"Oggi il vero progresso tecnologico avviene principalmente negli Stati Uniti e in Cina. L'economia tedesca, fondata sull'export, d'altro canto, fino ad ora è riuscita a tenere la testa fuori dall'acqua solo grazie alla moderazione salariale e alla bassa pressione fiscale. Nel breve periodo (e nella concorrenza intra-europea) questa competizione sul prezzo fondata sul dumping salariale può ancora funzionare, ma nel lungo periodo (e a livello globale) difficilmente funzionerà" scrive il grande intellettuale tedesco Andreas Nölke, che su Makroskop propone una rilfessione molto interessante sulla principale malattia che da almeno due decenni affligge l'economia tedesca, l'Esportismo, vale a dire la profonda dipendenza dall'export. Andreas Nölke da Makroskop.de
Chi difende gli avanzi commerciali tedeschi, spesso sostiene che in fondo non è colpa nostra se il mondo è così interessato ai nostri meravigliosi prodotti. Il mondo adora le auto e le macchine tedesche.
Ora questo potrebbe anche essere vero in alcuni casi, se consideriamo le nostre esportazioni nel settore dell'ingegneria meccanica di punta o delle automobili di lusso. Ma se si dà un'occhiata più sistematica allo sviluppo delle esportazioni tedesche, si noterà che una parte crescente di queste esportazioni viene venduta essenzialmente perché è "a buon mercato".
In linea di principio, l'acquisto di un prodotto riguarda sempre entrambi gli aspetti: qualità e prezzo. Nel caso delle esportazioni tedesche, tuttavia, c'è uno spostamento alquanto problematico verso questo secondo aspetto. Su questo argomento ormai è già disponibile un grande numero di studi empirici.
Dalla concorrenza sulla qualità al dumping
Negli ultimi cinque decenni l'economia tedesca si è trasformata da un'economia forte nell'export, ma relativamente equilibrata, in un'economia estremamente dipendente dalle esportazioni. Colpisce il fatto che l'intensificazione "patologica" dell'orientamento all'export tedesco non sia stato accompagnato da innovazioni tecnologiche di rilievo, ma sempre più da una spinta alla concorrenza sui prezzi. Il successo nelle esportazioni tuttavia non è da considerarsi un segno di potenza industriale, ma di debolezza - anche se questa debolezza è solo quella dei nostri vicini europei ("troppo cari").
Arndt Sorge e Wolfgang Streeck, ad esempio, facendo riferimento al loro concetto di "produzione di qualità diversificata", tipica dell'industria tedesca, notano che questa in termini di caratteristiche fondamentali resta ancora in parte intatta, come ad esempio la differenziazione di prodotto, anche se ora fondamentalmente non si basa piu' sui "beneficial constraints" del salario elevato e delle innovazioni che ne conseguono, ma si fonda sempre piu' spesso sui dei vantaggi legati al costo.
Dopo un primo crollo iniziale avvenuto intorno al 1980, sin dalla metà degli anni '90, l'industria tedesca ha interrotto la sua tendenza di lungo periodo finalizzata ad un "upgrading" verso una qualità maggiore, e da allora h puntato sempre di piu' sui vantaggi legati al prezzo. Lucio Baccaro ha mappato quantitativamente questo sviluppo calcolando il rapporto tra i prezzi delle esportazioni e quelli delle importazioni. Al più tardi a partire dal 1995, questo rapporto - come indicatore dell'upgrading - non è piu' cresciuto, in netto contrasto con lo sviluppo osservato nei decenni precedenti. L'argomento secondo il quale le esportazioni tedesche a partire da metà anni '90 sono diventate più competitive in termini di prezzi viene confermato anche dalla Bundesbank, indipendentemente dagli indicatori scelti.
La rilevanza del prezzo delle esportazioni diventa particolarmente chiara se si fa un confronto con l'Italia, un concorrente tradizionalmente molto competitivo nei settori chiave dell'export tedesco, tra questi la produzione di automobili e di macchinari. Nel frattempo, però, in termini di performance dell'export la Germania ha nettamente superato l'Italia, anche se, stando ad uno studio del Fondo Monetario Internazionale, questo successo per circa la metà sarebbe da attribuire ad un accrescimento della produttività tedesca - in parte dovuto anche alla moderazione salariale praticata in Germania.
