debito. "Ci sono regole collaudate per una ristrutturazione ordinata del debito". Dalla seconda guerra mondiale in poi, sostiene Sinn, ci sono state circa 180 ristrutturazioni di debiti pubblici. "E il mondo non è ancora finito". Anche nell'eurozona, un parziale taglio del debito per l'Italia, non sarebbe affatto una novità. Nel caso della Grecia, infatti, un taglio del debito è già stato effettuato durante la crisi dell'euro del 2012, ed è stato uno dei piu' grandi nella storia della finanza. A questi poi si sono aggiunti i controlli sui movimenti di capitale. "Temo che prima o poi dovremo farne uso anche nel caso dell'Italia, perché i pacchetti di salvataggio non dureranno a lungo", dice Sinn.

E questa è l'opinione anche di Friedrich Heinemann, esperto di finanze pubbliche dell'istituto di ricerca economica ZEW di Mannheim, il quale prevede: "il Fondo per la ricostruzione, alla fine non sarà in grado di risolvere i drammatici problemi finanziari italiani". Il denaro da mobilitare per gli aiuti è enorme - ma non sarà mai abbastanza per l'Italia. Molto più importante per l'Italia, dice, è che la Banca Centrale Europea (BCE) continui a sottoscrivere diligentemente i nuovi titoli di stato che il ministro delle Finanze a Roma contina ad emettere sui mercati. Ma in ultima analisi, saranno i contribuenti europei ad essere responsabili per i crescenti rischi che gravano sul bilancio della BCE.

Come Hans-Werner Sinn, Heinemann ritiene che non ci sia modo di evitare un taglio del debito pubblico italiano. "Il debito è troppo alto, il Paese non può uscirne", dice l'economista dello ZEW. "Quando nel 2022 la crisi acuta sarà terminata, avremo bisogno di una conferenza internazionale sul debito pubblico italiano. E, naturalmente, i detentori di titoli dovranno fare la loro parte e rinunciare a una parte dei loro crediti". Heinemann vuole far pagare il conto anche ai creditori.

Ma ci sono altri esperti che vedono le cose in maniera diversa. "L'Italia non ha bisogno di un taglio del debito", dice Lars Feld. L'economista di Friburgo presiede il Consiglio dei saggi economici, il cui compito è quello di consigliare il governo federale. In Grecia la riduzione del debito all'epoca si era resa inevitabile, ma questo confronto è fuorviante, spiega Feld: "L'Italia ha una consistenza economica completamente diversa. Se il governo italiano affrontasse finalmente con determinazione le riforme necessarie, si potrebbero liberare notevoli forze in termini di crescita economica". Egli conta sul fatto che il paese possa uscire dalla attuale situazione di indebitamento, in quanto la crescita economica sarebbe capace di generare maggiori entrate fiscali.

Un taglio del debito, d'altra parte, probabilmente farebbe piu' male che bene, sottolinea Feld: "Una volta estinti i debiti, diminuirebbe anche la pressione per affrontare le riforme necessarie alla crescita. E questo è l'esatto opposto di ciò di cui l'Italia ha bisogno". La Grecia ne è l'esempio ammonitore: il taglio del debito di otto anni fa ha ridotto solo temporaneamente il rapporto debito/PIL del paese. In assenza di una crescita economica, è tornato ad aumentare molto rapidamente - e ora è addirittura piu' elevato rispetto a prima della cancellazione del debito.

Nel caso dell'Italia, anche Feld considera troppo rischioso un taglio del debito. Il problema principale è che i maggiori creditori dello Stato italiano restano di gran lunga le banche italiane, che nei loro bilanci hanno delle quantità enormi di titoli di stato e crediti verso le istituzioni statali. A metà dello scorso anno le banche italiane erano creditrici nei confronti dello stato italiano per un totale di 690 miliardi di euro. Se questi titoli dovessero essere cancellati nell'ambito di una ristrutturazione del debito pubblico, molte banche finirebbero per trovarsi in difficoltà.

"Avremmo immediatamente una crisi bancaria in Italia, che si estenderebbe ad altri paesi europei a causa degli stretti legami creatisi", dice Feld. Le banche francesi, in particolare, hanno dei crediti elevati nei confronti dell'Italia e subirebbero quindi delle perdite massicce. Ma non si tratta solo delle banche. Anche le assicurazioni, i fondi di investimento e altri importanti investitori sono anch'essi creditori dello Stato italiano e sarebbero quindi colpiti da una ristrutturazione del debito.

Ancora una volta, quello della Grecia è stato un esempio ammonitore: la ristrutturazione del debito del Paese nella primavera del 2012 ha portato il panico sui mercati, in una fase già molto critica. "Guardando indietro, va detto che il taglio ha accelerato l'incendio dell'eurocrisi", lo ammette anche Heinemann dello ZEW, sostenitore di un taglio del debito. Per questo motivo non convocherebbe immediatamente quella "conferenza internazionale sul debito italiano" da lui raccomandata, ma lo farebbe solo nell'anno successivo - e anche in quel caso farebbe gravare sui creditori detentori delle obbligazioni solo una parte dell'onere della ristrutturazione. "Ora, nel bel mezzo della crisi economica, non lo si può fare. I mercati sono troppo fragili per una scelta del genere".

Hans-Werner Sinn non nega il rischio di una crisi finanziaria associata a un taglio del debito, ma ritiene che questo rischio sia il minore fra i due mali. La Francia è abbastanza forte per sostenere le sue banche in caso di emergenza, dice. In definitiva, si tratta di soppesare i rischi - e i politici mancano di lungimiranza in questo senso: "Hanno sempre paura dei rischi di breve termine per i mercati finanziari e in cambio accettano rischi che nel lungo termine sono molto piu' minacciosi", critica il Sinn. "Il salvataggio dei creditori tramite una messa in comune del debito erode gli stati e crea il pericolo di un'enorme guerra debitoria in Europa, che potrebbe far crollare l'UE".

Una cosa però deve essere chiara: anche se non ci fosse una nuova crisi finanziaria in Europa, un taglio del debito pubblico italiano probabilmente non sarebbe comunque gratuito per i contribuenti tedeschi. Perché negli ultimi anni la BCE ha acquistato montagne di titoli di stato italiani, e anche la banca centrale sarebbe inevitabilmente colpita da un taglio del debito. La Germania dovrebbe farsi carico di una parte di queste perdite. "La Bundesbank dovrebbe poi essere ricapitalizzata dallo Stato tedesco", dice Sinn. In casi estremi, questo potrebbe costare fino a 150 miliardi di euro.

Qual è la conclusione? Gli argomenti di entrambe le parti possono essere riassunti approssimativamente così: un taglio del debito per un grande paese come l'Italia sarebbe una ripartenza radicale, dopo dieci anni in cui i contribuenti hanno sostenuto direttamente o indirettamente dei costi molto elevati per i salvataggi nella zona euro. Ma i rischi di questo cambiamento di rotta sarebbero notevoli. E se la riduzione del debito possa essere davvero d'aiuto per l'Italia e gli altri Stati dell'euro, nel lungo periodo non è affatto certo. "Non c'è una via d'uscita facile", dice Hans-Werner Sinn. "Ci siamo davvero impantanati".


domenica 7 giugno 2020

Der Spiegel - Bella Italia, wir kommen!

"Il mio consiglio per le vacanze 2020: andate in Italia, godetevi lo stile di vita italiano! Ma non chiedetevi alla fine chi sarà a pagare il conto. Perché il piacere della vostra vacanza ne potrebbe risentire", scrive Alexander Neubacher su Der Spiegel. Anche per la cosiddetta "stampa di qualità" l'unione di trasferimento è già iniziata e i contribuenti tedeschi saranno chiamati a pagare il conto per lo stile di vita un po' troppo rilassato degli italiani. Un commento dal tono ironico da Der Spiegel.




L'Italia ha riaperto le frontiere ai turisti. E dato che fra qualche giorno sarà rimossa anche l'allerta sui viaggi all'estero del governo tedesco, non c'è piu' nulla che impedisca di fare una vacanza estiva nel paese della Sehnsucht tedesca: bella Italia, evviva, stiamo arrivando!

