sabato 8 ottobre 2016

I primi della Klasse

Holger Zschäpitz, su "Welt.de" intervista Yoram Gutgeld, il consigliere economico del governo italiano. Per il giornalista tedesco l'Italia è probabilmente irriformabile e destinata ad uscire dalla moneta unica. Articolo zeppo di luoghi comuni, i primi della Klasse salgono in cattedra. Da Welt.de
Yoram Gutgeld è il principale consigliere economico del primo ministro italiano Matteo Renzi. Crede nella volontà dei suoi connazionali di riformare il paese - e chiede nuove regole per l'Europa.

Yoram Gutgeld non può' accettare un'accusa del genere. Non per lui, non per il governo e nemmeno per il paese. Ha 56 anni ed è diventato il piu' importante consigliere del primo ministro italiano Matteo Renzi. E vuole sapere cosa si dice di negativo sul suo paese in questi giorni.

Il FMI lancia previsioni economiche cupe per l'Italia, gli economisti più' importanti parlano di una generazione perduta nel mercato del lavoro, i politici stranieri non risparmiano consigli da primo della classe. Il centro delle critiche: per il debole stato-stivale non c'è posto nell'Euro.

Questa settimana il premio Nobel Joseph Stiglitz in un'intervista al quotidiano "Welt" ha parlato dell'uscita dell'Italia dall'Euro ormai vicina. Secondo Stiglitz, gli italiani sarebbero arrivati alla conclusione che è meglio uscire prima che il loro paese finisca in rovina.

La maggioranza degli italiani vuole restare nell'Euro

Gutgeld di fronte a queste dichiarazioni può' solo scuotere la testa: "i sondaggi piu' recenti evidenziano che la maggioranza degli italiani vuole mantenere l'Euro", dichiara in un'intervista a "Welt". "L'Euro ci ha fatto risparmiare miliardi di Euro di interessi". Grazie alla moneta unica gli italiani non hanno più' potuto fare affidamento sulle collaudate e puntuali svalutazioni competitive per tenere l'economia in carreggiata.

"Non abbiamo sfruttato gli ultimi due decenni per fare le riforme necessarie a rendere piu competitivo il paese e a farlo restare nell'Euro. Ora abbiamo bisogno di recuperare il tempo perduto", dice Gutgeld.

Nato in Israele, a 30 anni si è trasferito in Italia per lavorare con la società di consulenza McKinsey, e aiutare il paese a diventare più' efficiente. Si sente un vero italiano, lo si capisce chiaramente dal modo in cui parla dell'Italia. Non distanziato, come un consulente esterno, ma con il "noi".

L'ambizioso obiettivo di Gutgeld è fermare il declino economico e riportare l'economia del paese nuovamente in pista. E sa anche da dove deve partire. "Siamo noi la causa dei nostri problemi. Non possiamo dare la colpa all'Europa", ci dice.

Yoram Gutgeld vuole fermare il declino

Il tempo stringe. L'Euro, a quanto pare, ha privato gli italiani della crescita e reso la gente piu' povera. Dall'inizio dell'unione monetaria nel 1999 il reddito pro-capite è sceso. In nessun'altro paese le statistiche sono cosi' negative, anche i greci in questa statistica sono messi meglio rispetto a 17 anni fà.

Secondo il FMI l'Italia raggiungerà i livelli di PIL pre-crisi solo nel 2022. La disoccupazione è ben al di sopra della media europea, in particolare sono i giovani ad essere senza lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile è del 38.8%.

Sicuramente non è il livello più' alto dell'Eurozona. Ma in nessun'altro paese europeo la differenza con il tasso di disoccupazione generale, all'11.4%, è cosi' grande. Si rischia una generazione perduta, e un ritardo nella crescita che non potrà mai piu' essere recuperato.

Ma questa sguardo al paese è proiettato verso il passato, dice Gutgeld: "abbiamo appena riformato il mercato del lavoro e ora quello italiano è il mercato del lavoro piu' moderno e flessibile d'Europa". I primi successi sono già visibili. C'è un 3% di posti di lavoro in piu' nel settore privato.

Il referendum è una grande opportunità

Ma non è ancora tutto. Il paese ha davanti a sé una revisione generale. "Abbiamo diverse grandi aree problematiche sulle quali stiamo lavorando", dice Gutgeld. Un grande progetto è il processo decisionale politico, che deve essere semplificato. "Accadrà con la riforma costituzionale, su cui gli italiani voteranno all'inizio di dicembre".

L'esito del referendum tuttavia è incerto. C'è un testa a testa fra sostenitori e oppositori. Gutgeld è fiducioso che il premier Renzi saprà convincere i suoi concittadini: "Il referendum è una grande opportunità per riportare il paese di nuovo sulla strada del successo".

Nel frattempo anche gli italiani sono diventati consapevoli del fatto che non si può' andare avanti in questo modo. "Nel 1992 abbiamo già avuto una forte crisi. Allora abbiamo perso l'opportunità per fare le riforme decisive. Oggi l'atteggiamento dei cittadini è diverso. Gli italiani vogliono le riforme e voteranno di conseguenza al referendum".

Abbiamo bisogno di una vera unione bancaria e di un mercato dei capitali unico.

Gutgeld sie lo lascia sfuggire: considera sbagliate e funeste le severe misure di austerità che Berlino ha imposto in Europa. Tuttavia vuole copiare qualcosa dalla Germania, ad esempio il sistema duale della doppia formazione professionale. Sembra quasi che Gutgeld voglia far diventare gli italiani un po' più' tedeschi. Anche gli stereotipi sull'etica italiana del lavoro devono essere smentiti.

I pregiudizi ormai non arrivano piu' solo dall'esterno. La filosofa italiana Gloria Origgi ha identificato una norma sociale unica in Italia, che lei ha definito Kakonomics: gli italiani spesso producono un lavoro mediocre, in cambio si aspettano anche dalle loro controparti un lavoro mediocre. Tutti sono soddisfatti con questa situazione. Si basa su di un contratto sociale specifico: io credo che tu non sarai in grado di soddisfare completamente la tua promessa e intendo tenermi aperta la possibilità di non mantenere le mie promesse, cosi' secondo Origgi. 

