mercoledì 5 giugno 2013

The dark side of the boom

Un interessante articolo sul boom dei mini-job in Germania arriva dal Wall Street Journal. Flessibilità necessaria oppure lavoro nero legalizzato? Il dibattito prosegue. Da Wall Street Journal
Il mercato del lavoro tedesco è invidiato dai paesi europei in difficoltà. Molti tedeschi pero', nonostante il Jobwunder, si sentono esclusi dal successo economico del loro paese.

Il tasso di disoccupazione tedesco anche a maggio è rimasto invariato al 6.9 %, per il settimo mese consecutivo. Ma quasi un lavoratore tedesco su cinque, circa 7.4 milioni, è impiegato con un cosiddetto "minijob", una forma di occupazione marginale che permette di guadagnare fino a 450 €  mensili esenti da tasse.

Nei diversi settori industriali, dalla distribuzione alla sanità, i minijob sono stati una manna che ha permesso agli imprenditori di tenere basso il costo del lavoro. I minijob di solito hanno una paga oraria molto bassa, e non hanno gli stessi benefit previsti dai normali contratti di lavoro.

Mentre l'Europa guarda alla potenza economica continentale per cercare di capire come rilanciare il moribondo mercato del lavoro, in Germania la diffusione di questi lavori a basso salario ha scatenato un acceso dibattito: i lavoratori tedeschi stanno beneficiando dei frutti della crescita economica?

I fautori sostengono che i minijob offrono ai genitori, ai pensionati e agli studenti una possibilità legale di guadagnare soldi esentasse, e danno alle imprese la flessibilità per regolare la forza lavoro in base alle necessità del momento. "I Minijob sono ideali per chi vuole lavorare solo per un numero ridotto di ore alla settimana o al mese", dice Oliver Stettes, esperto di mercato del lavoro del Cologne Institute for Economic Research. Sono molto attraenti anche per i ristoratori e i commercianti che devono far fronte ai periodi di picco, ci dice: "All'ora di pranzo, quando i locali sono pieni, c'è bisogno di piu' forza lavoro. Ed è quando i minijobber arrivano e danno una mano, anche per poche ore".

I critici sostengono invece che il ricorso ai minijob non faccia altro che ampliare il divario fra ricchi e poveri, una tendenza che minaccia il contratto sociale alla base dell'economia sociale di mercato.

Mentre i redditi piu' alti dei lavoratori a tempo pieno che contribuiscono al sistema di sicurezza sociale sono cresciuti del 25% tra il 1999 e il 2010, i salari nel quintile piu' basso sono cresciuti di circa il 7.5%, secondo i dati della Arbeitsagentur. Considerando nello stesso periodo un'inflazione pari al 18%, i redditi piu' bassi hanno perso decisamente terreno.

L'economia tedesca nello stesso periodo è cresciuta del 13.5%, lasciando a molti tedeschi la sensazione di non aver beneficiato della crescita.

I partiti di opposizione hanno rilanciato il tema in vista delle elezioni di settembre. I social-democratici vorrebbero migliorare le garanzie e aumentare il potere di contrattazione collettiva dei minijobber. I Verdi vorrebbero introdurre un limite massimo di 100 € al mese esentasse, al fine di creare piu' posti di lavoro regolari. I politici di governo criticano la proposta dei Verdi bollandola come populista. Questo piano eliminerebbe per molte persone "la porta di ingresso verso il mercato del lavoro", cosi' Pascal Kober, membro dei liberali (FDP), in una recente dichiarazione alla stampa tedesca. 

"I minijob non hanno centrato l'obiettivo", dice Werner Eichhorst, il vice direttore dell'istitutuo indipendente IZA. "Sono strutturati in modo da non fornire al datore di lavoro alcun incentivo per la trasformazione di questi contratti in un  regolare lavoro full-time, anche i dipendenti non hanno alcun incentivo a lavorare di piu'. E' un 'dead-end-job'".

I minijob erano stati pensati come un trampolino per qualcosa di meglio, ma molti esperti sostengono che troppi lavoratori restano a lungo bloccati in impieghi marginali con il solo obiettivo di rimpiazzare posti di lavoro regolari e full-time. La retribuzione oraria dei minijob di solito è fra i 5 e i 10 € lordi. Circa due terzi dei minijobber non hanno nessun'altra forma di impiego.

Il numero dei minijob è cresciuto molto rapidamente durante lo scorso decennio, a seguito delle riforme varate per rendere la Germania piu' competitiva. Ma il trend sembra essersi stabilizzato. Anche altre forme di lavoro atipico nello stesso periodo hanno vissuto un boom, come gli interinali e i contratti part-time.

I minijob sono molto comuni nella ex Germania occidentale, dove erano stati pensati per dare ai genitori che stanno a casa - principalmente madri - un accesso al mondo del lavoro. Uno studio recente pubblicato dal Ministero per la Famiglia mostra come in particolare siano le donne a rischiare di restare intrappolate nei minijob. Il documento definisce il minijob come "un programma per la creazione di marginalità e permanente dipendenza economica delle donne".

A Brema, nel nord-ovest della Germania,  Angela Chevrollier, intorno ai 50, lavora part-time  in una clinica per pazienti in coma. Ci dice che il lavoro non le garantisce abbastanza denaro per far quadrare il bilancio, visto che deve sostenere due figli all'università. Cosi' lavora con un mini-job, per tre notti al mese, in un centro psichiatrico. La sig.ra Chevrollier ha chiesto al suo datore di lavoro principale di passare dalle 30 ore settimanali ad un impiego full-time, ma le è stato negato: "C'è qualcosa di profondamente sbagliato in Germania, se non esiste la possibilità di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro". Il suo minijob tuttavia le piace, sebbene lo faccia essenzialmente per ragioni finanziarie.

L'agenzia di lavoro che la impiega con un minijob, MED KONTOR Personalservice GmbH, sostiene di pagare i minijobber, in base alle loro qualificazioni, quanto tutti gli altri lavoratori. Il vantaggio dei minijobber starebbe nella flessibilità, non nei risparmi dovuti ad una paga piu' bassa.

Vicino Brema, nella piccola e sbiadita città industriale di Delmenhorst, dove il centro città è pieno di negozi ormai vuoti, circa il 35% degli impieghi sono minijob. E' la percentuale piu' alta di tutta la Germania, secondo i dati compilati nel 2011 dalla  Hans Böckler Stiftung.

Qui, Kemalettin Tunç, un immigrato turco di 40 anni, ci dice che ha recentemente perso il suo lavoro nella fabbrica Mercedes di Brema. Per il momento ha trovato un minijob come conducente di taxi, con una paga di 5 € l'ora. Ma è fiducioso che la sua esperienza lavorativa gli permetterà  di trovare rapidamente un altro lavoro. "Il mercato del lavoro è kaputt" dice, perché "si guadagna troppo poco".

La vita in Germania era decisamente piu' prospera due decenni fa, aggiunge. Quando è arrivato, un lavoratore come lui poteva guadagnare abbastanza da comprarsi una bella macchina, una Mercedes o una BMW. "Ora non è piu' cosi'".




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martedì 4 giugno 2013

Lafontaine: torniamo alle valute nazionali


Oskar Lafontaine, leader storico della sinistra tedesca, in una lunga intervista spiega i punti centrali del nuovo sistema monetario europeo da lui proposto: basta con l'Euro, la moneta deve tornare sotto il controllo democratico. Da Deutschlandradio
Mentre le iniziative franco-tedesche cercano di far uscire l'Europa dalla crisi, Oskar Lafontaine, il presidente della Linke nel parlamento regionale della Saarland, si pronuncia a favore di processi decisionali piu' democratici. E propone un  nuovo sistema monetario europeo, in cui non sia solo una parte a decidere per tutti.