Quest'anno, tuttavia, i viaggiatori dovranno fare uno sforzo speciale per non ferire i sentimenti di chi li ospita. Solo poche settimane fa, infatti, nell'Italia martoriata dal Coronavirus, si aveva come l'impressione che l'amicizia italo-tedesca fosse ad un passo dalla rottura a causa dell'avarizia germanica.

Un senatore dei Cinque stelle, partito di governo a Roma, ha detto di averne abbastanza dei "dettami dei nipotini di Hitler". Decine di migliaia di italiani hanno condiviso un video nel quale un noto attore italiano accusava i tedeschi di essere degli "arroganti senza pietà" che si considerano ancora "una razza superiore". Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, invece, ha acceso gli animi accusando i tedeschi di essere egoisti e nazionalisti dopo che il governo di Berlino si era schierato contro i Coronabond.

E' stata davvero una fortuna per i turisti tedeschi, il fatto che Angela Merkel e il presidente francese Macron improvvisamente abbiano deciso di sostenere un programma di aiuti europei da 750 miliardi di euro. La maggior parte dei soldi, oltre 170 miliardi di euro, è destinata all'Italia, 80 dei quali dovrebbero essere a fondo perduto. Quale italiano avrebbe mai potuto credere che i tedeschi sarebbero stati così generosi?

Ad essere considerati degli avari restano gli olandesi, insieme ad austriaci, svedesi e danesi, i quali stanno ancora cercando di fermare quella parte del programma di aiuti a fondo perduto. Ci si chiede dove andranno quest'anno in vacanza gli olandesi.

Come turisti tedeschi, quali sono gli argomenti da evitare per non rovinare subito e un'altra volta i delicati legami tra Germania e Italia? Il mio consiglio è: non parlare di tutto ciò che ha a che fare con i soldi. Ecco alcuni esempi.

 - L'Italia è pesantemente indebitata, ma è già pronta a spendere altri tre miliardi di euro di denaro pubblico per Alitalia, anche se, a differenza di Lufthansa, da anni è in perdita? Lasciate perdere!

- Il produttore di auto Fiat Chrysler otterrà un prestito garantito dallo Stato di 6,3 miliardi di euro? Chiudete gli occhi e lasciate stare!

- Il Ministero delle Finanze italiano ha appena emesso - esclusivamente per i grandi investitori e i risparmiatori italiani - un'obbligazione ad alto tasso interesse, che i risparmiatori tedeschi si possono solo sognare? Non importa, non bisogna apparire meschini.

Se vi state chiedendo perché la famiglia italiana media ha un patrimonio superiore rispetto a quella tedesca, allora fatelo in silenzio. E non siate invidiosi quando verrete a sapere che il vostro co-vacanziero italiano con un reddito piu' basso, dovrebbe incassare fino a 500 euro di ferie pagate dallo Stato, a condizione che i soldi però restino in Italia.

Il mio consiglio per le vacanze 2020: andate in Italia, godetevi lo stile di vita italiano! Ma non chiedetevi alla fine chi sarà a pagare il conto. Perché piacere della vostra vacanza ne potrebbe risentire.


sabato 6 giugno 2020

Cosa c'è dietro la svolta europeista del governo tedesco?

A questa domanda prova a rispondere Sven Giegold, economista, eurodeputato e responsabile economia per i Verdi tedeschi, intervistato da Eric Bonse, giornalista freelance. Nell'intervista Giegold ci spiega cosa ci sarebbe dietro la recente svolta europeista del governo tedesco e perché i Verdi stanno cercando di intestarsi la paternità politica del nuovo corso di Merkel. Da Lost in Europe



Prima il "Bazooka", e ora "lo slancio": nella politica finanziaria tedesca sono stati infranti quasi tutti i tabù. Ma anche a livello europeo Berlino si è mossa nella giusta direzione, sostiene il responsabile in materia di politica economica e finanziaria dei Verdi Sven Giegold. Un'intervista.

Bonse: la Commissione UE intende finanziare a debito un programma di ricostruzione da 750 miliardi di euro. Anche la Cancelliera Angela Merkel si è espressa in favore di un debito dell'UE - anche se fino ad ora era sempre stata fortemente contraria. Cosa ne pensa di questa inversione?

Giegold: si tratta di una inversione a 180 gradi della politica europea della Germania. Per inciso, è un'eco tardiva delle elezioni europee dello scorso anno. Gli elettori allora avevano votato per avere più Europa. E ora tutta una serie di falsi tabù tedeschi sull'Europa di fatto stanno cadendo. È difficile credere che anche Wolfgang Schäuble e Friedrich Merz nel frattempo siano diventati favorevoli ad un programma europeo finanziato a debito! E' stato un successo per noi europeisti.

Bonse: a quali tabù si riferisce?

Giegold: mi riferisco alla tassazione europea, che potrebbe anche essere sotto forma di una tassa digitale europea, ai sussidi a fondo perduto invece dei prestiti e alla responsabilità condivisa. I cristiano-democratici e soprattutto la CSU fino ad ora non avevano mai voluto una tassa europea - e ora improvvisamente su questo tema c'è una grande apertura. Anche la Germania non aveva mai voluto trasferimenti - ma ora ci saranno 500 miliardi di euro di sovvenzioni a fondo perduto. E anche per quanto riguarda il debito, a Berlino fino a poco tempo fa si continuava a ripetere: non faremo mai i coronabond e in nessun caso! Ma ora stanno arrivando delle obbligazioni comuni in tempi di coronavirus. E questo rafforza l'Europa!

Bonse: ma il debito dovrebbe restare un'eccezione assoluta, Merkel parla di una misura speciale una tantum.

Giegold: tutti i budget sono unici. L'importante è che ora in Germania abbiamo una narrazione completamente diversa. La coesione europea ha bisogno di una politica fiscale e di investimenti comuni e solidali in Europa. Solo la FDP e AfD non hanno ancora sentito il colpo...

Bonse: come si spiega questa svolta?

Giegold: non sappiamo quali siano stati i veri motivi. Ma credo che la sentenza della Corte costituzionale tedesca sugli acquisti di titoli di stato da parte della Banca centrale europea abbia svolto un ruolo importante. Penso che questa sentenza sia discutibile e pericolosa per il diritto europeo - ma che in Germania ha scatenato un dibattito sul fatto che non possiamo lasciare alla BCE il compito di risolvere tutte le crisi. Il signor Voßkuhle forse merita un mazzo di fiori, dopo tutto quello che ha fatto...

Bonse: che ruolo ha avuto il presidente francese Macron? Per anni, del resto, ha cercato di convincere Merkel ad adottare una politica europea diversa, ci è riuscito?

Giegold: è stato un grave errore da parte di Merkel quello di non aver dato risposte alle iniziative di Macron per così tanto tempo. Alla fine Macron ha cambiato strada e ha coinvolto altri paesi - non solo sui coronabond, ma anche sulla politica climatica. Così facendo ha messo Merkel sotto pressione. Ma probabilmente anche l'Italia ha fatto molta impressione. Il fatto che durante la crisi causata dal coronavirus il sostegno all'Ue in Italia sia crollato, a Berlino ha fatto scattare l'allarme. E poi, naturalmente, la GroKo legge anche i sondaggi d'opinione. E allora è chiaro a tutti che la maggior parte dei tedeschi non sono così avari come si potrebbe pensare. I più capiscono che l'aiuto è necessario.

Bonse: ma gli aiuti hanno anche un rovescio della medaglia: l'UE dovrà rimborsare i debiti fino al 2058, il bilancio dell'UE per gli anni a venire sarà congelato, i sussidi saranno legati alle condizioni della politica economica...

Giegold: il rimborso del debito è ripartito su 38 anni. E' così lungo che il rimborso non avrà alcun ruolo macroeconomico. Il fatto che il quadro finanziario dell'UE non venga aumentato è una concessione fatta ai "Quattro paesi frugali". Ma i 750 miliardi di euro per la ricostruzione significano in realtà un bilancio dell'UE più alto. Potrebbero esserci anche dei sacrifici sbagliati. Ad esempio, il programma di scambio Erasmus potrebbe non essere ampliato. Il Parlamento su questo tema dovrà battersi.

Bonse:  e le condizionalità? La Commissione UE vuole farle rispettare con l'aiuto del "semestre europeo", ma si tratta di un intervento massiccio sui poteri in materia di bilancio dei parlamenti nazionali, senza il controllo democratico!