Gutgeld considera questo tipo di teorie assurde. Come prova cita il surplus commerciale in continua ascesa. Invece di affrontarsi reciprocamente con i cliché, i paesi europei dovrebbero muoversi insieme nella stessa direzione. "In Europa abbiamo bisogno di una vera unione bancaria e di una mercato dei capitali unico", dice Gutgeld, ed è pronto ad affrontare un ulteriore tema di riforma, gli istituti bancari. Anche lui è consapevole della forte interdipendenza fra le banche in crisi, lo stato in difficoltà e l'economia fatta di piccole e medie imprese, strettamente dipendenti dal funzionamento del settore finanziario. "Il sistema italiano si è stabilizzato. Con le fusioni fra le banche cooperative si arriverà ad una ristrutturazione del settore. Ma anche su Monte dei Paschi siamo sulla buona strada", ci dice Gutgeld. In merito ai problemi di Deutsche Bank guarda a Berlino senza malizia, e aggiunge: "non avremo bisogno di aiuti pubblici. Con il fondo Atlante abbiamo trovato una soluzione all'interno del settore privato".

Soluzioni nell'economia privata, riforme, programmi di austerità - ascoltando Gutgeld si potrebbe effettivamente pensare che presto l'Italia passerà a qualcun'altro il titolo di fanalino di coda. Chi avrà ragione alla fine, Gutgeld oppure i critici dell'Italia, lo si vedrà già in dicembre, quando gli italiani dovranno votare sulle riforme costituzionali. Perché in realtà in ballo c'è molto di più': probabilmente il futuro del paese nell'Euro.

mercoledì 5 ottobre 2016

Il Portogallo a rischio

Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank, dalla sua rubrica su FAZ.net ci spiega cosa potrebbe accadere al Portogallo se anche l'ultima agenzia di rating il 21 ottobre decidesse di abbassare a Junk il rating sul debito portoghese. Da FAZ.net
Il Portogallo ha un alto debito e l'economia non cresce. Il paese rischia di fallire, non appena l'ultima agenzia di rating cambierà idea.

Le 3 grandi agenzie di rating per la valutazione delle obbligazioni sono Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. La canadese DBRS non sembrerebbe particolarmente importante. Si tratta di un'agenzia di rating fondata nel 1976 e acquistata nel 2015 da un consorzio "alternativo" di asset manager sotto la guida delle società di private equity Carlyle Group e Warbung Pincus.

In verità non ci sarebbe bisogno di conoscere DBRS, se da questa agenzia non dipendesse il destino del Portogallo, e probabilmente lo sviluppo dell'Euro. E' infatti l'unica fra le agenzie di rating riconosciute dalla BCE a non aver ancora classificato come Junk le obbligazioni portoghesi. Per la BCE è infatti sufficiente che almeno una delle 4 agenzie dia un rating superiore al Junk. In questo modo DBRS assicura al Portogallo l'accesso al programma di acquisto dei titoli di stato della BCE e alle banche la possibilità di usare i titoli di stato portoghesi per rifinanziarsi presso la BCE. Se DBRS dovesse assegnare un rating Junk ai titoli di stato portoghesi, come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch fanno ormai da molto tempo, lo stato probabilmente perderebbe l'accesso ai mercati e avrebbe bisogno di un nuovo programma di aiuti. Le banche non potrebbero piu' rifinanziarsi presso la BCE dando in pegno i loro titoli di stato e dovrebbero essere tenute a galla con la liquidità di emergenza della BCE. Il 21 ottobre DBRS si dovrà pronunciare sul nuovo rating del Portogallo.

Nella sua relazione del 29 aprile l'agenzia canadese ha giustificato il suo rating al Portogallo (BBB-) con una buona struttura delle scadenze e un miglioramento del conto corrente con l'estero. Le prospettive del rating sono state valutate stabili, in base ad una previsione di crescita dell'economia e ad una riduzione del deficit e del rapporto debito pubblico/PIL. Al contrario, il rating dovrebbe essere abbassato, scriveva allora l'agenzia, se la politica economica del governo dovesse deteriorarsi o se la crescita si indebolisse, causando un peggioramento delle finanze pubbliche. Nella prima metà dell'anno il tasso annuo di crescita del PIL è sceso dall'1.5% all'1%. Per raggiungere la previsione di crescita dell'1.8%, l'economia portoghese dovrebbe crescere del 2.6% nella seconda metà dell'anno. Ma questo è molto improbabile. 

Il deficit pubblico dovrebbe scendere dal 4.4% del 2015 al 2.2% di quest'anno, ma la crescita economica inferiore alle previsioni rende tutto piu' difficile. Non aiuta il fatto che il nuovo governo di sinistra abbia aumentato le pensioni e dal primo di luglio abbia introdotto una riduzione a 35 ore settimanali per i dipendenti pubblici. Se per queste ragioni il deficit pubblico non dovesse scendere sotto il 4% del PIL, il rapporto debito/PIL raggiungerà il nuovo record del 130%. Solo Italia e Grecia hanno un livello piu' alto. 

Date queste circostanze e la dichiarata "politica anti-austerità" del governo di sinistra, ci si dovrebbe aspettare che DBRS segua le altre agenzie e abbassi il rating dei titoli di stato portoghesi al livello spazzatura. Ma la pressione sugli analisti di DBRS per non farlo deve essere enorme, perché se lo facessero ci sarebbe bisogno di un ulteriore piano di salvataggio per il governo e per le banche. Le banche portoghesi hanno investito circa 60 miliardi di Euro, pari al 23% di tutti i prestiti, in titoli di stato portoghesi. Dal momento che i crediti in sofferenza e non esigibili rappresentano il 15% dei prestiti, se l'agenzia abbassasse il rating portoghese, il 38% di tutti gli attivi bancari sarebbero di scarsa qualità. Le banche non avrebbero probabilmente nessuna possibilità di rifinanziarsi sul mercato e la BCE sarebbe obbligata ad intervenire con i prestiti di emergenza. Le passività del Portogallo nei confronti dell'Eurosistma (Target II), ora pari a 66 miliardi di Euro, salirebbero rapidamente. 

A questi si aggiungono i 76 miliardi di Euro che il Portogallo deve agli altri paesi dell'Eurozona per i precedenti programmi di assistenza, e 21 miliardi di Euro di titoli di stato che la BCE ha acquistato nell'ambito del suo programma di acquisto. Ci sarebbe bisogno di un nuovo programma di salvataggio per lo stato e per le banche, questa volta pero' sarebbe impossibile nascondere che il denaro dei precedenti fondi di salvataggio è stato inutile e che adesso il Portogallo è insolvente. Spetta solo a DBRS sollevare il velo - oppure soddisfare i desideri del governo portoghese e dei suoi sostenitori nell'UE.

martedì 4 ottobre 2016

Fiaski tedeschi

Der Spiegel sull'ascesa e il declino di una banca che voleva conquistare il mondo e che invece rischia di affondare per le cause legali e per i troppi rischi. Da spiegel.de

I peccati del passato hanno raggiunto Deutsche Bank, ora la banca deve preoccuparsi per il suo futuro. Come un rispettato istituto di credito si è trasformato prima in una centrale del gioco d'azzardo e poi in un cumulo di macerie.