L'OCSE riporta che, soprattutto nel primo decennio del millennio, vi è stata una chiara tendenza dell'economia tedesca a raggiungere i suoi successi nell'export non più attraverso la qualità dei propri prodotti, ma sempre più spesso grazie al contenimento dei prezzi, in contrasto con le fasi precedenti in cui erano soprattutto le innovazioni - misurate, per esempio, dal numero di domande di brevetto - a garantire tali successi.
Un'analisi dettagliata sul "commercio internazionale di beni ad alta intensità di ricerca" mostra anche che i vantaggi comparativi della Germania restano prevalentemente e relativamente stabili nelle "tecnologie ad alto valore" (veicoli a motore, ingegneria meccanica), ma non nelle attuali "tecnologie d'avanguardia", con alcune eccezioni nel settore della tecnologia medica, della misurazione e del controllo. La Cina, invece, ha notevolmente ampliato le sue quote di mercato in entrambi i segmenti, soprattutto nelle tecnologie di punta.
E anche nelle tecnologie di fascia alta del settore automobilistico e della componentistica, il successo dell'export si basa sempre di più sulla concorrenza di prezzo, invece che su quella fondata sulla qualità, sempre stando a questo studio. Dopo tutto, in Germania non si producono solo veicoli di lusso per i quali - in quanto status symbol - il prezzo ha relativamente poca importanza. Baccaro e Benassi giungono a conclusioni simili, misurando una maggiore sensibilità al prezzo delle esportazioni tedesche nel settore automobilisitico e dell'ingegneria meccanica negli anni a partire dal 1990, in contrasto con i decenni precedenti.
Questi risultati sono ulteriormente confermati da un recente studio di Sebastian Dullien, Heike Joebges e Gabriel Palazzo. Lo studio evidenzia l'importanza della competitività di prezzo per le esportazioni tedesche, comprese le esportazioni di beni "high-tech". Questa competitività basata sui costi è stata notevolmente migliorata nei primi anni '80 da un lato e in seguito tra il 1995 e il 2012, vale a dire dopo le 2 grandi crisi dell'economia tedesca.
La fine dello stallo
Queste osservazioni, tuttavia, non sono di buon auspicio per lo sviluppo di lungo periodo dell'economia tedesca. Da tempo, infatti, questa ha smesso di essere alla frontiera del progresso tecnologico, ad esempio nelle biotecnologie o nell'economia digitale. È innovativa in alcune sue aree, ma solo per quanto riguarda lo sviluppo incrementale di innovazioni tecnologiche che nelle loro caratteristiche di base sono già vecchie di molti decenni, specialmente nella chimica, nell'ingegneria meccanica e nell'industria automobilistica, basata sui motori a combustione.
Oggi il vero progresso tecnologico avviene principalmente negli Stati Uniti e in Cina. L'economia tedesca, fondata sull'export, d'altro canto, fino ad ora è riuscita a tenere la testa fuori dall'acqua solo grazie alla moderazione salariale e alla bassa pressione fiscale. Nel breve periodo (e nella concorrenza intra-europea) questa competizione di prezzo basata sul dumping salariale può ancora funzionare, ma nel lungo periodo (e a livello globale) difficilmente funzionerà.
In altre parole: aver salvato i posti di lavoro attraverso la moderazione salariale e l'austerità nelle recenti crisi economiche può aver contribuito a stabilizzare questo modello. Nel frattempo, però, questa strategia sembra essere arrivata al capolinea.
Nel lungo periodo, un'economia con un elevato costo del lavoro, come quella tedesca, può sopravvivere solo se si investe molto di più nella ricerca, nella tecnologia e nelle competenze della forza lavoro - e se la crescita economica e i posti lavoro non dipenderanno solo dagli sviluppi incerti dei mercati di esportazione esteri, ma anche, in modo complementare, da una domanda interna stabile.
In questo contesto, sarebbe un errore molto grande reagire alla recessione del 2021 causata dal Coronavirus continuando a spingere il modello di export basato sulla compressione dei costi, ad esempio attraverso l'austerità e la moderazione salariale collettiva. Questo non farebbe altro che intensificare ulteriormente una disuguaglianza di per sé già molto pronunciata.
Affinché le esportazioni possano avere un ruolo cruciale, ma all'interno di una struttura economica più equilibrata, sarebbe utile se queste esportazioni fossero realizzate grazie a prodotti di qualità e non solo attraverso una concorrenza basata su dei prezzi sempre piu' bassi. Quest'ultima è incompatibile con la necessaria stimolazione della domanda interna fatta attraverso l'aumento dei salari e la spesa pubblica. Anche nel lungo periodo, non si può vincere contro i paesi a basso salario.
La qualità superiore dei prodotti - oppure un loro posizionamento piu' alto come oggetti di status - permetterebbero d'altra parte anche di strappare prezzi più alti e sarebbero quindi compatibili con la necessità di aumentare i salari e quindi riequilibrare l'economia tedesca. Sono necessari anche maggiori investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende, che a loro volta serviranno ad aumentare la domanda interna. I salari più alti fungono quindi da "beneficial constraints" (Wolfgang Streeck), e costringono le imprese a fare il loro bene, cioè a fare gli investimenti.
In Germania ci sono ancora i presupposti per fare export di qualità e ad alto prezzo
Ribilanciare l'economia con una strategia di alti salari non è fattibile con ogni struttura dell'export. Quando i salari e i prezzi aumentano, i paesi con una struttura dell'export elastica al prezzo, come ad esempio quelli legati al tessile di base, devono fare i conti con un brusco crollo delle loro esportazioni, dato che i compratori possono facilmente passare ad altri fornitori.
Non è così facile, inoltre, per un paese passare da beni semplici a beni più evoluti e a livelli di tecnologia piu' elevati. Ci sono inoltre notevoli ostacoli, che in particolare nel lungo periodo possono ostacolare una ripresa delle economie dell'Europa meridionale, come dimostrano Jakob Kapeller, Claudius Gräbner e Philipp Heimberger. L'economia tedesca, d'altra parte, in un confronto interno all'UE occupa ancora una posizione di primo piano per quanto riguarda il concetto di "complessità economica", un importante indicatore della capacità tecnologica di un paese, un concetto sviluppato da un gruppo di ricercatori dell'Università di Harvard.
La Germania ha ancora dei presupposti tutto sommato buoni per poter riequilibrare con successo la sua economia nell'ambito di un confronto europeo. Certo, abbiamo visto che la quota di esportazioni tedesche elastiche rispetto al prezzo negli ultimi decenni è aumentata - uno sviluppo molto problematico. Ma se confrontiamo la posizione relativa della Germania con quella degli altri classici paesi più industrializzati sia all'interno dell'UE (Francia, Italia, Spagna) che all'esterno (Regno Unito, Giappone, Stati Uniti), vedremo che la Germania mantiene una quota relativamente più alta del suo export in termini di beni sofisticati e meno sensibili al prezzo rispetto a questi paesi, stando ad uno studio realizzato dall'Istituto di ricerca economica della Bassa Sassonia.
Per la Germania - come accade all'orbo in mezzo ai ciechi, per così dire - nel confronto internazionale, dovrebbe essere ancora più facile mantenere un alto livello di esportazioni anche a fronte di una ridotta competitività di prezzo dovuta a dei salari più alti, diversamente da quanto accade in Italia, ad esempio, dove negli ultimi decenni ci sono state notevoli perdite in termini di quote di mercato causate da beni maggiormente sensibili al prezzo, ad esempio il tessile e i mobili, come risultato dell'ascesa della Cina.
Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale citati in precedenza, non esiste nessun'altro paese al mondo il cui profilo dei beni esportati negli ultimi decenni abbia avuto cosi' tanta somiglianza con quello della Cina, piu' di quanto è accaduto all'Italia. L'Italia è stato quindi il paese che negli ultimi decenni piu' di tutti ha sofferto a causa del "miracolo economico cinese".
Lo stesso destino nel prossimo futuro potrebbe toccare anche alla Germania - dato il "miglioramento" del portafoglio dell'export cinese. Non è ancora troppo tardi per cercare di difendere il vantaggio competitivo tramite investimenti maggiori nella ricerca, nello sviluppo e nella formazione di lavoratori altamente qualificati e ben pagati.
Ma questo riequilibrio sarà un adattamento doloroso per alcune parti significative dell'industria tedesca. E questo è particolarmente vero per quelle aziende che negli ultimi decenni hanno investito sempre meno in innovazione e produttività e si sono invece sempre piu' adagiate sulla moderazione salariale e su di una moneta sottovalutata. In molti casi, senza il sostegno attivo dello Stato, tutto questo non sarà possibile, specie nell'area della politica per lo sviluppo tecnologico