Deutschlandradio Kultur: Herr Lafontaine, la moneta unica è la base per la crescita e l'occupazione in Europa, sosteneva un tempo il politico della SPD Oskar Lafontaine. Che cosa è cambiato per Oskar Lafontaine politico della Linke, ora che invece propone un nuovo sistema monetario e l'uscita dall'Euro?

Oskar Lafontaine: E' cambiato che le proposte fatte allora non sono mai state realizzate, perché solo sulla base di queste condizioni, la frase che lei ha letto, avrebbe avuto un senso. Allora, ad esempio, proponevamo un governo economico europeo. E' passato molto tempo. Oggi Hollande riprende questa proposta, che cosa c'è dietro?

Per far capire a tutti: non è possibile avere una moneta unica con una diversa politica finanziaria, fiscale e salariale. Lo abbiamo detto allora. E' un peccato che fino ad oggi si sia andati in direzione opposta.

Oggi constatiamo che stanno crescendo le ostilità fra i popoli europei, e che i movimenti fascisti sono sempre piu' forti. Ogni politico europeo responsabile dovrebbe porsi la domanda: che cosa possiamo fare per arrestare questa tendenza?

Deutschlandradio Kultur: Questo errore di progettazione è stato riconosciuto, come lei dice. E sono in molti ad ammettere che la causa della crisi sia l'assenza di una politica economica comune. Lei dice, Hollande sta affrontando il tema, ma si arriverà a qualcosa di tangibile per i cittadini europei?

Oskar Lafontaine: No. E' simile a tante altre proposte, note da tempo. Semplicemente non saranno realizzate, perché in Europa abbiamo una determinata ideologia. E' l'ideologia del neoliberismo, particolarmente presente in Germania. Secondo questa ideologia bisogna essere sempre piu' competitivi. Vale a dire, prima di tutto è necessario ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto e poi ridurre la tassazione. E poi c'è la concorrenza fatta con il dumping salariale, il dumping fiscale e il dumping sociale, e quindi lo smantellamento dello stato sociale. Non puo' funzionare. Questa ideologia impedisce uno sviluppo salutare all'Europa.

Deutschlandradio Kultur: Ho capito bene? Lei sta chiedendo un altro sistema valutario. Lei in pratica propone l'uscita dall'Euro. Questo permetterebbe una svalutazione delle monete nazionali. La competitività sarebbe rafforzata?

Oskar Lafontaine: Si', la svalutazione è un classico mezzo per aumentare la competitività di un'economia. L'altro strumento sarebbe il taglio dei salari e delle pensioni, e lo smantellamento dello stato sociale. Perché gli economisti e le democrazie preferiscono non ricorrere a questo strumento, lo stiamo vedendo ora in Europa. E vediamo anche quali sono le difficoltà e le distorsioni quando si ricorre a questo strumento. 

Ma è importante riconoscere un punto: il sistema monetario ha un ruolo di sostegno. Non si tratta di una istituzione divina. Deve aiutare lo sviluppo europeo, e deve servire anche l'economia. E noi riteniamo che una moneta unica possa dare benefici solo se vengono soddisfatte anche altre condizioni. Questo era il punto di partenza. Questa era anche la discussione. E questa è la posizione che ho sostenuto al Bundesrat come delegato del governo guidato dalla SPD, prima dell'introduzione della moneta unica. E' stato recentemente riproposto anche dalla televisione. Ma tutti questi requisiti non sono stati soddisfatti, e ora ci troviamo di fronte al disastro. Proprio perché l'ideologia di cui ho appena parlato non cessa di sostenere che i paesi devono farsi concorrenza.

Deutschlandradio Kultur: Pero' la risposta non dovrebbe essere questa: meno Europa, cio' che un'uscita dall'Euro significherebbe. La Cancelliera ripete sempre. "muore l'Euro, finisce l'Europa". Invece dovrebbe dire: piu' Europa, un ministro delle finanze europeo, un governo economico europeo.

Oskar Lafontaine: Questa è la domanda: che cosa è l'Europa e come ci immaginiamo l'Europa? L'Europa per me ha tre colonne, una è la democrazia, poi c'è lo stato sociale, uno non puo' esistere senza l'altro, terzo, lo stato di diritto.

La democrazia viene smantellata giorno dopo giorno. Abbiamo dei governi mai eletti: pensi alla Grecia o all'Italia. Ai parlamenti invece si dice: non avete piu' nulla di cui discutere, dovete sostenere i pacchetti di salvataggio bancari, e dovete fare quello che la Troika e il FMI dicono. Potete dire solo si' o no. La democrazia di fatto viene svuotata.

Lo stato di diritto viene smantellato. A questo si riferisce anche il giudice costituzionalista Kirchhof quando dice: si', la costruzione europea dovrebbe essere fondata sul rispetto del diritto. Si puo' solo essere d'accordo. Ma poiché sono stati fatti cosi' tanti errori, ogni volta è necessario violare i trattati. 

E lo stato sociale, anche in Germania, viene continuamente aggredito. Lo abbiamo visto negli ultimi anni anche nel nostro paese. E ora Frau Merkel vuole imporre la stessa politica a tutta l'Europa, senza considerare le relazioni economiche complessive. Cio' porterà alla catastrofe economica. Cosi', la frase di Merkel, "muore l'Euro, finisce l'Europa", ci conferma solamente che la Cancelliera non riesce a comprendere l'economia nel suo complesso. Le cose oggi stanno cosi': se l'Eurosistema resta immutato, l'Europa subirà danni sempre maggiori.

Deutschlandradio Kultur: Ma Frau Merkel incontra anche una certa resistenza, nel tentativo di esportare questa politica. E questa resistenza arriva dalla Francia. Arriva addirittura dal piccolo Lussemburgo. Come è possibile risolvere questa situazione? 

Oskar Lafontaine: Le istituzioni hanno un ruolo decisivo. L'Eurosistema non è adeguato. E questo è un sistema monetario, non è una banconota, si tratta di un sistema monetario. Non è adeguato per rispondere in maniera adeguata a questa domanda.

Deutschlandradio Kultur: Ma qual'è l'alternativa? Abbiamo una gestione della crisi che forse non è soddisfacente, ma che almeno ha stabilizzato l'Euro. C'è calma sui mercati finanziari. Lei dice, fuori dall'Euro. Come puo' funzionare?

Oskar Lafontaine: L'alternativa emerge da quello che io ho chiamato la base per lo sviluppo europeo. Vogliamo avere piu' democrazia. Anche sui temi della moneta e su tutte le questioni monetarie, dobbiamo avere dei processi democratici. E cioè, uno non puo' dire, le cose stanno in questo modo, e gli altri lo devono seguire. Cio' non ha molto a che fare con la democrazia.

Deutschlandradio Kultur: Vale a dire, dobbiamo riportare la banca centrale sotto il controllo democratico - piu' o meno una commissione per la moneta all'interno del Parlamento europeo.

Oskar Lafontaine: E' un tema abbastanza ampio. L'Eurosistema è stato messo in piedi perché si voleva bloccare l'egemonia della Bundesbank. Era l'idea degli altri capi di governo europei. Hanno detto: non siamo piu' indipendenti. Non possiamo piu' decidere autonomamente. Se la Bundesbank prende una decisione, noi dobbiamo correrle dietro.

Deutschlandradio Kultur: E almeno adesso possono invece discuterne

Oskar Lafontaine: Ora invece è cosi': l'Eurosistema ci ha portato ad una situazione in cui i parlamenti e i governi non possono piu' decidere. Ora è il governo federale tedesco, vale a dire la Cancelliera, grazie alla forza economica della Germania, a decidere la direzione. E questo risponde anche alla questione da lei sollevata: abbiamo bisogno di un sistema monetario all'interno del quale non sia uno solo a decidere per tutti.