Era il 1989, l'anno che ha cambiato non solo il destino della Germania, ma anche quello di Deutsche Bank. Al vertice della prestigiosa banca c'era Alfred Herrhausen. Un manager brillante e carismatico che si immischiava volentieri nelle grandi discussioni politiche e sociali del tempo. Lo stesso Kohl si faceva consigliare dal manager.

Herrhausen ha per Deutsche Bank una grande visione: deve diventare internazionale e scrollarsi di dosso la reputazione di banca burocratica e polverosa. Fra i tradizionalisti della banca incontra pero' poco entusiasmo. Nelle torri di Francoforte si mormora. 

Herrhausen non è uno sciocco. Insieme ai consulenti d'impresa di McKinsey e a Roland Berger ha sviluppato un nuovo concetto di business per l'ingresso nell'investment banking. Con i libretti di risparmio e le tradizionali attività di prestito non si guadagnano abbastanza soldi. D'ora in poi la banca dovrà entrare nel business delle grandi acquisizioni e nel trading sui mercati azionari mondiali. "Quello che noi ammiriamo e che non possediamo è la cultura degli affari anglosassone", diceva Herrhausen. Il 27 novembre 1989 Deutsche Bank annuncia l'acquisizione della banca britannica Morgan Grenfell per 2.7 miliardi di Marchi. Tre giorni più' tardi Herrhausen muore in seguito ad un attentato della RAF mentre stava andando ad una riunione del board.

Con l'acquisizione di Morgan Grenfell inizia per Deutsche Bank un conflitto culturale che sarebbe durato per decenni. Fra i banchieri conservatori di Francoforte, gli affaristi anglosassoni non sono molto popolari. Molti non capiscono nemmeno la loro lingua. E con i nuovi arrivati, arriva anche il primo scandalo. Un giovane manager ha giocato d'azzardo. La banca deve risarcire i clienti. 

I successori di Herrhausen, Hilmar Kopper e Rolf Breuer, portano avanti il nuovo corso. Nel 1995 Kopper porta a Deutsche Bank una stella: Edson Mitchell arriva dalla banca americana Merrill Lynch - e porta con sé un'intera squadra di 50 trader. Fra loro un giovane indiano, Anshu Jain, che già allora era considerato un giovane talento. Mitchell assume la direzione del reparto commerciale di Deutsche Bank nel vecchio edificio di Morgan-Grenfell a Londra. Come si diceva allora, guadagna piu' soldi lui di tutto il consiglio di amministrazione. 

Kopper e Breuer vogliono di più' pero': vogliono andare a New York - nel cuore del nuovo capitalismo finanziario. Nel 1999 raggiungono l'obiettivo. Deutsche Bank acquista per 17 miliardi di marchi la banca di investimento statunitense Bankers Trust. Un prezzo alto per una banca che nel giro di Wall Street è conosciuta come una "centro per il gioco d'azzardo".

Per Deutsche Bank inizia una nuova era. La metà dei quasi 100.000 dipendenti ora lavora all'estero. Il 4 di giugno la banca festeggia l'acquisizione davanti alle torri della sede di Francoforte con lo sloglan "Let's go global". "Pirotecnici americani hanno lanciato verso il cielo razzi di coriandoli, la birra americana Miller è finita alla svelta", raccontava Der Spiegel - e cita un investment banker, soddisfatto per il nuovo equilibrio di potere nel board: "ora siamo in maggioranza".

Deutsche Bank è ora la più' grande del mondo. Il suo bilancio ha raggiunto quasi 900 miliardi di Euro.

Nel 2000, l'anno dopo l'acquisizione, registra un utile di quasi 5 miliardi di Euro. Circa la metà arriva dall'investment banking, divisione guidata da uno svizzero emergente: Josef Ackermann.

Nel 1998 ha fatto un patto con Edson Mitchell, il leader dei banchieri di investimento, e si è cosi' assicurato il sostegno della principale divisione del gruppo. O almeno cosi' scrive il giornalista Georg Meck nel suo libro "The Deutsche: Investment banker an der Macht". Meck cita Ackermann: "ho dato agli investment banker la sensazione di essere a casa in Deutsche Bank".

Nel 2002 Ackermann diventa CEO - con l'aiuto degli investment banker. Porta avanti l'espansione della banca e nel 2007 Ackerman batte tutti i record. Nel 2007 è all'apice: durante la conferenza stampa annuale presenta orgoglioso un utile di oltre sei miliardi di Euro. Oltre il 70% arriva dall'investment banking, di cui nel frattempo Anshu Jain è diventato il capo.

Jain è considerato un genio. Soprattutto nelle vendite e nel trading è difficile battere Deutsche Bank. Nessun'altra banca al mondo tratta ogni giorno cosi' tante obbligazioni e valuta. Ma anche nella negoziazione dei titoli ipotecari statunitensi, Deutsche Bank brilla. Da lontano si sentono già i primi tuoni della tempesta in arrivo, la più' grande crisi finanziaria di tutti i tempi. Ma a quanto pare il CEO Ackermann non ha sentito nulla. "Per l'economia globale e per il settore finanziario ho delle buone sensazioni", diceva allora.

Puo' anche essere che i buoni presentimenti arrivassero dal suo portafoglio. Con l'investment banking anglosassone si è diffusa anche la cultura dei bonus. Gli stipendi sono cresciuti rapidamente. Nel 2006 Ackermann incassa piu' di 13 milioni di Euro. Per fare un confronto: nel 1988 l'intero board composto da 12 consiglieri riceveva 14.8 milioni -  e allora erano ancora D-Mark.

Nel maggio 2007 il prezzo delle azioni della banca tedesca raggiunge il massimo di 102 € . Da li' inizia la discesa.

