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giovedì 14 settembre 2023

Inflazione: stiamo assistendo alla nascita di una nuova eurocrisi?

 I tassi di inflazione nei paesi ad est dell'unione monetaria (Estonia, Lettonia, Lituania, Croazia, Slovenia e Slovacchia) sono ormai decisamente piu' alti rispetto a quelli dell'Europa occidentale: stiamo forse assistendo alla nascita di una nuova eurocrisi nell'Europa orientale? E cosa può fare la BCE per controllare la perdita di competitività dei paesi con un tasso di inflazione piu' alto della media? Ne scrive Focus.de


Tassi di inflazione nella parte orientale dell'eurozona sono decisamente piu' alti

L'inflazione sta crescendo in modo significativo nella parte orientale dell'Eurozona, e rappresenta una minaccia seria per gli Stati euro dell'Europa orientale. Questa situazione potrebbe innescare una pericolosa spirale negativa, portando potenzialmente a una nuova eurocrisi.

È forse opportuno fare un breve richiamo alla storia. Qualcuno ricorda gli Stati PIGS (che presto sono diventati Stati PIIGS)? Tra il 2010 e il 2012, durante la crisi del debito che ha quasi portato alla disintegrazione dell'Eurozona, questa sigla è stata coniata per raggruppare gli Stati con problemi finanziari, compresi Portogallo, Irlanda (poi aggiunta Italia), Grecia e Spagna.

Ora, più di dieci anni dopo, potremmo dover cercare un nuovo nome per un gruppo di Stati in difficoltà, se la situazione non dovesse migliorare. Questa volta stiamo assistendo a un notevole deterioramento della competitività, soprattutto nei paesi membri dell'Eurozona orientale. L'inflazione è notevolmente più elevata nella periferia orientale rispetto al resto dell'Eurozona, rendendo tutto più costoso. Questo è particolarmente rilevante per gli Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), Croazia, Slovenia e Slovacchia. (Un termine come "Stati KESSLL" potrebbe venir in mente, ma purtroppo non funziona in inglese...).

Lo shock dei prezzi energetici che ha colpito la Germania lo scorso anno è stato trascurabile rispetto all'aumento dei prezzi che questi Paesi hanno dovuto subire. Nel giugno 2022, l'inflazione nei paesi baltici era quasi al 20%, un anno dopo si attesta ancora tra l'8% e il 9%. Negli altri tre Stati, l'intervallo varia dal 6% all'11%. Per fare un confronto, il tasso medio di inflazione nell'Eurozona è del 5,5%.

L'inflazione piu' alta dell'eurozona

Ora si potrebbe dire: questa situazione sarà presto corretta dall'effetto base. Dopo tutto, se i prezzi dell'energia aumentano un po' rispetto all'anno precedente, il loro contributo all'andamento dell'inflazione è relativamente modesto. Purtroppo, le cose sembrano quasi peggiorare in termini di inflazione di fondo (escludendo i costi energetici e alimentari). Anche in questo caso, questi Stati sono ben al di sopra della media dell'Eurozona, pari al 5,3%. Con valori compresi tra il sette e il dieci per cento, a luglio occupano i primi cinque posti. La Slovenia segue al settimo posto, dopo l'Austria.

Questi segnali rappresentano un campanello d'allarme. L'aumento dei prezzi e dei costi non solo fa perdere competitività a un paese, ma riduce anche la sua attrattività come luogo di investimento. L'esperto economico Hendrik Müller mettein guardia dal fatto che un aumento dei prezzi al di sopra della media, combinato con dei deficit commerciali esteri, indica problemi futuri significativi.

In una situazione del genere, di solito, un paese svaluterebbe la propria moneta per riacquistare competitività o la sua banca centrale aumenterebbe i tassi di interesse per controllare l'inflazione. Tuttavia, nell'Eurozona, né la svalutazione né un'autonoma politica monetaria sono opzioni disponibili. Questi paesi condividono la stessa moneta e la Banca Centrale Europea (BCE) ha già dichiarato che il tempo dei rialzi dei tassi di interesse è finito. La BCE deve ora gestire la politica monetaria per 20 paesi con condizioni molto diverse.

In Francia, ad esempio, l'inflazione di fondo è già scesa al 4,3%. In realtà, i tassi di inflazione stanno divergendo sempre di più da quando l'euro è stato introdotto. E poi c'è l'Italia, che, con il suo enorme debito pubblico, non può permettersi di affrontare una nuova crisi causata da tassi di interesse troppo alti. Speriamo che gli Stati prendano sul serio questi segnali e agiscano prima che la situazione si aggravi ulteriormente.


lunedì 11 settembre 2023

Heiner Flassbeck - La recessione tedesca è sempre più profonda

"Fino a quando la situazione dei tassi di interesse elevati e la deflazione dei prezzi a livello dei produttori interni resterà invariata, non ci sarà alcun segnale di ripresa" scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck, e prosegue: "a meno che i responsabili della BCE non comprendano rapidamente che la loro visione delle cose è inadeguata, non possiamo escludere una crisi economica prolungata". Un articolo molto interessante di Heiner Flassbeck da Relevante Oekonomik



Prosegue il rallentamento dell'economia tedesa. Anche nel primo mese del terzo trimestre, la produzione e gli ordini dell'industria tedesca stanno attraversando una fase recessiva. Gli indicatori di sentimento più recenti, come l'indice ifo e il PMI markit, rilevati ad agosto, sono chiaramente in diminuzione. Non è quindi più possibile escludere che la recessione assuma dimensioni più ampie.

Il Ministro federale dell'Economia definisce la situazione "sfidante", ma non rende giustizia alla realtà quando si limita a parlare di una fase attuale di debolezza economica e ammonisce contro le critiche rivolte alla Germania in quanto luogo di produzione. Sia il governo che l'opposizione continuano a credere che possano affrontare questa enorme sfida, originata dalla politica errata della BCE in materia di tassi di interesse (come recentemente spiegato qui), con una miscela eterogenea di misure (di recente denominate "Patto per la Germania" dal Cancelliere). E questo è un errore fondamentale.