Vale a dire, anche sui temi monetari, abbiamo bisogno di processi decisionali democratici. C'è una idelogia profondamente radicata in tutto il mondo, secondo la quale la moneta debba sottrarsi alle decisioni democratiche. Le banche creano denaro. La gente non lo sa. Le banche producono bolle e bolle, e la gente si comporta con le banche come davanti a un dottore con un camice bianco, che ci dice quale terapia è necessaria, ma che alla fine non si riesce né a capire né a comprendere. Ma il sistema monetario puo' essere riformato. E quindi vorrei dire qualcosa sul nuovo sistema monetario che io propongo. Lo descrivo in modo che tutti possano comprenderlo:

Le banche devono fare quello che in origine facevano la casse di risparmio: raccogliere il denaro dei risparmiatori e prestarlo alle persone che hanno bisogno di credito, soprattutto per l'attività di investimento.

Deutschlandradio Kultur: In fondo lei dice: abbiamo bisogno di una politica monetaria governata dalla politica. E questa idea, secondo cui la politica abbia la precedenza, l'abbiamo già avuta in passato. Ma abbiamo preso la decisione opposta. In sostanza, nell'unione monetaria è stata presa un'altra decisione, e invece di un approccio politico, è stato preferito quello della stabilità.

Oskar Lafontaine: Questa è un pensiero autoritario. Il concetto di moneta depoliticizzata è uno dei piu' stupidi che abbia mai ascoltato. Non c'è nulla di depoliticizzato! Con questo si vorrebbe dire che i politici non devono avere nessuna voce in capitolo nelle decisioni di politica monetaria. Ma perché realmente? Sono i rappresentanti del popolo che devono prendere queste decisioni.

E questo ci porta alla risposta: il denaro è troppo sacro e importante. Questa è pura ideologia, e si puo' anche dire, un'ideologia stupida. Dove si finisce, quando si lasciano decidere solo le autorità monetarie, lo stiamo vedendo adesso. In nessun'altro ambito sono stati commessi cosi' tanti errori, negli ultimi decenni, come fra gli esperti e i professionisti della moneta.

Deutschlandradio Kultur: Quindi lei chiede concretamente che la BCE sia riportata sotto il controllo democratico?

Oskar Lafontaine: Deve tornare sotto il controllo democratico...

Deutschlandradio Kultur: Ma allora i politici avranno l'ultima parola - come lei quando era Ministro delle Finanze.

Oskar Lafontaine: ...deve essere chiaro che in materia di politica monetaria, non possiamo accettare alcuna ideologia che sostiene: questa è una materia sacra di cui non si puo' discutere democraticamente. Come aiuto possiamo dire che già oggi, in molte banche centrali, siedono dei politici.

Deutschlandradio Kultur: Herr Lafontaine, lei propone anche una limitazione ai movimenti di capitale in Europa, quali sarebbero i vantaggi per gli europei da una tale misura?

Oskar Lafontaine: E' un tema interessante. La libertà di movimento per i capitali è una invenzione di coloro che in quanto speculatori ne hanno beneficiato in tutto il mondo. E questi non volevano alcun meccanismo di controllo sugli spostamenti - fino ad arrivare ai paradisi fiscali, che sono ancora li'. E dai paradisi fiscali si è diffusa l'ideologia secondo cui i controlli sui movimenti di capitale non sono necessari. Perché nessuno dovrebbe controllare gli affari sporchi.

I controlli ai movimenti di capitale sono un mezzo per smorzare le ondate speculative che negli ultimi anni hanno creato grandi disordini in tutto il mondo.

Deutschlandradio Kultur: Sarebbe pero' un mezzo che va contro i principi dei trattati europei. E ancora, Herr Lafontaine, la stessa domanda: uscire dall'Euro? I trattati non lo permettono. Sta facendo solo populismo per sottrarre un po' di elettori ad "Alternative für Deutschland" (AfD)? Non sta spaccando il suo stesso partito con queste proposte?

Oskar Lafontaine: Sono i cliché che ho letto sui giornali e che mi divertono. AfD ha un approccio completamente diverso. E' un movimento conservatore, da cui non si capisce cosa potrà venire fuori. AfD rappresenta la posizione del dumping salariale tedesco, che se vogliamo, è opposta alla nostra. Il dumping salariale è la causa di fondo del fallimento della moneta unica. AfD è una formazione, che con le sue proposte politiche sbagliate, ha contribuito al collasso del sistema.

In quanto europei responsabili dovremmo dire una volta per tutte: che cosa vogliamo fare per arrestare questo processo? C'è bisogno di un nuovo sistema monetario che non produca le forti tensioni causate dall'Eurosistema attuale. Sono due dispositivi molto diversi. Uno lo chiamiamo Eurosistema, con gli errori di costruzione che prima o poi lo porteranno all'implosione. L'altro dispositivo lo chiamiamo sistema monetario europeo. Dovrà essere un meccanismo sicuramente migliore rispetto a quello messo in piedi da Schmidt e Giscard. Fu creato per promuovere l'integrazione europea, non certo per impedirla.

Questo non è populismo, ma una politica responsabile. Quello che viene definito come populismo, è semplicemente il risultato della testardaggine e dell'ostinazione di chi non vuole riconoscere cosa sta accadendo nell'Europa meridionale: smantellamento della democrazia, ritorno del fascismo e grande sofferenza.

Deutschlandradio Kultur: Ma i trattati europei non prevedono l'uscita. Come dovrebbe funzionare?

Oskar Lafontaine: Nessuno ormai si attiene ai trattati europei. E soprattutto sui punti che i diversi governi hanno continuamente violato. Non è piu' un problema

Deutschlandradio Kultur: Ma Herr Lafontaine, il dumping salariale tedesco non è stato la sola causa della crisi. Sono stati molteplici i fattori che hanno contribuito. Questa è la posizione dell'intero partito?

Oskar Lafontaine: Io non posso essere d'accordo con lei. La dinamica salariale, e questo lo sanno tutti i nostri lettori, è la dimensione fondamentale in un'economia. Dall'andamento dei salari dipende lo sviluppo delle pensioni, e di tutto lo stato sociale. Cioe', se si vuole, l'intera domanda di un'economia dipende dallo sviluppo dei salari, e anche la sua capacità di esportare.

Se si applica una politica di dumping salariale, si aumenta la propria capacità di esportare. Quando si accumulano avanzi commerciali, gli altri sono costretti ad indebitarsi. Questa è la relazione d'insieme - che almeno al Bundestag - non viene accettata dalla grande maggioranza.

E ora la sua seconda domanda: all'interno della Linke naturalmente si discute. E sorprendentemente c'è una discussione molto interessante e profonda sulla strada da seguire. La questione cruciale è quale via di uscita proponiamo per evitare lo smantellamento della democrazia, dello stato sociale e dello stato di diritto, e fermare le ostilità fra i popoli e impedire l'ascesa del fascismo. Per ora c'è solo la proposta, che alcuni hanno fatto insieme a me, di reintrodurre un sistema valutario flessibile al fine di rimuovere le tensioni dal sistema. Non conosco nessun'altra proposta.

Deutschlandradio Kultur: Non è per contraddirla, ma lei si trova in compagnia di Marine Le Pen che da destra in Francia propone un'uscita dall'Euro.

Oskar Lafontaine: Questo non c'entra nulla. Marine Le Pen non si è mai confrontata con i temi valutari. Non conosce il livello del dibattito. Potrebbe invece parlare degli economisti americani e dei premi Nobel che da tempo ripetono che non puo' affatto funzionare. E in compagna dei premi Nobel americani mi potrei trovare anche bene. 

Deutschlandradio Kultur: Herr Lafontaine, è possibile condurre una discussione ragionevole sull'Euro? Non c'è il rischio che il populismo prenda il sopravvento?

Oskar Lafontaine: L'accusa di populismo è cosi frequente, che di solito torna indietro verso chi l'ha lanciata. Di solito arriva da coloro che vogliono evitare di pensare, e che non accettano alcuna argomentazione. Si puo' anche dire: non vogliamo un sistema monetario flessibile per questo o quel motivo. Questo lo si puo' dire. Bisogna pero' argomentare. E si puo' anche dire: l'attuale sistema è meraviglioso. Ma per farlo bisogna essere ciechi alla realtà e non voler proprio vedere quello che accade.