Negli Stati Uniti crolla il mercato immobiliare. In estate in Germania le prime banche iniziano a tremare. La piccola banca di Duesseldorf IKB deve essere salvata dal collasso. Aveva acquistato in massa titoli ipotecari americani - tra gli altri anche da Deutsche Bank. Tuttavia Ackermann vuole passare come un gestore della crisi. Durante una riunione del settore finanziario a Francoforte il presidente delle Sparkassen Heinrich Haasis è alquanto irritato. Si chiede perché a consigliare sulle misure antincendio sia stato messo "chi fino ad ora ha raccolto la legna da ardere guadagnandoci un bel po' di soldi".

Anche Deutsche Bank viene tuttavia colpita dalla crisi. Ma apparentemente è uno dei pochi istituti ad attraversare la tempesta senza danni particolari. Mentre molte banche sono state salvate dalla rovina, Ackermann si permetteva di affermare: "mi vergognerei se per la crisi dovessimo aver bisogno di denaro pubblico", dichiarava a Der Spiegel. Già nel 2009 la banca tedesca raggiungeva quasi 5 miliardi di Euro di utile.

La fattura piu' grande pero' arriva con un po' di ritardo. Dopo aver superato il picco della crisi finanziaria, parte il contrattacco della politica e delle autorità di regolamentazione. Gli errori del passato devono essere espiati. E almeno qualche miliardo speso per salvare le banche deve tornare indietro.

Seguono azioni legali, processi e commissioni di inchiesta per elaborare la crisi. E presto si scopre che Deutsche Bank era ovunque gli affari non fossero puliti. Che si tratti di manipolazione dei tassi di interesse, del corso delle valute o della negoziazione di titoli ipoetacari - Deutsche Bank deve pagare. E che cosa ha imparato?

Nella primavera 2012 Josef Ackermann dopo 10 anni alla guida della banca si ritira. Per la sua successione c'è una rissa. Ackermann avrebbe volentieri come suo successore l'ex presidente di Bundesbank Axel Weber - un uomo che in maniera credibile avrebbe potuto fare pulizia e annunciare un nuovo corso.

Ma Ackermann perde la lotta di potere interna. Invece di Weber sale al vertice Anshu Jain - il geniale giocatore d'azzardo che ha guidato l'investment banking per molti anni e nelle cui aree di responsabilità sono nati quasi tutti gli scandali. 

La banca ha cercato di far passare questa scelta come una mossa brillante. Secondo il motto: solo chi ha smontato la macchina può' essere capace di rimontarla correttamente. Per non compromettere l'immagine pubblica con troppa sfacciataggine, Jain si mette accanto Jürgen Fitschen, un rispettabile banchiere appartenente alla vecchia scuola, molto apprezzato dai clienti, che in seguito parlerà spesso di un cambiamento culturale nella banca. Jain al contrario parlerà principalmente di continuare a giocare con i piu' grandi player del mondo. Come se la crisi finanziaria non ci fosse mai stata.

Il piano non funziona. Affiorano sempre più' scandali, sempre più' vicini a Jain. La banca deve accantonare solo fra il 2012 e il 2015 più' di 12.7 miliardi di Euro per contenziosi legali. I profitti sono divorati dalle sanzioni. La sola cosa a restare alta sono gli stipendi. 

Nell'assemblea del 2015 gli azionisti piu' potenti prendono le distanze da Jain. Poche settimane piu' tardi Jain si dimette. Il fossato fra la sede centrale di Francoforte e le banche di investimento a Londra e New York è profondo come mai fino ad ora.

Il successore di Jain è Joh Cryan, un britannico, roccioso, che finalmente dovrebbe fare pulizia. E la sta facendo. Secondo alcuni anche un po' troppo. Cryan si è lamentato per le condizioni della banca, per il sistema IT scadente e per i bonus alti. Ha fatto svalutare rami di azienda che in bilancio avevano un valore troppo alto - fra questi Bankers Trust. Il risultato è stato una perdita di 6.8 miliardi di Euro - la più' alta nei 145 anni di storia di Deutsche Bank.

Cryan sta lottando. Ha ereditato un mucchio di rovine - e fino ad ora non ha presentato un piano convincente per poterle trasformare in una banca.  

lunedì 3 ottobre 2016

La nuova Weltpolitik tedesca

Sono passati tre anni dallo storico discorso in cui il Presidente Gauck annunciava un nuovo impegno politico e militare su scala globale. German Foreign Policy, osservatorio sulla politica estera tedesca, descrive gli sviluppi della nuova Weltpolitik di Berlino. Da german-foreign-policy.com

Tre anni dopo aver annunciato per la prima volta la nuova Weltpolitik tedesca, il Presidente della Repubblica Gauck puo' guardare con soddisfazione ad una prima tappa del percorso conclusa con successo. Il 3 ottobre del 2013 Gauck dichiarava in un discorso che la Germania in futuro si sarebbe dovuta impegnare attivamente in politica estera - anche militarmente. La campagna iniziata con il discorso del Presidente è stata in seguito portata avanti con molta cura; l'obiettivo sistematico è stato quello di coinvolgere una parte delle élite tedesche, ma anche professori universitari e giornalisti dei media principali. Recentemente con la pubblicazione del Libro Bianco della Bundeswehr ha trovato un riconoscimento ufficiale. Nel documento Berlino dichiara apertamente il suo impegno per una leadership globale. Allo stesso tempo il governo di Berlino porta avanti con decisione sia il potenziamento dell'esercito nazionale, sia la militarizzazione dell'UE. Le operazioni militari tedesche si intensificano in una cintura di paesi in guerra  intorno all'Europa, fra questi il Mali, la Libia, la Siria e l'Irak.

Nuovo potere

Il discorso del Presidente Gauck del 3 ottobre 2013 era stato preparato con molta attenzione. Un ruolo importante l'hanno avuto le fondazioni finanziate dalla Cancelleria tedesca, come la Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) oppure il German Marshall Fund of the United States (GMFUS) con la pubblicazione di un  documento strategico  ("Nuovo potere, nuove responsabilità"), realizzato fra il novembre 2012 e il settembre 2013. La Germania "dispone oggi di più' potere e influenza di ogni altra Germania democratica precedente", è scritto nel documento. Il nuovo potere tedesco "dà al paese nuove possibilità di influenza": ci sono "le condizioni per una ridefinizione delle relazioni internazionali" [1]. Nella nuova Weltpolitik la Germania "dovrà in futuro esprimere sempre più' spesso una leadership determinata", chiariscono gli autori; per farlo "potrà utilizzare tutti gli strumenti della politica estera, dalla diplomazia, alla politica culturale e dello sviluppo, fino all'utilizzo della forza militare".

