mercoledì 12 dicembre 2018

Die Welt: un affronto ai giudici di Karlsruhe

La Corte di Giustizia europea ieri si è pronunciata in favore del QE della BCE e ne ha ribadito la piena legittimità, in netto contrasto con la posizione della corte costituzionale tedesca di Karlsruhe che nell'estate del 2017 aveva espresso dei forti dubbi sulla liceità dell'acquisto di titoli da parte della BCE. Per Die Welt si tratterebbe di un affronto ai giudici supremi tedeschi di Karlsruhe. Ne parlano Anja Ettel e Holger Zschäpitz su Die Welt


2,1 trilioni di euro. E' la cifra che la Banca centrale europea (BCE) ha investito per comprare i titoli di stato europei sin dal lancio del suo controverso programma di acquisto di obbligazioni. La domanda che da allora smuove le menti delle persone, specialmente in Germania, è se la BCE si sia spinta troppo oltre. Ha superato il suo mandato violando il divieto di finanziare gli stati? 

La risposta dei giudici della Corte di giustizia europea (CGE) su questo punto è molto chiara. No, dicono i migliori giuristi in Europa, seguendo la raccomandazione dell'avvocato generale della Corte, il belga Melchior Wathelet. 

"Il programma di QE della BCE è conforme alla legge", scrive in un punto centrale della sentenza la Corte di giustizia europea. La BCE, con l'avvio del cosiddetto Quantitative Easing (QE) non ha né superato il proprio mandato, né violato il divieto di finanziamento statale. 

Ancora una volta i giudici di massimo livello si sono allineati alla posizione dell'avvocato generale della CGCE, il quale in ottobre aveva già dettagliatamente spiegato perché il programma di QE a suo avviso era legale. 

Sconfitta per l'euroscettico Bernd Lucke 

L'inequivocabile verdetto è una sconfitta per la cerchia di eurodeputati vicini al fondatore di AfD, Bernd Lucke, che nel 2015 aveva presentato presso la Corte costituzionale federale di Karlsruhe un ricorso contro il programma di QE. Sebbene i giudici di Karlsruhe nella motivazione della loro sentenza avessero sollevato dei forti dubbi sulla legittimità degli acquisti da parte della BCE, avevano voluto reindirizzare il caso alle loro controparti di Strasburgo. 

A differenza dei giudici di Karlsruhe, la Corte di giustizia non ha alcun dubbio sul programma di QE. Questo conferisce alla BCE una licenza quasi illimitata per inserire in maniera permanente fra i propri strumenti l'acquisto in grandi volumi di obbligazioni. 

"È una valutazione molto generosa di ciò che la BCE è autorizzata a fare", si lamenta il professore di finanza e avvocato di Berlino Markus Kerber, uno dei querelanti. "Stiamo spianando la strada a un'istituzione senza limiti". 

Il verdetto tuttavia giunge in un momento in cui la BCE effettivamente ha quasi terminato il suo programma. Dalla fine dell'anno, infatti, non dovrebbero esserci più acquisti di obbligazioni. Attualmente, le autorità monetarie continuano ad acquistare titoli per un volume pari a 15 miliardi di euro al mese. 

Tuttavia, anche a gennaio la vera fine del QE sarà ancora lontana. La BCE continuerà infatti a sostituire i titoli in scadenza. Per quale importo e fino a quando, il presidente della BCE Mario Draghi ancora non lo ha deciso. 

Il verdetto è un affronto a Karlsruhe 

Tenendo in considerazione la durata del programma attuale, il verdetto è arrivato molto in ritardo. Il lodo giudiziario di Strasburgo, tuttavia, sarà di massima rilevanza per la futura politica monetaria. Al più tardi quando si presenterà la prossima recessione e si tornerà a sollevare la necessità di un allentamento monetario, il QE potrebbe essere rapidamente riattivato. 

E anche se non dovesse trattarsi di rilanciare il programma, sarà di grande importanza per affrontare la pesante eredità accumulata finora nei libri della BCE. Alla luce della sentenza della Corte di giustizia, le autorità monetarie dell'eurozona potranno infatti adottare un approccio rilassato per ridurre i titoli di Stato presenti nei loro bilanci. Nessuno li esorterà, almeno per quanto riguarda i più alti giudici d'Europa, a fare in fretta. Al contrario, nella sentenza della Corte di Giustizia si afferma esplicitamente che le autorità monetarie sono autorizzate a detenere i titoli di Stato fino a scadenza e che questo è completamente privo di problemi. 

Il verdetto è anche un chiaro affronto ai giudici di Karlsruhe. Nell'estate del 2017, questi avevano infatti espresso delle forti riserve sul programma di QE e si erano chiesti se gli acquisti di titoli di Stato su larga scala fossero ancora di competenza della banca centrale. 

I giudici di Karlsruhe avevano individuato dei "motivi importanti" secondo i quali il divieto di finanziamento degli stati sarebbe stato violato e per questa ragione si erano rivolti alla Corte di giustizia. In una precedente sentenza, i giudici di Karlsruhe avevano anche osservato che solo in caso di assoluta emergenza le autorità monetarie sono autorizzate a detenere le obbligazioni fino alla scadenza del titolo. "È una provocazione nei confronti della Corte costituzionale federale", afferma Kerber. 

Oltre a Kerber e Lucke, al ricorso presso la corte costituzionale tedesca avevano presto parte anche il politico della CSU Peter Gauweiler e l'imprenditore Patrick Adenauer.
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martedì 11 dicembre 2018

Die Welt: brutte notizie per la Germania, ora dovrà gestire un'altra Italia

Per il prestigioso quotidiano di Amburgo il discorso di Macron di lunedi' sera segna il definitivo spostamento dell'equilibrio interno all'unione monetaria in favore del Club Med (Spagna e Italia). L'uomo di Berlino a Parigi, il giovane Macron, ha deluso le aspettative dei neoliberisti tedeschi, come era accaduto con Renzi in Italia, e ora i tedeschi dovranno capire come sarà possibile gestire un'altra Italia nella stessa unione monetaria. Ne scrive su Die Welt Olaf Gersemann, responsabile sezione economia nonché commentatore di spicco.


In Germania, il salario minimo legale è di 8,84 euro all'ora. E i malumori per il passaggio a fine anno a 9,19 euro sono relativamente pochi - dopotutto il paese si sta dirigendo verso la piena occupazione, almeno fino a quando l'attuale fase di crescita non porterà ad una recessione.

