"Se volete capire cosa ci sia di fondamentalmente sbagliato in Germania, allora basta leggere le interviste al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann", scrive il grande economista tedesco Heiner Flassbeck. Weidmann probabilmente crede che possano tornare i bei tempi andati in cui gli altri peaesi europei si indebitavano e l'industria tedesca continuava ad esportare come se non ci fosse un domani. La situazione, purtroppo per gli industriali tedeschi, è cambiata, e prima lo capiscono meglio sarà per tutti. Ne scrive Heiner Flassbeck su Makroskop.de
Se volete capire cosa ci sia di fondamentalmente sbagliato in Germania, allora dovreste leggere l'intervista che il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha rilasciato alla FAZ. Se l'avete letta, la maggior parte di voi dirà: sì, come al solito, è quello che ci si può aspettare oggi da un politico.
Esattamente! E questo è il problema. Nell'intervista la parte piu' interessante è proprio quello che non viene detto.
Che cosa dovrebbe dire ai cittadini un presidente della Bundesbank che politicamente vuole essere davvero indipendente? Ebbene, dovrebbe naturalmente commentare la domanda che gli viene posta dalla FAZ, ovvero se ci sono e quali sono i limiti al debito pubblico. La FAZ fa esattamente questa domanda, e usa anche una parola chiave molto interessante:
"Fare debiti non era mai stato cosi' sexy. Non ci sono limiti al debito pubblico, da quando è iniziata la crisi ce lo hanno spiegato anche molte persone che meritano di essere prese sul serio. La casalinga sveva non riesce piu' a tenere testa".
Un presidente della Bundesbank politicamente indipendente e illuminato, avrebbe dovuto rispondere che i debiti non hanno nulla a che fare con il sesso e che i tempi in cui si poteva argomentare usando la storia della casalinga sveva purtroppo sono finiti da tempo. Non è stato forse proprio lei, avrebbe dovuto chiedere al condirettore della FAZ, Gerald Braunberger, ad aver scritto piu' volte che i tempi sono cambiati perché in tutto il mondo le aziende non fanno piu' debiti e sono diventate invece delle risparmiatrici?
Cosa avrebbe dovuto dire
Il presidente della Bundesbank avrebbe dovuto sottolineare che la Bundesbank ogni anno, a partire dagli anni '50 (un risultato pionieristico!), calcola in tutti i settori i saldi netti fra accreditamento e indebitamento come supplemento ai conti nazionali (ad esempio qui), e da questi è possibile capire che non esiste più la tradizionale divisione dei ruoli: da una parte le famiglie che risparmiano per ragioni di prudenza, dall'altra le imprese che fanno i debiti rendendo cosi' possibile il risparmio. Avrebbe dovuto anche dire che in una grande economia relativamente chiusa come è l'Unione Monetaria, ciò significa necessariamente che sarà lo Stato o saranno gli Stati a doversi assumere il compito di fare debiti, almeno fino a quando non ci saranno strumenti politici disponibili (oppure ci sarà la volontà di utilizzarli) per costringere le aziende a tornare a fare debiti.
A tal proposito avrebbe dovuto anche dire che la casalinga sveva da diversi anni non trova piu' nel settore privato il solito partner che le dà la possibilità di risparmiare. La soluzione tedesca, avrebbe dovuto dire il membro del Consiglio direttivo della BCE, vale a dire quella di spostare il peso dell'indebitamento sugli altri paesi, non è un modello adatto per l'Europa e per il mondo intero. Inoltre, i tagli salariali in Europa aumenterebbero ulteriormente il rischio di una deflazione e il resto del mondo non potrebbe mai accettare delle eccedenze europee su scala tedesca. I "quattro paesi frugalisti" insieme alla Germania dovrebbero finalmente comprendere il contesto economico complessivo, per il cui rilevamento statistico, da ormai quasi settant'anni, la Bundesbank ha ottenuto un grande riconoscimento scientifico.
Ma non ha detto nulla di tutto ciò. La risposta di Jens Weidmann è stata più che banale:
"L'immagine della casalinga sveva spesso viene male interpretata. Il suo risparmio non è fine a se stesso, ma risparmia per poter spendere questi soldi in cose utili e anche per fare provviste per i momenti difficili. E questo è esattamente il caso. È stato ragionevole aver fatto uno sforzo per potersi permettere delle finanze solide in tempi normali. E ha altrettanto senso ora, in tempi difficili, usare lo spazio di manovra disponibile per fare un grande cambio di rotta".