Comunicare in maniera efficace

Il contenuto del documento, realizzato dai funzionari di vertice del Ministero degli Esteri, definisce i punti fondamentali condivisi nell'establishment di Berlino in tema di politica estera. In pratica incorpora i segmenti più' influenti delle élite tedesche. Fra i circa 50 autori che per oltre un anno hanno partecipato alla definizione del documento, c'erano funzionari dei ministeri, parlamentari del Bundestag, rappresentanti delle fondazioni vicine ai partiti, professori e giornalisti. I redattori del documento, che condividono quindi i punti centrali del documento, insegnano oggi alla Libera Università di Berlino o all'Università di Treviri, scrivono per la Frankfurter Allgemeine Zeitung come per il settimanale Die Zeit. [2] Il motivo per cui alcuni professori o giornalisti si sono lasciati coinvolgere nelle discussioni sulla politica estera, lo si capisce leggendo il documento "Nuovo potere, nuove responsabilità". Una nuova politica mondiale ha bisogno nel paese di una "riflessione", che "non si occupi solo di creatività politica", ma "sia anche in grado di sviluppare opzioni politiche in maniera rapida e in forma operativa", si dice nel documento. Inoltre, la politica estera in Germania "deve essere in grado di comunicare efficacemente i propri obiettivi". [3]

I compiti del Presidente della Repubblica

Il Presidente Gauck ha avuto un ruolo importante nella comunicazione della politica estera del governo. Già l'8 maggio 2012, dopo appena 2 mesi dalla sua elezione, Jan Techau, un ex dipendente del servizio stampa del ministero della difesa tedesco, sulla Suddeutsche Zeitung si chiedeva se il nuovo Presidente "non potesse diventare un nuovo Weizsäcker". Techau si riferiva infatti al famoso discorso dell'8 maggio 1985 dell'allora presidente della Repubblica Richard von Weizsäcker, in cui egli definì' lo stesso giorno del 1945, l'anniversario della fine della guerra, come un giorno di "liberazione per la Germania". Grazie a questa presa di posizione è stato piu' facile per il paese liberarsi del peso del passato, sempre secondo Techau. Una simile liberazione è ora necessaria per la politica estera, che ancora soffre forti limitazioni a causa delle note vicende storiche, soprattutto per quanto riguarda l'impiego della forza militare. "Chi se non il pacificatore e uomo di Dio Gauck", potrebbe "aiutare i tedeschi a superare le proprie paure e diffidenze" necessarie per guidare con determinazione la politica estera e militare della NATO e dell'UE, si chiedeva Techau. [4] Un Presidente della Repubblica "difficilmente puo' influenzare la politica estera", ma "può' contribuire a creare le condizioni interne per la realizzazione di una buona politica estera".

Operare a livello globale, anche militarmente

Di Fatto Gauck con il suo discorso del 3 ottobre 2013 ha dato il via libera ad una campagna per una nuova Weltpolitik. Sia in patria che all'estero sono cresciute "le voci" che alla "Germania chiedono un maggiore impegno nella politica internazionale", affermava Gauck nel suo discorso; la Repubblica Federale, "popolosa, al centro del continente e quarta potenza economica del mondo, non è un'isola", in futuro dovrà partecipare piu' che mai "alla soluzione" dei conflitti globali - anche militarmente. [5] Gli specialisti vi hanno riconosciuto le posizioni di Thomas Kleine-Brockhoff, l'ex "Senior Director for Strategy" del German Marshall Fund of the United States (GMFUS), il quale fino all'agosto del 2013 ha partecipato alla redazione del paper sulla strategia, ed è stato capo della sezione di lavoro sulla strategia nell'ufficio del Presidente. Anche nei discorsi successivi Gauck ha confermato la necessità di una nuova Weltpolitik offensiva, come nel discorso tenuto nel 2014 alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco [6]. Con le sue prese di posizione successive, ha continuato ad appoggiare le richieste provenienti dall'establishment politico per una nuova politica mondiale tedesca. [7] I rappresentanti delle organizzazioni cristiane, nella primavera del 2014, hanno accusato Gauck di voler "ammorbidire le resistenze popolari" contro un intervento militare [8]. 

La fase di attuazione

Tre anni dopo il suo discorso Gauck puo' voltarsi e guardare ai successi ottenuti. Le elite tedesche, soprattutto l'establishment mediatico, appoggiano con convinzione la nuova Weltpolitik di Berlino. Nel nuovo libro bianco della Bundeswehr questa nuova fase politica è stata anche ufficialmente messa nero su bianco. Nel documento si afferma chiaramente "che il paese è pronto per plasmare attivamente il nuovo ordine mondiale" e "assumere la leadership nella politica internazionale"[9]. Per la prima volta cresce il numero di militari a disposizione della Bundeswehr, e il governo federale mette a disposizione somme ingenti per il potenziamento dell'esercito. Le missioni della Bundeswehr in Mali, Siria, Irak e nel Mediterraneo sono state prolungate, la missione in Libia è ancora in discussione. Pochi giorni fà l'esercito ha anche annunciato di aver concluso la sua prima offensiva informatica. Allo stesso tempo Berlino spinge risolutamente per la militarizzazione dell'UE. [10] I preparativi per i nuovi impegni militari vanno avanti, sebbene i risultati delle precedenti missioni militari siano discutibili [11]. La fase in cui la nuova Weltpolitik tedesca è stata sistematicamente spiegata e promossa volge al termine, ora inizia la fase di piena attuazione.

[1] Neue Macht - Neue Verantwortung. Elemente einer deutschen Außen- und Sicherheitspolitik für eine Welt im Umbruch. Ein Papier der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) und des German Marshall Fund of the United States (GMF). Berlin, Oktober 2013. S. dazu Die Neuvermessung der deutschen Weltpolitik.
[2] An den Diskussionen zur Erstellung des Papiers beteiligt waren unter anderem Nikolas Busse (Frankfurter Allgemeine Zeitung) und Jochen Bittner (Die Zeit).
[3] Neue Macht - Neue Verantwortung. Elemente einer deutschen Außen- und Sicherheitspolitik für eine Welt im Umbruch. Ein Papier der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) und des German Marshall Fund of the United States (GMF). Berlin, Oktober 2013. S. dazu Die Neuvermessung der deutschen Weltpolitik.
[4] Jan Techau: Wie Gauck ein zweiter Weizsäcker werden könnte. Süddeutsche Zeitung 08.05.2012.
[5] "Die Freiheit in der Freiheit gestalten". www.bundespraesident.de 03.10.2013. S. dazu Schlafende Dämonen.
[6] S. dazu Der Weltordnungsrahmen.
[7] S. dazu Das Bündnis der Freien und Friedfertigen.
[8] Kirchenvertreter üben Kritik an Bundespräsident Gauck. www.derwesten.de 16.06.2014. S. dazu Die Weltpolitik-Kampagne der Eliten.
[9] Weißbuch zur Sicherheitspolitik und zur Zukunft der Bundeswehr. Berlin, Juni 2016. S. dazu Deutschlands globaler Horizont (I).
[10] S. dazu Strategische Autonomie.
[11] S. dazu Deutschlands Kriegsbilanz (I), Deutschlands Kriegsbilanz (II) und Deutschlands Kriegsbilanz (III).
[12] S. dazu Zivile Kriegsvorbereitung.