Giegold: giusto, ecco perché ora si tratta di parlamentarizzare il semestre europeo. Sarebbe un bene se il semestre europeo non restasse solo un esercizio burocratico senza alcun effetto vincolante, come è stato finora. Molte raccomandazioni di Bruxelles finora hanno avuto un'impronta troppo liberista. Le raccomandazioni pertanto ora dovranno essere adottate dal Parlamento. Altrimenti si corre il rischio che le priorità d'investimento vengano fissate senza l'approvazione del Parlamento.

Bonse: cosa ne sarà dell'"European Green Deal"? In molti nei Verdi, ma anche fra i socialdemocratici e la Linke criticano il fatto che nella bozza di Bruxelles sia stato annacquato.

Giegold: il pericolo è reale, poiché solo il 25 % del prossimo bilancio dell'UE sarà esplicitamente destinato alla lotta contro il cambiamento climatico. La protezione del clima deve essere il materiale da utilizzare per la ricostruzione economica. Merkel e von der Leyen, se vogliono l'approvazione del Parlamento europeo, devono fare di più per il clima. Si tratta non solo dell'importo delle sovvenzioni, ma anche della qualità della spesa. Non siamo ancora arrivati al punto.

Bonse:  e i "Quattro parsimoniosi" e gli altri stati dell'UE? Devono ancora dare il via libera e potrebbero di nuovo annacquare il fondo per la ricostruzione e il Green new Deal.

Giegold: il cancelliere austriaco Kurz sta già dando i primi segnali in favore di un compromesso. Almeno io lo interpreto cosi' quando parla di una unione del debito - perché nessuno l'ha prevista! Ma anche se Kurz dovesse mettersi di traverso: alla fine l'Austria e i "quattro frugali" non arrivano nemmeno al 10% della popolazione. I grandi Stati dell'Unione Europea, Germania, Francia, Spagna e Italia appoggiano la proposta. Il fatto che sia stato raggiunto un accordo nonostante la rinazionalizzazione avvenuta nella crisi causata da Coronavirus è un grande passo in avanti.


venerdì 5 giugno 2020

Breitscheidplatz - "Non sappiamo se Anis Amri fosse alla guida del camion"

A dirlo non è il solito blog complottaro ma un deputato del Bundestag membro della commissione d'inchiesta parlamentare sull'attentato terroristico di Breitscheidplatz a Berlino a conclusione dell'inchiesta. Un altro grande mistero tedesco pilotato dalle solite fake news diramate da spin doctor sapienti, e destinato probabilmente a restare irrisolto. Era abbastanza difficile del resto credere alla versione ufficiale del terrorista solitario che in un normale giorno lavorativo, in una normale periferia industriale di Berlino da solo fa fuori un corpulento autista polacco e poi con il suo camion gira per la città indisturbato fino a sera. Un articolo molto interessante da Heise.de



È una frase che sembra un verdetto, ed esprime dei dubbi molto forti sulla versione ufficiale dell'attentato di Breitscheidplatz a Berlino: "Non sappiamo se Anis Amri fosse alla guida. Ma secondo le prove disponibili, c'erano altre persone sul camion". Lo ha detto il deputato al Bundestag dei Verdi Constantin von Notz durante l'ultima riunione della commissione d'inchiesta. La frase era diretta a un commissario investigativo del BKA (Bundesskriminalamt) che non ha saputo spiegare molte delle tracce, ma che tuttavia si è attenuto alla versione ufficiale di Amri attentatore solitario - come del resto avevano fatto altri colleghi del BKA, prima e dopo di lui.

Il lavoro della commissione d'inchiesta porta ad una domanda: Amri era davvero l'unico uomo nel camion? "Non sappiamo se è stato Amri", non significa "non è stato Amri". Ma siamo comunque molto vicini a poter fare questa affermazione. Von Notz parla piuttosto di "Amri possibile colpevole". Decisamente meno della formula del "presunto colpevole" e molto meno dell'affermazione: "Amri è colpevole".

L'urgenza di arrivare alla conclusione comprende anche una domanda: perché le autorità investigative centrali si sono concentrare quasi eclusivamente sul presunto assassino solitario Anis Amri? Il tunisino al momento dell’attentato senza dubbio si trovava nelle vicinanze della scena del crimine. Lo dimostra la registrazione video delle 20:06 nel sottopassaggio della metropolitana di Bahnhof Zoo. Ed era in possesso dell'arma del delitto. Faceva probabilmente parte di un gruppo di criminali. Ma se non era lui il conducente, allora c'era qualcun’altro al volante del veicolo dell’attentato.

Questo significa anche che l'attentato è aperto. I colpevoli e i complici devono ancora essere trovati. Amri può essere considerato come il primo complice sicuro. Ci sono piu' elementi in favore di questo scenario, rispetto a quello della versione ufficiale. Gli investigatori della polizia, ma anche quelli politici nelle commissioni d'inchiesta, hanno avuto a che fare con altre persone collegate ad Amri – inclusi gli informatori delle autorità di sicurezza attivi in questo ambiente. Concentrandosi quasi esclusivamente su Amri, tuttavia, si è perso molto tempo prezioso.

Il caso è anche un esempio di come un intero apparato possa essere manipolato e guidato in una certa direzione indicando semplicemente un nome - sia esso in maniera volontaria o meno.

L'affermazione: "non sappiamo se fosse Amri a guidare il camion" tra l'altro emerge da uno schema probatorio alquanto dubbio. Quali sono le prove forensi che supportano l'ipotesi che Amri abbia guidato il camion, sia responsabile dell'attacco e abbia sparato al camionista Lukasz Urban? Come si fa a dimostrare che il fuggitivo era alla guida del camion, se non si trovano le sue tracce all’interno del camion? La polvere di vetro è stata trovata anche sui vestiti di Amri, proprio come sui vestiti di Urban, che erano nel camion? Sono solo alcune delle domande della commissione, alle quali i criminologi della BKA non possono rispondere in maniera chiara.

Al contrario, lo schema complessivo delle prove rende ipotizzabile che ci fossero altre persone sul camion.

Nel frattempo è un dato di fatto che non sono state trovate impronte di Anis Amri nella cabina di guida del camion. Non sul volante, né sulla leva del cambio, né sul cruscotto o all'interno della portiera del conducente, per esempio.

Sono state riscontrate solo due impronte digitali o impronte di Amri sulla parte esterna della portiera del conducente. Una comprende il palmo, il pollice e le tre dita della mano destra. Secondo il BKA, l'impronta è stata fatta "come se la porta fosse stata chiusa dall'esterno". Come si può chiudere una porta dall'esterno per poi sedersi in cabina? E come è possible che Amri abbia compiuto un "trucco magico" (Konstantin von Notz), vale a dire lasciare le sue impronte digitali sulla portiera del conducente, e poi, supponendo che sia rimasto e si sia spostato sul camion per altri 30 minuti, non averne lasciata neanche una all’interno? Gli investigatori hanno ignorato tutte queste contraddizioni solo perché non corrispondono alla teoria dell'Amri attentatore solitario?

"Non abbiamo prove per escludere che Amri è l’assassino"

La risposta del coordinatore dell'inchiesta della BKA, l'ispettore capo A.Q., equivale ad un giuramento: "Non abbiamo prove per escludere che Amri sia l'autore del reato". Affermazione che spinge il deputato dei Verdi a porsi la domanda retorica: perché funziona cosi’ bene questa interpretazione tendenziosa delle tracce che porta solo e sempre ad Anis Amri. Von Notz allo stesso tempo si dà anche una risposta: "Perché il colpevole è morto". Se non fosse morto, se ne dovrebbe provare la colpevolezza davanti al tribunale, e con queste prove sarebbe alquanto difficile.

Quindi niente impronte digitali di Amri nel camion - e come siamo messi con il DNA? Anche qui gli elementi sono alquanto scarsi. Al volante è stato trovato un mix fra due persone, ma non è stato tracciato un profilo completo di DNA. A dominare è la parte del camionista Urban. L’annotazione corrispondente nel rapporto riporta alquanto vagamente che Amri è "da considerare" come la seconda persona responsabile delle trace di DNA.

