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domenica 17 marzo 2013

Gedankenspiele: sarà la Germania ad uscire?


Frank Wiebe, redattore di Handelsblatt, propone una riflessione sugli scenari di uscita dall'Euro: la sola possibilità  è che i latini spingano i germanici fuori dalla moneta unica. da HandelsBlog

Nonostante il caos politico in Italia i mercati non sembrano essere molto preoccupati da una rottura della zona Euro. Anche io credo che le possibilità che cio' accada siano piuttosto basse. Tuttavia a volte mi chiedo: quale potrebbe essere uno scenario realistico di uscita? 

E' prima di tutto una questione politica. E da un punto di vista politico, io credo, ci sia solo uno scenario realistico: gli altri Euro-stati spingono la Germania fuori dall'Euro.

Diamo un'occhiata alle diverse possibilità. L'uscita di un Eurodebole avrebbe teoricamente effetti positivi sulla sua economia: la nuova moneta sarebbe piu' debole, il recupero di competitività molto piu' rapido rispetto alle politiche di austerità. Il problema è pero': il paese X, per non fare nessun nome, introdurrebbe la sua nuova X valuta, ma il debito pubblico ancora denominato in Euro in rapporto al PIL crescerebbe notevolmente, perché la valuta X perderebbe una parte del suo valore; lasciamo fuori dal discorso l'indebitamento privato. La situazione sarebbe probabilmente peggiore rispetto a prima. Una mossa del genere avrebbe senso se X, con una dichiarazione unilaterale, ridenominasse il suo debito nella moneta X. Di fatto questa sarebbe un'insolvenza, come una bancarotta di stato. Non è da escludere che accada qualcosa del genere. Molti governi potrebbe utilizzare questa possibilità per spingere i creditori a scendere a patti, nel tentativo di evitare lo scenario estremo.

E' anche possibile che un governo tedesco decida di uscire dall'Euro volontariamente. Probabilmente avrebbe l'approvazione di una larga parte dei cittadini e di molti professori, e forse anche di molte piccole imprese. Ci sarebbero effetti positivi e negativi. Positiva sarebbe la riduzione della spesa per il servizio del debito, se la Germania decidesse di lasciare il debito pubblico denominato in Euro. Per quanto riguarda i creditori nazionali, si avrebbe invece una levata di scudi e molti problemi: i cittadini sul conto si troverebbero il nuovo Euro indebolito, invece del piu' solido nuovo D-mark. Chiediamoci se questo è realistico. Sarebbe invece negativo: misurato in nuovi D-mark, la Germania dovrebbe rinunciare ad una parte importante dei crediti verso l'estero. Nonostante cio', una volta stimato il costo, ci sarebbero sicuramente euro-contrari pronti a prendere in considerazione questa possibilità; almeno fino a quando non ne sarebbero toccati personalmente.

L'unico problema: la Germania in Europa finirebbe per essere percepita come estremamente egoista. Si dovrebbe arrivare ad un livello di tensione davvero molto elevato, prima che un governo tedesco decida di fare un passo del genere contro il volere degli altri partner. Un passo che significherebbe percorrere nella direzione opposta una parte dell'integrazione europea e una parte della storia tedesca del dopoguerra.

Ma cosa succederebbe se gli altri paesi Euro, magari sotto la guida francese, dicessero ai tedeschi: "Avete una concezione della politica monetaria diversa, non riusciamo a venirne a capo e non possiamo accettare le vostre imposizioni per sempre. Bitte, uscite dall'Euro. Portate con voi qualche piccolo paese, con la vostra stessa cultura della stabilità. Lasciateci rimettere a posto l'Euro - come fanno i britannici e gli americani - per trovare la via di uscita dalla crisi".

E poi? Un governo tedesco potrebbe negare questa pretesa? Io non credo - con quale argomento?

L'ho già detto: è tutto molto ipotetico. Ma primo, i giochi mentali sono divertenti. Secondo, a volte è divertente pensare anche a scenari molto improbabili. 
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giovedì 27 settembre 2012

Bofinger: la fine dell'Euro sarebbe la rovina della Germania


Peter Bofinger, consigliere del governo di Berlino, influente economista, critico verso il rigorismo Merkeliano, pubblica un libro a favore dell'Euro. La sua tesi: il ritorno al D-Mark sarebbe un disastro per l'economia tedesca, dobbiamo difendere ad ogni costo la moneta unica. La Germania è davvero ricattabile? Un estratto del libro da Die Welt.

L'Eurocrisi risveglia in molti il desiderio di tornare al D-Mark. Ma l'immagine del passato è distorta, sostiene l'economista Peter Bofinger. Il ritorno alla vecchia valuta avrebbe conseguenze drammatiche.

Come sarebbe andata alla Germania senza l'Euro? Per rispondere a questa domanda, si deve analizzare l'esperienza di quei paesi, le cui monete - similmente a quanto accaduto con il D-Mark - hanno avuto sul mercato delle divise una tendenza all'apprezzamento. 

I problemi causati da una moneta troppo forte, emergono chiaramente nel caso del Giappone. Questa economia oggi ha un rapporto debito/pil del 214 %, piu' del doppio di quello tedesco.

I problemi del Giappone collegati ad moneta troppo forte iniziano nella prima metà degli anni '90. Il paese aveva già vissuto l'esplosione di una grande bolla creditizia e avrebbe avuto urgente bisogno di stimoli per la crescita provenienti dal commercio con l'estero. Ma contro ogni logica economica, il mercato delle divise ha regalato al paese un apprezzamento dello Yen nei confronti del dollaro US: dall'aprile 1990 all'aprile 1995 il valore della moneta giapponese è raddoppiato.

Intensificazione della pressione deflazionistica

La pressione deflazionistica interna si è quindi aggravata ulteriormente. Per ripristinare la competitività, i giapponesi hanno dovuto ridurre i salari. Dopo ripetute fasi di apprezzamento della moneta, i salari giapponesi nominali oggi sono del 12% piu' bassi rispetto al livello del 1995.

L'economia giapponese ha quindi sperimentato una forte pressione deflazionistica. Pressione tale da rendere necessari numerosi stimoli della domanda pubblica per mantenere il paese in un certo equilibrio macroeconomico.

I persistenti deficit del bilancio pubblico sono una delle cause dell'elevato livello di indebitamento del paese. La seconda causa è stato un prodotto interno lordo stagnante, che al denominatore è rimasto invariato proprio per la deflazione interna.

Il Giappone ha accumulato ingenti riserve in dollari

Ma non è tutto. Nel tentativo di fermare l'apprezzamento della valuta con l'intervento sul mercato delle divise, la Banca del Giappone ha acquistato grandi riserve in dollari, principalmente in forma di obbligazioni del tesoro americano. Recentemente questi crediti hanno raggiunto 1.2 trilioni di dollari. Crediti che possono essere visti come una garanzia del Giappone verso gli Stati Uniti. 

Questo è chiaramente piu' di quanto ipotizzato dal "Haftungspiegel" dell'Ifo Institute, vale a dire 779 miliardi di Euro. La somma a rischio nel "worst case", cioè in caso di insolvenza di tutti i PIIGS.

Questi confronti hanno delle inevitabili difficoltà. Dovrebbe tuttavia farci riflettere che un paese con un un'economia molto avanzata come il Giappone, forte nei settori dell'auto e della meccanica, come la Germania, a causa della rivalutazione della sua moneta, negli ultimi 2 decenni non solo ha sperimentato una costante deflazione e un debito pubblico spaventosamente alto, ma si è visto costretto a finanziare il debito pubblico americano in grande quantità.

L'unione di trasferimento cinese con gli Stati Uniti

La Cina è un secondo interessante esempio illustrativo. La spaventosa esperienza del Giappone e del suo tasso di cambio determinato dal mercato potrebbero aver spinto la leadership cinese a seguire una politica di cambio guidata: il tasso di cambio viene definito dagli interventi della banca centrale.

La strategia cinese è arrivata al punto in cui il corso del Renmibi è definito interamente dalle autorità cinesi, in modo da evitare - diversamente dal caso giapponese - indesiderate interferenze dall'esterno sull'economia. Ma per poter fare questo la Cina deve pagare un prezzo molto alto. Nel corso degli ultimi 12 anni, grazie all'intervento sul mercato delle divise delle autorità politiche, la Cina ha accumulato riserve in dollari pari a 3.2 miliardi di dollari.

Anche qui bisogna ipotizzare che la parte piu' grande sia stata investita direttamente in titoli del debito pubblico americani. Questa enorme garanzia incrociata, che può essere definita come la piu' grande unione di trasferimento del mondo, va ben al di là di quello che gli Eurocritici piu' pessimisti possono aspettarsi per la Germania.

Ma dietro c'è un modello economico discutibile come il mercantilismo tedesco dell'ultimo decennio. Nel tentativo di diventare sempre piu' competitivi, si è perseguita una politica salariale di moderazione, accompagnata da una debole domanda dei consumatori interni. In questo modo si è potuto esportare su larga scala, soprattutto verso paesi che si sono potuti permettere il tutto a debito.

Alla fine si sono accumulati grandi avanzi delle partite correnti, ma non è certo se per questi si potrà ottenere in cambio qualcosa di concreto.

La Svizzera, l'ultimo esempio di vittima dei mercati valutari

A lungo la Svizzera nella discussione tedesca è stato l'esempio utilizzato per mostrare che anche con una propria moneta si poteva competere con successo sui mercati finanziari. Senza interventi di rilievo sul mercato, il Franco svizzero ha mantenuto il proprio corso stabile per diversi anni intorno a 1.5 franchi per ogni euro.

Ma la situazione è cambiata radicalmente con l'inizio della crisi greca nel gennaio 2010. Nel giro di 15 mesi il Franco svizzero si è apprezzato così tanto, che nell'agosto 2011 ha quasi raggiunto la parità con l'Euro.

Dopo molte esitazioni la Banca Centrale Svizzera il 6 settembre 2011 ha tirato il freno di emergenza e ha annunciato un limite di 1.2 Franchi per Euro. Da allora il cambio si muove di poco sopra questa soglia. L'intervento è stato inizialmente di successo, ma non è stato di grande aiuto per la Svizzera.