Ulteriore calo nei nuovi ordini e nella produzione

I nuovi ordinativi nell'industria tedesca sono noti per la loro elevata volatilità (Figura 1) a causa dell'incidenza periodica di grandi ordini, presumibilmente legati a contratti governativi nel settore della difesa, che spesso distorcono la tendenza ciclica di base verso il basso.

nuovi ordini andamento germania
Andamento nuovi ordini Germania 

Senza l'influenza dei grandi ordini, è possibile osservare una tendenza più chiara, soprattutto tra le piccole imprese e le PMI (Piccola e Media Impresa) (Figura 2). Attualmente, questo indicatore è inferiore di quasi il 15% rispetto ai picchi registrati nel 2017 e nel 2021. Dal 2022, si osserva una costante tendenza al ribasso. Questo ribasso riguarda sia l'indicatore generale, che riflette l'industria manifatturiera nel suo complesso, che il sottoindicatore dell'industria produttrice di beni strumentali.

Ordinativi senza grandi ordini

Nel caso degli ordini di beni strumentali, escludendo i grandi ordini dal mercato interno (le due curve più scure nella Figura 3), è evidente l'assenza di una tendenza alla stabilizzazione. Considerando che questo indice aveva una base di 100 nel 2015, un valore attuale inferiore al 90 riflette quanto sia in difficoltà l'attività di investimento in Germania, nonostante tutti i programmi istituzionali a livello nazionale e comunitario per promuovere la transizione ecologica dell'economia.

Investimenti nei beni strumentali

La diminuzione della domanda sta iniziando a influire sulla produzione: la stagnazione degli ordini nell'industria e nell'edilizia sta diventando evidente, e a causa della mancanza di nuovi ordini, la produzione sta gradualmente diminuendo. Questa tendenza si riflette chiaramente anche nel settore dei beni strumentali. Tuttavia, poiché questo indicatore non distingue tra grandi ordini e andamento delle vendite, è probabile che l'andamento sia ancora più negativo di quanto sembri, il che è significativo per le prospettive di cambiamento strutturale e di crescita della produttività.

Andamento produzione nell'industria tedesca

Questo scenario deve essere considerato alla luce del fatto che le imprese industriali in Germania e nell'intera area dell'euro si trovano a fronteggiare prezzi che sono pressoché stagnanti o addirittura in calo, mentre i tassi di interesse rimangono relativamente alti. Le differenze nei tassi di crescita dei prezzi alla produzione tra i quattro principali paesi dell'UE sono essenzialmente attribuibili al settore dell'energia, come evidenziato nel confronto tra le figure 5 e 6. Escludendo l'energia, i tassi di crescita dei prezzi alla produzione in Germania, Francia, Italia e Spagna seguono un andamento praticamente parallelo (Figura 6). Le differenze nei dati complessivi (Figura 5) sono principalmente dovute alla variazione dei prezzi nel settore energetico. Inoltre, in questo confronto tra paesi, la Germania non registra l'aumento più significativo dei prezzi durante la crisi energetica.

Figura- Prezzi alla produzione nei principali paesi UE

Prezzi alla produzione senza energia

Il tasso di crescita dei prezzi alla produzione nell'intera area dell'euro (Figura 7) è ora inferiore al due percento, se si esclude il settore energetico, mentre includendo l'energia, la cifra arriva al -7,6 percento. Tuttavia, ciò che è veramente rilevante per le imprese è la variazione dei prezzi da un mese all'altro (Figura 8).

Figura 7

Figura 8

In questo caso, i tassi senza l'energia sono già negativi, e lo sono comunque quando si considera l'energia. Nonostante i responsabili della BCE abbiano sottolineato l'importanza delle aspettative di inflazione dei cittadini per il comportamento futuro, sembrano ignorare la probabilità che attualmente le aspettative di prezzo delle imprese siano negative. In questo contesto, i tassi di interesse appaiono chiaramente troppo elevati per sostenere qualsiasi forma di sentiment positivo per gli investimenti senza un massiccio sostegno pubblico.

Heiner Flassbeck


A meno che i responsabili della BCE non comprendano rapidamente che la loro visione delle cose è inadeguata, non possiamo escludere una crisi economica prolungata. Come mostra il grafico 9, un'analisi basata sul trend mensile non suggerisce alcuna minaccia inflazionistica nell'area dell'euro.

Figura 9

Infine, vale la pena notare che le previsioni per il 2024 dovrebbero essere affrontate con grande cautela. È prassi comune per molti analisti economici presentare cifre positive alla fine del loro orizzonte di previsione, anche se le condizioni iniziali erano sfavorevoli. E questo crea una sorta di effetto "luce alla fine del tunnel". Tuttavia, è importante sottolineare che la direzione attuale dell'economia è chiaramente in discesa. Un'inversione di tendenza richiede impulsi, dato che un'economia di mercato non può stabilizzarsi autonomamente solo grazie all'azione parallela dei singoli attori economici privati. Questo è stato dimostrato dalla "recessione invernale leggera" che si è verificata a partire dal quarto trimestre del 2022, la quale ha mostrato che non esiste un meccanismo automatico che riporti l'economia sulla via della crescita. Rimanere inattivi nella speranza che tutto si risolva da solo, seguendo l'idea che "ciò che scende, prima o poi risale" o che "alti e bassi sono parte integrante del ciclo economico", rappresenta una strategia economica errata basata su una comprensione distorta dei processi economici globali e delle relative dinamiche.

Le recenti previsioni di vari istituti (IfW a Kiel, IWH a Halle e ifo a Monaco) condividono tutte una prospettiva di ripresa rapida delle esportazioni tedesche, con un aumento del surplus della bilancia commerciale al di sopra del 6% per l'anno in corso, dopo il 4,2% del 2022, e una previsione di superare addirittura il 7% nel 2024 (IfW e ifo). Tutti e tre gli istituti prevedono che l'attività di investimento privato in attrezzature non sarà frenata nell'anno in corso, nonostante l'alto livello dei tassi di interesse e la contrazione dell'attività economica. Tuttavia, come dimostrano gli indicatori precedentemente menzionati nel settore dei beni strumentali in Germania, questa prospettiva sembra basarsi su un'ottimismo infondato. È ancora incerto se l'estero, in particolare l'Europa, soggetta alla stessa politica dei tassi di interesse della Germania, sarà in grado di generare una domanda sufficientemente robusta da consentire ai produttori tedeschi di esportare nei volumi previsti.