E percio' dico io: dobbiamo superare l'intransigenza e la testardaggine e avviare una vera discussione. 




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lunedì 3 giugno 2013

Tutti contro "Alternative für Deutschland"


La nuova formazione euro-critica fa discutere e 5 economisti di primo piano, sulla progressista ed euroentusiasta Süddeutsche Zeitung, lanciano un attacco al leader di AfD: le sue proposte non sono credibili, la Germania non puo' affondare la moneta unica. Da Süddeutsche Zeitung
Nel dibattito sul futuro della moneta unica, 5 noti economisti si rivolgono al nuovo partito "Alternative für Deutschland" e al suo leader: non è possibile sciogliere l'unione monetaria in modo ordinato e razionale.

Di Marcel Fratzscher, Clemens Fuest, Hans Peter Grüner, Michael Hüther und Jörg Rocholl

L'unione monetaria, dopo tre anni di intensa gestione della crisi, si trova ancora in una situazione difficile. L'aggiustamento richiesto è enorme, e le riforme necessarie non sono state ancora completate. La situazione economica è critica a causa dell'elevata disoccupazione c'è grande instabilità politica. Con la fase di debolezza economica francese si apre un nuovo fronte, soprattutto se la politica non sarà capace di reagire in maniera rapida e adeguata. La politica anti-crisi fino ad ora è riuscita a comprare tempo per il necessario aggiustamento. L'unione bancaria per ora resta un grande cantiere. In queste condizioni è naturale e opportuno che nel nostro paese - almeno prima di una elezione federale - si discuta sul futuro dell'Europa e della moneta unica. 

A causa dell'incertezza, alcune forze politiche in Germania, Italia ed altri paesi, chiedono l'uscita dall'unione monetaria del sud-Europa, oppure il ritorno ad un sistema di monete nazionali. Questa posizione è condivisa anche da alcuni membri della nostra professione.

Noi la consideriamo una strada sbagliata, e chiediamo di preservare l'unione monetaria nella sua composizione attuale. Riteniamo che alle carenze istituzionali emerse nel corso della crisi, sarà necessario trovare una soluzione con un programma di riforme radicali. Siamo convinti che l'integrità dell'Eurozona sia la strada migliore per garantire all'Europa e alla Germania benessere e stabilità.

E' necessario superare le difficoltà

Per superare la crisi dell'Eurozona è necessario vincere 3 sfide. Primo, i paesi della periferia hanno bisogno di una prospettiva di crescita e di maggiore competitività. Secondo, in questi paesi molte banche, imprese e famiglie hanno un livello di indebitamento eccessivo. E' necessario riportare l'indebitamento ad un livello sostenibile. Terzo, è indispensabile introdurre i requisiti costituzionali e normativi per stabilizzare le finanze pubbliche e private, e permettere a tutti gli stati membri di sfruttare i vantaggi dell'unione monetaria.

L'uscita dall'Eurozona (temporanea o definitiva) di alcuni paesi fortemente indebitati  avrebbe sicuramente il vantaggio di accelerare il necessario aggiustamento dei prezzi. Ma a questo possibile vantaggio, corrispondono una serie di conseguenze negative. Da un lato, la svalutazione causerebbe il default sulle obbligazioni denominate in Euro, sia pubbliche che private. Il difficile accesso al mercato internazionale dei capitali porterebbe ad un collasso economico dei paesi in crisi, come suggerisce l'esperienza fatta in passato con altri casi di ristrutturazione. Per diversi anni avremmo un ulteriore aumento della disoccupazione e un peggioramento dei problemi sociali ed economici.

Anche la Germania non sfuggirebbe ad una tale crisi

Inoltre, con l'uscita dall'Euro, le indispensabili riforme economiche si fermerebbero. Cosi' ci insegna l'esperienza storica: le svalutazioni molto forti, a causa delle conseguenti perdite di reddito reale, di solito, vedono una rapida risposta della politica salariale nel tentativo di rispondere alla correzione. Le nuove valute avrebbero un'accettazione limitata e probabilmente dovrebbero essere stabilizzate con una politica di alti tassi di interesse, con un effetto di rafforzamento della crisi. Anche la Germania non si sottrarrebbe ad una tale crisi e pagherebbe un prezzo salato in termini di bassa crescita ed elevati costi finanziari, diretti e indiretti. I paesi della periferia, infatti, hanno un forte indebitamento verso l'estero. Si tratta di debiti fatti da imprese, famiglie, banche e dallo stato. 

Oltre a questi debiti, ci sono anche i saldi Target all'interno dell'Eurosistema. E su questi la Germania sarebbe duramente colpita. Se i piani per l'uscita fossero resi noti, assisteremmo  ad una massiccia fuga di capitali verso la Germania, con una conseguente forte crescita dei saldi Target. Se si arrivasse ad una uscita, la BCE dovrebbe cancellare buona parte di questi crediti, con perdite enormi per la Bundesbank. Inoltre, le banche e le imprese tedesche hanno dei crediti molto elevati nei confronti dei paesi in crisi. Ci sarebbero perdite significative e una minaccia per la stabilità dell'economia tedesca.

Anche il piano per gestire l'uscita di alcuni paesi attraverso l'introduzione di una valuta parallela, che lentamente viene svalutata, non puo' funzionare. Il mercato dei capitali inizierebbe immediatamente a speculare sulla nuova valuta. Ci sarebbe una massiccia fuga di capitali, con costi sempre maggiori per il finanziamento delle famiglie, dello stato e delle imprese. Cio' porterebbe ad una ulteriore recessione e a condizioni sociali ancora peggiori nei paesi candidati all'uscita. Resterebbe solamente il controllo sui movimenti di capitale e il sostegno alla nuova valuta da parte della BCE. Ma il controllo sui movimenti di capitale dovrebbe esserci fin dall'inizio, e non alla fine delle trattative sull'uscita dall'unione monetaria. E' una proposta totalmente irrealistica. Inoltre, non è chiaro perché nei paesi coinvolti dovrebbe esserci la disponibilità ad usare una moneta piu' debole come valuta parallela. Storicamente ci sono stati numerosi casi in cui una moneta estera piu' forte ha messo all'angolo la moneta nazionale piu' debole, ed è diventata il solo mezzo di pagamento effettivo.

A tutto cio' si aggiungono le imprevedibili conseguenze politiche di una rottura dell'Euro. Non è chiaro se il mercato comune potrebbe sopravvivere ad un tale evento. In ogni caso è illusorio pensare che lo scioglimento dell'unione monetaria possa avvenire in maniera ordinata e razionale. I conflitti di interesse fra i partner, quando si dovrà discutere della rinuncia ai crediti o dei costi da sostenere, saranno troppo grandi, mentre la pressione dei mercati finanziari, in una situazione di transizione, sarebbe troppo forte. Vi è anche il rischio che la Germania possa essere considerata responsabile per il fallimento dell'unione monetaria, e finisca in una situazione di isolamento economico e politico.

L'alternativa alla dissoluzione consiste nel tentativo di superare la crisi preservando la moneta unica. Sarà un processo lungo e difficile, che richiederà dal lato della politica molta pazienza e disciplina. Sarà fondamentale ripristinare la competitività dei paesi in crisi, rendendo possibile una nuova fase di crescita. Poiché i prezzi e i salari non vengono definiti dal governo ma dalle parti sociali e dai mercati, non è possibile imporre un aggiustamento immediato, ma ci vorrà molto tempo. Tuttavia è possibile, come mostrano l'esempio irlandese e i progressi compiuti dagli altri paesi in crisi. Il tasso di cambio reale basato sul costo del lavoro per unità di prodotto - un indice rilevante per definire la competitività - in Grecia dal 2009 ad oggi è sceso del 20%.

Il superamento dell'eccesso di debito delle famiglie e delle imprese e il risanamento delle banche non sarà possibile senza insolvenze e ristrutturazioni. Cio' causerà incertezza sul mercato dei capitali e i creditori, anche in Germania, dovranno subire delle perdite. Le finanze pubbliche torneranno ad essere in salute solo se il consolidamento fiscale non viene ammorbidito e se i governi sapranno rispettare i rigidi vincoli di bilancio (come i limiti all'indebitamento in costituzione).

Una grande sfida

Affinché l'aggiustamento possa portare ad una stabilizzazione duratura della zona Euro, è importante dare nuovo slancio al progetto dell'unione bancaria (controllo bancario centrale, un processo comune per le ristrutturazioni bancarie), e fare in modo che in futuro la disciplina fiscale non sia minata dalla garanzia comune sul debito. Le nuove regole e le nuove istituzioni della zona Euro rappresentano un passo in avanti in questa direzione. Inoltre, l'Eurozona ha bisogno di una procedura credibile per le insolvenze pubbliche. Si tratta di un requisito fondamentale affinché in futuro i mercati finanziari possano disciplinare l'esercizio delle finanze pubbliche.

Non c'è alcun dubbio che il superamento della crisi e il mantenimento della zona Euro nella sua forma attuale siano una grande sfida. E' necessaria un'azione politica determinata, disciplinata e coordinata. La crisi è anche un'opportunità per correggere gli errori di progettazione della moneta unica e rafforzare l'impegno verso gli indispensabili requisiti europei e nazionali. Alcune importanti decisioni delle politiche anti-crisi ci incoraggiano in questa valutazione, la cui conferma dovrà tuttavia essere visibile nella loro esecuzione.

Certo, non c'è alcuna garanzia di un buon risultato. Ma questo non puo' essere un motivo valido per scegliere l'alternativa decisamente peggiore: lo scioglimento della moneta unica. I rischi politici ed economici e i costi ipotizzabili, non solo per la Germania, ma per tutta l'Europa, sarebbero in questo caso decisamente maggiori, sia nel breve che nel lungo periodo. 

Die Autoren: Marcel Fratzscher ist Präsident des Deutschen Instituts für Wirtschaftsforschung in Berlin; Clemens Fuest ist Präsident des Zentrums für Europäische Wirtschaftsforschung Mannheim; Hans Peter Grüner ist Professor für Volkswirtschaftslehre an der Universität Mannheim; Michael Hüther ist Direktor des Instituts der deutschen Wirtschaft in Köln; Jörg Rocholl ist Präsident der European School of Management and Technology in Berlin.




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domenica 2 giugno 2013

Chi guadagna con la crisi


Der Freitag propone un'analisi del modo in cui i media tedeschi trattano la crisi Euro, e di come il governo la  stia usando per migliorare la propria immagine. Un riassunto per capire le menzogne e i cliché circolati negli ultimi anni. Da Der Freitag.
Prima di tutto ci occupiamo della loro povertà e poi li invogliamo a venire a lavorare da noi - un possibile riassunto delle politiche di crisi europee del governo federale tedesco.

"Merkel vuole attrarre lavoratori qualificati dai paesi Euro in crisi", annuncia la FAZ online il 14 maggio 2013. E a causa della crisi costano anche meno rispetto alla forza lavoro tedesca. La Germania offre buone condizioni di lavoro per i migranti, ma ha una pessima reputazione, si lamenta invece Merkel durante il "Demographiegipfel" del 14 maggio 2013.

"Se l'avventura eurista alla fine dovesse andare bene, ci sarebbe un solo vincitore: lo stato tedesco". Cosi' scriveva WirtschaftsWoche il 9 ottobre 2012. A Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e agli altri paesi colpiti dalla crisi, l'avventura ha causato crescenti problemi sociali. A cio' contribuiscono i cosiddetti "piani anti crisi" della Troika e del governo federale tedesco, che impongono ai paesi in crisi un'austerità che li indebolisce ancora di piu'. "La Germania si è risanata a spese dei vicini di casa", titolava Cicero il 21 gennaio 2013 e scriveva: "Finanziariamente, economicamente e perfino demograficamente la Germania ha avuto vantaggi dalla crisi dell'unione monetaria".

Süddeutsche Zeitung del 27 luglio 2012 descrive cosi' le conseguenze della crisi: "In Spagna ci sarebbero oltre 5.7 milioni di persone senza un lavoro. Fra i giovani sotto i 25 anni piu' della metà non ha un lavoro, il tasso di disoccupazione complessivo è del 25%". "La disoccupazione crescente, l'impoverimento e l'esclusione sociale hanno assunto dimensioni spaventose", racconta Ignacio Sánchez-Cuenca in un articolo tradotto da Presseurop.de del 6 maggio 2013. "Ci sono ragazzi che soffrono di malnutrizione. Migliaia di famiglie sono sfrattate dalle loro abitazioni. I salari e gli stipendi scendono, mentre i prezzi per i beni e i servizi aumentano". L'autore continua: "Puo' sembrare brutale, ma sembra che per l'UE e il governo spagnolo la crisi potrà essere risolta solo quando la maggior parte degli spagnoli saranno sprofondati nella povertà".

L'8 aprile aprile 2013 arriva un avvertimento: "Secondo uno studio dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) la crisi economica e monetaria ha aumentato il rischio di disordini sociali negli stati del mediterraneo Cipro, Grecia, Spagna e Italia". Nel frattempo nell'EU ci sono 10 milioni di disoccupati in piu' rispetto a prima della crisi. "Particolarmente colpiti sono i giovani e i lavoratori scarsamente qualificati", afferma l'organizzazione. I media scrivevano il 27 marzo 2013: "Chi non vede alcuna via di uscita si suicida; i malati che che non possono piu' pagare i costi ospedalieri rischieranno la loro vita".

"Eppure gli spagnoli non salgono sulle barricate", scrive ad esempio Sánchez-Cuenca. Un articolo della Deutsche Welle del 30 novembre 2012 descrive le reali conseguenze: "Molti giovani spagnoli stanno fuggendo dal loro paese. Soprattutto agli ingegneri con piu' ambizioni la Germania sembra un El Dorado". La mancanza di prospettive spinge molti spagnoli ad andarsene dal loro paese, cosi' scrive la Süddeutsche Online del 20 aprile 2012. "Sono sempre di piu' quelli che arrivano in Germania, come Mariola e Jordi", e vengono raccontati due esempi concreti. "Nei decenni passati il Portogallo ha investito molto in università e istruzione", scrive un articolo di Euronews.de del dicembre 2011. "A causa della crisi è diventato impossibile trattenere i giovani piu' talentuosi". "Il paese lascia emigrare il proprio futuro", riassume il titolo. Gli economisti mettono in guardia dalle conseguenze: il Portogallo è sulla strada dell'abisso economico.

"In ogni caso è chiaro che in Germania ci sono sempre piu' lavoratori provenienti dalla Spagna, dalla Grecia, dal Portogallo o dalla Slovacchia: arrivano dai paesi EU duramente colpiti dalla crisi economica", osserva la Deutsche Welle. L'economia tedesca dovrebbe essere soddisfatta, dopo essersi lamentata a lungo per la mancanza di lavoratori qualificati. Ma la presunta mancanza di forza lavoro specializzata sarebbe solo una "Fata Morgana" su cui in passato si è pronunciato piu' volte anche Karl Brenke del Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (DIW) di Berlino, nel 2010, allo stesso modo nel 2011 e anche nel 2012. "Non c'è traccia" di una insufficiente offerta di forza lavoro, dichiara Brenke nel 2010. E descrive uno dei veri problemi: i salari dei lavoratori non sono cresciuti, e il numero dei disoccupati con una qualificazione è superiore al numero delle posizioni aperte. Lo statistico Gerd Bosbach lo ha spiegato in un articolo di Report del 10 luglio 2012 intitolato "La leggenda dei tanto ricercati ingegneri": se le aziende tedesche "avessero veramente una mancanza di ingegneri, allora tratterebbero i candidati già disponibili in maniera molto diversa. Offrirebbero loro delle posizioni stabili e dei buoni salari. Che al momento non vedo proprio". Secondo uno studio del Consiglio degli Esperti per l'Integrazione e la Migrazione del 2009, dal 2003 oltre 180.000 lavoratori specializzati avevano lasciato la Germania, scriveva Der Spiegel Online il 26 maggio 2009. Un anno dopo si annunciava un risultato molto simile. Il motivo principale per l'emigrazione della forza lavoro qualificata sarebbe il desiderio di un salario piu' alto, cosi' la Süddeutsche online del 17 maggio 2010.

Ma proprio coloro che hanno un titolo di studio piu' elevato, come i medici e gli ingegneri, si lamentano delle tasse troppo alte e della burocrazia eccessiva. E questo vale soprattutto per i professionisti affermati. Nell'articolo menzionato Hermann Biehler dell'IMU Institut di Monaco dichiara: "Dal mio punto di vista la situazione è tale per cui i giovani ingegneri devono scegliere tra un lavoro pagato male e la disoccupazione". Anche tra i lavoratori specializzati c'è il boom dei contratti a tempo determinato e del lavoro interinale. "L'ingegnere con esperienza Tanja Mett-Bialas si accontenterebbe di avere un lavoro anche a tempo determinato - e anche Helmut Rasch preferirebbe lavorare come interinale piuttosto che vivere di Hartz IV".

Un altro motivo per l'emigrazione potrebbe essere la mancanza di riconoscimento sociale e il carico di lavoro eccessivo, cosi' Tagesspiegel il 4 agosto 2010 citando Eberhard Jüttner, l'allora presidente del Paritätischen Gesamtverband. Jüttner si riferisce alla situazione del personale infiermeristico: "Ogni anno molti infermieri qualificati lasciano la Germania per andare a lavorare in Scandinavia, in Austria o in Svizzera, causando una mancanza di infermieri in Germania...se ne vanno perché in questi paesi ricevono un riconoscimento maggiore e il carico di lavoro è inferiore".

La tanto lamentata mancanza di forza lavoro secondo Brenke, ricercatore del DIW, sarebbe piuttosto una mancanza di forza lavoro a buon mercato e flessibile, intercambiabile in ogni momento, dichiara nel 2012 in un'intervista. Per questa ragione i giovani ben formati ed istruiti provenienti dai paesi in crisi sono benvenuti: rispetto ai tedeschi sono disponibili a lavorare per un salario piu' basso e a condizioni peggiori. Cosi' le aziende tedesche non dovranno preoccuparsi troppo per le richieste di un salario minimo per tutti i settori e uguale fra est e ovest. Il governo federale puo' ignorare le critiche dell'ILO: gli stati della zona Euro hanno dato troppa enfasi al risanamento dei bilanci pubblici trascurando la componente sociale. Potrà invece mostrare in maniera paternalistica quello che ha da offrire a tutti coloro che soffrono per l'austerità imposta in Europa: una prospettiva di lavoro nella Repubblica Federale - soprattutto se giovani, ben istruiti, flessibili e disponibili ad essere sfruttati.

Le "buone condizioni" di cui parla Merkel, ad esempio per i lavoratori specializzati spagnoli, sono descritte in un reportage di Johannes Kulms sulla Deutschland Radio Kultur dell'11 aprile 2013. Viene presentato Sebastian Gonzales, uno dei 14 spagnoli che da febbraio vivono nella Turingia del sud e che lavorano per un periodo di prova di 6 mesi nell'industria o nella gastronomia. Il cosiddetto progetto Spagna è stato messo in piedi dalla Industrie - und Handelskammer di Suhl. "Il progetto prevede uno stipendio di almeno 1000 € lordi". Gonzales in Spagna prima della crisi guadagnava circa 4.000 € lordi, in Turingia guadagna circa 1400 € lordi mensili. Il suo nuovo capo nell'azienda della Turingia sembra generoso: "Lo abbiamo inquadrato come ogni altro nuovo arrivato. Con un salario lordo di 8.5 € per ora. E io credo che se farà bene potrà anche salire. Ma sicuramente non nei primi 6 mesi". Lo spagnolo sembra felice: "In Spagna è già qualcosa avere un lavoro. Di quanto si guadagna poi, neanche a parlarne. Ai miei ex colleghi di Barcellona nel giro di pochi anni è stato ridotto il salario del 25 %"

Nereida Ruiz, che come Gonzales è arrivata dalla Spagna fino in Turingia, lavora in un hotel nei pressi di Suhl. Dice: "Non sono certo l'unica spagnola ad essere andata in Germania. Trovo naturale che in una unione monetaria il paese piu' forte aiuti quello piu' debole. Chi dice che domani non possa accadere il contrario?". E cosi' sembra che tutti abbiano avuto qualcosa dalla crisi...



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sabato 1 giugno 2013

Merkel + Hollande = Schröder


Una interessante riflessione sul vertice franco-tedesco di Parigi arriva da Lost in Europe: non è solo la nascita di "Merkollande", ma la capitolazione dei socialisti francesi. Da Lost in Europe
Il presidente francese Hollande e la Cancelliera Merkel per la prima volta propongono un'iniziativa comune sull'UE. Chiedono un presidente dell'Eurogruppo a tempo pieno, un bilancio della zona Euro e perfino una procedura comune per la gestione delle crisi bancarie. E' il preludio al "Merkollande" - oppure solo una manovra elettorale?

Era trapelato già da qualche giorno: l'era glaciale fra Merkel e Hollande sta per terminare. Ha iniziato Hollande elogiando l'Agenda 2010, poi Merkel ha annunciato una iniziativa comune sul lavoro, pomposamente denominata "New Deal".

E ora dopo la visita della Cancelliera a Parigi è ufficiale: la coppia diseguale sostiene "congiuntamente un'Europa della stabilità e della crescita", cosi' è scritto sul sito della Cancelleria.

Il programma di azione concordato sembra essere coerente. Hollande ha potuto definire alcuni punti: ottiene il suo capo dell'Eurogruppo a tempo pieno, il suo Euro-budget, e uno strumento per la gestione delle crisi bancarie.

Anche Merkel puo' cantare vittoria: è riuscita ad ottenere dalla Francia un impegno verso un percorso di competività e stabilità. Anche il suo patto per la competitività, fallito in partenza, ora sembra tornare di nuovo possibile.

E' davvero l'inizio di "Merkollande", come ipotizzava qualche giorno fa "Le Monde"? Oppure solo una intelligente manovra da campagna elettorale, con cui Merkel vuole togliere il vento dalle vele della SPD?

Io credo sia prima di tutto una capitolazione dei socialisti francesi. Dovranno congedarsi dal loro programma elettorale e da ogni possibile alternativa ad "un'Europa tedesca" -  riducendo le possibilità di vittoria della SPD a Berlino.

Quello che sta attualmente emergendo non è un "Merkollande", piuttosto la rinascita a livello europeo dell'agenda politica Schroederiana. Sappiamo che cosa ha significato per i socialdemocratici tedeschi. La stessa minaccia incombe ora sui socialisti di Parigi.

I neoliberisti potranno essere felici, anche l'economia tedesca. La loro agenda è riuscita ad imporsi (Merkel e Hollande hanno perfino firmato un documento della lobby industriale franco-tedesca).

Non ci farà uscire dalla crisi, al contrario: anche in Germania l'Agenda 2010 in un primo momento ha aggravato la situazione. La Francia ora è minacciata da un destino simile a quello italiano, "risanata" attraverso una recessione.

Cio' di cui abbiamo veramente bisogno non è uno Schröder II, ma uno Schmidt europeo o  un nuovo Delors. Ma non è in vista né a Parigi, né a Berlino, a Bruxelles neanche a parlarne...