Un profilo misto di tre tracce di DNA era stato trovato anche sul minaccioso foglietto di carta con la scritta "HARDENBERGSTR B" (in lettere maiuscole), scoperto nella cabina del camion solo dopo tre settimane. La Hardenbergstraße è la strada di ingresso per Breitscheidplatz. Ancora una volta a dominare è il DNA del camionista Urban, in secondo luogo si "deve considerare quello di Amri", e in aggiunta c'è il DNA di una terza persona sconosciuta.

Si dice che le prova sia stata trascurata dal Gruppo della polizia criminale intervenuto sul luogo del delitto. Cioè sia durante la prima ispezione avvenuta il 30 dicembre 2016, che durante una seconda ispezione da parte dei coordinatori della BKA fatta il 10 gennaio 2017. Fino ad allora il camion era stato spostato due volte attraverso la città. La nota era nel cruscotto davanti al display del tachimetro. Era stato trascurato dal gruppo della polizia intervenuto sulla scena del crimine originale? È difficile da immaginare. E il fatto che sia stato ignorato deliberatamente non ha molto senso.

L’uomo della BKA A.Q., infatti, non può dire se l’annotazione si trovasse nel camion sin dall'inizio ed è stata trascurata, oppure se "qualcuno l'ha messa lì". Ciò significa: non si può escludere una manipolazione. Per inciso, si tratta solo di un pezzo di carta, il retro è stampato. Da dove provenga non è nemmeno chiaro.

A parte l'inspiegabile traccia di DNA sulla nota, ci sono altri 13 profili di DNA aperti, ha detto il membro della BKA alla commissione. Queste 13 tracce di DNA sono state trovate nella cabina del camionista e "davanti al camion", fra l’altro. Non è chiaro che cosa si intenda per "davanti al camion". Forse il cellulare HTC. Un'altra traccia di DNA sconosciuta è un frammento di pelle sul poggiatesta del sedile del conducente.

Se, oltre a delle tracce inspiegabili di DNA, ci siano anche delle impronte digitali non riconducibili, in commissione non è stato discusso.

Strane foto

Sul cellulare HTC di Amri, stranamente trovato in un buco nella carrozzeria del camion, ci sono due foto scattate dopo l'attacco. I membri della commissione del Bundestag hanno affrontato il tema nel dibattimento in aula. 

L'inspiegabile scoperta è stata oggetto di discussione per settimane. Nel frattempo, la BKA ha rilasciato una spiegazione tecnica ufficiale. In una lettera alla commissione si legge: "si può escludere che i file delle immagini siano stati ripresi con l'HTC di Amri". Si tratterebbe di file di immagini provenienti da pagine web che sono state offerte automaticamente all'utente sul suo dispositivo da una app di Google sotto forma di immagini di anteprima e memorizzate in un file cache. La BKA aveva anche identificato gli indirizzi web dai quali le 2 immagini erano state visualizzate. Non è stato però trovato un collegamento diretto tra le immagini e la pagina web, ma "probabilmente questa è disponibile solo sul lato dei server di Google", si legge nel documento. La BKA tuttavia ipotizza che le immagini possano essere assegnate ai siti web corrispondenti.

Domande irrisolte sul camion del crimine

Sono state sollevate inoltre delle questioni essenziali sul mezzo utilizzato per l’attentato, il camion Scania da 40 tonnellate. Aveva raggiunto il suo peso massimo in quanto caricava travi d'acciaio ed aveva una massa superiore a quella del camion dell’attentato di Nizza, che il 14 luglio 2016 aveva causato oltre 80 morti. Amri sapeva che il camion era carico? – ha chiesto Volker Ullrich (CSU), membro della commissione. È stata una coincidenza - o qualcuno ha scelto deliberatamente questo mezzo perché aveva un carico pesante? Qualcuno in Italia sapeva che il camion stava andando in Germania? Chi l'ha caricato? La scelta dell'arma del delitto forse era già stata fatta in Italia?

Domande alle quali anche il BKA non sa rispondere, ma che portano alla scena italiana dell'attentato terroristico di Berlino e alla fine della fuga di Amri a Sesto San Giovanni vicino Milano. Lì, vicino a dove è morto, il camion successivamente diventato il mezzo dell’attentato del 16 dicembre 2016, nell'ultimo luogo di carico aveva ritirato un pacco.

Quali competenze necessita una persona che vuole guidare un veicolo così pesante, lungo e ingombrante? Soprattutto di notte, nel traffico delle ore di punta di una grande città. Non si sa nemmeno se Amri avesse la patente di guida dell'auto. Una volta l’informatore "Murat" lo aveva accompagnato in auto dal Nordreno-Vestfalia a Berlino facendogli da autista. Ma il padrone di casa di Amri, Kamel A, era un camionista di professione.

Il camion entra nel mercatino di Natale a circa 50 km/h, poi entro una distanza di 70 - 80 metri viene frenato fino a fermarsi, come sarebbe accaduto in un grave incidente stradale. Eppure l'autista non dovrebbe aver lasciato tracce? Sudore, sangue, capelli, scaglie di pelle. E l'incidente non ha lasciato segni su di lui? Lesioni, abrasioni, contusioni, sangue. Con o senza cintura di sicurezza. C'erano segni corrispondenti sul corpo di Amri? Anche questo non è chiaro.

Nessun confidente, sostenitore o complice?

Il numero di persone, possibili complici, che si trovavano in prossimità della scena del crimine al momento del delitto continaua ad aumentare: oltre al coinquilino di Amri, Khaled A., al suo confidente Ben Ammar, Walid S. o ai fratelli Ahmad e Bilel M., la commissione ha scoperto che anche Feysel H. potrebbe essere stato in Breitscheidplatz poco dopo il delitto. Amri probabilmente aveva incontrato Feysel H. nella moschea di Fussilet un'ora prima dell'attacco. Come ha scoperto la commissione, c'era anche Ahmad M., che poi ha lasciato la moschea qualche minuto prima di Amri. Ciò significa che sono già state identificate dalle tre alle quattro persone sul luogo dell’incontro.

La BKA ha individuato un totale di oltre 300 possibili referenti di Amri in Germania. 43 sono stati classificati come "potenzialmente rilevanti per il reato". Tra questi, soprattutto l’ambiente di Berlino, compresa la moschea radicale di Fussilet. A Berlino e nel Nordreno-Vestfalia sono state effettuate una serie di intercettazioni telefoniche e di ispezioni in appartamenti. A Dortmund, Amri aveva anche utilizzato un alloggio che, curiosamente, si trova in Mallinckrodtstraße, vicino alla scena di un crimine della NSU.

In nessun caso ci sono confidenti, sostenitori o complici, non "rilevanti per il reato". Almeno nel caso di Ben Ammar, tuttavia, c'era un fondato sospetto di complicità. E’ stato comunque espulso, così come è accaduto a una mezza dozzina di altri contatti di Amri espulsi dopo di lui. I sospettati sono stati ignorati o depotenziati – sia che si trattasse della presenza sulla scena dell'attenato o del DNA sull'arma del delitto.

Il suo giro di persone era composto da jihadisti violenti, spacciatori di droga e criminalità organizzata, che tuttavia fra loro non erano strettamente separati; ma che al contrario, si sovrapponevano e si mescolavano. L'esempio migliore è stato lo scontro fisico nel luglio 2016 tra i complici di Amri e altri arabi in un bar del clan Abou Chaker. Ahmad M., che era insieme ad Amri nella moschea di Fussilet la sera dell'attentato, utilizzava per inciso lo pseudonimo di "Ahmad Abou-Chaker".

Sconosciuta l’identità degli informatori

Il rappresentante della BKA, il Kriminalhauptkommissar (KHK) D.G., responsabile per le indagini sugli informatori, quando gli è stato chiesto se ci fossero fonti della BKA nel giro di Amri ha scrollato le spalle. Ci sono state segnalazioni da parte di fonti che hanno fornito informazioni? Allo stesso modo: nessun ricordo.

È noto che la BKA di Berlino avesse almeno due informatori inseriti nell’ambiente.

Il Dipartimento di sicurezza del LKA (Landeskriminalamt) di Berlino, che ha assunto immediatamente la direzione dell’indagine il 19 dicembre 2016, si è rapidamente convinto che l'evento di Breitscheidplatz fosse un attacco islamista. Ha compilato immediatamente una lista di 40 persone su Berlino classificate come possibili colpevoli e che sono state perquisite a casa o nelle moschee dalle 23.00 in poi. La maggior parte di questi controlli, tuttavia, non sono stati effettuati immediatamente.