Fino a quando la situazione di tassi di interesse elevati e la deflazione dei prezzi a livello di produttori interni rimarrà invariata, non ci sarà alcun segnale di una ripresa. Gli uomini politici saggi farebbero bene a coordinarsi con i loro colleghi europei e ad interrogare la BCE all'interno dell'Eurogruppo.


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domenica 6 agosto 2023

Heiner Flassbeck - La crisi dell'economia tedesca è grave mentre la BCE sta portando l'Europa verso il baratro

"IL FATTO CHE I POLITICI DEMOCRATICAMENTE ELETTI IN TUTTA EUROPA OSSERVINO SENZA COMMENTARE E IMPOTENTI IL MODO IN CUI I TECNOCRATI DELLA BCE CONTINUANO A MUOVERSI NELLA DIREZIONE SBAGLIATA CAUSANDO DANNI ENORMI, È INSPIEGABILE. TUTTAVIA, QUESTA È LA DIRETTA CONSEGUENZA DEL MANDATO SBAGLIATO CHE LA GERMANIA HA IMPOSTO ALLA BCE" SCRIVE IL GRANDE ECONOMISTA TEDESCO HEINER FLASSBECK. SECONDO FLASSBECK LA CRISI ECONOMICA TEDESCA STA ACCELERANDO MENTRE LA BCE CON LA SUA POLITICA MONETERIA RESTRITTIVA CI STA PORTANDO VERSO IL BARATRO. DA RELEVANTE-OEKONOMIK.COM

Heiner Flassbeck
Heiner Flassbeck

La situazione economica in Germania è pessima, anzi, estremamente critica. Indicatori come il cosiddetto Markit PMI (reperibile qui) ipotizzano per l'industria tedesca uno scenario altrettanto catastrofico simile a quanto accadde durante la grande crisi finanziaria globale del 2008/2009 o durante lo shock causato dal coronavirus nel 2020. A luglio, l'indice Ifo è crollato in modo massiccio. Il recente bank lending survey della Banca Centrale Europea (BCE) dimostra l'impatto significativo della stretta monetaria: la concessione di credito alle imprese sta calando rapidamente. Tuttavia, i responsabili del governo e della banca centrale sembrano voler ignorare la realtà. Non vogliono vedere ciò che sta accadendo, perché rifiutano di ammettere quanto siano state errate le loro stime e previsioni.

Si inizia con il Ministro dell'Economia federale, il quale continua a negare la realtà. Nel suo ultimo rapporto mensile, infatti, scrive che i dati attuali sugli indicatori congiunturali indicano solo una "moderata dinamica di tipo congiunturale" dopo una netta flessione alla fine del primo trimestre e una "graduale ripresa dell'industria nei prossimi mesi". Questo non è ottimismo sfrenato, ma un rifiuto ostinato della realtà, simile ai bambini che credono di poter respingere una minaccia acuta semplicemente chiudendo gli occhi.

Ma ci sono anche altre figure di responsabilità che mancano della competenza necessaria per effettuare una valutazione realistica della situazione e per adottare misure adeguate. La BCE, che ha un impatto significativo sulla situazione economica dei paesi membri, sembra essere bloccata dai suoi errori del passato, come dimostrato in numerose occasioni insieme a Friederike Spiecker (l'ultima volta qui).

A causa di un'errata convinzione collettiva, la BCE si è convinta di dover combattere l'inflazione" a prescindere dalla situazione economica e dalle cause dell'aumento dei prezzi. Ma questo ha trasformato lo shock da domanda causato dal massiccio aumento dei prezzi delle materie prime in una spirale negativa per l'economia europea: l'attività di investimento delle aziende nel settore delle costruzioni e dell'industria, infatti, ora sta soppiantando la debolezza originaria dei consumi come principale causa di avvitamento dell'economia.

Nonostante sia ormai evidente che non vi è stata alcuna pressione inflazionistica significativa dall'inizio dell'anno in corso, ma una tendenza deflazionistica globale, i sostenitori di una rigida lotta all'inflazione all'interno della BCE e nelle banche centrali nazionali continuano a lanciare allarmi riguardo una presunta inflazione dei prezzi al consumo. Di fatto ignorano deliberatamente gli indicatori chiaramente anticipatori, come i prezzi alla produzione o all'ingrosso, che segnalano già la deflazione, perché non vogliono ammettere i propri errori. La BCE, che a marzo di quest'anno considerava i prezzi alla produzione del settore industriale come un indicatore chiave per comprendere la pressione sui prezzi al consumo, ora però non menziona più questi dati.

Prezzi alla produzione in Germania

Nonostante non ci sia stata alcuna pericolosa accelerazione dei salari in Europa e nonostante le evidenti perdite in termini di potere d'acquisto reale, la BCE continua a insistere sulla minaccia degli "aumenti salariali". Questo è ingiusto, poiché è stata proprio la BCE a dichiarare prematuramente come "inflazione" quegli aumenti temporanei dei prezzi provenienti dall'esterno. Nonostante questa grave valutazione errata, la maggior parte dei sindacati europei non è stata abbastanza forte da evitare significative perdite in termini di salario reale. L'uso di pagamenti una tantum è stato un modo ragionevole per limitare le perdite in termini di salario reale (soprattutto per le fasce salariali più basse) senza adeguare i salari all'"inflazione". Ora, enfatizzare lo sviluppo salariale come una vera minaccia inflazionistica è solo un tentativo disperato di distogliere l'attenzione dai propri fallimenti.

Inoltre, il responsabile dell'FMI per l'Europa, Alfred Kammer, ha rilasciato affermazioni fuorvianti. 

In un post sul blog, infatti scrive che "le pressioni inflazionistiche probabilmente persisteranno per un po'. I lavoratori cercheranno di recuperare il potere d'acquisto attraverso salari più alti, mentre le aziende cercheranno di proteggere i profitti adeguando i prezzi al dettaglio all'aumento del costo del lavoro. Non prevediamo un ritorno dell'inflazione al target prima della metà del 2025, e l'inflazione potrebbe dimostrarsi più persistente se, ad esempio, le aspettative inflazionistiche aumentassero o la percentuale di contratti salariali con clausole di indicizzazione retroattive aumentasse."