In Francia il salario minimo legale è molto più alto, 9,88 euro l'ora, e anche la disoccupazione è molto più alta - nel confronto europeo la Francia è al quarto posto, solo Grecia, Italia e Spagna riescono a fare peggio.

Se all'Eliseo ci fosse un riformatore con qualche ambizione, saprebbe cosa fare: assicurarsi che il salario minimo aumenti solo modestamente o, nel migliore dei casi, per niente. Non sarebbe una condizione sufficiente, ma comunque necessaria affinché la disoccupazione possa almeno iniziare a scendere in maniera simile a quanto accade su questa sponda del Reno.

Emmanuel Macron tira fuori le pistole. Per settimane, i giubbotti gialli hanno imperversato in Francia, lunedì sera, il presidente francese ha risposto con un discorso televisivo. Quella sarebbe stata l'occasione per contrastarne gli eccessi. Quella era l'occasione giusta per passare all'offensiva, per proporre la visione di una Francia prospera che richiede anche dei sacrifici da parte dei suoi cittadini sulla strada necessaria per raggiungere l'obiettivo.

Macron non solo ha perso un'opportunità. Ma ha legittimato le rivolte ex-post proclamando lo "stato di emergenza economica e sociale" e strisciando incontro alla folla che incendia le auto di piccola cilindrata.

Aumento del minimo salariale di quasi il sette per cento

La più simbolica delle sue concessioni: il salario minimo dovrebbe salire di 100 € al mese. Cioè, in un colpo solo, un aumento pari a tutti gli aumenti degli ultimi sei anni messi insieme. Il salario minimo salirà di quasi il sette percento, a 10,54 euro all'ora.

Che la disoccupazione in seguito a questo aumento rischia di crescere ancora, lo sa bene anche Macron. Ecco perché dovrebbe essere lo stato a pagare i 100 euro. Tra le altre cose, è disposto anche ad accettare il superamento da parte della Francia del limite di deficit del 3% in rapporto al PIL fissato dai criteri di Maastricht; Parigi nel 2017, per la prima volta a partire dal 2007, aveva rispettato il criterio unicamente grazie alla politica dei tassi a zero della BCE. Devi essere davvero cinico allora, se pensavi di rimettere in questo modo la Francia "En Marche" - in movimento.

La speranza è sempre stata quella che Macron potesse trasformarsi nel Gerhard Schröder francese: un uomo che, se necessario, avrebbe messo in pericolo il suo mandato pur di riuscire a fare la giusta politica economica. Invece Macron si è fatto piccolo ed è diventato la versione francese di Matteo Renzi. Il primo ministro italiano è stato presidente del consiglio dal 2014 al 2016, anche lui era di bell'aspetto, giovane e dinamico, e a suo tempo prometteva le stesse cose di Macron: formule magiche senza effetti collaterali.

Alla fine l'Italia, lungo la strada che porta alla bancarotta dello stato, ha perso solo del tempo prezioso. Ad avvantaggiarsene politicamente sono stati i ciarlatani dell'estrema destra e dell'estrema sinistra che ora a Roma dirigono le operazioni.

Brutte notizie per la Germania

La Francia, un paese che in realtà avrebbe ancora il potenziale economico per contendere alla Germania il primo posto in Europa, ora rischia di inciampare dietro all'Italia lungo la strada che porta in terza divisione. Difficilmente potrà permettersi un altro presidente conciliante: la lenta e strisciante caduta del paese, a partire dalla crisi finanziaria ha subito un'accelerazione e ora rischia di trasformarsi in una retrocessione permanente.

Per la Germania si tratta di una brutta notizia. Economicamente. Ma anche politicamente. Già al culmine della crisi dell'euro, in considerazione del suo peso economico, è sempre dipeso tutto dalla Francia: se Parigi sta dalla parte di Berlino, si può evitare che l'unione monetaria finisca sotto l'influenza del Club Med informale guidato da Italia e Spagna e scivoli nell'unione di trasferimento. D'altra parte, se Parigi si mette dalla parte di Italia e Spagna - o se rimane neutrale - allora l'intera costruzione si ribalta.

Per 15 mesi la Berlino politica si è occupata maniacalmente del modo in cui si poteva rispondere alle proposte di riforma dell'euro e dell'Europa, presentate da Macron nel settembre 2017 subito dopo le elezioni tedesche in occasione del discorso alla Sorbonnne di Parigi. Proposte che fondamentalmente mirano a spillare il denaro e la sovranità dei contribuenti tedeschi.

Memori della performance di Macron nella disputa sui gilet gialli, ora a Berlino ci si potrà occupare con fiducia di altre cose. Cose più urgenti. La questione consiste esattamente nel modo in cui si dovrà gestire una situazione in cui la Germania all'interno dell'Unione monetaria e nell'UE, non avrà piu' a che fare con una sola Italia. Ma con due.


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Perchè il Migration Compact è un preciso impegno politico

Per il grande giurista tedesco Reinhard Merkel il Migration compact è un preciso impegno politico che non puo' essere accettato solo in virtù del fatto che non sarà vincolante. Al contrario, in uno stato di diritto il Migration compact, con i suoi oltre 90 "ci impegniamo" nascosti qua e là nel testo diventerà un punto di riferimento per l'interpretazione del diritto nazionale e internazionale. Fra i 180 stati firmatari, 100 sono stati canaglia, il resto sono paesi di partenza e qualche democrazia costituzionale con sempre piu' dubbi sulla reale portata del documento. La conclusione dell'insigne giurista: meglio starne alla larga. Da deutschlandfunk (radio pubblica).


Münchenberg: ...perché è così critico nei confronti del Migration Compact, in fondo per gli stati nazionali non dovrebbe rappresentare un impegno legalmente vincolante?

Reinhard Merkel: avrà delle conseguenze legali sostanziali. E questo solo per quanto riguarda la questione della natura vincolante o meno del patto e delle sue conseguenze, senza considerare la questione del suo contenuto. Anch'io ho delle obiezioni nei confronti dei contenuti, ma per quanto riguarda il carattere giuridico non vincolante del documento, la posizione del nostro governo federale in questo senso è doppiamente singolare.

Se ritieni che il contenuto del testo sia buono, allora puoi solo deplorare il fatto che non sia legalmente vincolante, e non devi quindi utilizzare questa argomentazione come una giustificazione per sottoscrivere il patto. E inoltre, in considerazione degli effetti giuridici che il patto avrà, semplicemente non è giusto dire o suggerire che dal punto di vista legale sarà privo di conseguenze. Non avrà effetti giuridici diretti, ma avrà conseguenze sostanziali.