L'altra commissione d'inchiesta, quella della Camera dei rappresentanti di Berlino, non sapeva di chi si trattasse. Ma il nome Anis Amri non era tra quei 40, ha spiegato Stefan Redlich, che all'epoca era responsabile delle task force mobili (MEK) e dei gruppi di ricerca che effettuavano questi controlli. Circa la metà dei sospetti era stata scagionata quando il nome di Amri è diventato noto nel pomeriggio del 20 dicembre 2016. I controlli sulle persone sono stati interrotti e successivamete è stato ricercato solo il fuggitivo. Il confidente di Amri, Ben Ammar, si è nascosto per dieci giorni. A tutt'oggi, gli investigatori non sono ancora in grado di dire dove si trovava.


lunedì 1 giugno 2020

Elsevier Weekblad : "Nemmeno 5 centesimi in più' per l'Europa del sud"

"Sarebbe un'assurdità prendere i soldi degli operosi e produttivi europei del nord per darli agli europei del sud, meno laboriosi e già in prepensionamento" scrive nel suo commento il settimanale olandese Elsevier Weekblad. Basta questa frase per capire che l'unione di trasferimento in Europa sarà una fonte inesauribile di risentimenti, odio e accuse reciproche. Su Tichys Einblick dal tedesco l'articolo dell'olandese Jelte Wiersma.




Olandesi, aiutateci voi. Cosi' ad esempio ha reagito la Frankfurter Allgemeine Zeitung quando Angela Merkel ed Emmanuel Macron il 18 maggio hanno proposto un fondo europeo da 500 miliardi di euro per la ricostruzione. L'Olanda dovrebbe pagare circa 30 miliardi di euro. Il fondo dovrebbe essere un dono incondizionato ai paesi economicamente piu' colpiti dalle restrizioni anti-coronavirus. Si tratta principalmente dei paesi dell'Europa del sud. La proposta della cancelliera tedesca e del presidente francese implica un trasferimento di denaro dal nord al sud-Europa. La Germania così attraverserà il Rubicone. Per la prima volta, infatti, Merkel mostra l'intenzione di trasferire del denaro verso l'Europa del sud

È un fatto alquanto perverso. Perché i dati mostrano che i paesi dell'Europa meridionale non sono affatto poveri e hanno denaro a sufficienza oppure hanno un accesso sufficiente al credito. Potrebbero anche facilmente migliorare la produttività delle loro economie con delle riforme, come del resto hanno già fatto i paesi del nord.

I tedeschi sono meno ricchi dei francesi e degli italiani

Prima di tutto bisogna sgomberare la strada da una serie di favole. I principali paesi dell'Europa meridionale, Francia e Italia, non sono poveri. La banca svizzera Credit Suisse ogni anno calcola il valore dei patrimoni privati in questi paesi. L'analisi dimostra che se il capitale complessivo in Francia viene sommato e diviso per il numero dei residenti adulti, il francese possiede in media 276.121 euro. Per l'italiano, la ricchezza media è di 234.139 euro. Per gli olandesi è di 279.077 euro, per i tedeschi 216.654 euro. I tedeschi in media sono più poveri dei francesi e degli italiani, mentre gli olandesi sono un po 'più ricchi. Anche il debito del Nord Europa non è inferiore rispetto a quello del Sud Europa.

L'attenzione è sempre sul debito pubblico. Tutti conoscono le regole del patto di stabilità e crescita dell'eurozona secondo le quali i paesi possono avere un debito nazionale al massimo del 60%.

Ma poche persone conoscono i suggerimenti della Commissione europea, che per le famiglie indica un debito massimo del 133% del PIL. E nell'Europa del nord il debito privato delle famiglie è molto più elevato. Se si sommano i debiti pubblici e privati ​​dei 27 paesi dell'UE (dati Eurostat 2018), si ottiene un quadro più preciso di quali siano i paesi realmente indebitati.

Gli olandesi hanno dei mega-debiti, i francesi e gli italiani no

La Francia ha un debito pubblico pari al 100 % del PIL, il debito privato ammonta al 148 % del reddito nazionale. Sommati fanno il 248 %. L'Italia ha un debito nazionale del 137 % e un debito privato del 107 %: un totale del 244 %. La Germania ha un debito pubblico del 62,6 %, il debito privato delle famiglie é del 102 %: un totale del 164,6 %. E poi ci sono i Paesi Bassi. Qui il debito pubblico è del 59,4 %, ma il debito privato è del 241,6 %. Fra debito pubblico e privato, nel complesso l'Olanda ha un debito del 301 %.

Mentre la Germania è meno indebitata rispetto ai due principali paesi dell'Europa meridionale, i Paesi Bassi hanno più debito. La Danimarca e la Svezia hanno un debito leggermente inferiore rispetto all'Olanda, ma entrambi i paesi con circa il 250% del PIL sono piu' in alto rispetto a Francia e Italia.

La differenza è dovuta principalmente all'elevato debito contratto per l'acquisto di immobili. In altre parole, la maggior parte delle case in Francia e in Italia (oltre il 70%) sono immobili senza o con un piccolo mutuo. Nel nord, il debito ipotecario è alle stelle, mentre l'accesso alla proprietà immobiliare è più basso. Solo il 56,2 % delle case nei Paesi Bassi appartiene a chi vi risiede, in Germania è il 54 %.


Teoricamente Francia e Italia potrebbero ridurre enormemente il loro debito pubblico. Se i proprietari di casa in questi paesi sottoscrivessero dei mutui (più alti) per le loro case e una parte dei pagamenti fosse versato allo stato, il debito pubblico potrebbe essere facilmente ridotto a un livello simile a quello del Nord Europa.

Perché non c'è Eataly nei Paesi Bassi?

Un'altra favola. Secondo i capi di governo dell'Europa del sud, i paesi dell'Europa settentrionale si avvantaggiano in maniera eccessiva del mercato interno europeo.

I paesi del Nord Europa vorrebbero solo esportare (a sud), ma senza importare da sud. I paesi del Nord Europa trufferebbero anche mantenendo gli stipendi troppo bassi, dando quindi ai consumatori del Nord Europa un potere d'acquisto insufficiente per importare prodotti dall'Europa meridionale, costringendo così le aziende dell'Europa del sud a uscire dal mercato. In effetti, l'avanzo commerciale del Nord-Europa è aumentato in maniera significativa dall'inizio del secolo. I Paesi Bassi hanno un avanzo commerciale del 10% del PIL, Germania e Svezia sono a circa il 6 %, l'Italia ha il 2 %, la Francia al -2 %.

Ma è colpa dell'Europa del nord? Non è una decisione politica, alla fine dipende da ciò che i consumatori fanno e da ciò che non vogliono acquistare. E l'Italia esporta più di quanto non importi e quindi ogni anno ha piu' soldi a disposizione, la Francia invece ha solo un piccolo deficit di bilancia commerciale. In entrambi i paesi ci sono grandi aziende che fabbricano prodotti richiesti in tutto il mondo, come ad esempio l'abbigliamento di lusso, le scarpe, i profumi, il cibo e i mobili. Non c'è nulla che impedisca a Francia e Italia di pubblicizzare i loro prodotti con il messaggio: aiutaci Nord-Europa, compra i nostri prodotti anziché quelli cinesi. Ma non lo si vede scritto da nessuna parte. Un'occasione mancata. E perché non c'è ancora Eataly in Olanda, la bellissima catena di negozi/ristoranti con prodotti di alto livello dall'Italia?

Francia e Italia volevano l'euro, ma ora se ne lamentano

L'avanzo commerciale del nord in parte è dovute all'euro, una valuta che è stata introdotta su richiesta della Francia per annullare la forza del D-Mark. E l'Italia ha voluto unirvisi contro il volere dei Paesi Bassi. Sia in Francia che in Italia l'introduzione della moneta unica era stata celebrata come una vittoria sul nord, in particolare sulla Germania. Ma l'euro in realtà è troppo debole per il Nord Europa e rende artificialmente economici i servizi e i prodotti di alta qualità prodotti dal Nord. Per questa ragione c'è stato un boom dell'export, non solo all'interno dell'UE. Un terzo delle esportazioni olandesi, infatti, va verso i paesi extra UE, anche il 40% dell'export tedesco va verso paesi extra UE.


L'euro in realtà è troppo forte per i paesi dell'Europa meridionale e rende i loro servizi e prodotti troppo costosi rispetto alla loro qualità. Ma è esattamente quello che chiedeva la stessa Europa del sud quando chiedeva di poter entrare nell'euro. E gli stipendi nell'Europa del nord, contrariamente alle accuse del sud, sono più alti di quelli del sud. In Germania e nei Paesi Bassi, un'azienda spende circa 36 euro l'ora per ogni dipendente, in Danimarca addirittura 44 euro, riferisce Eurostat. In Italia sono solo 28 euro.

Il Nord Europa è già super solidale con il sud

Fra tutte le accuse, la piu' bizzarra è quella del presidente francese Emmanuel Macron e del primo ministro italiano Giuseppe Conte. Secondo loro, infatti, il Nord Europa non mostrerebbe un livello sufficiente di solidarietà. E' una grande assurdità. La Germania è sempre stata un contributore netto dell'Unione europea e anche di quello che c'era prima. Di fatto i Paesi Bassi sono il maggiore contributore netto pro-capite al bilancio dell'UE. Ciò è alquanto strano perché il Lussemburgo, ad esempio, che dà un contributo minore al bilancio dell'UE, invece è più ricco. Oltre a ciò, nell'eurozona ci sono già ora degli enormi trasferimenti dai risparmiatori ai debitori. La Banca centrale europea (BCE), dominata dagli europei del sud, tiene i tassi di interesse bassi e mantiene l'offerta di moneta ad un livello senza precedenti. E questa politica danneggia i risparmiatori e favorisce i debitori.

Ad esempio, in Germania e nei Paesi Bassi, la maggior parte dei lavoratori ha versato dei soldi in una pensione privata. Queste pensioni perdono continuamente di valore. In Germania, la previdenza sociale privata rischia di fallire; nei Paesi Bassi le pensioni non sono indicizzate e possono anche essere ridotte. I risparmi (pensionistici) dell'Europa del nord sono stati bruciati. Ne beneficiano i debitori, come del resto le persone che devono rimborsare un mutuo (anche nei Paesi Bassi) e i paesi con un debito pubblico elevato, specialmente nell'Europa meridionale. La BCE ha anche acquistato una quantità enorme di debito pubblico - fino al 30 % del debito pubblico dei paesi dell'eurozona. I paesi creditori come la Germania (con una quota del 26% nella BCE) e i Paesi Bassi (5,6%) contribuiscono e garantiscono per l'alto livello di indebitamento nell'Europa meridionale. Questa è super solidarietà.

L'olandese lavora nove anni in più dell'italiano

Nella direzione opposta, invece, questa solidarietà è carente. Il sud sta sistematicamente violando gli accordi sul patto di stabilità e crescita dell'UE. Francia e Italia non ne hanno piu' parlato sin dall'introduzione dell'euro nel 1999. Da allora, infatti, il debito pubblico italiano è aumentato passando dal 113 al 137 % del PIL. Al contrario, sarebbe dovuto scendere al 60%. Quando è stato introdotto l'euro, la Francia aveva un debito pubblico di circa il 60%, ma già prima del coronavirus aveva un debito del 100%. La Commissione europea, in quanto custode delle regole, avrebbe dovuto imporre delle multe, ma non lo ha mai fatto sotto la pressione di Francia e Italia. Il debito pubblico di Germania, Paesi Bassi e Paesi scandinavi è sempre stato di circa il 60% o inferiore, tranne un breve periodo nel punto più basso della crisi bancaria e creditizia.


Francia e Italia non hanno mai rispettato le regole dell'euro

Francia e Italia hanno sfruttato i bassi tassi di interesse di cui godono grazie all'euro per spendere piu' soldi. Per fare cosa? Un punto importante di questa storia sono le pensioni. L'olandese lavora in media 41 anni, lo svedese 42,9 anni, i tedeschi 39,1 anni, i danesi 40 anni, secondo i dati Eurostat. In Francia sono 35,4 anni, in Italia 32. Anche gli spagnoli, i belgi, i greci e i portoghesi lavorano tra i 33 e i 38 anni. Gli europei del Nord e le aziende per cui lavorano pagano contributi pensionistici e imposte sul reddito per un periodo piu' lungo e godono di meno anni di pensionamento.

Anche i tassi di occupazione sono molto più alti nel Nord-Europa. In Danimarca e nei Paesi Bassi, quasi l'80% delle persone in età compresa tra i 15 e i 65 anni lavora per piu' di dodici ore alla settimana. Sono in testa alla classifica. Seguono Svezia e Austria. La Germania è a poco più del 70 %, la Francia al 65 %, l'Italia al 58 %. In breve, gli europei del Nord lavorano più frequentemente e molto piu' a lungo.


Gli olandesi, tuttavia, lavorano relativamente poco: 28 ore a settimana. Ma ciò in parte è dovuto anche al fatto che ci sono così tante persone  impiegate e il 55,1% di esse lavora part-time. Se si guarda solo al lavoro a tempo pieno, gli olandesi lavorano in media 39 ore a settimana, mentre i francesi con un lavoro a tempo pieno hanno l'orario di lavoro più breve di tutta Europa: 35 ore. E la produttività del lavoro degli olandesi e dei tedeschi, nelle ore in cui lavorano, è di un quarto piu' alta rispetto a Italia e Spagna. Sarebbe un'assurdità prendere i soldi degli operosi e produttivi europei del nord per darli agli europei del sud, meno operosi e già in prepensionamento.

La fedeltà dei contribuenti, inoltre, è migliore nel nord che nel sud. Secondo il Fondo monetario internazionale, infatti, in Italia un quarto dell'economia è sommersa. In Francia è il 14%, quasi il 20% in Spagna, il 9 % in Austria e il 13 % nei Paesi Bassi. Gli europei del sud difficilmente possono aspettarsi che gli europei del nord colmino i buchi nei loro bilanci nazionali causati da questi comportamenti.

La somma del debito pubblico e privato nei Paesi Bassi è superiore rispetto a quella di Francia e Italia

Sono solo i paesi dell'Europa meridionale che possono risolvere i loro problemi. Aumentare l'età pensionabile, rendere il mercato del lavoro più flessibile, semplificare la creazione di un'impresa, introdurre una fiscalità più trasparente, imporre delle tasse, ecc. Non ci sono costi, serve solo forza di volontà e determinazione. Ma nell'Europa meridionale manca proprio questo. I cittadini e i politici preferiscono continuare a insultare il Nord Europa se questo si rifiuta di mettergli i soldi in tasca.

La proposta di Merkel e Macron per ora è solo un pettegolezzo. Che diranno se spariamo 500 miliardi di euro? La somma è solo un colpo in aria. E questo perché è orientata all'offerta e non alla domanda. I 500 miliardi saranno una soluzione a quale problema? Grazie alle garanzie dell'Europa del nord, i paesi del sud, infatti, già ora possono ottenere dei prestiti a basso costo dalla BCE oppure sul mercato dei capitali. E in caso contrario, potrebbero cercare di incassare più tasse dai propri cittadini piu' facoltosi.

I quattro paesi "ragionevoli" sono generosi

Il Consiglio europeo dei capi di governo si riunirà a Bruxelles giovedì 18 e venerdì 19 giugno. Se prima di questo incontro non sarà convocato un vertice, questo sarà il primo confronto collettivo tra i 27 capi di Stato e di governo dell'UE dopo la presentazione del piano Merkel/Macron. Il Primo Ministro Mark Rutte (VVD) e i suoi colleghi di Svezia, Austria e Danimarca, Kjell Stefan Löfven, Sebastian Kurz e Mette Frederiksen devono porre fine a questa assurdità.

