|
Heiner Flassbeck |
A volte un'affermazione molto semplice può dirci in che modo una società mente a se stessa per nascondere delle relazioni alquanto spiacevoli. Così accade anche per l'inflazione e così accade per la disoccupazione.
Un anno di forte aumento dei prezzi, solitamente chiamato "inflazione", ha fatto tremare la società e la politica; quarant'anni di disoccupazione, invece, vengono semplicemente messi da parte perché non rientrano nella propria visione del mondo.
In una intervista straordinaria, il membro del Comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel ha offerto
un punto di vista approfondito della sua visione del mondo economico.
Il risultato è scioccante. La signora Schnabel non solo difende la dottrina totalmente fallimentare del cosiddetto monetarismo, ma la sua visione storica della disoccupazione è anche caratterizzata da una grande ignoranza. Entrambi i fatti sono fatali, perché le false lezioni che si traggono dalla storia spesso ci spiegano in maniera diretta gli errori che si commettono nel presente.
È più che sorprendente il modo in cui la signora Schnabel vede la situazione sul mercato del lavoro negli anni '70 rispetto a quella odierna. E dice:
"Soprattutto, abbiamo un mercato del lavoro insolitamente forte. La disoccupazione - e questa è un'enorme differenza rispetto agli anni '70 - è ai minimi storici nell'area dell'euro. Abbiamo una grande carenza di manodopera. Allo stesso tempo, naturalmente, ciò significa che in questo processo negoziale i lavoratori hanno un maggiore potere contrattuale (...)"
Isabel Schnabel, BCE
Questo è più che problematico per il suo giudizio sulla reazione dei lavoratori agli attuali aumenti temporanei dei prezzi. Se questo punto di vista (completamente errato) dovesse prevalere in tutto il Comitato esecutivo della BCE, ciò spiegherebbe anche l'errata valutazione della durata e della pericolosità degli aumenti temporanei dei prezzi.
Ora la BCE ha addirittura aumentato un'altra volta i tassi di interesse, anche se il pericolo di un'inflazione reale nel frattempo è stato ampiamente scongiurato (come mostrato qui di recente).
La denuncia di una carenza di lavoratori qualificati
La BCE non è affatto sola in questo errore di valutazione. Si sente spesso dire, soprattutto in Germania, che attualmente si registra una carenza particolarmente grave di lavoratori qualificati e che anche i posti di lavoro che richiedono solo basse qualifiche sono difficili da occupare.
Questo può essere vero agli occhi delle aziende da tempo abituate ad essere "rifornite" alla svelta delle qualifiche di cui avevano bisogno dall'ufficio di collocamento. Agli occhi di un imprenditore che ha vissuto gli anni '70, però, l'affermazione secondo la quale oggi ci sarebbe carenza di manodopera è uno scherzo di cattivo gusto.
Il mercato del lavoro: la differenza elementare rispetto agli anni '70
Prima dell'esplosione del prezzo del petrolio nel 1973, la Germania e mezzo mondo avevano attraversato 20 anni di super boom che, come l'Ufficio federale di statistica ha appena mostrato nelle statistiche storiche, la Germania aveva ripreso a crescere all'inizio degli anni Settanta.
La situazione sul mercato del lavoro era molto chiara. In Germania c'erano circa 100.000 disoccupati e circa un milione di posti vacanti, un rapporto di uno a dieci. Non c'era praticamente lavoro da cercare o trovare, perché la maggior parte delle 100.000 persone registrate come disoccupate si era appena iscritta all'ufficio di collocamento, poco prima di trovare un nuovo lavoro.
Oggi ci sono circa 2,5 milioni di disoccupati secondo le statistiche ufficiali e circa 800.000 posti di lavoro (anch'essi secondo il conteggio ufficiale) vacanti. Si tratta di un rapporto di tre a uno. Chiunque paragoni un rapporto di uno a dieci con un rapporto di tre a uno giungendo alla conclusione che nel secondo caso vi sia una carenza "storica" di manodopera e che quindi i lavoratori oggi abbiano un maggiore potere contrattuale si sta fondamentalmente sbagliando.
Il timore di una spirale salari-prezzi viene fomentato in maniera artificiale
Sulla base di questa diagnosi errata, la BCE arriva addirittura a fomentare la paura di una spirale salari-prezzi, che invece è completamente infondata. Non solo a causa del rapporto inverso tra posti di lavoro e disoccupati, ma anche a causa di molte azioni politiche deliberate durante i decenni del neoliberismo: il movimento sindacale in Germania e in tutta Europa è stato massicciamente indebolito.