Pertanto, è normale che in un'economia di mercato le aziende cerchino di proteggere i loro profitti quando i salari aumentano. Se la concorrenza tra i produttori funziona, le aziende in media trasferiranno gli aumenti dei costi unitari del lavoro nei prezzi, quindi la parte degli aumenti salariali che non viene compensata dal miglioramento della produttività. Questa evidenza empirica è chiara per quasi tutti i paesi del mondo (come dimostrato qui): negli ultimi quarant'anni non ci sono stati aumenti dei margini dei prezzi a piacere per le aziende, e non c'è nulla che suggerisca che ciò sia cambiato dal 2021. Almeno l'FMI dovrebbe saperlo.

Tuttavia, non è affatto chiaro perché dovrebbero essere proprio le aziende al dettaglio a trasferire gli aumenti del costo del lavoro. Nei settori all'ingrosso e alla produzione, i prezzi stanno scendendo, sebbene anche in questi settori vengano pagati salari normali. Se la pressione salariale fosse generalizzata, non avremmo una deflazione nei settori non legati al consumo. Le preoccupazioni riguardo alle aspettative di inflazione, che sono sempre presenti, si verificherebbero a tutti i livelli di produzione e vendita, non solo al dettaglio. Questa non è un'analisi teorica, ma una speculazione ingiustificata, il cui unico scopo è giustificare il comportamento degli economisti della banca centrale europea. Se l'FMI non ha nulla di utile da dire, sarebbe meglio che stesse zitto.

Il fatto che i politici democraticamente eletti in tutta Europa osservino senza commentare e impotenti come i tecnocrati della BCE continuano a muoversi nella direzione sbagliata causando danni enomri, è inspiegabile. Tuttavia, questa è la diretta conseguenza del mandato sbagliato che la Germania ha imposto alla BCE. Chi sostiene che il suo mandato riguardi esclusivamente la stabilità dei prezzi si sbaglia, e inoltre sta offrendo una scusa a buon mercato. Così la recessione viene spiegata come un prezzo inevitabile da pagare per garantire la stabilità dei prezzi. E l'affermazione secondo la quale la stabilità dei prezzi è un beneficio sociale indispensabile per il quale la banca centrale sta combattendo, viene presentata senza spiegare di cosa si tratta effettivamente la stabilità dei prezzi in un periodo di grandi shock dei prezzi provenienti dall'esterno.

La BCE quindi continuerà con la sua politica errata e alzerà nuovamente i tassi di interesse. Se nessuno si assumerà la responsabilità personale delle decisioni sbagliate, gran parte della popolazione perderà definitivamente fiducia nella democrazia. Anche se le connessioni non sono chiare nel dettaglio, è giusto presumere che la "gente in alto" stia fallendo e, tuttavia, non stia affrontando le conseguenze dei propri errori, ma che alla fine saranno invece le "persone comuni" a pagare il prezzo delle loro azioni.


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giovedì 22 giugno 2023

Heiner Flassbeck - Mancanza di lavoratori qualificati e inflazione, le bugie e i gravi errori della BCE

"Quello che veramente ci interessa è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica? O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile. Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto...". Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega perché il dibattito sui tassi di interesse e sulla presunta mancanza di lavoratori qualificati serve piu' che altro a nascondere gli interessi delle classi dominanti. Da Telepolis

Heiner Flassbeck


A volte un'affermazione molto semplice può dirci in che modo una società mente a se stessa per nascondere delle relazioni alquanto spiacevoli. Così accade anche per l'inflazione e così accade per la disoccupazione.

Un anno di forte aumento dei prezzi, solitamente chiamato "inflazione", ha fatto tremare la società e la politica; quarant'anni di disoccupazione, invece, vengono semplicemente messi da parte perché non rientrano nella propria visione del mondo.

In una intervista straordinaria, il membro del Comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel ha offerto un punto di vista approfondito della sua visione del mondo economico.

Il risultato è scioccante. La signora Schnabel non solo difende la dottrina totalmente fallimentare del cosiddetto monetarismo, ma la sua visione storica della disoccupazione è anche caratterizzata da una grande ignoranza. Entrambi i fatti sono fatali, perché le false lezioni che si traggono dalla storia spesso ci spiegano in maniera diretta gli errori che si commettono nel presente.

È più che sorprendente il modo in cui la signora Schnabel vede la situazione sul mercato del lavoro negli anni '70 rispetto a quella odierna. E dice:

"Soprattutto, abbiamo un mercato del lavoro insolitamente forte. La disoccupazione - e questa è un'enorme differenza rispetto agli anni '70 - è ai minimi storici nell'area dell'euro. Abbiamo una grande carenza di manodopera. Allo stesso tempo, naturalmente, ciò significa che in questo processo negoziale i lavoratori hanno un maggiore potere contrattuale (...)"

Isabel Schnabel, BCE

Questo è più che problematico per il suo giudizio sulla reazione dei lavoratori agli attuali aumenti temporanei dei prezzi. Se questo punto di vista (completamente errato) dovesse prevalere in tutto il Comitato esecutivo della BCE, ciò spiegherebbe anche l'errata valutazione della durata e della pericolosità degli aumenti temporanei dei prezzi.


Ora la BCE ha addirittura aumentato un'altra volta i tassi di interesse, anche se il pericolo di un'inflazione reale nel frattempo è stato ampiamente scongiurato (come mostrato qui di recente).

La denuncia di una carenza di lavoratori qualificati

La BCE non è affatto sola in questo errore di valutazione. Si sente spesso dire, soprattutto in Germania, che attualmente si registra una carenza particolarmente grave di lavoratori qualificati e che anche i posti di lavoro che richiedono solo basse qualifiche sono difficili da occupare.

Questo può essere vero agli occhi delle aziende da tempo abituate ad essere "rifornite" alla svelta delle qualifiche di cui avevano bisogno dall'ufficio di collocamento. Agli occhi di un imprenditore che ha vissuto gli anni '70, però, l'affermazione secondo la quale oggi ci sarebbe carenza di manodopera è uno scherzo di cattivo gusto.

Il mercato del lavoro: la differenza elementare rispetto agli anni '70

Prima dell'esplosione del prezzo del petrolio nel 1973, la Germania e mezzo mondo avevano attraversato 20 anni di super boom che, come l'Ufficio federale di statistica ha appena mostrato nelle statistiche storiche, la Germania aveva ripreso a crescere all'inizio degli anni Settanta.

La situazione sul mercato del lavoro era molto chiara. In Germania c'erano circa 100.000 disoccupati e circa un milione di posti vacanti, un rapporto di uno a dieci. Non c'era praticamente lavoro da cercare o trovare, perché la maggior parte delle 100.000 persone registrate come disoccupate si era appena iscritta all'ufficio di collocamento, poco prima di trovare un nuovo lavoro.



Oggi ci sono circa 2,5 milioni di disoccupati secondo le statistiche ufficiali e circa 800.000 posti di lavoro (anch'essi secondo il conteggio ufficiale) vacanti. Si tratta di un rapporto di tre a uno. Chiunque paragoni un rapporto di uno a dieci con un rapporto di tre a uno giungendo alla conclusione che nel secondo caso vi sia una carenza "storica" di manodopera e che quindi i lavoratori oggi abbiano un maggiore potere contrattuale si sta fondamentalmente sbagliando.

Il timore di una spirale salari-prezzi viene fomentato in maniera artificiale

Sulla base di questa diagnosi errata, la BCE arriva addirittura a fomentare la paura di una spirale salari-prezzi, che invece è completamente infondata. Non solo a causa del rapporto inverso tra posti di lavoro e disoccupati, ma anche a causa di molte azioni politiche deliberate durante i decenni del neoliberismo: il movimento sindacale in Germania e in tutta Europa è stato massicciamente indebolito.

Non da ultimo, all'inizio di questo secolo, sotto i rosso-verdi, con la legislazione Hartz IV, il movimento sindacale e la capacità dei sindacati di mobilitare i propri iscritti in occasione di uno sciopero, proprio nel più grande Paese dell'Unione monetaria, hanno subito un duro colpo.


Tutto questo è passato inosservato a Isabel Schnabel? Se fosse così, allora non ha nulla a che fare con il luogo in cui siede.

Ci si chiede, tuttavia, come abbia fatto l'economia all'inizio degli anni Settanta a crescere in modo così sostenuto, quando a differenza di oggi non c'era la possibilità di reclutare manodopera dall'esterno

La risposta è semplice.

Vale e dire: le aziende hanno dovuto trasformare internamente tutti i lavoratori disponibili in lavoratori qualificati con l'aiuto di una formazione intensiva.

Chi non riusciva a trovare dipendenti doveva rassegnarsi alla possibilità di espandere il business solo alle attività che potevano essere realizzate escllusivamente con la forza lavoro esistente. E c'erano tutte le ragioni per investire in attività fisse, più in quelle che aumentavano la produttività che in quelle che aumentavano la capacità.


Le lamentele dei datori di lavoro sulla carenza di competenze, che vengono lanciate nel dibattito pubblico ogni pochi mesi, sono piu' che altro l'espressione di una mentalità dell'offerta da parte dei datori di lavoro che non può essere giustificata da nulla e che ha potuto emergere nei decenni passati perché la disoccupazione è rimasta costantemente alta.

Coloro che nei loro discorsi domenicali invocano l'auto-guarigione dell'economia attraverso le sole forze di mercato diventano improvvisamente sostenitori dell'interventismo statale quando si tratta di disponibilità di manodopera. Lo Stato tuttavia non ha alcun obbligo di garantire un'offerta regolare di manodopera.

La mentalità orientata all'offerta dei datori di lavoro è particolarmente evidente quando suppongono che questa offerta di manodopera debba avvenire sempre alle stesse condizioni salariali.

Se si ha urgente bisogno di manodopera, si deve fare quello che si è sempre fatto quando non si riesce a procurarsi facilmente un bene scarso: spendere più soldi. E questo è l'unico modo per sfruttare le potenzialità del mercato del lavoro non altrimenti disponibili.

Ma quando si tratta di aumentare i salari, i datori di lavoro dimenticano volentieri che si trovano in un'economia di mercato e non in un'istituzione statale.


La colpa è solo dei politici. Quando i ministri federali viaggiano dall'altra parte del mondo per reclutare lavoratori in un Paese in via di sviluppo, devono avere l'impressione che si tratti di una questione squisitamente politica.

Risolvere la carenza di lavoratori qualificati con l'immigrazione è tuttavia di un cinismo senza pari in una società che fa di tutto per chiudere quanto piu' possibile le proprie frontiere all'immigrazione in fuga dalla povertà, anche in barba ai diritti umani.

Va da sé che ci è permesso, per "nostre ragioni economiche", sottrarre ai Paesi in via di sviluppo i lavoratori qualificati di cui hanno urgente bisogno. Allo stesso tempo, però, facciamo tutto il possibile per fermare o impedire l'immigrazione per ragioni economiche.

Difficilmente si può essere più schizofrenici di così. Gli immigrati possono anche essere istruiti, ma ovviamente costano di più che andare a caccia di lavoratori già formati nei loro Paesi a spese dei contribuenti.

La soluzione al problema è semplice: in un Paese ci sono tanti lavoratori quanti sono gli abitanti.

Da dove arriva l'arroganza di dire che dobbiamo crescere più di quanto siamo effettivamente in grado di fare e che il divario deve essere colmato dall'immigrazione di lavoratori qualificati e ben istruiti?


Se la società è in grado di aumentare la propria prosperità attraverso l'aumento della produttività, tutto bene. Se non ci riesce, deve adattarsi a ciò che ha. Dovrebbe essere un tabù assoluto, soprattutto per le nazioni "basate sui valori", quello di manomettere il potenziale lavorativo di altri Paesi.

Cosa ci interessa davvero

Quello che ci interessa veramente è mantenere le nostre gerarchie salariali. Dove saremmo se un operaio stipendiato guadagnasse un quarto di quello che porta a casa il direttore del personale di un'azienda automobilistica?

O se un capotreno guadagnasse la metà di un direttore di cassa di risparmio? O un'infermiera tre quarti dello stipendio di un insegnante? Sarebbe davvero insopportabile.

Non vogliamo davvero spingere l'economia di mercato a tanto. I lavoratori qualificati devono semplicemente essere disponibili in abbondanza e a basso costo, in modo che il quinto superiore della gerarchia dei redditi possa continuare a vivere nel lusso non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi.