Questi quattro paesi "ragionevoli", sicuramente non "avari", hanno già detto "no" al piano. Hanno presentato una controproposta: prestiti per un massimo di due anni, condizionati da riforme incisive. Ancora non è stato indicato un importo. I paesi che desiderano ottenere dei prestiti dovranno presentare le proprie proposte in merito agli importi e alle modalità di spesa del denaro. E' un approccio orientato alla domanda e quindi logico. Date le circostanze è molto generoso, forse anche troppo generoso.

sabato 30 maggio 2020

Wolfgang Streeck - Per la politica tedesca è arrivata l'ora della verità

"Chi desidera che l'UE sia sovrana, è libero di chiedere una revisione formale dei trattati, seguita da un referendum laddove questo sia costituzionalmente necessario per rendere efficaci le modifiche ai trattati. Federalismo, perché no - ma per favore alla luce del sole e non come un effetto collaterale delle politiche della BCE, approvate dall'attivismo di un tribunale europeo", scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck in merito alla sentenza della Corte di Karlsruhe. Per Streeck la sentenza della Corte costituzionale tedesca avrà effetti di vasta portata e per la politica tedesca sta per arrivare l'ora della verità. Un ottimo Wolfgang Streeck da Makroskop

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La sentenza sul PSPP (Public Sector Purchasing Program) della Corte costituzionale federale ha mostrato un'altra frattura nella struttura dell'Unione europea, vale a dire quella fra sistemi giuridici con una diversa concezione della Costituzione. Ci sono dei forti parallelismi con il caso del Regno Unito, dove il modello UE, secondo il quale una costituzione viene modificata passo dopo passo da un tribunale di ultima istanza, si è duramente scontrato con la tradizione radicata in Gran Bretagna di una forte governance parlamentare, fatto che ha contribuito alla Brexit.


Nel conflitto fra la Corte costituzionale tedesca e la Corte di giustizia europea (CGE), assistiamo a una battaglia tra due potenti tribunali di ultima istanza, conflitto che riguarda altro essenzialmente una sola questione di fondo, e cioè: l'UE è un'organizzazione internazionale o uno stato federale?

Una posizione di spicco che fa parte del patrimonio politico del dopoguerra

La posizione di forza della Corte costituzionale federale tedesca è una parte essenziale del patrimonio politico del dopoguerra. È paragonabile alle disposizioni previste dalla Legge fondamentale secondo le quali le truppe tedesche, anche se sono sotto un comando internazionale, non possono essere dispiegate senza un mandato parlamentare strettamente definito. Entrambe le disposizioni limitano fortemente il potere discrezionale dell'esecutivo federale ed entrambe non sono facilmente conciliabili con un altro obbligo costituzionale del governo tedesco, vale a dire: perseguire la cooperazione internazionale come un obiettivo nazionale.

In generale i poteri di vasta portata attribuiti alla Corte costituzionale federale possono rappresentare una restrizione alquanto scomoda per la capacità dei governi tedeschi di agire, sia in politica estera che interna. Ed infatti è proprio cosi', anche se a volte considerare la Corte costituzionale come un potenziale guastafeste può migliorare la posizione negoziale internazionale del nostro paese. D'altra parte, la Corte di solito fa del suo meglio per andare incontro ai governi in carica.

E questo è il caso del PSPP, nell'ambito del quale non è stato impedito alla Bundesbank di partecipare al programma di acquisto di obbligazioni della BCE. Ciò su cui la corte insiste, tuttavia, è il suo potere decisionale, in merito al fatto che gli atti degli organi dello stato tedesco, in particolare della Bundesbank, possano violare i diritti democratici e politici di base dei cittadini tedeschi, in quanto non sono coperti né dalla Legge fondamentale tedesca né dal diritto internazionale attraverso dei trattati legalmente ratificati dallo stato tedesco.

Anche sotto la pressione di una crisi, non è possibile ignorare le costituzioni 

Gli effetti sono di vasta portata. Pur aderendo al proprio mandato costituzionale, la Corte tedesca, infatti, insiste sul fatto che l'UE, la BCE e la Corte di giustizia europea non possano in alcun modo estendere la loro giurisdizione ai diritti dei cittadini tedeschi garantiti dalla Costituzione tedesca. Sebbene possa sembrare un argomento banale, implica che l'Unione europea non è (ancora) uno stato federale, ma dipende ancora dal fatto che i suoi Stati membri le abbiano conferito determinati poteri. (Uno dei giudici pochi giorni dopo il verdetto ha dichiarato in un'intervista ad un giornale: "fino a quando non vivremo in uno stato europeo, l'adesione di un paese è soggetta alla legge costituzionale di quel paese").

La sentenza implica anche che le costituzioni - compresa la costituzione di fatto dell'UE - non possano essere modificate incidentalmente. Né possono essere ignorate sotto la pressione di una crisi, secondo il famigerato detto di Carl Schmitt: "l'emergenza è l'ora dell'esecutivo", per non parlare dell'altrettanto famigerato detto tedesco: "la necessità non conosce comandamenti".

Chiunque desideri che l'UE sia sovrana, afferma la corte, è libero di chiedere una revisione formale dei trattati, seguita da un referendum laddove questo sia costituzionalmente necessario per implementare le modifiche ai trattati. Federalismo, perché no - ma per favore alla luce del sole e non come un effetto collaterale della gestione della crisi da parte della BCE, sanzionato da un tribunale europeo attivista. (Naturalmente una revisione in senso federale dei trattati, in realtà di qualsiasi revisione, può essere esclusa sia oggi che nel prossimo futuro - anche a causa dell'eterogeneità degli interessi degli attuali 27 Stati membri, nessuno dei quali, in particolare i paesi del Mediterraneo, vogliono rinunciare alla loro sovranità).

Domande sulla vera natura e la vera finalità dell'UE

È interessante come i commentatori, sia di destra che di sinistra, non capiscano quanto sia stato grande l'imbarazzo per il governo tedesco dopo la decisione sul PSPP della Corte costituzionale federale, proprio nel momento in cui la Germania si appresta ad assumere la presidenza dell'UE nella seconda metà dell'anno. Cosi' per raffreddare l'eccitazione della retorica internazionale sulla presunta parsimonia della Germania, lo stato tedesco, per confermare la sua egemonia europea, finirà per pagare alle casse dell'UE molto piu' di quanto i suoi elettori alquanto preoccupati avrebbero mai concesso. Ancora peggio, la sentenza ha sollevato la questione di tutte le questioni, la domanda che i governi europei hanno imparato a evitare, vale a dire: qual'è la vera natura e la vera finalità dell'UE?

Deve essere enorme, per la classe politica tedesca, la tentazione di usare le proteste europee contro la Corte costituzionale federale per declassarne il suo rango all'interno della costituzione tedesca. Fatto che amplierebbe enormemente la portata politica dell'esecutivo e sarebbe sicuramente coerente con una tendenza generale presente nelle democrazie capitaliste, con notevoli parallelismi simili agli sviluppi in Polonia e Ungheria, ad esempio. Una riduzione dei poteri della Corte costituzionale federale, tuttavia, non sarebbe facile in quanto la sua reputazione nell'opinione pubblica tedesca resta elevata.

La riforma costituzionale come regalo per il Consiglio europeo?

Una modifica costituzionale che trasformi la Corte costituzionale federale in un tribunale di seconda istanza subordinato alla Corte di giustizia, tuttavia, potrebbe avere delle possibilità. Soprattutto se si riuscisse a dare l'impressione che ciò in qualche modo potrebbe aiutare contro il Coronavirus e la successiva catastrofe economica. La maggioranza dei due terzi richiesta, in parlamento si potrebbe anche trovare, con la SPD e i Verdi che sostituiscono i parlamentari della CDU/CSU che si rifiuterebbero di apportare tale modifica. Non sarebbe forse un bel regalo di Merkel al Consiglio europeo, quando la Germania assumerà la presidenza del Consiglio dell'UE il 1 ° luglio 2010?

Un declassamento della Corte costituzionale tedesca dovrebbe essere benvenuto anche per coloro che - come il filosofo tedesco Jürgen Habermas - chiedono l'istituzione di un esercito europeo come veicolo per la creazione di uno stato europeo. La necessità di ricevere un mandato dal Bundestag spesso si è rivelata essere un problema, soprattutto quando alla Germania è stato chiesto di fornire delle truppe per delle "missioni" in luoghi come Iraq, Libia, Siria, Mali o Afghanistan. Senza la Corte costituzionale, almeno per quanto riguarda la politica estera e la cooperazione internazionale, per il governo tedesco sarebbe stato molto più facile ignorare le preoccupazioni dei parlamentari.

Ursula von der Leyen, attualmente alla presidenza della Commissione europea, nella sua precedente posizione come ministro della Difesa tedesco in più di una occasione si sarà trovata nella impossibilità di fare un favore agli americani o ai francesi a causa delle prevedibili obiezioni del Bundestag. Come presidente della Commissione europea, senza la Corte costituzionale tedesca, sarebbe finalmente in grado di costruire una "cooperazione" militare europea, ad esempio per controllare le ex colonie francesi nell'Africa occidentale.

