Bellissima traduzione appena ricevuta da Edoardo che con grande piacere pubblichiamo. Nei giorni della formazione del governo Conte i cosiddetti "media di qualità" tedeschi hanno tirato fuori dal cassetto i peggiori cliché sull'Italia e gli italiani. L'obiettivo della campagna era chiaro: lanciare una spedizione punitiva contro chi osava mettere in discussione gli interessi del paese dominante. Ma i "primi della Klasse" sono abituati a vivere in un mondo ordinato e prevedibile e fanno fatica a capire cosa succede a sud delle Alpi. Per molti giornalisti l'Italia resta un paradiso di arte e cultura abitato da un popolo indisciplinato, incapace di pensare al futuro e che soprattutto dovrebbe prendere esempio dai laboriosi "primi della Klasse". “Hallodri” è appunto un termine colloquiale tedesco usato per indicare una persona leggera, nullafacente e inaffidabile. Grazie Edoardo per l'ottima traduzione! Da Übermedien, un ottimo Sven Prange
Pochi giorni fa il caporedattore di Der
Spiegel, Klaus Brinkbäumer, ha partecipato a un incontro in cui
si è confrontato con lettori e lettrici. Deve averne tratto davvero
una straordinaria impressione, se nel numero successivo della rivista
si è soffermato a parlarne per diverse righe nel suo editoriale. I
lettori – ha spiegato ai suoi stessi lettori – non apprezzano
quando i redattori di Der Spiegel “esprimono le proprie
opinioni su dei fatti senza distinguere chiaramente le une dagli
altri”, né gradiscono se eventuali voci discordanti vengono
obliterate. A simili critiche Brinkbäumer ha agevolmente replicato
che: “noi ovviamente continuiamo a vederla in modo diverso, dato
che ogni settimana facciamo uscire Der Spiegel mettendoci
tutta la coscienza e la passione possibili”. Subito dopo è
cominciata – come se quei lettori non fossero mai esistiti – una
settimana di cronaca sulla formazione del nuovo governo italiano che
ha portato al numero di Der Spiegel con il cappio di spaghetti
in copertina. Numero in cui la carente distinzione tra fatti e
opinioni rappresentava tutto sommato il minore dei problemi.
Lavoro da più di dieci anni, perlopiù
ricoprendo ruoli direttivi, nelle redazioni delle maggiori testate
tedesche di informazione economica e da alcuni anni sono
corrispondente dall’Italia. Credevo di aver vissuto più o meno
tutti gli accidenti e le storture della vita quotidiana di redazione.
Ho messo pepe su alcune tesi, ho semplificato, ai fini della
comprensibilità, circostanze complesse, ho anche evitato di dare
troppo spazio ad alcune voci. Ciò perché la semplificazione è uno
strumento chiave per adempiere al compito del giornalista, che è
quello di spiegare. E certamente ho pure scritto qualche marchiana
sciocchezza. Eppure, mi pare incredibile ciò che la scorsa settimana
– dopo giorni di evidente frenesia – è finito nel servizio di
prima pagina di Der Spiegel. Non solo perché tale servizio
pare confezionato in modo dubbio, ma anche perché esso rappresenta
l’atteggiamento della maggioranza dei media tedeschi nazionali.
Negli ultimi anni ho potuto osservare
come si sia fatta sempre più forte la polemica nei confronti dei
giornalisti, specie dei giornalisti delle grandi testate nazionali.
Ho sentito parlare di “giornalismo di branco”, “stampa
pilotata”, “giornalismo delle élites”. Mi paiono esagerazioni,
in alcuni casi da teoria del complotto. Ma penso anche questo: un
giornalismo che affronti i temi legati all’Italia come lo fanno Der
Spiegel, Süddeutsche Zeitung, Frankfurter allgemeine Zeitung,
Die Welt, ARD e alcuni media di informazione economica,
in parte perché incitati da economisti tedeschi, lobbisti finanziari
e politici conservatori, rinfocola queste polemiche e scuote le
fondamenta del proprio stesso lavoro.
Sia chiaro: in Italia si è formato un
governo di coalizione in cui l’azionista di minoranza, la Lega, è,
a mio parere, a tratti omofobo, xenofobo e chiaramente collocato
troppo a destra nello spettro politico. Nondimeno è stato votato dal
17% degli elettori. C’è poi un partner di coalizione grande il
doppio, i 5 Stelle, che non è più tanto semplice da inquadrare: un
variopinto miscuglio di critici del sistema, ecologisti, economisti
comportamentali e pasionari dei diritti umani – e tra di loro sono
sicuramente presenti anche dei pazzoidi.
