Suona piu' o meno cosi' la risposta che un consiglio di economisti incaricati dal governo tedesco ha dato alla richiesta americana di ridurre gli avanzi commerciali. Una risposta che ovviamente piacerà molto al committente, il Ministro dell'Economia Peter Altmaier, e un po' meno alla controparte americana. Ne scrive Der Spiegel
"Benvenuti ad una presentazione su un argomento molto arido": con questo avvertimento Albrecht Ritschl giovedì scorso ha aperto la presentazione dello studio commissionato dal governo sul surplus delle partite correnti tedesche. In realtà, il tema dei flussi di merci e di capitali negli ultimi anni si è fatto decisamente piu' interessante.
Ciò è dovuto principalmente al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Da tempo, infatti, Trump critica con forza il fatto che la Germania esporti molti piu' beni di quanti non ne importi, e sostiene che sia arrivato il momento di cambiare lo stato delle cose con l'aiuto di dazi commerciali punitivi. Anche la Commissione europea, l'Organizzazione dei paesi industrializzati OCSE e il Fondo monetario internazionale sono uniti nel criticare le ampie eccedenze commerciali.
La politica tedesca, che da sempre difende il surplus delle esportazioni considerandolo il risultato di un'economia particolarmente efficiente, si trova ora nella spiacevole situazione di dover dare delle spiegazioni, come del resto accade anche al Ministro federale dell'Economia Peter Altmaier (CDU). Il suo comitato scientifico consultivo ha analizzato, almeno dal punto di vista teorico, se in materia di eccedenze commerciali vi sia spazio per un cambiamento. Il risultato probabilmente piacerà molto più al ministro tedesco che non al presidente degli Stati Uniti. In poche parole: Sorry, signor Trump, non possiamo farci niente!
Detto con parole un po' piu' ufficiali, il gruppo di studiosi è giunto alla conclusione che una "marcata riduzione" delle eccedenze sarebbe "possibile solo con delle forti scosse". Sotto la guida dello storico dell'economia Ritschl, gli economisti hanno esaminato quattro opzioni.
La piu' popolare fra i tedeschi probabilmente è l'opzione di un taglio dell'IVA, che l'economista Carl Christian von Weizsäcker aveva già messo in campo due anni fa in risposta alle prime minacce di Trump. Dato che la riduzione renderebbe anche i beni e i servizi provenienti dall'estero più economici, i tedeschi consumerebbero piu' beni riducendo così il surplus tedesco
Se l'Iva venisse ridotta dall'attuale 19 % al 17 %, secondo lo studio, si avrebbe una "leggera riduzione del saldo di conto corrente", accompagnata tuttavia da un "forte aumento del debito pubblico", sempre secondo l'analisi.
Gli economisti arrivano a questa conclusione anche perché escludono di finanziare la misura attraverso maggiori imposte sul reddito. A ciò si deve aggiungere il fatto che lo stato attualmente può indebitarsi a condizioni favorevoli a causa dei bassi tassi di interesse.
Un membro del gruppo di studiosi tuttavia contraddice questo atteggiamento scettico. Alla luce dei bassi tassi di interesse una riduzione delle imposte finanziata a debito avrebbe "effetti più forti di quelli ipotizzati e il conseguente aumento del debito pubblico sarebbe più lento di quanto indicato nell'analisi".
Una tassa come nel 1968?
Una seconda opzione sarebbe quella di aumentare le imposte sulle vendite generate dall'export. "Una tassa sull'export è qualcosa di fondamentalmente simile a un dazio che viene prelevato non dai paesi stranieri ma dal paese esportatore", afferma Ritschl. In effetti, già nel 1968 per un breve periodo era stata introdotta una tassa simile. Oggi, tuttavia, sarebbe difficile da far rispettare in quanto la politica doganale è una priorità dell'UE.
Gli economisti ritengono inoltre che in questo modo si potrebbe danneggiare l'attività economica interna. Alla fine una tale tassa sull'export, a loro avviso, potrebbe rallentare le esportazioni, ma lasciare il conto corrente invariato: e cioè accadrebbe nel caso in cui gli esportatori tedeschi a causa del loro potere di mercato riuscissero ad imporre dei prezzi più elevati ai loro clienti.
Il giudizio su di un eventuale intervento in materia di politica salariale è ancora più chiaro. Senza dubbio l'aumento dei salari potrebbe aumentare la domanda di beni stranieri, in maniera simile a una riduzione dell'IVA. Ma data l'economia di mercato e l'autonomia della contrattazione collettiva fra le parti, lo stato al massimo potrebbe esercitare una certa influenza attraverso la contrattazione nel servizio pubblico, così secondo gli economisti. I salari inoltre attualmente stanno continuando ad aumentare. Gli interventi politici in questo contesto sarebbero dannosi.
Il consiglio consultivo si troverebbe senza dubbio molto piu' a suo agio con dei possibili sgravi fiscali da applicare sugli investimenti in Germania. Perché parte del problema della bilancia dei pagamenti tedesca risiede nel fatto che i tedeschi risparmiano più della media, ma investono gran parte dei loro risparmi all'estero - per questa ragione in patria c'è una mancanza di investimenti.
Lo stato potrebbe neutralizzare questo effetto, riducendo la tassazione sui redditi da capitale derivanti da investimenti interni - ad esempio riducendo significativamente le imposte sulle società o facilitando la svalutazione delle immobilizzazioni. In alternativa potrebbe rendere gli investimenti all'estero meno attraenti, ad esempio se il fisco limitasse l'esenzione dalla doppia imposizione.
Secondo i calcoli, diversamente da quanto accadrebbe con una tassa sulle esportazioni, questa strategia stimolerebbe effettivamente l'economia tedesca, aumenterebbe gli investimenti e le entrate pubbliche e alla fine ridurrebbe le eccedenze. Lo strumento è "in un certo qual modo utile" e non avrebbe "effetti collaterali importanti", afferma Ritschl. Tuttavia, come in tutti gli scenari, gli effetti sulle partite correnti sarebbero "alquanto ridotti".
Un messaggio confortevole per il governo federale
Non c'è da stupirsi che il Ministro dell'Economia Altmaier abbia subito accolto con favore la relazione. Alla fine il documento non fa che dare coraggio al governo nel suo atteggiamento, cioè: fare molto poco per contrastare le eccedenze commerciali. Gli scienziati inoltre sottolineano che la Germania è fortemente legata alle economie degli altri paesi, come invece accade solo ad economie minori, ad esempio la Svizzera o la Danimarca.
"Mentre le loro eccedenze non sono significative a livello internazionale, quelle tedesche sono invece diventate oggetto di un conflitto politico internazionale", dice lo studio. La Repubblica federale ha un'influenza molto limitata sulla sua situazione, soprattutto perché non può più gestire la politica dei tassi di cambio in quanto parte della zona euro.
Questi argomenti sono stati ripetuti più e più volte a Trump e agli altri, ma non hanno modificato la critica mossa alla Germania. "L'insoddisfazione è tangibile, anche io faccio questa esperienza quando sono all'estero", ha detto Ritschl, che insegna alla London School of Economics. Ancora più chiaro è stato quel membro del Consiglio consultivo che sulla riduzione dell'IVA ha dato un voto di minoranza: "Il rapporto sottovaluta la grande urgenza di risolvere il problema".