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giovedì 30 maggio 2013

L'Euro è eterno, finché dura


Wall Street Journal Deutschland propone un paragone fra i tempi della crisi argentina, e quelli della crisi Euro. La fine della moneta unica potrebbe essere improvvisa. Da wallstreetjournal.de
La disoccupazione in Spagna è al 27%. I giovani irlandesi e portoghesi fuggono dai loro paesi, e un greco su quattro fatica a trovare il denaro per comprare il cibo.

Nonostante la prospettiva cupa, in Europa non esiste alcun piano d'emergenza per dare a queste persone un lavoro. I paesi del sud Europa dovranno tagliare ancora la spesa pubblica, ridurre i salari e i prezzi, fino a quando non torneranno ad essere competitivi. Secondo uno studio di Goldman Sachs, se gestita in questo modo, la crisi potrebbe durare altri 10 anni.

La domanda sorge spontanea: si arriverà ad un momento in cui gli europei ne avranno abbastanza?

Fino ad ora ci sono state molte proteste contro l'austerità, ma nessun paese ha lasciato l'unione monetaria. Molti sono delusi dal progetto Euro, eppure ancora oggi il 60 % dei greci, degli spagnoli, degli italiani e dei francesi vogliono tenere in vita la moneta unica, secondo un recente studio di Pew Research Center.

Chi l'anno scorso si aspettava che la Grecia avrebbe lasciato l'unione monetaria, ha sottovalututo il livello di sopportazione degli europei verso questo tipo di sofferenza. Ma prima o poi la pazienza finirà.

"Le tremende conseguenze prospettate in caso di uscita dall'Euro, fino ad ora hanno avuto un ruolo importante nello scongiurare un tale passo", dice Simon Tilford, capo economista del Center for European Reform, un Think-thank di Londra. Ma quando la gente inizierà davvero a credere che alla fine del tunnel non c'è luce, allora partirà un dibattito aperto sui pro e i contro dell'adesione all'unione monetaria, ci dice. "Non appena questo dibattito sarà avviato, le cose si muoveranno in maniera molto rapida".

Non sarebbe la prima volta che succede qualcosa del genere. Come i membri dell'Eurozona, anche l'Argentina negli anni novanta ha perso il controllo sulla propria valuta, agganciandola al dollaro con il cambio uno ad uno. In questo modo l'inflazione è stata domata, ma gli argentini si sono indebitati cosi' tanto in dollari, che i salari e i costi aziendali sono cresciuti massicciamente. Il paese ha perso la propria competitività - come oggi una larga parte del sud Europa - senza che la valuta potesse essere svalutata, in modo da rendere i prodotti argentini nuovamente attraenti verso l'estero.

Si diceva che gli argentini avrebbero accettato questa situazione fino al momento in cui non si sarebbe completato l'aggiustamento dei prezzi e dei salari. Secondo l'opinione comune gli argentini sarebbero stati pronti a sopportare la recessione per tutto il tempo necessario, se in cambio avessero potuto mantenere l'aggancio con il dollaro lasciandosi alle spalle i tassi di inflazione a doppia cifra. "Una svalutazione per gli argentini non è una opzione", ripeteva allora un'economista della banca mondiale. "Il prezzo sarebbe troppo alto".

Di fatto l'Argentina aveva una propria valuta, a cui in ogni momento poteva tornare. Abbandonare la parità tuttavia sembrava troppo doloroso: la maggior parte dei crediti e dei contratti nel frattempo erano stati definiti in dollari. Dopo 3 anni di recessione gli argentini decisero che anche il ritorno ad ad un Peso indipendente non sarebbe stato peggiore del prezzo da pagare per mantenere la parità con il dollaro.

Nel dicembre del 2001 il ceto medio di Buenos Aires scendeva per le strade. I disordini in tutte le città costringono il governo alle dimissioni. Poco dopo il paese sospendeva il rimborso del debito e il Peso perdeva la parità con il dollaro.

La situazione attuale nel sud Europa è paragonabile? L'economia argentina nei tre anni delle proteste si era contratta dell'8%. Alla fine del 2013 l'economia italiana e portoghese saranno scese dell'8% dal loro livello massimo, e la Grecia di oltre il 23%, secondo i dati del FMI.

I politici europei che fanno un eccessivo affidamento sulla popolarità dell'Euro, dovrebbero riflettere sul fatto che gli argentini hanno sostenuto la parità con il dollaro - fino al momento in cui la situazione si è capovolta.

In un sondaggio del dicembre 2001 - quando iniziarono le agitazioni in Argentina - solo il 14% degli intervistati pensava che qualcosa dovesse cambiare nell'aggancio monetario. Il 62 % diceva di voler mantenere la parità con il dollaro. Gli spagnoli e i greci oggi ripetono all'incirca nella stessa percentuale di voler mantenere l'Euro.

L'Argentina non è un modello per l'Europa, ma un avvertimento. Alla fine del 2001 il Ministro dell'economia argentina ripeteva che l'aggancio al dollaro è "un'istituzione duratura", il cui collasso "potrebbe destabilizzare l'economia e l'intera società". Un mese dopo il Peso era nuovamente libero di fluttuare.

Chiunque creda che non c'è piu' il rischio che un paese lasci l'Eurozona, dovrebbe pensare che un regime monetario è considerato sacro - fino al momento in cui non viene spazzato via.


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mercoledì 29 maggio 2013

Quello che "Alternative für Deutschland" non puo' dire


Il grande economista tedesco Heiner Flassbeck, dalle pagine del suo blog, analizza le posizioni di Bernd Lucke, leader di "Alternative für Deutschland". Gli eurocritici non avranno il coraggio di raccontare ai tedeschi tutta la verità. Da flassbeck-economics.de
FAZ.net ha recentemente pubblicato un dibattito sugli sviluppi dell'unione monetaria fra Bernd Lucke, leader di „Alter­na­tive für Deutsch­land“, e Den­nis Sno­wer, presidente dell'Insti­tuts für Welt­wirt­schaft di Kiel. Entrambi gli economisti sono unanimi nella descrizione delle ragioni della crisi: mancanza di competitività del sud-Europa causata da salari troppo alti in rapporto alla produttività. Tuttavia, quando si parla delle soluzioni per risolvere la crisi, i due incarnano posizioni opposte. Uno vorrebbe che gli europei del sud lasciassero l'unione monetaria, l'altro invece vorrebbe trattenere tutti i membri, e introdurre delle regole di bilancio flessibili.

Dal nostro punto di vista è molto piu' interessante quello che i due oratori non hanno detto, e quello che anche il moderatore della FAZ non ha avuto il coraggio di chiedere. Da un lato, la domanda fondamentale dovrebbe essere: qual'è il rapporto ideale fra salari e produttività all'interno di una unione monetaria? Dall'altro: quali conseguenze avrebbero per la Germania le soluzioni proposte?

Alla prima domanda i nostri lettori potrebbero rispondere con sicurezza: i salari nominali in ogni paese, fin dall'ingresso nell'Euro, sarebbero dovuti crescere quanto la produttività nazionale sommata al tasso di inflazione obiettivo fissato dalla BCE. I valori delle diverse valute, nel momento in cui sono confluite nell'Euro, dovevano corrispondere all'incirca alla parità di potere di acquisto, visto che prima del 1999 non vi sono stati grandi e duraturi squilibri delle partite correnti. Del resto non vi è alcuna prova del fatto che all'inizio dell'unione monetaria potesse esserci una evidente disparità di competitività fra i paesi Euro.