Violazione della "sovranità europea"?

In ogni caso, subito dopo l'annuncio della decisione della Corte, i deputati dei Verdi al Parlamento europeo hanno chiesto alla Commissione di aprire una procedura formale di infrazione contro la Germania - presumibilmente in nome del patriottismo costituzionale tedesco - sebbene il governo tedesco non abbia fatto nulla per attuare la sentenza, e non è nemmeno chiaro se mai lo farà. Von der Leyen, una lealista di Merkel di lunga data, ha seguito l'esempio esprimendo il timore che diversamente, anche altri paesi dell'Europa orientale come la Polonia, potessero sentirsi incoraggiati a non osservare le decisioni della CGE. In quell'occasione, ha descritto la sentenza PSPP come una violazione della "sovranità europea".

Le procedure di infrazione richiedono tempo e, in ogni caso, alcuni Stati membri si chiederanno cosa ciò significherebbe per la loro sovranità se l'UE dovesse riuscire a rivendicare per sé la sovranità. Forse aspetteranno fino all'ultimo minuto, sperando che i tedeschi si facciano carico delle conseguenze del conflitto. Con ogni probabilità, il processo finirà o addirittura non inizierà se, in cambio, la Germania accettasse di versare piu' soldi nel prossimo bilancio europeo, forse dopo aver massacrato la sua Corte costituzionale come un agnello sacrificale sull'altare dell'europeismo.

Qualunque cosa accada, si può scommettere su due cose. Innanzitutto, il governo tedesco troverà un modo per dare alla BCE la possbilità di continuare a "fare tutto il possibile" per mantenere in vita l'euro. (Se ciò alla fine avrà successo è un'altra questione). L'euro è la miniera d'oro per eccellenza dei tedeschi, mentre non è affatto chiaro perché Italia, Spagna e Francia abbiano così tanta voglia di tenerselo, per la Germania in questa lunga fase di stagnazione capitalista è un'ancora di salvezza.

In secondo luogo, anche se la BCE, il bilancio dell'UE, la Banca europea per gli investimenti e tutti gli altri, grazie a delle iniezioni di soldi europei e alla abile messa in scena di una presunta capitolazione tedesca, per diversi anni ancora continuassero a trovare i mezzi necessari per tenere in piedi e foraggiare le classi politiche della periferia meridionale dell'eurozona ormai in declino, ciò non fermerebbe affatto la devastazione economica dei paesi del Mediterraneo. Perché questa è di natura strutturale, ed è radicata nella rinuncia alla sovranità monetaria dei paesi del Mediterraneo ed è così profonda che non può essere risolta attraverso quei trasferimenti che i governi tedeschi potrebbero permettersi sia economicamente che politicamente.

Il risultato sarà una crescente disuguaglianza fra i paesi dell'Unione monetaria e all'interno dei paesi, e sarà accompagnata da un'ostilità internazionale in crescita costante. Si avvicina l'ora della verità per le vuote promesse fatte dai tedeschi in passato, fatte con la irresponsabile speranza che non dovessero essere mai mantenute. La delusione avvelenerà profondamente la politica europea.

venerdì 29 maggio 2020

Anche i falchi possono diventare colombe

Anche i falchi bavaresi della CSU possono diventare colombe. Markus Soeder, il presidente della ricca Baviera e possibile futuro Cancelliere, l'uomo che per anni ha accusato gli scrocconi berlinesi di vivere grazie ai trasferimenti degli operosi bavaresi, questa volta non attacca il recovery fund e a sorpresa si fa colomba con gli europei del sud. In una intervista alla FAZ ci spiega che se la Germania vuole avere un ruolo strategico e uno spazio geopolitico deve aprire i cordoni della borsa. Se dessero ascolto alla Corte di Karlsruhe e agli apparati statali i tedeschi probabilmente risparmierebbero diverse centinaia di miliardi di euro, ma la Germania sarebbe destinata a restare come la Svizzera, solo un po' piu' grande. Alcuni passaggi dall'intervista alla Faz.net

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FAZ: (...) la Cancelliera e il Presidente francese propongono che la Commissione europea emetta fino a 500 miliardi di euro di nuovo debito, e che ogni paese se ne faccia carico in base alla sua quota sul bilancio dell'UE. Sarebbe quel debito comune che finora la Germania ha sempre rifiutato?

Markus Soeder: la condivisione del debito ci sarebbe stata se avessimo introdotto i coronabond. Sarebbe stata quindi la Germania ad avere una responsabilità illimitata sui vecchi debiti degli altri paesi. Ma se ci si mettesse a ripianare i deficit di bilancio degli altri paesi, allora per l'Europa non si tratterebbe di una ripartenza. E questo non è ragionevole. Soprattutto, nel lungo periodo finirebbe per indebolire il nostro paese. Anche la Germania quindi non potrebbe restare un partner affidabile in grado di aiutare gli altri paesi. Rispetto alle obbligazioni o all'emissione di debito l'idea della Cancelliera e del Presidente francese è quella piu' sostenibile. Posso immaginare che il fondo per la ricostruzione sarà una combinazione fra sovvenzioni e prestiti. L'importante è: non dovrebbero essere soldi messi li' per pagare i vecchi debiti, ma per realizzare nuove idee sulla digitalizzazione, la tecnologia e l'infrastruttura. Questo è l'unico aiuto permanente possibile. Se non aiutiamo i partner europei particolarmente colpiti dal Coronavirus, l'Europa alla fine andrà in pezzi. Il nostro continente non ne uscirebbe sconfitto solo dal punto di vista economico, ma potrebbe diventare una palla da gioco per le altre potenze.

FAZ:  quali?

Markus Soeder: tutti sanno quali sono gli interessi in campo. L'Europa deve continuare ad autodeterminarsi e restare unita nel processo internazionale. Al momento c'è il rischio che l'Europa esca dalla scena mondiale. Sarebbe un passo indietro per la difesa dei nostri valori come la libertà, i diritti umani e la democrazia. Se la Germania aiuta Italia e Spagna, allora stiamo aiutando noi stessi - e non solo economicamente, ma anche politicamente e culturalmente. Perché noi tutti siamo l'Europa.

FAZ: alcuni dei suoi colleghi di partito sembrano temere una messa in comune dei debiti

Markus Soeder: capisco tale scetticismo. Il sentiero è molto stretto. Sono somme che naturalmente fanno venire il mal di stomaco. Molto dipenderà dal modo in cui i fondi saranno pensati. Un rifiuto totale purtroppo non ci aiuterebbe molto. Perché una disintegrazione dell'Europa e quindi del mercato interno, anche solo dal punto di vista finanziario, sarebbe un rischio enorme. Già ora stiamo vedendo quale fallimento economico abbiamo a causa del Coronavirus, solo perché le catene di approvvigionamento dall'Europa meridionale non stanno funzionando. Se esitiamo ora e sottovalutiamo l'impatto psicologico, c'è il rischio di una seconda Brexit in Italia. Ma un'Europa senza l'Italia o senza la Spagna non sarebbe piu' l'Europa che conosciamo. L'UE non avrebbe piu' senso.

FAZ: pensa che sia realistico uno scenario in cui uno dei paesi del sud potrebbe lasciare l'UE se non dovesse piu' riuscire a risollevarsi economicamente?

Markus Soeder: molti non pensavano che la Gran Bretagna facesse sul serio. Ma la Brexit ora è in corso. Non riesco ancora a immaginare un'Europa forte senza la Gran Bretagna. Ma senza l'Italia resterebbe poco dell'idea originale. La base dell'UE erano i trattati di Roma. L'Italia è il nucleo culturale e storico d'Europa e rappresenta il grande desiderio dei Tedeschi. Il coronavirus ha profondamente colpito e ferito l'Italia. Semplicemente non possiamo lasciare il paese ai populisti come Salvini. Quello che sta accadendo in Italia ci colpisce tutti. Per questo meglio aiutare con ragionevolezza e intelligenza, invece di girarsi dall'altra parte per poi ritrovarsi di fronte alle macerie d'Europa. Si tratta di un importante fase storica in Europa. E qui non possiamo fallire. (...)