domenica 2 ottobre 2016

E' un attacco al sistema bancario tedesco

Secondo Max Otte, professore di economia e grande esperto di finanza, intervistato da Deutschlandfunk.de, i rischi in bilancio c'entrano poco, Deutsche Bank è vittima di un attacco internazionale, gli Stati Uniti vorrebbero liberarsi dell'ultima grande banca tedesca. Da Deutschlandfunk.de
Il prezzo delle azioni di Deutsche Bank per la prima volta nella storia della banca è sceso sotto i 10 Euro. Il professore di economia e grande esperto di finanza Max Otte, intervistato da Deutschlandfunk, ci dice che i problemi della banca sono il risultato di pressioni internazionali, soprattutto dall'America. Gli Stati Uniti stanno esercitando il loro potere di ricatto.

DLF: Herr Otte, secondo lei stiamo vivendo un attacco al sistema bancario tedesco?

Otte: esatto. Voglio dire, è andato avanti per anni. Entrambe le banche, Deutsche Bank e Commerzbank, se facciamo un confronto internazionale non sono messe cosi' male. Ma se si aumenta costantemente la pressione, allora anche queste banche iniziano a vacillare. Soprattutto se si impongono nuove regole all'intero settore bancario europeo. Si tratta prima di tutto di regole americane o anglosassoni, che arrivano dal mercato dei capitali. L'Europa continentale era piu' orientata al sistema bancario, quindi al credito, e se costringete un intero settore a giocare a Rugby invece che a calcio, ciò' non può' accadere senza problemi.

DLF: chi è responsabile per questa situazione?

Otte: è una situazione complessa. Alcuni mesi fà abbiamo saputo che Soros stava speculando contro Deutsche Bank. Alcuni problemi sono naturalmente "fatti in casa". Hanno voluto copiare l'investment banking anglosassone. E' iniziato tutto nell'86-87, quando è stata acquistata Morgan Grenfell, e anche in seguito hanno voluto giocare alla grande nel business dei derivati. Deutsche Bank, diciamolo, ha fatto un bel po' di errori. Ma naturalmente su questa banca c'è stata una forte pressione internazionale. Non posso fare a meno di pensare che l'America voglia liberarsi dell'ultima grande banca tedesca, e anche in questo caso intende occupare una posizione chiave nella nostra economia. Proprio come è accaduto alle banche svizzere che qualche anno fà sono state attaccate e ora devono riferire al Tesoro degli Stati Uniti, anche su Deutsche Bank è stata esercitata questa pressione. E' una situazione complessa causata da problemi interni e da pressioni esterne, guidate da interessi precisi.

DLF: Deutsche Bank è una banca scomoda per gli Stati Uniti?

Otte: una Deutsche Bank forte significa potere, e chi controlla la finanza - e Wall Street è molto potente - ha spazi di movimento relativamente ampi. E se ci riflette: gli oligopoli della tecnologia negli Stati Uniti hanno un forte potere di controllo, soprattutto sui nostri flussi di informazione. Se controlli la finanza, allora controlli dei punti importanti di smistamento. E Deutsche Bank è il solo player di dimensioni internazionali rimasto in Germania.

DLF: Deutsche Bank è sotto attacco da mesi, chi ha bisogno di agire contro la banca?

Otte: la banca si sarà fatta un'idea. Ma molte di queste voci, o quando si specula su di esse, o quando vengono rilanciate dai media, e se i prossimi provvedimenti ricattatori saranno applicati - 16 miliardi di dollari di multa, minacciati dal Tesoro, sono del tutto inadeguati. Si puo' negoziare. Ma se il Tesoro degli Stati Uniti confermerà che ci sono 16 miliardi di multa da pagare, allora la cifra sarà reale. E allora ci sarà un forte potere di ricatto, perché alle banche che non partecipano al gioco verrà chiuso l'accesso allo spazio economico americano, oppure qualche membro del board sarà arrestato, come è accaduto in Svizzera. Si tratta, dal mio punto di vista, di un gioco molto duro e ingiusto, e mi chiedo come il governo federale tedesco possa essere cosi' passivo, e non difendere le nostre imprese, come in questo caso, ma anche nel caso VW e in altri casi.

DLF: cosa dovrebbe fare il governo federale per aiutare Deutsche bank?

Otte: una dichiarazione di fiducia è la prima cosa da fare, e poi anche partecipare ai negoziati con il Ministero della Giustizia americano - si tratta comune di un ente governativo di un altro paese - e contro una banca con sede in Europa, farebbe capire che il gioco è veramente cambiato, e a seconda delle circostanze dovrebbe esserci il supporto anche dell'UE.

DLF: anche Commerzbank sta soffrendo, è in corso una ristrutturazione, e ci sono oltre 7000 posti di lavoro da tagliare. Dobbiamo quindi dedurre che il modello della grande banca tedesca, che fa tutto, retail banking, investment banking e cosi' via, è un modello superato, che non ha futuro?

Otte: è un modello vecchio. Ha funzionato molto bene con le Sparkasse e le Volksbank. Avevamo il sistema bancario piu' sicuro e piu' progredito al mondo. Questo sistema non è piu' richiesto, o almeno a livello internazionale non lo è piu'. E nel caso di Commerzbank abbiamo un problema leggermente diverso. Non è una crisi di fiducia. Nel caso di Deutsche Bank c'è un bilancio molto grande e se la fiducia viene meno, si puo' arrivare ad una profezia che si autoavvera. Commerzbank deve addattarsi al nuovo mondo. In Germania abbiamo ancora relativamente molte filiali bancarie, che per il cliente è anche un fatto positivo, ed è poi è anche il senso del sistema bancario. Ma se guardate ad altri sistemi, ad esempio Spagna o Gran Bretagna, li' il sistema delle filiali è estremamente ridotto, e il servizio è anche peggiore. Il sistema bancario sta andando in quella direzione e Commerzbank deve fare lo stesso e informatizzarsi, se vuole sopravvivere in questa situazione di iper-competitività.

