giovedì 27 settembre 2012

Bofinger: la fine dell'Euro sarebbe la rovina della Germania


Peter Bofinger, consigliere del governo di Berlino, influente economista, critico verso il rigorismo Merkeliano, pubblica un libro a favore dell'Euro. La sua tesi: il ritorno al D-Mark sarebbe un disastro per l'economia tedesca, dobbiamo difendere ad ogni costo la moneta unica. La Germania è davvero ricattabile? Un estratto del libro da Die Welt.

L'Eurocrisi risveglia in molti il desiderio di tornare al D-Mark. Ma l'immagine del passato è distorta, sostiene l'economista Peter Bofinger. Il ritorno alla vecchia valuta avrebbe conseguenze drammatiche.

Come sarebbe andata alla Germania senza l'Euro? Per rispondere a questa domanda, si deve analizzare l'esperienza di quei paesi, le cui monete - similmente a quanto accaduto con il D-Mark - hanno avuto sul mercato delle divise una tendenza all'apprezzamento. 

I problemi causati da una moneta troppo forte, emergono chiaramente nel caso del Giappone. Questa economia oggi ha un rapporto debito/pil del 214 %, piu' del doppio di quello tedesco.

I problemi del Giappone collegati ad moneta troppo forte iniziano nella prima metà degli anni '90. Il paese aveva già vissuto l'esplosione di una grande bolla creditizia e avrebbe avuto urgente bisogno di stimoli per la crescita provenienti dal commercio con l'estero. Ma contro ogni logica economica, il mercato delle divise ha regalato al paese un apprezzamento dello Yen nei confronti del dollaro US: dall'aprile 1990 all'aprile 1995 il valore della moneta giapponese è raddoppiato.

Intensificazione della pressione deflazionistica

La pressione deflazionistica interna si è quindi aggravata ulteriormente. Per ripristinare la competitività, i giapponesi hanno dovuto ridurre i salari. Dopo ripetute fasi di apprezzamento della moneta, i salari giapponesi nominali oggi sono del 12% piu' bassi rispetto al livello del 1995.

L'economia giapponese ha quindi sperimentato una forte pressione deflazionistica. Pressione tale da rendere necessari numerosi stimoli della domanda pubblica per mantenere il paese in un certo equilibrio macroeconomico.

I persistenti deficit del bilancio pubblico sono una delle cause dell'elevato livello di indebitamento del paese. La seconda causa è stato un prodotto interno lordo stagnante, che al denominatore è rimasto invariato proprio per la deflazione interna.

Il Giappone ha accumulato ingenti riserve in dollari

Ma non è tutto. Nel tentativo di fermare l'apprezzamento della valuta con l'intervento sul mercato delle divise, la Banca del Giappone ha acquistato grandi riserve in dollari, principalmente in forma di obbligazioni del tesoro americano. Recentemente questi crediti hanno raggiunto 1.2 trilioni di dollari. Crediti che possono essere visti come una garanzia del Giappone verso gli Stati Uniti. 

Questo è chiaramente piu' di quanto ipotizzato dal "Haftungspiegel" dell'Ifo Institute, vale a dire 779 miliardi di Euro. La somma a rischio nel "worst case", cioè in caso di insolvenza di tutti i PIIGS.

Questi confronti hanno delle inevitabili difficoltà. Dovrebbe tuttavia farci riflettere che un paese con un un'economia molto avanzata come il Giappone, forte nei settori dell'auto e della meccanica, come la Germania, a causa della rivalutazione della sua moneta, negli ultimi 2 decenni non solo ha sperimentato una costante deflazione e un debito pubblico spaventosamente alto, ma si è visto costretto a finanziare il debito pubblico americano in grande quantità.

L'unione di trasferimento cinese con gli Stati Uniti

La Cina è un secondo interessante esempio illustrativo. La spaventosa esperienza del Giappone e del suo tasso di cambio determinato dal mercato potrebbero aver spinto la leadership cinese a seguire una politica di cambio guidata: il tasso di cambio viene definito dagli interventi della banca centrale.

La strategia cinese è arrivata al punto in cui il corso del Renmibi è definito interamente dalle autorità cinesi, in modo da evitare - diversamente dal caso giapponese - indesiderate interferenze dall'esterno sull'economia. Ma per poter fare questo la Cina deve pagare un prezzo molto alto. Nel corso degli ultimi 12 anni, grazie all'intervento sul mercato delle divise delle autorità politiche, la Cina ha accumulato riserve in dollari pari a 3.2 miliardi di dollari.