Articoli precedenti di Heiner Flassbeck:


La fine dell'inflazione in Germania 


Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobilare tedesco


Perché la politica monetaria della BCE è sbagliata





venerdì 7 aprile 2023

Heiner Flassbeck - Le gravi responsabilità della BCE nel crollo del settore immobiliare tedesco

Il settore delle costruzioni in Germania sta crollando ad un ritmo superiore rispetto a quanto avvenuto negli anni della crisi finanziaria, il grande economista tedesco Heiner Flassbeck ci spiega cosa sta accadendo e quali sono le gravi responsabilità della politica restrittiva della BCE. Ne scrive Heiner Flassbeck su relevante-oekonomik.com/

Heiner Flassbeck

L'Ufficio Federale di Statistica la scorsa settimana ha comunicato che i nuovi ordini (corretti per i prezzi) nel settore delle costruzioni nel gennaio 2023 sono stati di ben il 21% inferiori rispetto al livello dell'anno precedente (Figura 1). "L'ultima volta che si era registrato un calo maggiore ad inizio anno era stato nel gennaio 2009 (-21,8% rispetto al gennaio 2008)", ha dichiarato l'Ufficio di statistica. Da marzo dello scorso anno, la domanda totale nel settore edile è crollata del 24%.


Osservando le cifre (destagionalizzate) mese per mese, si nota che il crollo sta interessando tutti i settori nell'industria delle costruzioni. L'ingegneria civile (Figura 2), dominata dai contratti governativi, ha avuto una traiettoria ascendente fino al 2018, ha ristagnato in gran parte tra il 2019 e il 2022 e ora continua a scendere.


La più colpita è l'edilizia residenziale (Figura 3), di cui i nostri politici ci raccontano che la Germania ha tanto bisogno: rispetto al marzo dello scorso anno, questo settore ha registrato un calo degli ordini di un terzo.

Figura 3



A dire il vero, è già dal 2020 che non si registra più una chiara tendenza al rialzo. Il crollo drammatico tuttavia è iniziato solo dopo il marzo 2022, quando è stato raggiunto un valore dell'indice pari a 140,5. La velocità dell'attuale crollo non si era mai vista negli ultimi 20 anni, nemmeno in una recessione, nemmeno nel corso della grande crisi finanziaria del 2008/2009. E questo ha anche a che fare con il fatto che i costi di costruzione erano esplosi anche prima dell'attuale crollo rispetto a quanto accaduto negli ultimi due decenni (Figura 4).


Figura 4

Questo aumento dei prezzi, anch'esso speculativo e caratterizzato da vari shock dell'offerta, già di per sé avrebbe rallentato l'industria delle costruzioni spingendo verso un graduale calo dell'attività edilizia, come già evidente nell'edilizia residenziale dalla fine del 2020. Ma il rapido crollo avvenuto a partire dalla primavera del 2022 non può essere spiegato solo dall'andamento dei costi di costruzione. 

Figura 5

Figura 6

Il quadro della domanda nel settore delle costruzioni trova riscontro nel fatto che i prezzi degli immobili residenziali (Figure 5 e 6) nel quarto trimestre dell'anno scorso sono scesi del 3,6%, un calo significativo - su di una tale dimensione per la prima volta dal 2007, quando nel primo trimestre erano scesi del 3,8%. La situazione è quindi cambiata radicalmente e rapidamente, anche guardando a questo indicatore.


Inoltre, si può notare che sono soprattutto gli immobili residenziali esistenti e non quelli di nuova costruzione ad essere crollati a un ritmo molto sostenuto. Ciò è da associare ad una correzione dell'inflazione speculativa, da accogliere con favore. Questo sviluppo tuttavia - come lo scoppio di una bolla dei prezzi - rischia di frenare la propensione all'investimento: se i prezzi degli asset scendono, molti proprietari di case si sentiranno più poveri e più esitanti di prima nell'intraprendere una conversione ecologica della loro proprietà. Anche i potenziali acquirenti di immobili, per i quali il calo dei prezzi in realtà è un fatto positivo e lascia spazio al finanziamento di investimenti ecologicamente sensati negli immobili esistenti, potrebbero essere trattenuti: potrebbero infatti esitare prima di acquistare nella speranza che i prezzi scendano ulteriormente, oppure per il timore di acquistare un immobile il cui valore successivamente potrebbe ulteriorimente scendere mentre sono vincolati a dei tassi di interesse contrattualmente concordati e relativamente elevati.

Tra l'altro, già nel febbraio 2022, la BCE stava seriamente considerando (secondo Isabel Schnabel) la possibilità di tenere maggiormente in considerazione il prezzo degli immobili, cioè il prezzo di un asset, nelle decisioni di politica monetaria. Questa mossa è stata rilevante in quanto l'indice dei prezzi al consumo, il metro di misura della politica monetaria, riguarda essenzialmente i prezzi dei flussi, cioè dei beni che vengono consumati e utilizzati. Ad esempio, i prezzi delle azioni - anche i prezzi degli asset - non hanno alcun ruolo nel calcolo dell'indice dei prezzi al consumo. Nella misura in cui i prezzi degli immobili si ripercuotono sugli affitti (e sul costo delle abitazioni occupate dai proprietari), hanno sempre svolto e continuano a svolgere un ruolo nell'indice nazionale dei prezzi al consumo. 

I costi degli alloggi occupati dai proprietari, tuttavia, non sono inclusi nell'indice armonizzato su cui si basa la BCE. E questa è stata ovviamente una spina nel fianco di Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della BCE: "Quando si tratta di chiedere se le condizioni della nostra forward guidance sono soddisfatte, il Presidente ha sempre chiarito che alla fine questa valutazione non è meccanicamente legata alle proiezioni, ma è un giudizio del Consiglio direttivo. E qui dovrebbero entrare in gioco i prezzi delle abitazioni". 

Al momento, Isabel Schnabel non ha ancora dichiarato di voler prendere in considerazione, nella sua valutazione dell'attuale andamento dei prezzi, il calo dei prezzi degli immobili con la stessa serietà con cui teneva conto dello stesso aumento dei prezzi un anno fa. Ciò alimenta l'impressione che l'approccio basato sui dati, che la BCE  recentemente ha enfatizzato con forza come base per le sue decisioni di politica monetaria, non venga fatto in maniera sistematica, ma piuttosto che i dati empirici siano a volte inclusi nella valutazione della situazione e a volte no, a seconda che sostengano la posizione "desiderata" del momento o piuttosto la contrastino.