DLF: anche Deutsche Bank dovrà fare lo stesso?

Otte: Deutsche Bank ha già sviluppato una strategia alcuni mesi fà. Intende dismettere oppure ridurre alcune aree di business. Vuole sbarazzarsi del business con i piccoli clienti, e concentrarsi sui clienti piu' ricchi, e sulla clientela privata. C'è una strategia ed è coerente. Se l'implementazione riuscirà lo vedremo.

DLF: che cosa accadrà a Deutsche Bank?

Otte: spero davvero che Deutsche Bank riesca a superare la crisi. Sono molto fiducioso. Ma il bilancio di una grande banca nessuno riesce a capirlo al 100%. E' sempre una questione di fiducia. Ci sono grandi posizioni sui derivati, come anche nelle altre grandi banche. Deutsche Bank ha una buona dotazione di capitale, ha dei punti di forza. Mi auguro vivamente che possa lentamente uscire da questa situazione difficile. Ma non posso naturalmente garantirlo.

DLF: quali sono i rischi per il risparmiatore e per il contribuente, se guardiamo nel complesso al sistema bancario tedesco nei prossimi cinque anni?

Otte: nei prossimi cinque anni i problemi principali saranno in Italia, il paese con il quarto piu' grande mercato dei titoli di stato al mondo, dove le banche hanno grandi quantità di crediti in sofferenza, anche la Spagna avrà dei problemi. La situazione in Germania è migliore. Se guardiamo all'Eurozona, mi aspetto che nei prossimi cinque anni ci sarà qualche crollo bancario, e ci sarà bisogno di qualche salvataggio. Non posso immaginare che la situazione attuale possa trascinarsi per piu' di cinque anni.

sabato 1 ottobre 2016

L'insostenibilità politica dell'unione di trasferimento

Hans Michelbach, capogruppo CSU-CDU in Commissione Finanze, intervistato da Deutschlandfunk in occasione del discorso di Draghi al Bundestag, ci ricorda ancora una volta quanto l'unione di trasferimento resti politicamente insostenibile. Da deutschlandfunk.de

Secondo Hans Michelbach, capogruppo dell'Unione (CDU-CSU) in Commissione Finanze al Bundestag, la controversa politica monetaria del presidente BCE Mario Draghi ha fallito. L'espansione della liquidità tramite l'acquisto di titoli di stato ci sta portando alla messa in comune del debito.

DF:  Herr Michelbach, prima della visita di ieri lei aveva detto che Draghi con il suo programma di acquisti sta procedendo ad una messa in comune del debito e sta trasformando la BCE in una Bad-bank. E' riuscito  ieri Draghi a convincerla del contrario?

Michelbach: è stato in definitiva positivo il fatto che abbia affrontato le sue responsabilità e le critiche. Naturalmente il lato negativo è che mette in conto una ulteriore estensione delle garanzie, in ultima analisi questa espansione di liquidità da 2.000 miliardi di acquisti dovrà finire in qualche modo. E alla domanda, come finirà tutto questo, non ha saputo rispondere. Abbiamo quindi chiesto se alla fine ci saranno gli Eurobonds e un fondo di garanzia comune per i depositi a livello europeo, e cosi' via. Non ci ha dato alcuna risposta. E ciò significa che è chiaro che ci sarà una ulteriore espansione delle garanzie comuni, già oggi infatti la BCE garantisce per il 20% degli acquisti di titoli pubblici e il 100% delle obbligazioni societarie. In ultima analisi anche la Germania garantisce per questi titoli e stiamo andando verso una ulteriore messa in comune del debito. Purtroppo non ha voluto o saputo chiarire i dubbi su questo punto.

DLF: cioè, lei non ha l'impressione che dopo questa visita Draghi abbia intenzione di cambiare qualcosa nel suo approccio o nella sua politica?

Michelbach: no, non ha fatto nessuna proposta per uscire da questa difficile situazione dei tassi a zero, è sempre sfuggito con ammonimenti. Si aspetta che gli stati non guardino solo alla politica della BCE, ma che implementino autonomamente una solida politica finanziaria e riforme strutturali. Ma abbiamo dovuto fargli notare che con questo diluvio di liquidità e la politica dei tassi a zero, lo stato, nei paesi in crisi, non ha nessun incentivo a risparmiare, a consolidare le finanze pubbliche e a mettere in atto una politica finanziaria orientata alla stabilità, poiché in definitiva non ne paga il costo.

DLF: Herr Michelbach, mi scusi se la interrompo, Mario Draghi è davvero il giusto destinatario per questa critica? Come capo della BCE, se nell'area Euro non c'è crescita, non può' fare altro che tenere i tassi a zero, creare liquidità.

Michelbach: con questa espansione monetaria vorrebbe ottenere crescita economica. Dovremmo allora chiedergli quali sono stati i successi della sua politica e quali le conseguenze. E i risultati sono molto modesti. C'è stata crescita economica, ha detto, nei paesi in crisi la disoccupazione è passata dal 15 al 13%. Questo è ovviamente molto poco. Non sono certo i risultati di cui abbiamo bisogno, per poter creare nuova fiducia nell'Eurozona. Si tratta anche di convincere le persone.

DLF: che cosa farebbe al suo posto?

Michelbach: la quadratura del cerchio è chiara, ma deve essere anche chiaro che questa espansione della liquidità deve avere una fine ed è anche necessario far sapere ai cittadini, onestamente e apertamente, che alla fine non ci sarà una messa in comune del debito, che in Germania naturalmente sarebbe chiaramente bocciata. I tedeschi non vogliono gli Eurobonds, non vogliono una garanzia europea per i depositi nei paesi in crisi, non vogliono esserne i garanti. Io credo sia necessario restaurare la fiducia fra i cittadini, e dire chiaramente che vogliamo terminare la stagione dei bassi tassi di interesse, e gli stati che non sono d'accordo e le banche che non sono in condizione di farlo, devono assumersene anche le conseguenze.

DLF: che cosa significa oggi? Alzare nuovamente i tassi e in questo modo soffocare la crescita in molti paesi?