Che a partire dal 1999, non solo nell'Europa del sud, ma anche in Germania, i salari non siano cresciuti in base a questa regola, è empiricamente documentato. Probabilmente è un fatto cosi' spiacevole che si preferisce parlare solo di un lato della medaglia della competitività. E cioe', il superamento verso l'alto di questa regola da parte dei sud europei, mentre si preferisce tacere la ben maggiore deviazione verso il basso operata dai tedeschi. Bernd Lucke è chiaramente incoerente quando afferma che nell'Europa del sud i salari sono cresciuti del 30 o 50 % di troppo, ma preferisce non parlare di quanto è accaduto sull'altro lato. Nella zona Euro i prezzi sono cresciuti esattamente secondo l'obiettivo fissato dalla BCE, vale a dire il 2%. Ma se in un gruppo di paesi i salari sono cresciuti troppo in rapporto alla produttività, in un altro paese o in un altro insieme di paesi, sono rimasti troppo bassi, altrimenti la media non potrebbe corrispondere. A questa incoerenza di fondo si adatta molto bene anche la proposta fatta da Bernd Lucke:  l'uscita dalla moneta unica dei paesi del sud Europa. Di una uscita della Germania pero' non vuole saperne, per questa ragione: "sarebbe molto meglio...perché i paesi del sud avrebbero la possibilità di svalutare, fatto che darebbe loro la possibilità di tornare competitivi".

Dennis Snower, in qualità di rappresentante di un istituto di ricerca in cui da decenni si porta avanti il pensiero main-stream neoclassico, si trova in difficoltà. Non puo' parlare degli errori della politica di moderazione salariale tedesca, perché è la politica da sempre consigliata dal suo istituto contro la disoccupazione. Deve necessariamente tacere l'altro lato della medaglia. Non puo' criticare l'assurdità della tesi di Bernd Lucke: l'uscita dei sud-europei dall'unione monetaria sarebbe meglio di un'uscita della Germania, poiché i sud-europei potrebbero svalutare. Che questa sia una stupidaggine è abbastanza chiaro. Non importa chi sarà ad uscire, la svalutazione di una (nuova) valuta, corrisponde alla rivalutazione dell'altra (nuova) valuta. Ma di questa situazione speculare Den­nis Sno­wer preferisce non parlare. Se lo avesse fatto probabilmente avrebbe dovuto necessariamente parlare della specularità della competitività. E questo ferro caldo preferisce non prenderlo nemmeno in mano.

Che cosa rispondere? Dennnis Snower si allontana, per quanto possibile, dal pericoloso scoglio dei prezzi ("La competitività di un paese non dipende dai suoi valori monetari"). E' un argomento pericoloso, in quanto contiene il tema dei costi e dei salari, che è proprio quello da evitare. Al suo posto preferisce parlare dei buoni e vecchi vantaggi comparati, che un paese deve sviluppare per mantenere la sua competitività nel commercio internazionale. E poiché i sud-europei non avrebbero piu' questi vantaggi, dovrebbero costruirsi una nuova struttura produttiva con l'aiuto dei beni strumentali stranieri (nel dubbio, probabilmente tedeschi). Che in caso di una svalutazione non sarebbero piu' in grado di procurarsi, perché un'uscita dall'Euro non sarebbe una buona soluzione per la loro competitività.

Che cosa di puo' dire di questo? Se il commercio internazionale fosse basato essenzialmente sui vantaggi comparati, come ipotizzato da Snower, chi non ha da offrire alcun vantaggio comparato in un commercio mondiale dominato da vantaggi comparati, sarebbe costretto ad uscire dal commercio internazionale?

Ancora una volta è chiaro che la teoria dei vantaggi comparati è del tutto insufficiente a spiegare la realtà. Non è possibile spiegare duraturi squilibri commerciali pari al 5% del PIL,  senza parlare del diverso livello dei prezzi nazionali, e dei valori monetari. Il tentativo di giustificare la permanenza nell'Euro dei paesi del sud con la possibilità di acquistare beni di investimento stranieri è completamente inutile. Tanto piu' che ha ragione Snower, quando sostiene che uno scioglimento della zona Euro nelle modalità proposte da Bernd Lucke, sarebbe associato con gravi problemi economici e politici.

Totalmente inutile è anche il silenzio e le due parole ("Ja, ganz klar") con cui Dennis Snower risponde alla domanda di Lucke: "l'etica del lavoro nel sud Europa è peggiore di quella tedesca?" Avrebbe dovuto dargli la risposta che si meritava, e questo è stato un errore imperdonabile. Perché se non si è in grado di mettere in campo un ragionamento pro-Euro, bisognerebbe almeno opporsi a questi arroganti pregiudizi. Inoltre, anche se questi pregiudizi fossero veri, non sarebbero sostenuti da alcuna logica. Come già detto, i cambi fissati all'avvio della moneta unica, garantivano che i differenziali di produttività, che potrebbero essere basati anche su differenze di mentalità, all'inizio dell'unione monetaria fossero in equilibrio. E lo stesso Bernd Lucke non sarebbe in grado di sostenere che l'etica del lavoro dei sud europei negli ultimi 10 anni è crollata, rispetto a quella del decennio precedente. Chi vuole salvare l'Euro con l'argomento del "manteniamo l'armonia in Europa", e non riesce nemmeno a trovare le parole per difendere i nostri vicini, non dovrebbe partecipare a una tale discussione. Oppure è legittimo il sospetto: non sta argomentando per un suo profondo convincimento europeista, piuttosto in qualità di rappresentante dell'economia dell'export tedesca, che sa molto bene, quale sarebbe la minaccia, se l'Euro si dissolvesse.

Ma ora una seconda domanda: che cosa significherebbe un'uscita del sud Europa dall'Euro per la Germania? E' possibile che Bernd Lucke non abbia alcuna idea di quello che potrebbe accadere in Germania, oppure lo sa e preferisce tacere. 

Chi voterebbe AfD, se egli dicesse che grazie ad un probabile forte apprezzamento del nuovo Euro nord, l'economia dell'export tedesca in poco tempo perderebbe una parte importante della propria competitività? E non solo nei confronti del sud-Europa, ma nei confronti di tutto il resto del mondo. Allora in un colpo solo sparirebbe il paravento dei deficit commerciali del sud Europa, che garantiscono alla Germania un gigantesco avanzo commerciale.

Chi voterebbe la AfD, se descrivesse i problemi occupazionali che emergerebbero non appena il sovradimensionato settore dell'export tedesco iniziasse a contrarsi? E allora arriverebbe la reazione degli economisti neoliberali tedeschi, che chiederebbero alla politica salariale tedesca di stringere ancora la cinghia. E Bernd Lucke difficilmente potrebbe uscire da questa logica, che oggi usa nei confronti del sud Europa. Soprattutto perché egli non conosce nessun'altra ricetta, diversa dalla lotta del "tutti contro tutti", che invece lui considera come concorrenza produttiva.

Chi voterebbe la AfD se egli ammettesse che anche il valore delle attività tedesche detenute all'estero, in caso di una uscita del sud Europa, verrebbe messo in questione, e quindi anche la stabilità delle banche e delle assicurazioni tedesche? E allora la frase usata da Lucke "La sola cosa che ha effetto sulla politica, è la disciplina del mercato dei capitali e i tassi di interesse", copiata da  Hans Tiet­meyer, potrebbe creargli qualche problema.

Lo abbiamo già detto: AfD con il suo slogan "Deutsch­land braucht den Euro nicht" inganna i cittadini. Nessun paese ha piu' bisogno dell'Euro della Germania. E se questo non viene compreso nel nostro paese, presto la Germania avrà una brutta sorpresa. I presunti difensori dell'Euro, che oltre alla minaccia del temuto disastro politico non sanno o non vogliono dare nessun'altra argomentazione a favore della moneta unica, e meno che mai sono capaci di sviluppare una seria strategia per la soluzione, fanno all'Euro un pessimo servizio. E anche loro possono essere accusati di non dire le cose come stanno veramente.  Ogni giorno è sempre piu' chiaro che anche noi tedeschi non potremo uscire dalla crisi  indenni - con o senza l'Euro. Nel continuo scarica barile europeo sulle colpe della crisi, ad avvantaggiarsi saranno soprattutto le forze nazionaliste e radicali. Povera europa!


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