Le responsabilità della politica monetaria

Se si guarda alla costellazione complessiva della domanda di abitazioni, dei costi di costruzione e dei prezzi delle case, non c'è dubbio che la politica monetaria sia in buona parte responsabile del crollo del settore delle costruzioni e del mercato immobiliare. Non è una novità: i tassi di interesse erano già aumentati nel 2005 e nel 2006, ponendo fine all'espansione dell'industria delle costruzioni, in particolare dell'edilizia residenziale, come si evince dalla Figura 7, in cui vengono riportati i nuovi ordini per l'edilizia residenziale nel principale settore delle costruzioni, affiancati al tasso di interesse di riferimento della BCE. Oggi, tuttavia, parliamo di una dimensione diversa del problema. Questa volta, i tassi di interesse sono saliti in pochissimo tempo partendo da zero perché la BCE ha ritenuto di dover combattere un aumento temporaneo dei prezzi, la cui origine era chiaramente da ricercare negli eventi globali.

Gli investitori i cui investimenti hanno un rendimento atteso inferiore rispetto al tasso d'interesse non hanno modo di sottrarsi alla pressione dei tassi d'interesse fissati per contratto o alla pressione di investire i propri fondi in titoli sicuri, invece che in progetti d'investimento nell'economia reale alquanto incerti. Questo vale sia per le imprese che per le famiglie. Le persone le cui aspettative di reddito non consentono di sostenere un tasso di interesse più elevato devono rinunciare all'acquisto o alla costruzione di una casa.

Questa correlazione si applica anche agli investimenti industriali piu' in generale. Gli ordini interni ricevuti dai produttori di beni strumentali si sono indeboliti a partire dall'estate del 2021 e sono in netto calo dal primo trimestre del 2022 (Figura 8).


Per comprendere il grave pericolo che ciò rappresenta se combinato con l'attuale politica monetaria, è necessario considerare l'andamento precedente: la leggera ripresa che in Germania la domanda interna di beni di investimento aveva avuto dopo la crisi dell'euro, durata fino al 2018, si era già conclusa prima della pandemia - la domanda di investimenti inizialmente ha ristagnato ed è poi scesa per tutto il 2019. A partire da marzo 2020 è crollata a causa della pandemia, per poi risalire ai livelli di inizio anno. Nella prima metà del 2021 si era registrata una ripresa, tanto che la domanda di investimenti ha raggiunto un livello che proseguiva la fase ascendente durata almeno fino al 2018. Ma poi la situazione è precipitata di nuovo. La guerra in Ucraina, con tutte le sue conseguenze sul settore energetico, e le grandi incertezze innescate hanno fatto crollare nuovamente la disponibilità a investire. 

E nel bel mezzo di questa fase di debolezza, la politica monetaria europea è passata ad una fase fortemente restrittiva. La differenza con l'andamento degli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria è notevole: allora, l'aumento dei tassi d'interesse, più lento e meno esteso, era stato preceduto da una ripresa degli investimenti durata due anni, protrattasi anche durante il rialzo dei tassi d'interesse, prima che la crisi finanziaria la interrompesse bruscamente, così come il rialzo dei tassi d'interesse. Prima dell'inizio dell'attuale inasprimento della politica monetaria, invece, in Germania non si era registrata alcuna ripresa degli investimenti, al massimo una faticosa ripresa della domanda di investimenti avvenuta dopo lo shock pandemico, che lo shock della guerra in Ucraina però aveva prontamente ucciso.

La politica monetaria della BCE tuttavia non può essere guidata solo dalla costellazione economica del suo membro piu' grande. Qual è dunque la situazione della domanda di investimenti nell'Unione Monetaria Europea nel suo complesso? Purtroppo l'indicatore "nuovi ordini" a livello di statistiche europee non esiste. Dobbiamo quindi accontentarci delle statistiche sulla produzione. Tuttavia, quest'ultima non sempre corre parallela in termini temporali rispetto ai nuovi ordini.

Negli ultimi tre anni, in particolare, non è stato possibile evadere tempestivamente gli ordini a causa della pandemia e dei colli di bottiglia legati alla guerra. A tale proposito, il crollo della domanda verso la situazione estrema attuale, ancora non si è riflettuto sulla produzione, come dimostra l'esempio dell'attività edilizia (Figura 9).


Quale sarà il prossimo passo della politica monetaria europea? Il tasso di interesse è la controparte diretta del rendimento (atteso) degli investitori e quindi, in termini macroeconomici, la più importante variabile di controllo per qualsiasi tipo di investimento di cui la politica economica dispone. Può essere utilizzato per deprimere la domanda in aree cruciali dello sviluppo e del cambiamento strutturale, come dimostrano i dati, in maniera tale che la domanda aggregata finisce per crollare. Il tasso di inflazione ha lo stesso effetto. Ma è davvero questa la strada giusta da seguire se ci sono buone ragioni per credere che il tasso di inflazione tornerà a un livello accettabile nel prossimo futuro anche senza questo corso accelerato?

Politica macro o politica strutturale

Ogni medico, prima di intraprenderla, deve considerare gli effetti collaterali della terapia proposta. Operazione riuscita, paziente morto: non è un concetto sensato. La BCE rischia di infilarsi in un vicolo cieco da cui difficilmente riuscirà a venirne fuori. Immaginiamo che le attuali tensioni internazionali portino a ulteriori strozzature dell'offerta, compresa la corrispondente speculazione sui mercati delle materie prime, tali da fare in modo che l'aumento dei prezzi riprenda velocità. La BCE in quel caso continuerebbe il suo percorso e addirittura lo inasprirebbe? Dovrebbe farlo se non vuole perdere la faccia rispetto alle sue precedenti motivazioni politiche. Il risultato per l'economia reale sarebbe però disastroso, perché una forte recessione sarebbe a quel punto inevitabile in tutta Europa. Se la BCE se ne rendesse conto, dovrebbe prendere la strada opposta. Ma come potrebbe giustificare questa scelta?

Resta il fatto che chi non considera in modo differenziato le cause dell'andamento dei prezzi e non reagisce ad esse in maniera differenziata, ma ritiene tutti i settori ugualmente responsabili per gli shock imprevedibili, sta applicando il metodo della mazza di legno sul livello dei tassi di interesse, oltre a distruggere la volontà di affrontare gli investimenti in capitale fisso.