Michelbach: naturalmente non con uno shock. Ma è necessario rimuovere l'incentivo del denaro a buon mercato, solo facendo cosi' si avrà la pressione necessaria per fare le riforme sia per lo stato, sia per le banche.

DLF: possiamo quindi dire che lei oggi consiglierebbe a Draghi di aumentare gradualmente i tassi poiché la sua politica dei tassi di interesse a zero è stata fallimentare?

Michelbach: la ripresa economica da lui pronosticata non c'è stata, poiché le riforme non sono state attuate, di fatto non c'è nessun incentivo ad applicare una politica virtuosa.

DLF: vale a dire, la politica applicata fino ad ora è stata un fallimento?

Michelbach: la sua politica è fallita. Non ho difficoltà ad ammettere che si tratta di un compito difficile. Ma dobbiamo guardare alla realtà e soprattutto non possiamo andare avanti cosi', i cittadini non hanno più' alcuna fiducia in questa politica. 

venerdì 30 settembre 2016

La politica monetaria ingenua della BCE

David Folkerts-Landau, capo-economista di Deutsche Bank, in occasione del discorso al Bundestag di Draghi, su Die Welt attacca la politica monetaria ingenua della BCE: i tassi a zero stanno distruggendo l'economia europea. Da Welt.de

L'ultima apparizione di Draghi davanti al Bundestag era stata 3 mesi dopo il suo famoso discorso del "whatever it takes". Dal 2012 l'area dell'Euro non ha registrato alcuna crescita economica, ha avuto il peggior sviluppo nel mercato del lavoro tra i paesi industrializzati con una disoccupazione a doppia cifra e oltre il 20% di disoccupazione giovanile, ha raggiunto un livello di indebitamento non sostenibile e livelli di inflazione ampiamente inferiori a quelli definiti dalla BCE. Senza la forte congiuntura tedesca la situazione sarebbe ancora peggiore. Oggi i politici si chiedono legittimamente che cosa è andato storto. 

La crisi esistenziale dell'unione monetaria è evidente nell'erosione del centro politico. Brexit mostra che questo può' portare ad una spaccatura. L'insoddisfazione è radicata nella disoccupazione e nei redditi stagnanti - come accadeva durante la crisi degli anni '30.

Pertanto ci si dovrebbe chiedere fino a che punto la politica monetaria aggressiva, non convenzionale e mai testata della BCE - fino ai tassi negativi - contribuisca ad un aumento dei problemi in Europa.

Non era mai accaduto che una regione fosse cosi' dipendente dalle decisioni dogmatiche di tecnocrati non eletti democraticamente. Vogliamo davvero rischiare il fallimento del principale progetto economico e politico della storia? Le generazioni future non ci perdonerebbero la nostra fiducia ingenua nella politica monetaria. 

Nessun incentivo al cambiamento

Non sono solo i deboli dati economici a far nutrire dubbi sull'efficacia e l'orientamento della politica monetaria - ma soprattutto il fatto che i problemi europei non sono di natura ciclica ma strutturale.

I paesi della periferia non sono in grado di generare una crescita sufficiente per la riduzione del debito e della disoccupazione. Cio' è dovuto alla mancanza di riforme nel mercato del lavoro, come nel sistema giuridico, sociale e fiscale. E i governi non hanno agito poiché la politica monetaria estremamente espansiva della BCE, e in particolare la sua promessa di fare "whaever it takes", hanno reso il non agire l'opzione migliore nel breve periodo.

Per mettere a rischio la loro rielezione con le riforme, i politici hanno bisogno di buone ragioni. Soprattutto nella periferia, dove manca un ampio consenso. Fino al 2012 i tassi di interesse in alcuni paesi erano cresciuti enormemente, c'era il rischio concreto di non poter rifinanziare il debito pubblico. L'insolvenza avrebbe portato ad un programma di salvataggio della Troika, con riforme difficili e tagli alla spesa impopolari.

Gli incentivi a fare le riforme tuttavia sono stati annullati dalla promessa della BCE di aiutare i paesi in difficoltà con il programma Outright Monetary Transactions (OMT) - vale a dire un intervento come acquirente di ultima istanza.

Una generosa sovvenzione per le periferie

Allora la giustificazione ad-hoc era che la divergenza fra i premi per il rischio dei diversi paesi era il segno di una inefficace trasmissione della politica monetaria e non un rischio relativo al paese specifico. 

L'OMT è rimasto nel cassetto fino ad oggi, ma nel quadro del suo programma di QE, insieme alle banche centrali nazionali, la BCE ha iniziato 3 anni più' tardi ad acquistare titoli di stato e obbligazioni societarie in quantità inimmaginabili. Se questo programma -  come ampiamente previsto - sarà esteso fino alla fine del 2017, la BCE potrebbe arrivare ad avere in bilancio circa un quinto di tutto il debito pubblico della zona Euro.

L'annuncio del programma OMT è stato un generoso sussidio nei confronti della periferia. Lo spread medio per i titoli di stato è sceso di quasi 5 punti percentuali. Ad esempio i costi per il pagamento degli interessi in Italia sono scesi di un terzo, sebbene l'indebitamento in rapporto al PIL sia cresciuto. Questo enorme alleggerimento pero' non è stato sfruttato, esattamente come era accaduto al calo dei tassi di interesse dopo l'adesione alla zona Euro. 

Le riforme sono state implementate seriamente solo fino al 2012, mentre i tassi di interesse stavano salendo e il rifinanziamento si faceva difficile. In quegli anni sono state applicate la metà delle iniziative di riforma suggerite dall'OCSE. Lo scorso anno la percentuale è stata inferiore al 20%.

I meccanismi disciplinari sono fuori uso

Dal 2012 i programmi come l'OMT e il QE impediscono all'Europa di vedere la realtà. Con una crescita zero e un deficit del 2.5 % l'indebitamento italiano di oltre il 100% del PIL non è sostenibile. 

Roma paga per i titoli decennali solo un punto percentuale in più' rispetto a Berlino. Gli spread si ampliano - come nel caso del Portogallo - solo quando i mercati temono che un downgrade delle agenzie di rating possa bloccare il QE.

Nonostante le sue buone intenzioni, la BCE ha messo fuori uso i meccanismi disciplinari di aumento degli interessi sul debito, ed è perciò' responsabile per la non implementazione delle urgenti riforme strutturali necessarie. Solo riforme orientate alla crescita potranno impedire una lenta disintegrazione dell'UE causata della stagnazione economica.