Anche qui bisogna ipotizzare che la parte piu' grande sia stata investita direttamente in titoli del debito pubblico americani. Questa enorme garanzia incrociata, che può essere definita come la piu' grande unione di trasferimento del mondo, va ben al di là di quello che gli Eurocritici piu' pessimisti possono aspettarsi per la Germania.

Ma dietro c'è un modello economico discutibile come il mercantilismo tedesco dell'ultimo decennio. Nel tentativo di diventare sempre piu' competitivi, si è perseguita una politica salariale di moderazione, accompagnata da una debole domanda dei consumatori interni. In questo modo si è potuto esportare su larga scala, soprattutto verso paesi che si sono potuti permettere il tutto a debito.

Alla fine si sono accumulati grandi avanzi delle partite correnti, ma non è certo se per questi si potrà ottenere in cambio qualcosa di concreto.

La Svizzera, l'ultimo esempio di vittima dei mercati valutari

A lungo la Svizzera nella discussione tedesca è stato l'esempio utilizzato per mostrare che anche con una propria moneta si poteva competere con successo sui mercati finanziari. Senza interventi di rilievo sul mercato, il Franco svizzero ha mantenuto il proprio corso stabile per diversi anni intorno a 1.5 franchi per ogni euro.

Ma la situazione è cambiata radicalmente con l'inizio della crisi greca nel gennaio 2010. Nel giro di 15 mesi il Franco svizzero si è apprezzato così tanto, che nell'agosto 2011 ha quasi raggiunto la parità con l'Euro.

Dopo molte esitazioni la Banca Centrale Svizzera il 6 settembre 2011 ha tirato il freno di emergenza e ha annunciato un limite di 1.2 Franchi per Euro. Da allora il cambio si muove di poco sopra questa soglia. L'intervento è stato inizialmente di successo, ma non è stato di grande aiuto per la Svizzera.

In primo luogo, il tasso limite inferiore fissato, rispetto al corso medio degli anni 1999-2009, pari a 1.55 CHF, è sempre molto svantaggioso per l'economia svizzera. L'effetto è stato una sensibile riduzione delle esportazioni e dei pernottamenti. Inoltre, con l'intervento non si è riusciti a fermare il flusso di capitali provenienti dall'estero. Questo flusso infatti non ha natura speculativa, ma è causato dalla preoccupazione che uno o piu' paesi possano uscire dall'Euro.

In totale le riserve svizzere in valuta estera alla fine del giugno 2012 erano pari a 365 miliardi di Franchi. Vale a dire il 67 % del prodotto interno lordo della Svizzera.

Il mondo del nuovo D-Mark non sarebbe un mondo perfetto

Chi oggi crede che il ritorno al D-Mark ci porterebbe in un mondo ideale, potrebbe restare deluso. Probabilmente alla Germania succederebbe quello che è successo al Giappone. Come il vecchio D-Mark, il nuovo D-Mark entrerebbe a far parte del club delle monete per le quali sui mercati esiste una convenzione non scritta, che le spinge sempre verso una rivalutazione.

La Bundesbank nuovamente responsabile per il D-Mark aspetterebbe un po' prima di bloccare la rivalutazione del D-Mark. Da un lato nelle banche centrali c'è sempre la sensazione irrazionale che solo una valuta forte è una valuta buona. Dall'altro gli interventi sul mercato delle valute da alcuni economisti vengono visti in maniera molto critica.

Nel loro mondo dominato dalla fede nei mercati, non è pensabile che una istituzione dello stato si inserisca nei meccanismi di mercato.

E non cambiano nemmeno idea sul fatto che - come mostrato in numerosi studi econometrici - esisterebbero relazioni sistematiche tra i fondamentali economici (crescita, inflazione, commercio estero) e il tasso di cambio ufficiale. Si può assumere con certezza che per gli economisti della Bundesbank, questo scetticismo verso l'intervento sul mercato delle divise resterebbe invariato.

Il nuovo D-Mark nel corso degli anni avrebbe quindi una tendenza alla rivalutazione. Poiché questa tendenza potrebbe incidere pesantemente sulla competitività delle nostre esportazioni, entrerebbero in scena allora rinomati economisti, pronti a  chiedere pesanti riduzioni dei salari.

Stipendi in picchiata e rischio deflazione

E naturalmente i lavoratori tedeschi sarebbero pronti a fare di tutto per salvare i loro posti di lavoro. La riduzione dei salari aprirebbe allora la via verso la deflazione. Questo porterebbe il rapporto debito/pil in Germania verso l'alto, anche se lo stato tedesco non facesse piu' nuovo debito.

Come in Giappone dovremmo temere allora che ad ogni fase di moderazione salariale segua una fase di rivalutazione della moneta. A un certo punto il valore raggiunto potrebbe diventare troppo alto anche per la Bundesbank, tanto da spingerla ad intervenire sui mercati. Le esperienze del Giappone, della Cina e della Svizzera mostrano che questo può portare ad accumulare riserve in divisa anche molto grandi.

Sulla base delle dimensioni dell'economia tedesca, in un tempo anche piu' breve rispetto  a quanto accaduto in Svizzera, si potrebbero raggiungere i 1.700 miliardi di Euro di riserve.

Se si è sostenitori di un ritorno al D-Mark, perchè non si vuole piu' essere garanti per gli altri stati, sarebbe allora necessario guardare all'esperienza della Cina, del Giappone e della Svizzera. Garantiscono in maniera illimitata per i titoli del debito pubblico americani acquistati (e nel caso della Svizzera per le obbligazioni della zona Euro), senza avere la minima possibilità di influenzare la politica economica del paese debitore.

domenica 23 settembre 2012

Un po' piu' uguale degli altri?


László Andor, commissario europeo per gli affari sociali, intervistato da FAZ.net ha il coraggio di raccontare ai tedeschi una dura verità: le vostre politiche di dumping salariale hanno contribuito alla crisi Euro, non è tutta colpa dei latini. Riuscirà questa narrazione della crisi a scalfire i pregiudizi anti-PIIGS? 

La Germania deve fare la sua parte nel ribilanciamento degli squilibri europei, chiede László Andor, commissario EU per gli affari sociali. I salari devono crescere e dovrà essere introdotta una paga oraria minima per tutti i lavoratori. 

FAZ: Herr Andor, lunedi a Berlino ha tenuto un discorso su come la EU può aiutare la Germania a creare nuovi posti di lavoro. In questo momento la disoccupazione in Germania è piu' bassa che negli altri paesi europei. La Germania ha veramente bisogno di ripetizioni?

LA: E' vero, l'economia tedesca non solo si è ripresa velocemente dalla crisi, ma ha anche creato nuovi posti di lavoro. Ma il mercato del lavoro in Germania è sempre piu' segmentato. Un gran numero di occupati ha solo un Minijob. Se continua così, il divario fra lavori regolari e Minijobs crescerà rapidamente. I minijobber rischiano di restare in questa situazione e di cadere nella trappola della povertà.

FAZ: Detto in parolo chiare, la EU sta facendo pressione per l'introduzione di salari minimi in Germania? 

LA: La commissione EU nel documento di aprile sul mercato del lavoro si è pronunciata chiaramente per l'introduzione dei salari minimi (Mindestlöhne). Un'altra questione è quale dovrà essere il loro livello.

FAZ: E a suo parere quale dovrebbe essere il loro livello in Germania?

LA: Questo dovrà essere negoziato dalle parti sociali. Sarà decisivo qualcos'altro però: i salari in Germania dovranno tornare a seguire lo sviluppo della produttività. La Germania negli ultimi 10 anni ha esercitato una enorme moderazione salariale per poter diventare piu' competitivita - e questo ha avuto conseguenze per gli altri stati EU.

FAZ: Il vero problema non è stato invece il fatto che i paesi in crisi hanno vissuto per molti anni al di sopra delle proprie possibilità?

LA: Gli squilibri nell'Eurozona non sono solo il risultato di politiche sbagliate nei paesi in crisi. La Germania ha avuto un ruolo importante, con la sua politica mercantilista ha rafforzato gli squilibri in Europa e causato la crisi. In futuro dovremo seguire da vicino lo sviluppo dei salari a livello europeo e fare in modo che all'interno dell'area monetaria non divergano in maniera così forte, come è accaduto negli anni precedenti.

FAZ: In Germania l'idea di ridurre la propria competitività per aiutare i paesi in crisi, non incontrerebbe l'entusiasmo della maggioranza.

LA: In Germania non ha causato grande entusiasmo anche la decisione del Presidente della Banca Centrale di acquistare obbligazioni degli stati in crisi. E tuttavia, è necessario da una prospettiva europea.