Tuttavia, dopo avere trascorso anni a
lavorare come giornalista viaggiando per l’Italia e osservando con
attenzione il Paese, ritengo che questo governo sia stato eletto in
modo democratico. E credo che l’Italia sia una solida àncora in
un’Europa che serve anche agli interessi tedeschi: ciò in ragione
della forte consistenza della sua economia e del ruolo che essa
finora ha ricoperto nell’Unione Europea e nell’Eurozona in
qualità di contributore netto, terza economia, propulsore del
processo di unificazione e, infine, di unico alleato che la Germania
abbia avuto negli scorsi anni in materia di politiche migratorie.
Der Spiegel ha riassunto tutta
questa situazione così complessa mettendo sulla copertina degli
spaghetti disegnati a mo’ di cappio. Titolo: “Ciao Amore”.
Quando lo vedo ho ancora in testa un articolo di Jan Fleischauer
pubblicato pochi giorni prima sulla edizione online di Der
Spiegel, nel quale gli italiani, che sono – nota bene! –
contribuenti netti nel bilancio UE, vengono complessivamente dipinti
come dei parassiti. O il testo di Hans-Jürgen Schamp, per il quale
il Presidente Sergio Mattarella “invece di lasciare andare al
potere i populisti ostili alla UE” ha per fortuna ostacolato la
formazione del governo. Come se entrambi i partiti fossero “ostili
alla UE” e come se fosse il Presidente, e non gli elettori, a
conferire il potere di governare.
Per una settimana ho dovuto assistere a
una campagna stampa orchestrata ad arte in cui veniva restituita
l’immagine di un’Italia sull’orlo del caos economico a causa
del governo che si profilava all’orizzonte. Finché la settimana
non si è conclusa con una copertina del Der Spiegel che
pronostica il fallimento del Paese, e ciò sulla base di un miscuglio
di ignoranza dei fatti, paragoni fuorvianti e mistificazioni; tutti
tesi a un solo scopo: privare questo governo, che intende opporsi –
in parte a ragion veduta– alla politica tedesca in Europa, di ogni
credibilità economica.
Ecco lo strabismo di questo dibattito:
la parte del nuovo governo composta dalla Lega può senz’altro
attirare critiche profonde sulla sua umanità, sulla sua concezione
democratica e sul suo contegno in pubblico. E invece, a fronte di
ciò, tutti i media tedeschi per giorni interi vanno agitando lo
spettro di una imminente minaccia economica.
Tre esempi su tutti di come lavora Der
Spiegel:
Il pezzo si apre muovendo dall’idea
che il leader della Lega Matteo Salvini sia il nuovo uomo forte
dell’Italia, a capo di un governo di destra. Eppure, la Lega è
indubbiamente il partner di minoranza rispetto ai Cinque Stelle (cosa
che peraltro viene ammessa altrove nel testo). È come se si volesse
qualificare il governo tedesco di Grosse Koalition come un
governo socialdemocratico, o come se si raffigurassero Olaf Scholz e
Andrea Nahles come le figure politiche dominanti in Germania. Salvini
e la sua Lega si prestano molto meglio ad attizzare le paure dei
lettori di quanto non possano fare i Cinque Stelle e il vincitore
delle elezioni Luigi di Maio, i quali hanno un programma che non è
né di destra né assurdo.
Si afferma poi che verrebbe introdotto
un reddito minimo garantito. Anche questo serve a comprovare il
presunto avvicinarsi del caos finanziario. Peccato che nel contratto
di coalizione non vi sia alcun piano nel senso di introdurre un
reddito minimo garantito.
Infine, si può leggere una sorta di
reportage dalla Sicilia, scritto in modo tale che sembra la
descrizione del profondo entroterra di uno stato fallito. Ovviamente
il fine è ancora una volta quello di dimostrare tutta la fragilità
attribuita all’Italia. La tesi per cui il Paese verserebbe in
condizioni disperate sarebbe avvalorata da un dato: il PIL pro capite
in Sicilia (circa 18mila €) ammonta a meno della metà di quello
delle più ricche regioni settentrionali (circa 40mila €).
Pare logico, no? Si tratta invece di un
ragionamento ingannevole. Se si guarda ai rapporti tra i Länder
tedeschi più forti e quelli più deboli il divario è ancora
maggiore: il PIL pro capite qui parte da 20mila € per arrivare fino
a circa 60mila €. Ma chi sosterrebbe mai che per questo la Germania
è prossima al collasso?
Chi, dopo questo servizio dalla prima,
non si fosse ancora del tutto convinto che questo governo italiano è
un pericolo per la Germania, potrebbe leggersi Henrik Müller sulla
edizione online di domenica di Der Spiegel . Qui, sulla base
di quanto avvenuto col nuovo governo in Italia, si deplora il fatto
che “popoli interi votano contro i propri stessi interessi”.
Perché è ovvio che Henrik Müller dall’università di Dortmund
conosca perfettamente gli interessi degli italiani. Perché egli sa
che l’attuale governo è il primo governo dal 1994 senza ministri
imputati o condannati; il primo governo dall’inizio degli anni
Sessanta che non sia sospettato di avere contatti latenti con la
mafia; il primo governo che abbia suggellato il proprio programma con
un contratto di coalizione, seguendo così l’esempio tedesco e
fornendo una base affidabile al proprio lavoro.
Vista la natura cangiante dei
protagonisti il tutto potrebbe saltare più domani che domani l’altro
– ma perlomeno se ne potrebbe dare notizia al lettore del Der
Spiegel, il cui caporedattore tanto si cruccia per la mescolanza
di fatti e opinioni e l’omissione di informazioni al fine di dar
risalto a tesi forti.
Forse si potrebbe indulgere davanti a
simili errori, se solo Der Spiegel non stesse come pars pro
toto per tutti i grandi media tedeschi: si monta uno scenario di
caos economico che mini la credibilità del governo italiano ancora
prima che questi inizi a sfidare le posizioni, ormai immutate da
anni, del governo tedesco nei confronti dei partner europei,
reclamando riforme dell’eurozona per una gestione meno rigida del
debito, un ridimensionamento del surplus commerciale tedesco e una
vigilanza bancaria comune a Bruxelles.
L’ex ministro greco delle finanze, Yanis Varoufakis, dopo il fallimento del suo tentativo di mutare dall’interno la politica UE, ha supposto che l’insuccesso fosse dovuto anche all’opposizione di una schiera (tedesca) di giornalisti economici, politici, burocrati UE e lobbisti finanziari. A tal proposito ha addotto i seguenti motivi: l’organizzazione di un fronte nordeuropeo di pubblicisti allineato contro gli europei del sud; la pretesa di avere l’esclusiva nel dire quali misure economiche potessero essere sensate (misure che poi coincidevano puntualmente con la politica economica dominante nella UE); la diffamazione di chiunque la pensasse diversamente e la rimozione di quanto avvenuto nell’Eurozona prima del 2010.
Varoufakis ha talmente torto che, dopo alcune settimane di intense cronache dall’Italia, è possibile esemplificare ciascuna delle situazioni da lui denunciate.
Entrambi i partiti di governo sono imperterritamente definiti come populisti. “I populisti ci riprovano”, titola ad esempio la Süddeutsche Zeitung. Sulla problematicità dell’impiego del concetto di “populismo” si è espresso tra gli altri lo storico Michael Wolffsohn il quale ha ritenuto il termine nient’altro che un “manganello diffamatorio” da usare in mancanza di altre argomentazioni. La definizione di populismo che al momento va per la maggiore l’ha data invece il politologo Jan-Werner Müller: “il populismo è una ben precisa concezione politica per la quale a un popolo omogeneo e moralmente puro si contrappongono sempre élites corrotte, immorali e parassitarie”. In Italia questa definizione potrebbe andare bene per la Lega, ma di certo non per i Cinque Stelle. Cionondimeno nessun termine relativamente all’Italia è stato impiegato dai media più di frequente.
Sempre la Süddeutsche Zeitung titola il 18 maggio ciò che tuttora molti colleghi prendono per vero: “Lega e Cinque Stelle progettano un reddito minimo garantito di 780 €”. Con l’incessante ripetizione di questa notizia si vuole provare in modo sistematico l’incompetenza finanziaria del prossimo governo. Come già si è detto per Der Spiegel, vi è solo un piccolo problema: che non è affatto così!
In effetti, i Cinque Stelle avevano sostenuto nel proprio programma elettorale un reddito minimo garantito. Tuttavia, la proposta non è stata neppure considerata nelle trattative per formare la coalizione; al suo posto il governo vuole introdurre una garanzia minima per i disoccupati, garanzia che al momento non esiste. Chi mai in Germania si metterebbe a equiparare l’Hartz IV a un reddito minimo garantito? Forse l’erronea interpretazione si deve alla parola “reddito” (Einkommen). Eppure, l’aggettivo “garantito” non è mai stato pronunciato. Questo fa la differenza. Ma mettiamo pure che fosse diversamente: in Germania perfino degli amministratori di grandi gruppi quotati in borsa si sono espressi in favore di un “reddito minimo garantito”. Tutti ammattiti?