Non è forse questo il cambiamento strutturale che si voleva ottenere?

Non dobbiamo forse ridimensionare alcune attività economiche, come continuano a dirci, se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici? Sì, probabilmente è così. Ma se è il risultato di una politica monetaria sbagliata e avviene mediante uno shock, avrà esattamente l'effetto opposto. Poiché sempre più persone avranno paura per il proprio posto di lavoro, e diventerà sempre più difficile per i politici chiedere la disponibilità a impegnarsi nel cambiamento strutturale necessario per raggiungere gli obiettivi climatici.

Il necessario cambiamento strutturale deve essere guidato dai giusti segnali di prezzo, ma non può essere il prodotto accidentale di una medicina di politica monetaria i cui effetti collaterali sono peggiori della malattia stessa. Il cambiamento strutturale guidato dai prezzi, come abbiamo descritto qui recentemente, deve essere affiancato da una redistribuzione in favore degli strati più poveri della popolazione, perché altrimenti lo Stato non ha la legittimità per attuare i suoi obiettivi. Ma deve anche essere accompagnata da una politica macroeconomica che faccia della piena occupazione il suo obiettivo primario e che, in questo modo, riesca a contenere il giustificato timore nei confronti del cambiamento strutturale in modo da riuscire ad ottenere la maggioranza necessaria per poter applicare questa politica nel quadro di una democrazia.



domenica 7 febbraio 2021

Dalla Germania ci fanno sapere che il debito italiano acquistato dalla BCE non può essere cancellato

Pochi giorni dopo l'appello lanciato da Piketty ed altri importanti economisti europei in favore della cancellazione del debito pubblico acquistato dalla BCE e depositato presso le banche centrali dell'eurosistema, dalla Germania, economisti e politici ci fanno sapere che non si può fare. Anche il Bundestag avrebbe analizzato la situazione debitoria italiana giungendo ad una conclusione per niente inattesa: Nein! Ne scrive Handelsblatt.de


(...) Questa politica ha portato molte critiche alla BCE e le è costata una calo in termini di fiducia. Soprattutto in Germania, i critici accusano la banca centrale di essersi adoperata per finanziare in maniera diretta i governi, pratica che sarebbe proibita. La BCE tuttavia respinge l'accusa. Sostiene che con la sua politica si sarebbe limitata a garantire il funzionamento della politica monetaria.

Rapporto interno del Bundestag: la cancellazione del debito è vietata dai trattati europei

Dopo che i rappresentanti dell'UE e della BCE hanno iniziato a seguire il dibattito sulla cancellazione del debito con un certo scetticismo e distacco, il dibattito nel corso dei mesi per loro si è fatto sempre piu' spiacevole.

Il capo economista della BCE, Philip Lane, solo pochi giorni fa si è sentito in dovere di ribadire che la BCE non è autorizzata a cancellare il debito. "Non ci è permesso. I trattati non permettono la cancellazione del debito degli Stati", ha detto Lane.


Questo è anche quanto emerge da un rapporto interno del Bundestag, a disposizione di Handelsblatt, che analizza il debito pubblico italiano e il dibattito su di una cancellazione del debito del paese.

"Se la BCE prima acquista i titoli di stato allo scopo di ripristinare il funzionamento della politica monetaria dell'eurozona, e in seguito invece viene proposto un taglio del debito, tale cancellazione del debito da parte della BCE è incompatibile con il divieto di finanziamento monetario degli stati", afferma il rapporto.

Questo perché con una cancellazione volontaria del debito, la BCE contribuirebbe alla riduzione del deficit dei paesi dell'eurozona e quindi "direttamente e indipendentemente dai mercati finanziari, contribuirebbe a finanziare il deficit pubblico di uno stato membro".

La BCE inoltre con l'acquisito dei titoli di stato vanta dei crediti in termini di interessi sui titoli di Stato. Se semplicemente vi rinunciasse, "contraddirebbe la promessa della BCE di condurre delle transazioni secondo le abituali pratiche di mercato".

Segnale politico fatale

Ma al di là del divieto legale, gli esperti soprattutto mettono in guardia dalle conseguenze politiche ed economiche che un tale taglio del debito avrebbe. La riduzione del debito ridurrebbe la pressione sui governi a fare le riforme, come ad esempio quello italiano. La mossa farebbe più male che bene, dice l'economista Lars Feld.




L'economista Gabriel Felbermayr avverte anche che un taglio del debito potrebbe alimentare il rischio inflazione. Questa decisione potrebbe dare l'impressione che la BCE sta semplicemente stampando più denaro per finanziare i debiti degli stati.

Ma anche il segnale politico lanciato in Europa sarebbe fatale. Anche i politici di sinistra, infatti, temono che la cancellazione del debito pubblico alimenterebbe il solito dibattito sui trasferimenti: "i tedeschi stanno finanziando i pigri del sud-Europa".

È sicuramente vero che la banca centrale sta comprando titoli di stato di tutti i paesi dell'euro, compresa la Germania. Anche la Germania quindi beneficerebbe di un taglio del debito.

Ma la BCE proporzionalmente ha comprato più titoli di stato italiani che tedeschi, deviando quindi dalla sua regola originale. E questo potrebbe dare l'impressione che si tratta principalmente di un taglio del debito a favore dell'Europa del Sud e a scapito dell'Europa del Nord.

Non è nemmeno chiaro in che modo gli investitori finanziari internazionali potrebbero valutare un passo così radicale. Da un lato, dopo una tale cancellazione, le finanze pubbliche dei paesi dell'eurozona sarebbero di nuovo in una condizione più sana.

I titoli di stato in euro, tuttavia, non potrebbero più essere considerati come sicuri, perché gli investitori avrebbero paura di poter essere colpiti dal prossimo taglio del debito. I tassi d'interesse per i paesi dell'eurozona, come conseguenza, aumenterebbero bruscamente oppure potrebbe esserci una mancanza di acquirenti. I paesi dell'eurozona allora rischierebbero la bancarotta, e l'euro come moneta unica sarebbe probabilmente storia.

Per tutte queste ragioni, non c'è da meravigliarsi se la BCE intende bloccare sul nascere tutte le discussioni sulla cancellazione del debito. "Il dibattito", ha scritto il membro tedesco del comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel, "è dannoso e dovrebbe essere fermato".