Non da ultimo, all'inizio di questo secolo, sotto i rosso-verdi, con la legislazione Hartz IV, il movimento sindacale e la capacità dei sindacati di mobilitare i propri iscritti in occasione di uno sciopero, proprio nel più grande Paese dell'Unione monetaria, hanno subito un duro colpo.
Tutto questo è passato inosservato a Isabel Schnabel? Se fosse così, allora non ha nulla a che fare con il luogo in cui siede.
Ci si chiede, tuttavia, come abbia fatto l'economia all'inizio degli anni Settanta a crescere in modo così sostenuto, quando a differenza di oggi non c'era la possibilità di reclutare manodopera dall'esterno
La risposta è semplice.
Vale e dire: le aziende hanno dovuto trasformare internamente tutti i lavoratori disponibili in lavoratori qualificati con l'aiuto di una formazione intensiva.
Chi non riusciva a trovare dipendenti doveva rassegnarsi alla possibilità di espandere il business solo alle attività che potevano essere realizzate escllusivamente con la forza lavoro esistente. E c'erano tutte le ragioni per investire in attività fisse, più in quelle che aumentavano la produttività che in quelle che aumentavano la capacità.
Le lamentele dei datori di lavoro sulla carenza di competenze, che vengono lanciate nel dibattito pubblico ogni pochi mesi, sono piu' che altro l'espressione di una mentalità dell'offerta da parte dei datori di lavoro che non può essere giustificata da nulla e che ha potuto emergere nei decenni passati perché la disoccupazione è rimasta costantemente alta.
Coloro che nei loro discorsi domenicali invocano l'auto-guarigione dell'economia attraverso le sole forze di mercato diventano improvvisamente sostenitori dell'interventismo statale quando si tratta di disponibilità di manodopera. Lo Stato tuttavia non ha alcun obbligo di garantire un'offerta regolare di manodopera.
La mentalità orientata all'offerta dei datori di lavoro è particolarmente evidente quando suppongono che questa offerta di manodopera debba avvenire sempre alle stesse condizioni salariali.
Se si ha urgente bisogno di manodopera, si deve fare quello che si è sempre fatto quando non si riesce a procurarsi facilmente un bene scarso: spendere più soldi. E questo è l'unico modo per sfruttare le potenzialità del mercato del lavoro non altrimenti disponibili.
Ma quando si tratta di aumentare i salari, i datori di lavoro dimenticano volentieri che si trovano in un'economia di mercato e non in un'istituzione statale.
La colpa è solo dei politici. Quando i ministri federali viaggiano dall'altra parte del mondo per reclutare lavoratori in un Paese in via di sviluppo, devono avere l'impressione che si tratti di una questione squisitamente politica.
Risolvere la carenza di lavoratori qualificati con l'immigrazione è tuttavia di un cinismo senza pari in una società che fa di tutto per chiudere quanto piu' possibile le proprie frontiere all'immigrazione in fuga dalla povertà, anche in barba ai diritti umani.
Va da sé che ci è permesso, per "nostre ragioni economiche", sottrarre ai Paesi in via di sviluppo i lavoratori qualificati di cui hanno urgente bisogno. Allo stesso tempo, però, facciamo tutto il possibile per fermare o impedire l'immigrazione per ragioni economiche.
Difficilmente si può essere più schizofrenici di così. Gli immigrati possono anche essere istruiti, ma ovviamente costano di più che andare a caccia di lavoratori già formati nei loro Paesi a spese dei contribuenti.
La soluzione al problema è semplice: in un Paese ci sono tanti lavoratori quanti sono gli abitanti.
Da dove arriva l'arroganza di dire che dobbiamo crescere più di quanto siamo effettivamente in grado di fare e che il divario deve essere colmato dall'immigrazione di lavoratori qualificati e ben istruiti?
Se la società è in grado di aumentare la propria prosperità attraverso l'aumento della produttività, tutto bene. Se non ci riesce, deve adattarsi a ciò che ha. Dovrebbe essere un tabù assoluto, soprattutto per le nazioni "basate sui valori", quello di manomettere il potenziale lavorativo di altri Paesi.
Cosa ci interessa davvero
Quello che ci interessa veramente è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio stipendiato guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica?
O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile.
Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto. I lavoratori qualificati devono semplicemente essere disponibili in abbondanza e a basso costo, in modo che il quinto superiore della gerarchia dei redditi possa continuare a vivere nel lusso non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi.