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martedì 19 marzo 2019

Peter Bofinger: perché dobbiamo liberarci quanto prima dall'ideologia dello Schwarze Null

Il grande economista Peter Bofinger, per oltre 15 anni membro del prestigioso Consiglio degli esperti economici tedeschi, dalle pagine della IPG (Internationale Politik und Gesellschaft) ci spiega perché la Germania deve liberarsi quanto prima dalla assurda ideologia dello Schwarze Null. Ne scrive Peter Bofinger sulla rivista IPG.

Quando i nostri figli e nipoti fra 30 anni guarderanno indietro per capire cosa è accaduto in questo periodo, probabilmente si chiederanno per quale motivo un paese civile come il Regno Unito abbia potuto prendere in considerazione l'idea di uscire dall'Unione Europea rinunciando alle sue prospettive economiche e politiche. Guardando alla Germania invece, si chiederanno perché la terra dei poeti e dei pensatori abbia scelto di seguire ciecamente l'ideologia dello "Schwarze Null": come è possibile che la Germania abbia intenzionalmente deciso di rinunciare gli investimenti per il futuro - credendo anche di fare un favore alle generazioni future?

La SPD sembra essere in procinto di correggere gli errori del passato. Ciò vale in particolar modo per le riforme del mercato del lavoro realizzate nel 2005 sotto il cancelliere federale Gerhard Schröder, il quale aveva incaricato una commissione sotto la presidenza di Peter Hartz, l'ex direttore del personale della Volkswagen. Le riforme Hartz per molti anni sono state celebrate come una grande conquista. Ad un esame più attento, tuttavia, è chiaro che assomigliano molto alla fiaba "I vestiti nuovi dell'Imperatore".


Perché i successi dell'economia tedesca sui mercati mondiali non hanno nulla a che fare con il fatto che con Hartz IV i  benefici per i disoccupati di lunga durata sono stati ridotti. Se una tale riforma fosse davvero un punto di svolta, allora l'economia italiana e greca dovrebbero prosperare, dopotutto, i disoccupati di lunga durata in quei paesi non ricevono alcun sostegno statale. È quindi positivo che la SPD abbia iniziato a mettere sotto esame Hartz IV, casualmente anche con effetti positivi sui risultati dei loro sondaggi.

Proprio per questa ragione la SPD dovrebbe essere coraggiosa e prendere le distanza dall'ideologia dello "Schwarze Null", ideologia secondo la quale i bilanci pubblici devono essere sempre in pareggio. Perché a sostegno di questa regola, che a partire dalla crisi finanziaria globale è stata inserita anche in Costituzione con il nome di "freno all'indebitamento", non ci sono argomenti economici validi.

In Germania, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo attualmente è del 56%. Questa cifra è inferiore al limite del 60% fissato dal Trattato di Maastricht e ben al di sotto del livello degli altri paesi del G7: il Giappone ha il più alto rapporto debito PIL, al 237% del PIL, seguito dall'Italia (129%), Stati Uniti Stati (108%), Francia (96%), Regno Unito (87%) e Canada (85%).

Finora la scienza economica non è riuscita a calcolare un limite massimo convincente per il rapporto debito/PIL degli Stati. Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel 2010 in un articolo scritto per l'American Economic Review avevano identificato una soglia del 90 %, lo studio tuttavia conteneva alcuni dati errati. Inoltre, nonostante il suo elevato rapporto debito/PIL, il Giappone non ha mai avuto problemi a prendere in prestito nuovo denaro. Non c'è mai stata una grande crisi di fiducia nei confronti dello yen. Al contrario, la valuta giapponese spesso in passato è andata meglio di quanto non abbia fatto l'economia giapponese.

Ma anche supponendo che un rapporto debito/PIL al 60% per la Germania sia appropriato, lo Schwarze Null non è giustificato. Supponiamo che il prodotto interno lordo nominale continui a crescere di circa il 3% all'anno. In questo caso, il deficit di bilancio annuale della Germania potrebbe ammontare all'1,8% del PIL, quindi il rapporto debito/PIL rimarrebbe al livello attuale. Ciò deriva da una formula semplice: il livello di deficit, che consente di mantenere costante il rapporto debito/PIL è il prodotto del tasso di crescita del PIL nominale e del rapporto debito/PIL (3 x 0,6 = 1,8). La Germania, quindi, ogni anno potrebbe spendere circa 60 miliardi in più in investimenti pubblici.

Con un deficit di questa portata, la Germania si troverebbe ad un livello simile al resto del G7. Attualmente il deficit è del 5,0% negli Stati Uniti, del 2,8% in Giappone, dell'1,7% nel Regno Unito e in Italia e dell'1,1% in Canada.

Sebbene non esista una solida base teorica per stabilire un limite massimo nel rapporto debito/PIL, si può affermare che l'indebitamento di un paese sovrano può essere giustificato se il denaro viene utilizzato per finanziare gli investimenti per il futuro. Questa è la "regola d'oro" delle politiche di finanza pubblica, che può essere dedotta dalla ottimale distribuzione delle risorse nel tempo. La logica di questa regola è tanto semplice quanto intuitiva: se lo stato costruisce un nuovo ponte che può essere utilizzato nei prossimi 50 anni, non vi è alcun motivo per pagarlo solo con le entrate dell'anno in corso.

Persino l'ultra-conservatore "Consiglio tedesco dei saggi economici" nel 2007 ha esplicitamente confermato il principio della regola aurea in una relazione speciale pubblicata sotto il titolo: "Limitare in modo efficace il debito pubblico". Gli economisti sostenevano che la richiesta di un generale divieto all'indebitamento era "economicamente priva di senso, come lo sarebbe proibire ai privati ​​o alle aziende di prendere denaro in prestito".

Se la Germania rinunciasse allo Schwarze Null come leitmotiv della sua politica fiscale e iniziasse invece a seguire la regola aurea, si potrebbe fare molto per migliorare la prosperità e la qualità della vita delle generazioni future. Il risultato sarebbe una maggiore stabilità politica: migliori infrastrutture pubbliche e maggiori risorse da dedicare all'istruzione contrasterebbero una insoddisfazione ampiamente diffusa nei confronti della classe politica. Con i fondi pubblici sarebbe possibile aumentare considerevolmente le attività di ricerca nel nostro paese e l'uso di energie rinnovabili - in linea con la già pianificata transizione energetica.

Più investimenti pubblici in Germania, inoltre, darebbero un contributo alla riduzione dell'eccedenza commerciale tedesca e a riequilibrare gli squilibri economici all'interno dell'area dell'euro. Questo, a sua volta, potrebbe togliere il vento dalle vele del protezionismo del governo americano, particolarmente critico nei confronti della Germania a causa del suo surplus di conto corrente molto elevato.

I vantaggi economici e politici di un simile cambio di paradigma fiscale sono ovvi. Allo stesso tempo è difficile capire cosa la Germania potrebbe avere da guadagnare se restasse ancorata allo Schwarze Null. In termini puramente matematici nei prossimi 20 anni il rapporto debito/PIL scenderebbe dall'attuale 56% al 31%. Nessun economista serio potrebbe ragionevolmente giustificare perché un rapporto debito/PIL così basso dovrebbe essere vantaggioso.

La più importante sfida politica del futuro sarà quella di superare la  profonda riluttanza dei tedeschi ad accettare l'indebitamento. A differenza di altre lingue, il termine "Schulden" (debito) in tedesco porta dentro di sé il significato di "Schuld" (colpa) e quindi ha una particolare connotazione negativa. A ciò bisogna aggiungere il fatto che è molto difficile spiegare il meccanismo tramite il quale il rapporto debito/PIL rimane stabile quando il debito pubblico aumenta in proporzione al PIL nominale.

Ciò tuttavia non dovrebbe essere una scusa per attenersi allo Schwarze Null e rinunciare all'enorme potenziale economico e politico di un simile cambio di paradigma per la Germania. Nella storia dei "Vestiti nuovi dell'imperatore", un bambino pronuncia l'ovvio: il re è nudo. La SPD dovrebbe avere il coraggio di fare la stessa cosa nei confronti del mito dello zero nero.

La retromarcia della SPD sulle riforme Hartz dimostra che tale coraggio può anche pagare. Già oggi ci sono dei prominenti economisti tedeschi pronti a mettere in discussione il pareggio di bilancio. Adesso anche la politica dovrebbe cedere. E in questo modo tutti noi fra 20 o 30 anni non dovremo confrontarci con la domanda dei nostri figli e nipoti su come sia stato possibile sprecare una così grande occasione per migliorare il loro benessere economico e politico, proteggendo l'ecosistema.



giovedì 10 gennaio 2013

Bofinger: in Germania servono aumenti salariali del 5 %


Peter Bofinger, nemico del rigorismo merkeliano, membro del Consiglio dei saggi economici, lancia la sua proposta: aumenti salariali del 5% per salvare l'Eurozona. Prosegue il dibattito sui rinnovi contrattuali in Germania. Da Der Spiegel
"La Germania deve diventare piu' costosa": l'economista Peter Bofinger chiede forti aumenti per i salari, per le pensioni e per i sussidi Hartz IV. L'aumento significativo dovrebbe aiutare a disinnescare la crisi Euro. 

L'economista Peter Bofinger considera indispensabili forti aumenti salariali in Germania. "Dovrebbero essere del 5% in tutti i settori", ha dichiarato a "Der Spiegel" il professore di Wurzburg riferendosi alle trattative in corso. L'abbondante richiesta di Bofinger contiene anche un 2% aggiuntivo per il salvataggio dell'Euro.

Di fatto, considerando solamente l'aumento della produttività e l'inflazione, si arriverebbe ad un 3% di aumento salariale. "Ma nelle trattative contrattuali non possiamo continuare a comportarci come se vivessimo su di un isola". Gli stati dell'Europa del sud, che dall'introduzione dell'Euro hanno avuto un forte aumento retributivo, non potranno tuttavia evitare le riforme e le politiche di risparmio. Inevitabilmente anche in questi paesi i salari dovranno essere ridotti. Con un forte aumento dei salari, la Germania potrebbe assorbire una parte del necessario processo di aggiustamento nell'Eurozona.

Il motivo della richiesta: con una tale misura la Germania rinuncerebbe ad una parte della sua competitività, mentre paesi come Italia, Francia e Spagna potrebbero recuperarla. Visto che in questi paesi gli alti salari restano un serio problema per la competitività internazionale delle imprese. La differenza di competitività fra i paesi Euro è considerata la causa scatenante della crisi attuale.

Affinché il progetto di Bofinger "La germania deve diventare piu' costosa" possa funzionare, il membro del comitato dei saggi ha proposto un 5% di aumento da applicare a tutti i lavoratori. Dovrebbero aumentare nella stessa misura anche le pensioni e i sussidi Hartz IV.

In considerazione delle probabili proteste contro la sua proposta, Bofinger ha dichiarato: "Abbiamo solo la scelta fra 2 dolorose alternative: un'inflazione da noi temporaneamente un po' piu' alta della media europea, oppure una deflazione nel Sud Europa".

Nelle ultime settimane si è acceso il dibattito sugli aumenti salariali in Germania. Il presidente del Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung (DIW), Gert Wagner, si è pronunciato a favore "di aumenti in media del 4% o anche di piu'". Wolfgang Franz, al contrario, presidente del Comitato dei saggi economici, si è pronunciato a favore di aumenti piu' bassi, intorno al 2%.

martedì 27 novembre 2012

Bofinger: senza un cambio di strategia l'Euro non sopravviverà


Bofinger, membro del Consiglio dei saggi economici, sulle pagine della euroscettica Wirtschaftswoche lancia un appello: o si fa l'unione politica oppure con l'Euro è meglio lasciar perdere.
La zona Euro si trova in una situazione di calma apparente. La disponibilità della BCE ad acquistare titoli di stato in misura illimitata ha stabilizzato i mercati e scongiurato il rischio di una rottura. Ma i problemi di fondo non sono stati affrontati.

Con le politiche di risparmio non si esce dalla crisi Euro. E' necessario un salto in avanti verso una politica fiscale comune. Se non si riuscirà a farlo, allora il ritorno alle valute nazionali sarà un'opzione possibile. L'intera zona Euro potrebbe scivolare in recessione, e questa volta anche i paesi centrali come Francia e Germania sarebbero coinvolti.

Naturalmente ci sono anche luci. I disavanzi delle partite correnti si sono ridotti in tutti i paesi in crisi: in parte per la riduzione delle importazioni causata dalla congiuntura negativa, ma in parte anche per la crescita dell'export. Il miglioramento della competitività ci porterà ad un successo duraturo solo se la zona Euro nel suo complesso tornerà su un sentiero di crescita.

Politiche economiche procicliche conducono alla   recessione

Secondo ogni legge economica, se tutti i paesi membri continueranno sulla strada dell'austerità non potremo avere alcun successo. Sebbene già ora la zona Euro si trovi in una recessione profonda, per il 2013 è prevista una ulteriore riduzione del disavanzo corretto per il ciclo di un punto percentuale. Una tale politica prociclica ci porta sempre piu' a fondo nella recessione facendo crescere il tasso di disoccupazione oltre il già alto 11.7% attuale. La condizione delle banche peggiorerà, come quella delle finanze pubbliche.

Anche per la competitività le prospettive non sono buone: il capitale umano dei disoccupati sarà svalutato, gli investimenti privati e pubblici si ridurranno. In definitiva, il tentativo di alcuni paesi di tornare competitivi con una riduzione dei salari, causerà una tendenza deflazionistica che accrescerà ulteriormente i problemi di indebitamento del settore privato.

Una politica fiscale espansiva ha aiutato gli Stati Uniti

Che questi sviluppi siano evitabili lo dimostra l'esempio americano. Li' con una politica fiscale espansiva sono riusciti a stabilizzare il mercato immobiliare, e il settore privato ha potuto rimettere a posto i bilanci provati dalla crisi. In quale condizione si troverebbe l'economia americana e quella mondiale, se il deficit di bilancio americano non fosse intorno al 9%, ma vicino al 3% come nella zona Euro?

Senza un cambiamento fondamentale di strategia l'Euro nei prossimi anni non sopravviverà, né economicamente né politicamente. L'unione monetaria ha solo una possibilità: i paesi membri dovranno considerare la crisi come una sfida comune e non come una somma di differenti deficit di competitività. Una prospettiva comune imporrebbe di posticipare le misure di risparmio fino al superamento della recessione. Nel frattempo, deficit piu' alti dovrebbero essere finanziati collettivamente.

Un tale cambiamento di strategia non dovrebbe essere considerato un assegno in bianco per una politica di bilancio lassista. Piuttosto inserito all'interno di un accordo fra i paesi membri per creare le condizioni verso una ulteriore integrazione politica.

A livello europeo dovrebbero essere preparati meccanismi efficaci per disciplinare la politica fiscale nazionale. In concreto, si dovrebbe pensare ad un Ministro delle finanze europeo legittimato dal Parlamento Europeo, con il compito di verificare che le politiche fiscali della zona Euro siano adeguate alla congiuntura. E che allo stesso tempo abbia diritti di intervento verso i paesi con politiche fiscali non virtuose. 

Meglio una fine orrenda, che un orrore senza fine

Un tale cambiamento di strategia richiede molto coraggio. Se  il percorso verso una maggiore integrazione non lo si ritiene realizzabile politicamente, ci si dovrebbe allora chiedere se non sia preferibile una ordinata dissoluzione dell'unione monetaria. Questo per l'economia tedesca significherebbe ingenti perdite di competitività in termini di prezzo.

Ma una profonda recessione della zona Euro avrebbe conseguenze economiche ancora piu' gravi per la Germania. Politicamente, le garanzie crescenti necessarie per gli altri paesi sarebbero un rischio aggiuntivo. E un tale "orrore senza fine" alla fine condurrebbe ad una dissoluzione volontaria o involontaria dell'Euro.

Politicamente l'Euro si trova oggi nel mezzo di un tunnel molto lungo. Se non vogliamo che resti in questa posizione scomoda, ci sono solo due possibilità. La politica deve cercare la via d'uscita che dall'unione monetaria porta all'unione politica. Ma se per fare questo manca la forza o il coraggio, si dovrebbe allora riflettere se non sia meglio tornare verso l'ingresso, vale a dire verso il mondo delle monete nazionali. 

giovedì 27 settembre 2012

Bofinger: la fine dell'Euro sarebbe la rovina della Germania


Peter Bofinger, consigliere del governo di Berlino, influente economista, critico verso il rigorismo Merkeliano, pubblica un libro a favore dell'Euro. La sua tesi: il ritorno al D-Mark sarebbe un disastro per l'economia tedesca, dobbiamo difendere ad ogni costo la moneta unica. La Germania è davvero ricattabile? Un estratto del libro da Die Welt.

L'Eurocrisi risveglia in molti il desiderio di tornare al D-Mark. Ma l'immagine del passato è distorta, sostiene l'economista Peter Bofinger. Il ritorno alla vecchia valuta avrebbe conseguenze drammatiche.

Come sarebbe andata alla Germania senza l'Euro? Per rispondere a questa domanda, si deve analizzare l'esperienza di quei paesi, le cui monete - similmente a quanto accaduto con il D-Mark - hanno avuto sul mercato delle divise una tendenza all'apprezzamento. 

I problemi causati da una moneta troppo forte, emergono chiaramente nel caso del Giappone. Questa economia oggi ha un rapporto debito/pil del 214 %, piu' del doppio di quello tedesco.

I problemi del Giappone collegati ad moneta troppo forte iniziano nella prima metà degli anni '90. Il paese aveva già vissuto l'esplosione di una grande bolla creditizia e avrebbe avuto urgente bisogno di stimoli per la crescita provenienti dal commercio con l'estero. Ma contro ogni logica economica, il mercato delle divise ha regalato al paese un apprezzamento dello Yen nei confronti del dollaro US: dall'aprile 1990 all'aprile 1995 il valore della moneta giapponese è raddoppiato.

Intensificazione della pressione deflazionistica

La pressione deflazionistica interna si è quindi aggravata ulteriormente. Per ripristinare la competitività, i giapponesi hanno dovuto ridurre i salari. Dopo ripetute fasi di apprezzamento della moneta, i salari giapponesi nominali oggi sono del 12% piu' bassi rispetto al livello del 1995.

L'economia giapponese ha quindi sperimentato una forte pressione deflazionistica. Pressione tale da rendere necessari numerosi stimoli della domanda pubblica per mantenere il paese in un certo equilibrio macroeconomico.

I persistenti deficit del bilancio pubblico sono una delle cause dell'elevato livello di indebitamento del paese. La seconda causa è stato un prodotto interno lordo stagnante, che al denominatore è rimasto invariato proprio per la deflazione interna.

Il Giappone ha accumulato ingenti riserve in dollari

Ma non è tutto. Nel tentativo di fermare l'apprezzamento della valuta con l'intervento sul mercato delle divise, la Banca del Giappone ha acquistato grandi riserve in dollari, principalmente in forma di obbligazioni del tesoro americano. Recentemente questi crediti hanno raggiunto 1.2 trilioni di dollari. Crediti che possono essere visti come una garanzia del Giappone verso gli Stati Uniti. 

Questo è chiaramente piu' di quanto ipotizzato dal "Haftungspiegel" dell'Ifo Institute, vale a dire 779 miliardi di Euro. La somma a rischio nel "worst case", cioè in caso di insolvenza di tutti i PIIGS.

Questi confronti hanno delle inevitabili difficoltà. Dovrebbe tuttavia farci riflettere che un paese con un un'economia molto avanzata come il Giappone, forte nei settori dell'auto e della meccanica, come la Germania, a causa della rivalutazione della sua moneta, negli ultimi 2 decenni non solo ha sperimentato una costante deflazione e un debito pubblico spaventosamente alto, ma si è visto costretto a finanziare il debito pubblico americano in grande quantità.

L'unione di trasferimento cinese con gli Stati Uniti

La Cina è un secondo interessante esempio illustrativo. La spaventosa esperienza del Giappone e del suo tasso di cambio determinato dal mercato potrebbero aver spinto la leadership cinese a seguire una politica di cambio guidata: il tasso di cambio viene definito dagli interventi della banca centrale.

La strategia cinese è arrivata al punto in cui il corso del Renmibi è definito interamente dalle autorità cinesi, in modo da evitare - diversamente dal caso giapponese - indesiderate interferenze dall'esterno sull'economia. Ma per poter fare questo la Cina deve pagare un prezzo molto alto. Nel corso degli ultimi 12 anni, grazie all'intervento sul mercato delle divise delle autorità politiche, la Cina ha accumulato riserve in dollari pari a 3.2 miliardi di dollari.

Anche qui bisogna ipotizzare che la parte piu' grande sia stata investita direttamente in titoli del debito pubblico americani. Questa enorme garanzia incrociata, che può essere definita come la piu' grande unione di trasferimento del mondo, va ben al di là di quello che gli Eurocritici piu' pessimisti possono aspettarsi per la Germania.

Ma dietro c'è un modello economico discutibile come il mercantilismo tedesco dell'ultimo decennio. Nel tentativo di diventare sempre piu' competitivi, si è perseguita una politica salariale di moderazione, accompagnata da una debole domanda dei consumatori interni. In questo modo si è potuto esportare su larga scala, soprattutto verso paesi che si sono potuti permettere il tutto a debito.

Alla fine si sono accumulati grandi avanzi delle partite correnti, ma non è certo se per questi si potrà ottenere in cambio qualcosa di concreto.

La Svizzera, l'ultimo esempio di vittima dei mercati valutari

A lungo la Svizzera nella discussione tedesca è stato l'esempio utilizzato per mostrare che anche con una propria moneta si poteva competere con successo sui mercati finanziari. Senza interventi di rilievo sul mercato, il Franco svizzero ha mantenuto il proprio corso stabile per diversi anni intorno a 1.5 franchi per ogni euro.

Ma la situazione è cambiata radicalmente con l'inizio della crisi greca nel gennaio 2010. Nel giro di 15 mesi il Franco svizzero si è apprezzato così tanto, che nell'agosto 2011 ha quasi raggiunto la parità con l'Euro.

Dopo molte esitazioni la Banca Centrale Svizzera il 6 settembre 2011 ha tirato il freno di emergenza e ha annunciato un limite di 1.2 Franchi per Euro. Da allora il cambio si muove di poco sopra questa soglia. L'intervento è stato inizialmente di successo, ma non è stato di grande aiuto per la Svizzera.

In primo luogo, il tasso limite inferiore fissato, rispetto al corso medio degli anni 1999-2009, pari a 1.55 CHF, è sempre molto svantaggioso per l'economia svizzera. L'effetto è stato una sensibile riduzione delle esportazioni e dei pernottamenti. Inoltre, con l'intervento non si è riusciti a fermare il flusso di capitali provenienti dall'estero. Questo flusso infatti non ha natura speculativa, ma è causato dalla preoccupazione che uno o piu' paesi possano uscire dall'Euro.

In totale le riserve svizzere in valuta estera alla fine del giugno 2012 erano pari a 365 miliardi di Franchi. Vale a dire il 67 % del prodotto interno lordo della Svizzera.

Il mondo del nuovo D-Mark non sarebbe un mondo perfetto

Chi oggi crede che il ritorno al D-Mark ci porterebbe in un mondo ideale, potrebbe restare deluso. Probabilmente alla Germania succederebbe quello che è successo al Giappone. Come il vecchio D-Mark, il nuovo D-Mark entrerebbe a far parte del club delle monete per le quali sui mercati esiste una convenzione non scritta, che le spinge sempre verso una rivalutazione.

La Bundesbank nuovamente responsabile per il D-Mark aspetterebbe un po' prima di bloccare la rivalutazione del D-Mark. Da un lato nelle banche centrali c'è sempre la sensazione irrazionale che solo una valuta forte è una valuta buona. Dall'altro gli interventi sul mercato delle valute da alcuni economisti vengono visti in maniera molto critica.

Nel loro mondo dominato dalla fede nei mercati, non è pensabile che una istituzione dello stato si inserisca nei meccanismi di mercato.

E non cambiano nemmeno idea sul fatto che - come mostrato in numerosi studi econometrici - esisterebbero relazioni sistematiche tra i fondamentali economici (crescita, inflazione, commercio estero) e il tasso di cambio ufficiale. Si può assumere con certezza che per gli economisti della Bundesbank, questo scetticismo verso l'intervento sul mercato delle divise resterebbe invariato.

Il nuovo D-Mark nel corso degli anni avrebbe quindi una tendenza alla rivalutazione. Poiché questa tendenza potrebbe incidere pesantemente sulla competitività delle nostre esportazioni, entrerebbero in scena allora rinomati economisti, pronti a  chiedere pesanti riduzioni dei salari.

Stipendi in picchiata e rischio deflazione

E naturalmente i lavoratori tedeschi sarebbero pronti a fare di tutto per salvare i loro posti di lavoro. La riduzione dei salari aprirebbe allora la via verso la deflazione. Questo porterebbe il rapporto debito/pil in Germania verso l'alto, anche se lo stato tedesco non facesse piu' nuovo debito.

Come in Giappone dovremmo temere allora che ad ogni fase di moderazione salariale segua una fase di rivalutazione della moneta. A un certo punto il valore raggiunto potrebbe diventare troppo alto anche per la Bundesbank, tanto da spingerla ad intervenire sui mercati. Le esperienze del Giappone, della Cina e della Svizzera mostrano che questo può portare ad accumulare riserve in divisa anche molto grandi.

Sulla base delle dimensioni dell'economia tedesca, in un tempo anche piu' breve rispetto  a quanto accaduto in Svizzera, si potrebbero raggiungere i 1.700 miliardi di Euro di riserve.

Se si è sostenitori di un ritorno al D-Mark, perchè non si vuole piu' essere garanti per gli altri stati, sarebbe allora necessario guardare all'esperienza della Cina, del Giappone e della Svizzera. Garantiscono in maniera illimitata per i titoli del debito pubblico americani acquistati (e nel caso della Svizzera per le obbligazioni della zona Euro), senza avere la minima possibilità di influenzare la politica economica del paese debitore.

lunedì 16 luglio 2012

Peter Bofinger : Scusateci...

Scusateci se l'Europa vi ha imposto la destrutturazione del mercato del lavoro, lo smantellamento dello stato sociale, il pareggio di bilancio, i decennali al 6%, etc etc. ma a volte ci possiamo sbagliare. Contrordine: il rigorismo è un'illusione e aggrava solo i problemi. Peter Bofinger, consigliere del governo di Berlino, intervistato da Der Spiegel.

Peter Bofinger
Peter Bofinger

Nonostante le riforme, in Italia la crisi economica è sempre piu' profonda. L'economista Bofinger ritiene che il paese sia vittima di un errore sistemico. La tesi del governo Merkel, secondo cui un forte risparmio avrebbe risolto i problemi, è un illusione, ci dice Bofinger in un'intervista.

L'Italia è da anni in un circolo vizioso fatto di alto indebitamento e di una economia che cresce molto lentamente. La crisi negli altri paesi Euro ha solo peggiorato i problemi italiani, e il debito è cresciuto piu' velocemente di quanto atteso. Il recente downgrade di Moody's ha fatto salire ulteriormente il nervosismo. Peter Bofinger, economista e consigliere del governo, pensa che il paese sia vittima del panico degli investitori.


Spiegel: Herr Bofinger: Moody's ha appena ridotto il rating italiano. Hanno ragione?

Bofinger: Dipende dalla prospettiva. Secondo Moody's l'Italia soffre sempre di piu' dell'effetto contagio da Grecia e Spagna. L'Italia è finita in un circolo vizioso: il governo sta risparmiando e il paese è scivolato in una recessione. Questo rende sempre piu' difficile il raggiungimento degli obiettivi di bilancio. Gli investitori sono nervosi e gli interessi sul debito salgono. Ma così gli investitori diventano ancora piu' nervosi, a un certo punto le agenzie di rating devono reagire al trend negativo.

Spiegel: Significa che gli alti tassi sul debito pubblico non sono giustificati?

Bofinger: Rispetto ad altri paesi sono troppo alti. Il deficit di bilancio è il secondo piu' basso dopo quello della Germania. Il deficit britannico è 4 volte quello italiano, tuttavia gli interessi sul debito pubblico sono solo al 2%, mentre l'Italia deve pagare il 6%.

Spiegel: A cosa è dovuto?

Bofinger: E' abbastanza facile da spiegare: la Gran Bretagna è indebitata in Sterline e ha una banca centrale che è disposta ad acquistare titoli di stato in maniera illimitata. L'Italia a causa della sua appartenenza all'unione monetaria non lo puo fare. E' in una situazione fondamentalmente diversa, che anche con le drastiche misure di risparmio e con le riforme strutturali del governo Monti non potrà essere cambiata. Il problema è sintomatico della crisi Euro. Il governo tedesco fino ad ora ha sostenuto che i governi dei paesi in crisi devono risparmiare in maniera ferrea: i mercati avrebbero riconosciuto lo sforzo e fatto scendere il tasso di interesse. E' una illusione. Anche se gli stati della zona Euro risparmiano, avviano le riforme strutturali e fanno quanto viene loro richiesto, restano a rischio fallimento.


Spiegel: Questo significa che l'Italia pur combattendo contro la crisi - dovrà inevitabilmente richiedere gli aiuti finanziari europei?

Bofinger: Io spero che questo sia evitato. Il fatto è: per gli stati è sempre piu' difficile, con il potere di cui dispongono, far scendere i tassi attraverso misure di risparmio e tenere sotto controllo l'indebitamento. La Crisi Euro è un problema sistemico, che può essere affrontato solo con un'azione congiunta di tutti gli stati membri. Il Sachverständigenrat (consiglieri governativi in materia economica) propone il modello del patto per il rimborso del debito (Schuldentilgungspakts), che combina una responsabilità condivisa solo su una parte del debito, con condizioni molto rigide e un calendario di rimborso obbligatorio.  

Spiegel: Il governo Monti tiene aperta l'opzione degli aiuti europei. Che cosa succederebbe, se l'Italia dovesse andare sotto la copertura del fondo salva stati?

Bofinger: Sarebbe l'ora della verità per l'unione monetaria. Fino al 2014 il paese deve chiedere in prestito ai mercati 750 miliardi di Euro - molto di piu' di quanto sia ancora disponibile nel fondo EFSF e ESM. Ci sono solo due possibilità: i fondi per il salvataggio non vengono ulteriormente estesi, e questo corrisponde alla fine dell'Euro. Oppure l'Europa si mette d'accordo su nuovi meccanismi per la condivisione delle garanzie sul debito, come ad esempio il fondo per il rimborso del debito (Schuldentilgungspakt).


Spiegel: Il governo tedesco si oppone agli Euro-bond. Teme che i paesi europei piu' deboli utilizzino le garanzie comuni per fare debito facile a basso costo.

Bofinger: Questo rischio è evitabile se la garanzia condivisa sul debito potrà coesistere con i controlli europei sulla politica di bilancio dei paesi indebitati. Se noi vogliamo stabilizzare l'Euro, non potremo evitare una piu' forte integrazione della politica fiscale in Europa. Se per fare questo si aumentassero i poteri del Parlamento europeo, sarebbe un contributo importante per una maggiore democrazia in Europa. 

Spiegel: Sarà sufficiente il tempo per attuare decisioni politiche cosi' importanti?

Bofinger: La crisi ci offre un'opportunità per realizzare riforme ambiziose in tempi brevi. Questa possibilità l'Europa la deve utilizzare, ora.

Spiegel: Con queste decisioni lampo la democrazia viene calpestata.

Bofinger: Non potrà accadere. Certe decisioni politiche così importanti non potranno essere introdotte senza il sostegno della popolazione. Avremo bisogno di un referendum popolare.

Spiegel: Sarebbe estremamente difficile. Se i cittadini della zona Euro dovessero votare contro le obbligazioni comuni, sarebbe la fine dell'unione monetaria.

Bofinger: Si tratta di una scelta fra una unione monetaria 2.0 e il ritorno al D-Mark. L'unione monetaria 2.0 assicura che i paesi si possano difendere dagli attacchi speculativi, e richiede piu' disciplina nei bilanci dei paesi in crisi attraverso maggiori poteri di intervento. Non offre naturalmente nessuna sicurezza assoluta. Chi voterà per il ritorno al D-Mark, deve essere consapevole, che il destino della nostra economia sarebbe nella mani dei nevrotici mercati valutari.