Holger Steltzner, uno dei direttori della Frankfurter Allgemeine Zeitung, scrive: “La BCE dovrebbe regalare a Roma 250 miliardi di euro”. Anche questa una affermazione che compare ovunque negli articoli della stampa. La richiesta era effettivamente stata messa per iscritto in una delle prime bozze del contratto di coalizione, per poi scomparire immediatamente e non venire più ripetuta… tranne che dai media tedeschi.
Handelsblatt da ultimo imposta la storia di copertina su questa tesi: “il declino politico ed economico dell’Italia minaccia l’intera Eurozona”. Anche qui l’immagine di un paese fragile dell’Europa meridionale che minaccia il benessere tedesco e l’Euro. Ma che vorrebbe poi significare declino politico? Che in Italia per la prima volta da anni nasce un governo che nelle urne ha trovato il consenso di più del 50% degli elettori? E che significa declino economico? Che tutte le istituzioni internazionali pronosticano, per la terza volta consecutiva, una crescita economica del Paese maggiore dell’1%? Che gli italiani sono campioni mondiali nelle esportazioni di autoveicoli, generi alimentari, prodotti di lusso e di alta moda? Frasi a effetto, che rimangono sempre nel vago e che sono soprattutto funzionali alla rappresentazione dell’Hallodri meridionale.
È del tutto evidente che questa coralità di atteggiamenti e di toni non è dovuta a previ accordi, né siamo di fronte a una qualche congiura. Eppure le parole si assomigliano tra di loro, non solo quelle dei media, ma anche quelle dei media e dei politici. Quando Handelsblatt scrive ad esempio che un governo tecnico nominato dal Presidente della Repubblica sarebbe stato più conforme alla “ragionevolezza economica” di quello attuale, ciò ricorda molto quanto detto dal Presidente del Consiglio bavarese, Markus Söder, che ha chiesto agli italiani di essere “ragionevoli”.
Morale della favola: i giornalisti tedeschi di punta sono uniti nel voler difendere a ogni costo i presupposti delle politiche economiche europee dominanti. Come spiegare altrimenti il fatto che in nessuno di questi articoli si ricorda che la Germania ha a lungo ignorato, prima che lo facesse l’Italia, i limiti all’indebitamento previsti dal Patto Euro Plus? Che la Germania ha salvato le banche con soldi pubblici prima che lo facesse l’Italia? Che in Germania è stata licenziata una riforma delle pensioni molto più costosa di quella che si progetta ora in Italia?
Vi sono alcuni colleghi e colleghe che lo hanno rammentato nei giorni scorsi. Ad esempio, Petra Reski, che da anni lavora come corrispondente indipendente dall’Italia, e anche Markus Oetting, che segue con grande attenzione i Cinque Stelle. E non sono mancati neppure alcuni editoriali perspicaci, come quello di Giovanni di Lorenzo su Die Zeit di due settimane fa, che si sono mostrati più critici, pur senza impiegare queste stesse argomentazioni. Nondimeno, i toni non sono finora complessivamente mutati.
Del resto, anche io nei mesi scorsi ho potuto partecipare ad alcune ricerche di mercato e a tavoli di discussione con lettori ed ex utenti dei media giornalistici. Ho incontrato, proprio come Brinkbäumer, lettori e lettrici perlopiù disgustati da un giornalismo a tesi univoche; che tengono per tradizionalistico il mescolare fatti a opinioni, come vorrebbe la vecchia scuola.; che rifiutano il giornalismo da campagna di opinione e che si sentono venduti come degli scemi quando vengono tenute loro nascoste determinate informazioni.
L’impressione è che non si tratti di casi isolati: basta guardare su internet come hanno reagito molti lettori di Der Spiegel la settimana scorsa, dopo la pubblicazione della copertina con il cappio di spaghetti. Almeno Brinkbäumer nel suo pezzo ha anche aggiunto, circa l’incontro con i lettori, che: “se ne deve trarre come conclusione che dovremo riesaminare l’opinione che abbiamo di noi stessi”. C’è da augurare ai lettori del Der Spiegel che l’attuale titolo di copertina sia stato prodotto prima di questo riesame, e che non ne sia invece il risultato.