FAZ: Considera giusto l'acquisto di titoli del debito pubblico da parte della BCE?

LA: E' solo una soluzione di ripiego. Ma fino a quando la politica non mette a disposizione i mezzi necessari per affrontare la crisi, abbiamo bisogno della BCE, per potercela cavare in qualche modo. 

FAZ: Se il fondo di salvataggio ESM resta in funzione...

LA: Con il fondo ESM, e quando avremo gli Eurobond, la situazione sarà completamente diversa.

FAZ: Tornando alle dinamiche salariali e alla riduzione negli squilibri nella bilancia delle partite correnti. Se la Germania non dovesse seguire le indicazioni della Commissione, intende sul serio costringere il paese?

LA: La commissione intende verificare la politica economica degli stati e per fare questo ha in mano i mezzi necessari per procedere contro gli stati che non fanno nulla contro gli squilibri nella zona Euro. La Germania tuttavia deve porre a se stessa la domanda, se nell'Unione Europea intende procedere secondo il motto : "in Europa non sono tutti uguali".

FAZ: Nessun stato ha davvero preso sul serio le raccomandazioni economiche della Commissione. Questo mostra almeno l'analisi delle cosiddette raccomandazioni specifiche per ogni paese dello scorso anno.

LA: Ma quello era anche il primo anno in cui abbiamo operato seriamente. Quest'anno andrà in maniera molto diversa, ne sono sicuro.

giovedì 20 settembre 2012

Da 400 € a 450 € al mese


Dopo 10 anni senza recupero dell'inflazione, lo stipendio degli oltre 7 milioni di occupati con un minijob passa da 400 € a 450 €: vicolo cieco che porta alla povertà oppure trampolino per un vero lavoro? Da FAZ.net



Circa 7 milioni di cittadini hanno un'occupazione senza assicurazione sociale: guadagnano al massimo 400 € al mese, lordo e netto coincidono. Questo limite superiore  sarà ora aumentato a 450 €. La DGB (confederazione sindacale) critica la proposta.

Il limite massimo di reddito per i Minijobs il prossimo anno dovrebbe passare dagli attuali 400 € ai 450 € mensili. E' quanto prevede un disegno di legge approvato mercoledi dal governo. Il progetto, nato dall'iniziativa dei gruppi di maggioranza, dovrà essere approvato la prossima settimana dai gruppi parlamentari. L'unione e la FDP giustificano l'innalzamento sostenendo che il tetto previsto per questi contratti non veniva ritoccato dal 2003. Il limite per i cosidetti midijobs dovrebbe invece passare da 800 a 850 € al mese. Oltre all'incremento, in futuro è prevista un'assicurazione obbligatoria per la pensione statale, da cui tuttavia i minijobber avranno la possibilità di essere esentati. Al settore pubblico e alla previdenza sociale questa nuova regolamentazione costerà 370 milioni all'anno.

Il Deutsche Gewerkschaftsbund (DGB) - confederazione sindacale - ha messo in guarda da un allargamento del settore del lavoro a basso salario. Il membro del consiglio direttivo DGB Annelie Buntenbach ha criticato la proposta, dichiarando che i Minijobs "non sono un trampolino di lancio per un buon lavoro, piuttosto un vicolo cieco, che soprattutto per le donne si conclude con la povertà in vecchiaia". Gli occupati con un minijob ricevono in media un salario orario di meno di 8 €. Un aumento del limite massimo per i minijobs, farebbe aumentare in futuro il numero di lavoratori che ricevono un basso salario (meno di 10 € lordi all'ora).

L'esperto di mercato del lavoro Johannes Vogel (FDP) non è daccordo. L'accusa secondo cui i minijobs servirebbero a rimpiazzare i lavori regolari con obbligo assicurativo, non si dimostra vera alla prova dei fatti, ha dichiarato alla FAZ. Da qualche tempo è in crescita il numero degli occupati, mentre la quota dei minijobs non cresce affatto. Anche nel settore del commercio e della gastronomia, preso sempre come esempio, un tale sviluppo non è stato notato. "Anche i minijobs sono parte del boom nel mercato del lavoro tedesco. Offrono una facile possibilità di guadagnarsi qualcosa. In questo modo contribuiscono a combattere efficacemente il lavoro nero" ha dichiarato sempre Vogel. Un aumento salariale dopo 10 anni senza recupero dell'inflazione sarebbe "solamente equo". In Germania al momento ci sono circa 7 milioni di occupati con un minijobs.