Per Weidmann, apparentemente erano "tempi normali" quelli in cui il più grande paese dell'Unione Monetaria realizzava delle enormi eccedenze di conto corrente grazie al dumping salariale (che la stessa Bundesbank ha ammesso qualche anno fa), senza alcun rispetto per i suoi partner e convinceva se stesso e i suoi cittadini che in una fase del genere la casalinga sveva poteva tranquillamente risparmiare.
La casalinga sveva può fare provviste?
Che la casalinga sveva voglia fare delle provviste è evidente e non è necessario sottolinearlo. Se sia realmente in grado di risparmiare in ogni circostanza, è la vera questione di fondo, e nel cercare di dare una risposta a questa domanda, un'istituzione grande ed economicamente importante come la Bundesbank, avrebbe dovuto mettere da parte tutte le considerazioni di appartenenza politica e partitica e contribuire all'educazione dei cittadini.
Se inoltre, qualcuno come il presidente della Bundesbank ha una grande responsabilità a livello europeo, allora bisogna pretendere che parli apertamente in quanto tedesco, e che parli alla coscienza del proprio paese quando - ancora una volta - sarà in procinto di rompere le porcellane europee. Chi ora sta difendendo le regole europee sul debito e sostiene che alla fine sarà il "contribuente" a dover pagare gli interessi e rimborsare i debiti, come fa Weidmann nel prosieguo dell'intervista, sta deliberatamente causando smarrimento tra la popolazione e la politica.
Nessuno potrà mai ripagare i debiti che lo Stato sta accumulando durante questa crisi, perché i normali periodi di crescita nei quali lo Stato rientra dal debito senza troppi problemi grazie agli investimenti e all'indebitamento delle aziende, resteranno un ricordo del passato, almeno per quanto ne sappiamo. Chi tuttavia continua a crederci, allora deve anche spiegare e discutere apertamente in che modo la politica possa riportare le aziende alla loro responsabilità. Se non lo fa, bisogna presumere che la popolazione sia stata deliberatamente ingannata.
Perché l'economia nel suo complesso resta un tabù?
Perché in Germania non è possibile fare un salto dal livello microeconomico a quello dell'economia nel suo complesso? Perché non è possibile dire che non ci può essere risparmio senza indebitamento e discutere apertamente delle conseguenze? Gli economisti di tutto il mondo germanofono stanno miseramente fallendo proprio su una delle questioni fondamentali che praticamente ci riguarda tutti. Sempre piu' spesso mi viene chiesto da persone intelligenti che di mestiere non sono economisti, come è possibile che una materia che vorrebbe essere una scienza, semplicemente possa ignorare la fondamentale dimensione macroeconomica del suo oggetto di studio.
Non c'è da sorprendersi se poi molte persone intelligenti hanno come l'impressione che da parte di chi deve prendere delle decisioni ci sia un qualche complotto, quando si rifiutano di seguire dei semplici passi logici che qualsiasi non economista potrebbe cogliere in pochi minuti. A questi bisogna aggiungere anche quei giornalisti che fanno domande così gentili che sembra quasi che con ogni domanda possano rompere in maniera irreparabile un uovo estremamente prezioso. E non si può certo dare torto a chi cerca spiegazioni per questo comportamento che va al di là di ciò che normalmente viene considerato "politicamente corretto".
Il fallimento degli economisti è legato al grande dibattito ideologico iniziato con il keynesianesimo. L'espansione del pensiero economico fino all'inclusione dell'ambito macroeconomico, portata avanti da Keynes, Kalecki, Robinson, ma anche da Wilhelm Lautenbach, tra gli altri, non è stata vista come una sfida scientifica, ma è stata interpretata come l'attacco da parte di un'ideologia statalista alla pura dottrina dell'economia di mercato, che pertanto doveva essere difesa con ogni mezzo possibile.
In termini puramente emotivi, i difensori dei dogmi dell'economia di mercato avevano ragione. Il pensiero macroeconomico mette in discussione le soluzioni di mercato, perché lo stato è sempre parte del problema e parte della soluzione. Costruire un dogma sulla base di questa semplicissima intuizione, vale a dire che è meglio ignorare completamente la dimensione macroeconomica piuttosto che avere sempre lo stato a bordo, ci mostra una rigidità dogmatica che non può trovare posto nella scienza. Cercare di coprire o addirittura nascondere le connessioni macroeconomiche complessive all'interno dell'economia ne testimonia il totale fallimento, a quasi cento anni dall'inizio del pensiero macroeconomico.