In primo luogo, il tasso limite inferiore fissato, rispetto al corso medio degli anni 1999-2009, pari a 1.55 CHF, è sempre molto svantaggioso per l'economia svizzera. L'effetto è stato una sensibile riduzione delle esportazioni e dei pernottamenti. Inoltre, con l'intervento non si è riusciti a fermare il flusso di capitali provenienti dall'estero. Questo flusso infatti non ha natura speculativa, ma è causato dalla preoccupazione che uno o piu' paesi possano uscire dall'Euro.

In totale le riserve svizzere in valuta estera alla fine del giugno 2012 erano pari a 365 miliardi di Franchi. Vale a dire il 67 % del prodotto interno lordo della Svizzera.

Il mondo del nuovo D-Mark non sarebbe un mondo perfetto

Chi oggi crede che il ritorno al D-Mark ci porterebbe in un mondo ideale, potrebbe restare deluso. Probabilmente alla Germania succederebbe quello che è successo al Giappone. Come il vecchio D-Mark, il nuovo D-Mark entrerebbe a far parte del club delle monete per le quali sui mercati esiste una convenzione non scritta, che le spinge sempre verso una rivalutazione.

La Bundesbank nuovamente responsabile per il D-Mark aspetterebbe un po' prima di bloccare la rivalutazione del D-Mark. Da un lato nelle banche centrali c'è sempre la sensazione irrazionale che solo una valuta forte è una valuta buona. Dall'altro gli interventi sul mercato delle valute da alcuni economisti vengono visti in maniera molto critica.

Nel loro mondo dominato dalla fede nei mercati, non è pensabile che una istituzione dello stato si inserisca nei meccanismi di mercato.

E non cambiano nemmeno idea sul fatto che - come mostrato in numerosi studi econometrici - esisterebbero relazioni sistematiche tra i fondamentali economici (crescita, inflazione, commercio estero) e il tasso di cambio ufficiale. Si può assumere con certezza che per gli economisti della Bundesbank, questo scetticismo verso l'intervento sul mercato delle divise resterebbe invariato.

Il nuovo D-Mark nel corso degli anni avrebbe quindi una tendenza alla rivalutazione. Poiché questa tendenza potrebbe incidere pesantemente sulla competitività delle nostre esportazioni, entrerebbero in scena allora rinomati economisti, pronti a  chiedere pesanti riduzioni dei salari.

Stipendi in picchiata e rischio deflazione

E naturalmente i lavoratori tedeschi sarebbero pronti a fare di tutto per salvare i loro posti di lavoro. La riduzione dei salari aprirebbe allora la via verso la deflazione. Questo porterebbe il rapporto debito/pil in Germania verso l'alto, anche se lo stato tedesco non facesse piu' nuovo debito.

Come in Giappone dovremmo temere allora che ad ogni fase di moderazione salariale segua una fase di rivalutazione della moneta. A un certo punto il valore raggiunto potrebbe diventare troppo alto anche per la Bundesbank, tanto da spingerla ad intervenire sui mercati. Le esperienze del Giappone, della Cina e della Svizzera mostrano che questo può portare ad accumulare riserve in divisa anche molto grandi.

Sulla base delle dimensioni dell'economia tedesca, in un tempo anche piu' breve rispetto  a quanto accaduto in Svizzera, si potrebbero raggiungere i 1.700 miliardi di Euro di riserve.

Se si è sostenitori di un ritorno al D-Mark, perchè non si vuole piu' essere garanti per gli altri stati, sarebbe allora necessario guardare all'esperienza della Cina, del Giappone e della Svizzera. Garantiscono in maniera illimitata per i titoli del debito pubblico americani acquistati (e nel caso della Svizzera per le obbligazioni della zona Euro), senza avere la minima possibilità di influenzare la politica economica del paese debitore.

sabato 19 maggio 2012

Europeista a chi?

Su Handelsblatt.de leggiamo che il paese un tempo campione di europeismo si scopre sempre piu' euroscettico. I tentennamenti della cancelliera sembrano piu' chiari alla luce di questi dati.
L'introduzione dell'Euro è stato un errore, pensa circa la metà dei tedeschi. Lo dice un sondaggio recente. Cosi' il 49% dei tedeschi ritiene un errore aver abbandonato il marco.

Circa la metà dei tedeschi, in considerazione dell'attuale crisi del debito, considera un errore aver introdotto l'Euro. L'altra metà della popolazione continua a ritenere l'unione monetaria una buona idea, secondo un sondaggio del Meinungsforschungsinstituts Infratest commissionato dalla rete televisiva ARD.

Il 49 % considera l'abbandono del marco tedesco un errore. Il 47% considera invece l'introduzione dell'Euro una scelta positiva. Sono stati intervistati 1000 aventi diritto al voto in Germania.

Una maggioranza chiara si esprime inoltre per un'uscita della Grecia dalla zona Euro. Due terzi degli intervistati è dell'opinione che il paese debba lasciare volontariamente la moneta unica. Un ulteriore supporto economico alla Grecia viene considerano giusto solamente dal 23% degli intervistati.