Münchenberg: può spiegarcelo di nuovo? Secondo lei, quali saranno gli effetti giuridicamente vincolanti?

Merkel: nel testo ci sono circa 90 - in effetti ce ne sono più di 100 - singoli accordi nei quali è scritto testualmente "ci impegniamo". Questo è un obbligo politico e non un obbligo giuridicamente vincolante. Ma nell'interpretazione delle norme giuridiche, sia nel diritto internazionale che nel diritto nazionale, e nelle questioni relative alla migrazione, il patto non potrà e non dovrà essere ignorato.

Münchenberg: cosa significa esattamente?

Merkel: significa che in un procedimento giudiziario senza troppi problemi il tribunale potrà fare riferimento al fatto che nel Patto ci sono determinati elementi. Come ad esempio quello di evitare, ove possibile, di effettuare respingimenti, o escludere laddove possibile qualsiasi forma di detenzione ecc. Tutto ciò senza dubbio nel nostro ordinamento giuridico interno non ci lascia insensibili.

A cio' si aggiunge: il diritto internazionale in quanto consuetudine nasce sempre dai legami politici fra gli stati. Cioè, se fra cinque anni torneremo a parlare di nuovo di questo patto, avremo molte decisioni a livello internazionale e nazionale, in cui per interpretare delle norme giuridiche si sarà fatto ricorso al patto.

Münchenberg: Herr Merkel, dall'altro lato, nel Patto è scritto espressamente - e lo cito ancora: "Il patto protegge la sovranità degli Stati”, si tratta di un "quadro per la cooperazione giuridicamente non vincolante". Del fatto che vengano create nuovi regolamenti con valenza di legge, anche a medio termine, non se ne parla affatto.

Merkel: ma è una considerazione errata. Si tratta di un impegno politico sostanziale. Il governo federale sostiene che il testo non ci impegna dal punto di vista legale, anche se poi vi è scritto per ben 90 volte: ci impegniamo politicamente. Uno stato di diritto come la Repubblica federale, sia nella propria attività di governo che a livello di sistema giudiziario, semplicemente non può fare affidamento sul fatto che il testo sia completamente non vincolante. E ora arrivo al punto decisivo su questo tema: certo, il Marocco o la Somalia o l'Afghanistan possono tirarsi indietro molto più facilmente e sostenere che il testo non è legalmente vincolante, rispetto a quanto possa fare uno stato costituzionale come la Repubblica federale. Ancora una volta: il diritto internazionale come consuetudine emerge in questo modo e ciò che avrà immediatamente degli effetti giuridici sarà il fatto che gli accordi saranno utilizzati dai tribunali come criterio di interpretazione. Francamente, non è possibile contestare questo punto in maniera ragionevole.

Münchenberg: dall'altro lato, ci sono già delle normative molto specifiche in Europa, e anche in Germania. Le leggi sulla migrazione sono già molto precise.

Merkel: Giusto! In questo patto ci sono anche nuove e importanti regole che sono giuste e che meritano di essere sostenute. Se mi chiedete cosa ho da dire, quello che vorrei suggerire in questo momento in merito al Patto, sarebbe di accettare il trattato ma di farlo con una una serie di riserve sostanziali, che su tali accordi nell'ambito del diritto internazionale devono sempre esserci. Sono anche abbastanza sicuro che a Marrakech un certo numero di stati lo farà.

Münchenberg: lei andrebbe così lontano fino a dire che la comunità internazionale avrebbe fatto meglio a rinunciare a questo patto?

Merkel: No, non direi che è cosi'. Ma il patto in tutti i suoi elementi ha un principio sottostante, che è quello formulato sin dall'inizio e cioè che la migrazione regolare è una benedizione per tutta l'umanità, per i paesi di origine, per i paesi di transito e per i paesi di destinazione. E questo anche in una prospettiva economica che tiene conto della migrazione di massa degli ultimi anni e dei prossimi anni e decenni è decisamente ingenuo. E’ semplicemente sbagliato sostenere che si tratti sempre e comunque di una benedizione per il mondo intero.

Münchenberg: Herr Merkel, c'è ancora una differenza. C'è anche il Patto per i rifugiati, che si occupa specificamente dei rifugiati. Anche l'ONU sa differenziare molto bene.

Merkel: giusto e bisogna anche differenziare. Siamo obbligati ad accettare i veri rifugiati ai sensi della Convenzione sui rifugiati di Ginevra. E questo non dovrà essere in alcun modo cambiato. La Convenzione si occupa dei perseguitati politici, mentre i regolamenti europei che già abbiamo, si riferiscono ai rifugiati di guerra e quelli di guerra civile. Tali persone da noi devono essere accolte.

Sto solo parlando dei migranti, a cui il Patto si riferisce. E' già il caso attuale e nei prossimi anni lo sarà per la stragrande maggioranza dei migranti poveri, tante persone con basse qualifiche. Un'alta percentuale di queste persone non sarà integrabile nell'economia, almeno non nel breve e medio termine. E poi dire semplicemente che queste persone rappresentano un vantaggio per l'economia e una benedizione per il mondo intero - ripetendolo piu' volte nel testo - è semplicemente fuorviante.

Münchenberg: Herr Merkel, se guardiamo a chi ha respinto questo patto - cioè l'Ungheria, i nazionalisti fiamminghi, o AfD in Germania, o i populisti di destra austriaci della FPÖ - politicamente parlando un raggruppamento che guarda a determinati temi in maniera unilaterale.

Merkel: cosa dovrei dire? Non ho alcuna affinità con tali orientamenti politici. Parlo da scienziato del diritto: ho letto il patto riga per riga. Non posso commentare ulteriormente, a parte dire una cosa, ci sono stati ovviamente anche degli errori di comunicazione. Avrebbero dovuto dire fin dall'inizio che nel Patto ci sono anche degli elementi problematici e che ne stiamo ancora discutendo; come l'elogio di ogni forma di migrazione di massa, che io considero sbagliata. E poi la grossolana unilateralità nel patto. A un certo punto nel testo è scritto che ci impegniamo a combattere e perseguire il razzismo, l'intolleranza e altre due o tre cose.

Il lettore annuisce immediatamente con la testa. Ma poi il testo dice: "Solo ai migranti". L'asimmetria espressa è profondamente ingiusta. Il fenomeno dell'intolleranza e del razzismo esiste anche da parte dei migranti nei confronti della popolazione locale. Il fatto che tali temi non siano nemmeno menzionati caratterizza questo patto come unilaterale, e il fatto che canti la canzoncina della migrazione, è profondamente ingenuo.

Münchenberg: non c'è stato abbastanza dibattito pubblico?

Merkel: Sì! Questa non è solo un'accusa da fare al governo federale. Il dibattito pubblico avrebbe dovuto essere accolto con piu' convinzione dai media, con piu' forza e con piu tempo. Ma i partiti di governo hanno già commesso l'errore di trasformare il tema in un argomento per una discussione superficiale al Bundestag, sarebbe invece dovuto diventare l'argomento dominante, se non l'unico, di un dibattito parlamentare su larga scala. Questo patto influenzerà politicamente e sostanzialmente uno dei temi piu' importanti per il futuro di questo paese. Si tratta di un tema genuinamente parlamentare. A tale proposito, francamente, ho trovato vergognoso che sia stata proprio AfD a costringere il Parlamento ad affrontare il tema in questa modalità. Non è un elogio per AfD, ma un rimprovero per gli altri partiti.

Münchenberg: dall'altro lato la domanda sorge spontanea : se così tanti paesi continuano a sostenere questo patto, sono tutti ingenui?

Merkel: le dirò una cosa. 100 dei 180 stati che lo sostengono sono degli stati canaglia, secondo i nostri criteri, sono stati non democratici. Se ne fregheranno altamente del patto, per quanto il patto li metta a dura prova. Molti altri paesi sono paesi di partenza, e dicono: può essere abbastanza buono per noi, se dovesse essere il contrario, lo ignoriamo. Il piccolo gruppo di stati realmente e veramente costituzionali ha un livello considerevole di scetticismo.

Ci sono anche altri paesi, ne sono abbastanza sicuro - conto sull'Olanda e la Danimarca, per quanto stiano acclamando il testo - faranno delle riserve e tra poche settimane, dopo la firma di Marrakesch, il patto sarà sottoposto al voto dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite come risoluzione e in quell'occasione ci saranno molte altre riserve. Ciò nel diritto internazionale è possibile, e viene praticato da sempre. Penso che anche il governo federale dovrebbe farlo.
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lunedì 10 dicembre 2018

Lafontaine: l'elezione di AKK è il proseguimento del merkelismo con un altro volto

Oskar Lafontaine si rallegra per la mancata elezione di Friedrich Merz alla presidenza della CDU e avverte: l'elezione di Annegret Kramp-Karrenbauer rappresenta il proseguimento del merkelismo, con un altro volto. Oskar Lafontaine dal suo profilo FB.



È positivo che il lobbista degli squali finanziari, Friedrich Merz, non sia stato eletto. La sua "Agenda per le persone laboriose" non era un programma per i molti che lavorano nel settore a basso salario, nelle costruzioni, nei macelli, nella raccolta degli asparagi, nella pulizia degli esercizi commerciali, o nella consegna dei pacchi, da Amazon, ecc. Chi, come Merz, è contrario ad un salario minimo decente, sostiene Hartz IV e consiglia alle persone povere di fare previdenza sociale investendo in azioni, non conosce le preoccupazioni e le difficoltà di queste persone realmente laboriose.

Annegret Kramp-Karrenbauer rappresenta la continuazione della politica di Angela Merkel. La politica di Merkel viene considerata dal mainstream giornalistico come la "socialdemocratizzazione della CDU". E' evidente: i commentatori sono vittime della loro stessa propaganda, altrimenti non scriverebbero tali assurdità. In effetti, a parte la Linke, tutti i partiti negli ultimi anni sono diventati neoliberisti. La CDU ha perso la sua corrente sociale e la SPD per questa ragione sta morendo.



Fare politica socialdemocratica un tempo significava: costruire, non smantellare lo stato sociale


Mentre Schröder si inchinava davanti alle associazioni dei datori di lavoro e imponeva il "più grande smantellamento dello stato sociale del dopo guerra" (FAZ), la CDU di Merkel rafforzava ulteriormente le sue "leggi di riforma".

Fare politica socialdemocratica un tempo significava: buon vicinato in Europa

Il nazionalismo dell'export ampiamente presente in tutti i partiti, unito al Sacro Graal dello Zero Nero, divide l'Europa e ci porta ad una situazione in cui dopo la Brexit ora viene minacciata anche l'uscita dell'Italia dall'Unione Europea.

La politica socialdemocratica si basava sulla pace e il disarmo.

Il suo punto forte è stata la Ostpolitik di Willy Brandt. Merkel ha invece permesso che le truppe tedesche tornassero a ridosso del confine russo. Lei è il fedele vassallo dell'imperialismo americano, che circonda la Russia e la Cina, è uscito dal trattato ABM, vuole sospendere unilateralmente il trattato INF e con le guerre commerciali, le operazioni segrete delle sue forze speciali e le guerre a suon di bombe destabilizza tutto il mondo.

Il neoliberismo praticato da Merkel - "democrazia conforme al mercato" - distrugge la coesione della società, porta al rafforzamento di AFD e alla fine mina le basi della democrazia.



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domenica 9 dicembre 2018

Le guerre future dell'UE

Nei Think Tank di Berlino e fra i consulenti del governo tedesco si lavora a pieno ritmo per delineare i contorni del futuro esercito europeo e soprattutto delle future guerre europee. Un recente studio della prestigiosa Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) ipotizza diversi scenari di intervento UE e giunge ad una conclusione che sicuramente non dispiacerà ai fabbricanti di armi: gli stati UE non sono preparati per le future guerre europee, si dovrà spendere di piu' per gli eserciti. Ne parla il sempre ben informato German Foreign Policy


L'esercito degli europei

L'attuale studio sullo stato della militarizzazione dell'UE, realizzato dalla Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) insieme al London International Institute for Strategic Studies (IISS) rileva innanzitutto che nell'ultimo anno l'Unione Europea in ambito militare ha fatto dei rapidi progressi. L'integrazione delle forze armate degli Stati membri nell'ambito del progetto PESCO è già iniziata. [1] Anche l'integrazione della pianificazione del riarmo nell'ambito dell'UE viene già affrontata nel quadro della Coordinated Annual Review on Defence (CARD). Il Fondo europeo per gli armamenti già ora eroga denaro per lo sviluppo congiunto degli armamenti fra gli Stati membri. La Commissione Europea ha anche dichiarato che l'Autonomia Strategica dell'UE è un obiettivo comune da portare avanti su vari livelli, non da ultimo quello militare. [2] Il dibattito sul futuro "esercito degli europei", inoltre, è in pieno svolgimento e recentemente, verso la fine di novembre, durante l'ultima Conferenza sulla sicurezza di Berlino ha fatto un ulteriore passo in avanti [3]. La decisione della Francia di creare una iniziativa di intervento europea (Initiative européenne d'intervention) promuove ulteriori misure pratiche finalizzate alla costruzione di una forza d'intervento europea [4].

Varianti di impiego

In questo quadro lo studio della DGAP-IISS analizza fino a che punto l'UE potrebbe essere in grado di realizzare e guidare concretamente le operazioni militari sulla base delle decisioni prese. Si tratterebbe di cinque tipi operazioni: "peace-enforcing", realizzabili in un raggio geografico di 4.000 chilometri intorno all'Europa;  missioni di "prevenzione dei conflitti" (fino a 6.000 chilometri dall'Europa); "missioni di stabilizzazione" (fino a 8.000 chilometri dall'Europa), "operazioni di soccorso e di evacuazione" (10.000 chilometri dall'Europa) e "azioni di aiuto umanitario" (fino a 15.000 chilometri dall'Europa) [5] Lo studio DGAP-IISS nei suoi scenari già considera l'imminente uscita della Gran Bretagna dall'UE: analizza eventuali operazioni congiunte fra l'UE a 27 e il Regno Unito, ma si chiede anche se l'UE a 27 sarebbe in grado di svolgere le proprie azioni militari in autonomia. In particolare, gli autori dello studio si sono chiesti se l'UE, con le sue risorse militari, sarebbe in grado di effettuare più operazioni contemporaneamente. Bruxelles lo considera infatti politicamente necessario.

Guerre nel Caucaso meridionale

Gli autori basano il loro studio su alcuni scenari operativi concreti che forniscono informazioni sul tipo di operazioni militari che gli strateghi dell'UE nei prossimi anni considerano fattibili. Un esempio fra questi è lo scenario che descrive una missione di "peace-enforcing" nel Caucaso meridionale. Una forza UE viene inviata nel Caucaso meridionale (EUFOR-SC) e schierata fra Armenia e Azerbaigian; entrambi i paesi, nello scenario individuato, da diversi mesi combattono una guerra feroce in cui alla fine intervengono anche i terroristi jihadisti. L'UE viene incaricata di far rispettare un cessate il fuoco precario. In un primo momento i due Battlegroup dell'UE, che a rotazione vengono tenuti sempre pronti, dovrebbero intervenire entro un breve lasso di tempo per evitare che i combattimenti si riaccendano. Successivamente, l'attuale EUFOR-SC, una forza di circa 60.000 soldati, arriverebbe nell'area operativa. La EUFOR-SC dispone di componenti terrestri, aeree, marittime e di forze speciali; tra le altre cose, dovrebbero essere inviati circa 150 aerei da combattimento con il compito di svolgere fino a 250 missioni aeree al giorno. Secondo lo studio della IISS-DGAP, nella situazione attuale, in particolare nell'ambito delle forze di terra e delle forze aeree, la EUFOR SC mostrerebbe una capacità presumibilmente insufficiente, sempre a condizione che il Regno Unito continui a operare congiuntamente con l'UE a 27. Se il Regno Unito non dovesse piu' partecipare, nella marina vi sarebbero delle forti lacune.

Neutralizzare i jihadisti 

Gli ulteriori scenari delineati nello studio della DGAP-IISS comprendono anche la lotta contro i jihadisti. La EUFOR HOA (Forza UE per il Corno d'Africa) si troverebbe a dover intervenire in Somalia dove i jihadisti hanno portato sotto il loro controllo gran parte del paese, e dove le forze governative e le unità dell'Unione africana sono state spinte verso la capitale Mogadiscio e il nord del Kenya. La forza EUFOR HOA ha ricevuto il compito di neutralizzare i jihadisti - 3.000 combattenti dell'IS nel nord del paese, 4.000 miliziani di Al Qaeda nel sud, 7.500 jihadisti Al Shabaab intorno a Mogadiscio, tutti molto mobili, molto motivati ​​e, tra l'altro in possesso di missili portatili anti-aerei. Sono di nuovo due gruppi tattici dell'UE a dover intervenire in maniera rapida prima che la  EUFOR HOA scenda in campo con i suoi battaglioni di terra, con le forze navali, aeree e con le forze speciali. In un altro scenario si ipotizza invece una guerra contro i pirati nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano, sotto la guida di EUFOR IO (forza UE per l'Oceano Indiano) su mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Contemporaneamente EUFOR IO deve tenere sotto controllo gli attacchi provenienti dagli Houthi dello Yemen. Ciò rende necessario implementare una efficace difesa missilistica, mentre le operazioni sarebbero svolte principalmente dalla marina e dalle forze speciali. In entrambi gli scenari gli autori dello studio evidenziano ancora una volta delle forti mancanze in termini di armamenti, deficit che resterebbe immutato anche se l'UE a 27 combattesse a fianco del Regno Unito, e che riguarderebbe peraltro tutte e tre le forze. Se il Regno Unito non dovesse partecipare, l'elenco delle carenze aumenterebbe in maniera significativa.

Diversi interventi in parallelo

Secondo gli autori la dotazione militare dell'UE è inadeguata, soprattutto se dovessero rendersi necessarie più operazioni contemporaneamente. Lo studio della DGAP-IISS si concentra su due possibili varianti. La prima prevede parallelamente una cosiddetta missione di rafforzamento della pace e una "missione di salvataggio ed evacuazione". La seconda presuppone che diverse operazioni minori vengano eseguite contemporaneamente: due per la "prevenzione dei conflitti", due missioni di stabilizzazione, una per il "salvataggio e  l'evacuazione" e una per gli "aiuti umanitari". Sulla prima variante gli autori ipotizzano che anche se la Gran Bretagna partecipasse a entrambe le missioni, nel tentativo di svolgere il proprio compito l'UE a 27 "si troverebbe in grande difficoltà". Se la Gran Bretagna dovesse restare fuori, allora sarebbe "molto difficile" eseguire le operazioni militari in maniera soddisfacente. La seconda variante, secondo gli autori, sarebbe chiaramente "fuori dalla portata degli Stati membri dell'UE". Il divario tra le capacità militari dell'UE e le esigenze militari è troppo ampio e implica che queste ultime vengano soddisfatte solo per circa un terzo. L'UE avrà bisogno del sostegno dei paesi terzi. Anche se ciò dovesse essere possibile, in questo modo non si potrà ottenere alcuna "autonomia strategica".

Piani di riarmo? "Inadeguati"

Gli autori dello studio ritengono che, anche nel caso in cui gli attuali piani di riarmo venissero attuati, l'UE anche nel 2030 non sarebbe in grado di disporre della capacità necessaria per la prima variante di schieramenti simultanei, almeno per quanto riguarda le forze aeree e navali. Nella seconda opzione, anche operando congiuntamente con la Gran Bretagna, non sarebbe comunque in grado di resistere. Lo studio quindi può anche essere inteso come un invito ad aumentare la spesa tedesca ed europea per gli armamenti.
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[1] S. dazu Der Start der Militärunion.
[2] S. dazu Strategische Autonomie.
[3] S. dazu Die Armee der Europäer
[4] S. dazu Die Koalition der Kriegswilligen (II)
[5] Zitate hier und im Folgenden: Douglas Barrie, Ben Barry, Henry Boyd, Marie-Louise Chagnaud, Nick Childs, Bastian Giegerich, Christian Mölling, Torben Schütz: Protecting Europe: meeting the EU's military level of ambition in the context of Brexit. London/Berlin, November 2018.


Criticità nell'impostazione dell'esercito EU (anonimo)

Questo blog rilancia un commento di altissimo livello lasciato pochi giorni fa da anonimo sul tema dell'esercito UE, che senza dubbio alza la media del blog. Quello dell'esercito europeo è infatti un tema fondamentale che al pari della moneta unica è destinato a spaccare ancora di più l'UE e a peggiorare i rapporti con America e Russia. Un ringraziamento ad anonimo per la riflessione.


Rilevo numerose criticità nell'impostazione dell'esercito EU così come auspicato dall'articolo:

1) Stanti passate esperienze di decisioni politiche spacciate per tecniche e sottratte al processo democratico, il vagheggiato "comitato di politici esperti di sicurezza, espressione dei parlamenti nazionali, che in tempi rapidi dovranno essere in grado di preparare e prendere decisioni" suona abbastanza sinistro. Non si dovrebbe dimenticare che, a parte le dichiarazioni di rito di difesa della democrazia, l'EU è un organismo che presenta evidenti deficit di democrazia. Demandare ad organismi tecnici le decisioni politiche è, oltre che altamente antidemocratico, anche pericoloso infatti nessuna nazione al mondo ha MAI lasciato la più politica delle decisioni (se, a chi, e quando, fare la guerra) in mano ad un organismo tecnico. 

2) La questione della gestione dell'arsenale nucleare, da me evidenziata in un altro intervento sul medesimo tema, risulta ancora totalmente indefinita. Non si tratta di una questione di poco conto. Dal momento che l'arsenale nucleare europeo sarebbe costituito dall'arsenale nucleare francese (essendo la Gran Bretagna fuori dall'UE), è molto difficile pensare che i francesi cedano il controllo del loro arsenale (che si sono pagati), senza chiedere sostanziose compensazioni in termini di peso decisionale e/o diritto speciale di veto sulle decisioni riguardanti l'impiego dell'esercito EU. Sarebbe interessante sentire il punto di vista francese sull'argomento.

3) Non si affronta minimamente la spinosa questione di se e come l'esercito EU possa venir usato per questioni interne all'EU tipo "law enforcing", "stabilizzazione", "pace keeping", sedazione rivolte. 

4) L'articolo rispecchia il tipico approccio germanico: parla diffusamente degli interessi della Germania senza confrontarsi con gli interessi degli altri paesi dell'unione. L'unico punto in cui si citano gli interessi non germanici è quello in cui si dice che "i singoli stati membri in futuro potranno essere costretti a sostenere una politica estera apertamente contraria ai loro interessi". Il che suona assai sinistro, specialmente per l'Italia. 

5) la proposta di abolire l'obbligo dell'unanimità va vista alla luce del fatto che la rappresentanza politica in EU è lo specchio dei rapporti di forza economici. Per capire come questo c'entri con la questione dell'unanimità, bisogna ricordare che quando si parla di Germania in realtà si sta parlando non solo della Germania in senso stretto, ma di tutto quel blocco economico che prima dell'euro si chiamava "area del marco tedesco" e che comprende Germania, Austria, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Non è difficile capire che convergenti interessi economici siano motore di convergenti interessi politici, se pur con eccezioni anche notevoli (vedasi la posizione austriaca sull'immigrazione rispetto alla posizione tedesca). 

Essendo che i rapporti di forza economici sono già oggi molto sbilanciati a favore della Germania "largamente intesa", un passaggio dall'unanimità alla maggioranza determinerebbe un ulteriore rafforzamento dell'egemonia tedesca.

6) L'articolo non affronta la questione di chi dovrebbe mantenere finanziariamente l'esercito EU. Stanti i punti precedenti, perché un paese che rischia di vedersi costretto "a sostenere una politica estera apertamente contraria ai propri interessi" dovrebbe contribuire a mantenere lo strumento della propria stessa costrizione?


7) Non si chiarisce cosa si intende esattamente con "esercito europeo" e quale dovrebbe essere almeno a grandi linee la sua composizione. Una forza armata moderna è genericamente composta da 3 armi: esercito propriamente detto, una forza aerea ed una marina. E' evidente che paesi diversi hanno esigenze strategiche diverse. Ad esempio l'Austria, non avendo accesso al mare, non ha una neanche marina da guerra e non è interessata ad averla. All'opposto l'Italia, essendo una penisola, ha interesse ad avere una marina da guerra decisamente preponderante rispetto alla componente terrestre. Si pone quindi il problema di come evolverà nel tempo la composizione stessa dell'esercito europeo. 



Il rischio è di ritrovarsi, nel tempo, con uno strumento militare la cui stessa composizione di materiali sia tagliata a misura di una ristretta cerchia di paesi e poco o nulla impiegabile per gli altri. 

Per dare concretezza a quanto esposto si paragonino i numeri della marina tedesca con quelli della marina italiana: si vede chiaramente come l'impostazione della marina tedesca sia prettamente difensiva (avendo la Germania scarso accesso al mare). La marina italiana è invece molto più capace di interdizione d'area e proiezione di forza, come è ovvio per un paese protratto nel mediterraneo, aggredibile via mare e che storicamente ha prosperato con i commerci marittimi con la conseguente esigenza di difenderli.

Marina TEDESCA / ITALIANA
portaeromobili 0 / 2
incrociatori lanciamissili 0 / 4
fregate 10 / 12
corvette 5 / 1
pattugliatori d'altura 0 / 10
cacciamine 19 / 10
assalto anfibio 0 / 3
sottomarini 4 / 8

8) La visione data dall'articolo è totalmente autocentrica, come se la costituzione di una forza armata di rilevanza globale fosse una questione solamente interna all'UE, e non prende minimamente in considerazione la reazione del resto del mondo. Questa visione è per lo meno miope. Ci sono almeno 2 attori di rilevanza globale che verrebbero impattati dalla creazione di una forza armata europea, e sono USA e Cina. Già oggi vi sono notevoli segni di attrito USA-Germania e una indipendenza militare europea (leggasi: tedesca) che rendesse la politica estera tedesca meno dipendente da quella USA, sarebbe un ulteriore elemento di scontro.

Un altro elemento di sicuro scontro USA-UE introdotto dalle costituende forze armate europee, sarebbe il dominio del Mediterraneo. L'unione delle marine di Italia, Francia, Spagna e Germania costituirebbe una forza navale capace di una opposizione *credibile* alla VI flotta USA che è responsabile del controllo del mar Mediterraneo. Per comprendere come questo sia un terreno -anzi mare- di scontro, bisogna considerare che il Canale di Suez è un ganglio assolutamente vitale dei commerci mondiali: non è un caso infatti che la marina USA tenga la VI flotta di stanza nel mediterraneo e la V flotta nel Mar Arabico, cioè ai due lati della trafficatissima rotta commerciale che passa dal canale.

Sempre per la stessa ragione, la Cina avrebbe molto da temere da una marina europea capace -potenzialmente- di bloccare il canale, essendo questo la principale arteria di entrata delle merci cinesi in europa.

La posizione dell'Italia in un tale frangente sarebbe doppiamente delicata: a Napoli vi è la base della VI flotta e ciò rende l'Italia particolarmente importante per la politica USA nel mediterraneo. Al tempo stesso l'Italia è importante per una ipotetica marina europea essendo la seconda marina UE appena dopo quella francese.

Concludendo, se gli annunci sul costituendo esercito europeo non fossero solo propaganda elettorale in vista delle venture elezioni europee, possiamo stare certi che questo sarà un tema di scontro -anche molto duro- con gli USA.



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sabato 8 dicembre 2018

Thomas Fricke su Der Spiegel: Macron è come Schröder e anche lui finirà per essere asfaltato

Un ottimo Thomas Fricke su Der Spiegel fa un confronto fra il rapido crollo del giovane Macron e il declino dei socialdemocratici tedeschi iniziato con Gerhard Schröder e giunge a una conclusione netta: anche Macron, come era già accaduto a Schröder, Renzi e Monti, sarà asfaltato. Da Der Spiegel


L'Europa negli ultimi anni ha prodotto alcuni grandi riformatori dell'economia. Tony Blair ad esempio. O Gerhard Schröder. Mario Monti e Matteo Renzi in Italia. In Spagna Mariano Rajoy. E da un po' piu' di un anno in Francia, Emmanuel Macron.

Tutti nei loro paesi, in maniera più o meno zelante, hanno fatto quello che i papi dell'economia gli raccomandavano di fare: ridurre le gravose regole del mercato del lavoro, alleviare il carico fiscale sui poveri ricchi, trovare le risorse riducendo i sussidi di disoccupazione (per fare finalmente un po' di pressione sui disoccupati), fermare i sindacati con le loro rivendicazioni sfacciate - e poi un'altra pratica divenuta ormai uno standard: tagliare le pensioni.

Tutto ciò è sempre servito per ottenere delle belle lodi dai tanti professoroni dell'economia. E dai funzionari di Bruxelles. E dalle persone che gestiscono il denaro sui mercati finanziari, e che di solito di soldi ne hanno anche tanti. Cioè Friedrich Merz. Per fare un esempio

Peccato ci sia qualcosa di irritante: tutte le star del riformismo da allora e per ragioni misteriose sono state travolte dalla sfortuna - per lo più sotto forma di un crollo improvviso nei sondaggi sulla popolarità fra gli elettori. Piu' o meno tutte queste star hanno perso il sostegno del popolo. Proprio come in queste settimane sta accadendo ad Emmanuel Macron, dopo tutte le belle riforme avviate per la grande gioia dei professori e degli analisti, e che ora invece viene colpito dalla protesta dei francesi coi giubbotti gialli (e dal crollo nei sondaggi).

In maniera simile a Gerhard Schröder, solo che allora non c'erano i giubbotti gialli, quando nel 2005 fu costretto a indire nuove elezioni a causa delle dimostrazioni del lunedì e del malcontento popolare. Per rendersi poi conto che lui, il più grande di tutti i riformatori, era sostenuto solo da una minoranza di persone. Cosa che secondo gli usi democratici non è possibile. Ora è costretto ad occuparsi di petrolio e gas. O Monti e Renzi, che sono stati espulsi dal campo. O Tony Blair, che oggi sull'isola nessuno vuole avere come amico - almeno nel proprio campo politico.

Coincidenza? Da allora quasi tutti i partiti (per la maggior parte formalmente socialdemocratici) sono implosi nel tentativo di dimostrare di essere riformatori - in Germania è accaduto alla SPD, in Italia al Partito Democratico di Renzi e in Francia al Parti socialiste, un tempo un  grande e orgoglioso partito, che prima di Macron si era già cimentato con le grandi riforme.

Come? Con una simile scoperta, i predicatori dell'ortodossia economica dovrebbero subito iniziare a lamentarsi in coro - a scelta sul popolo tedesco, italiano o francese - i quali semplicemente non avrebbero una comprensione dell'economia sufficiente, oppure che per qualche ragione sarebbero diventati un po' troppo comodi o pigri (teorema di Spahn-Merz). Caratteristica che al piu' tardi durante la prossima crisi e grazie ad un certo livello di sofferenza potrà essere eliminata.

Oppure i predicatori hanno tirato fuori la pratica tesi argomentativa secondo la quale tali riforme richiedono tempo, quindi la gente non dovrebbe essere così impaziente - perché tutte queste privazioni porteranno alla crescita economica, alla creazione di più posti di lavoro, e alla fine tutti guadagneranno di più e andranno in paradiso. Bene. Prima o poi accade.


Un'altra interpretazione potrebbe essere quella secondo la quale le riforme non rendono tutti veramente felici per l'eternità - e qualcuno nel popolo prima o poi se ne accorge.

La verità è: dove le riforme sono state fatte, più o meno secondo i libri di testo, tutte queste rinunce, le condizioni di lavoro più flessibili e le altre liberalizzazioni, nella maggior parte dei casi sono servite a migliorare di molto i bilanci aziendali e a fare la fortuna degli investitori. Quindi, questa parte della promessa ha funzionato decisamente bene. Mai fino ad ora le aziende avevano fatto così tanti soldi come oggi. Gli azionisti non erano mai stati così ricchi come dai tempi dei grandi riformatori del libero mercato Ronald Reagan e Margaret Thatcher.

Sembra anche che abbia funzionato bene il fatto che quà e là le aziende abbiano creato diversi nuovi posti di lavoro, grazie ai buoni profitti e a tutte le nuove opportunità di assumere le persone per un breve periodo, pagandole un tozzo di pane. Almeno la disoccupazione nei primi paesi ad aver implementato le riforme, cioè gli Stati Uniti e il Regno Unito, è a livelli storicamente bassi, come da noi. Anche in Francia e in Italia è diminuita in maniera significativa. Almeno Ufficialmente.

Il problema è che qualcosa non sembra essere andato in maniera giusta, almeno se misurato da quanto la situazione quasi ovunque sia politicamente preoccupante. E di come le avvisaglie della crisi siano arrivate prima negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, cioè dove la "battaglia finale del mercato" è stata praticata con piu' energia. Nel frattempo pero' si comincia a sospettare che tutto ciò sia dovuto ai difetti del bel modello economico:

- le aziende, nonostante tutti i grandi guadagni, non hanno mai investito cosi' poco in una ripresa futura come hanno fatto questa volta - ciò potrebbe avere a che fare con il fatto che questa volta a causa della riduzione dei redditi e della insicurezza economica manca la prospettiva di una crescita della domanda interna.

- con tutta la nuova pressione, la concorrenza dei lavoratori a basso costo e la perdita di influenza dei sindacati, nel lungo periodo non sono ipotizzabili grandi aumenti salariali. Secondo i rapporti dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), i salari da anni quasi ovunque nei paesi industrializzati crescono ad un ritmo storicamente molto basso; nel Regno Unito e in Italia, le persone in media, tenendo conto dell'inflazione, guadagnano meno di quanto non guadagnassero prima della crisi del 2008.

- una parte significativa delle persone questi aumenti salariali non li ha nemmeno visti - e in alcuni casi in termini reali oggi guadagnano ancora meno di dieci o venti anni fa; fatto ancora più vero per gli Stati Uniti.

- a causa della forte mobilità e flessibilità è aumentata drammaticamente l'incertezza dei lavoratori e la possibilità di perdere improvvisamente una parte significativa del reddito durante la loro vita professionale  - fatto che secondo la diagnosi dell'economista Tom Krebs di Mannheim conduce inequivocabilmente al fatto che molte persone a causa della loro frustrazione abbiano scelto i populisti. Parole chiave: paura  del declino economico.

Tutto ciò è esattamente l'opposto di quello che i papi del riformismo avevano promesso: e cioè che alla fine tutti ne avrebbero beneficiato. E ciò potrebbe anche spiegare il motivo per cui anche in Germania, dove i criteri comuni per la valutazione del successo economico - una crescita costante con un calo della disoccupazione - sembrano essere perfetti, il risentimento sia così grande. E perché a votare AfD e gli altri populisti non ci siano solo i poveri e i disoccupati. Oppure i partiti di destra vanno molto meglio laddove la pressione della globalizzazione era (ed è) sensibilmente più alta - e in particolare laddove sono in molti ad avere l'impressione di aver perso il controllo sul proprio destino. E perché Donald Trump nel 2016 ha vinto soprattutto in zone come la vecchia regione industriale della "Rust Belt", dove la gente da un giorno all'altro ha visto la propria sopravvivenza minacciata.

Questo potrebbe anche spiegare il motivo per cui oggi in Italia governano i populisti - dopo che quelli che in precedenza avevano riformato così bene sono caduti in disgrazia, e perché il popolo non ha avuto la sensazione, anche dopo anni di riforme varie, che presto a tutti le cose sarebbero potute andare meglio.

E perché anche il giovane e smart Emmanuel Macron ora venga travolto da quello che era già successo anni fa a Schroeder, Blair e Renzi: che sì hanno fatto battere a mille i cuori dei fondamentalisti dell'economia, ma proprio per questo motivo si sono trovati al capolinea politico. E da allora politicamente la situazione si è fatta difficile.

Se ciò è vero, allora c'è  urgente bisogno di una comprensione completamente nuova di ciò che è buono oppure no: una politica che consenta agli imprenditori del paese di mettere in pratica idee e guadagnare abbastanza da poter investire e creare nuovi posti di lavoro - non come un fine in se stesso, o come qualcosa che porta ad un collasso politico a causa dei vari effetti collaterali.

Nel mix dei criteri per fare una buona politica quindi non dovranno esserci solo le solite cianfrusaglie economiche, ma anche quanto può essere considerato adeguato questo o quel pacchetto di riforme per riconciliare e tenere unita la società. E poi fra le riforme significative c'è quella di fare in modo, senza alcun dubbio (e non come possibile consequenza tardiva), che il maggior numero possibile di persone ne possa beneficiare - se ciò non dovesse avvenire in maniera automatica.

Allora potrebbe valere la pena consultare un po' più spesso gli psicologi in merito al livello di insicurezza e perdita di controllo, causati dagli appelli alla competività, alla concorrenza e alla mobilità, che può essere sopportato dall'animo umano. Se l'esemplare medio del nostro genere è sopraffatto da così tanti sconvolgimenti, perché dovrà nutrire una famiglia e pagare una casa, e quindi non potrà nemmeno spostarsi in qualche altro luogo per trovare un lavoro; diversamente da quanto è scritto nei libri di testo.

Quello che da un paio di decenni viene predicato nei modelli dell'ortodossia economica, semplicemente potrebbe non funzionare con il modello standard di uomo medio. Sia che si tratti della versione francese, italiana o tedesca.