giovedì 11 febbraio 2021

Perché l'UE e la Germania stanno perdendo la battaglia geopolitica per il controllo dell'Europa del sud-est

La débacle dell'UE sui vaccini corrisponde anche ad una grave sconfitta geopolitica di Bruxelles e Berlino nell'Europa del sud-est, una sconfitta che lascia sempre piu' spazio alla Cina, ormai la principale potenza economica dell'area. Nei palazzi del potere europeo c'è molta preoccupazione, il sempre ben informato German Foreign Policy ci racconta gli ultimi sviluppi



17+1

Da quando nel 2012 il formato è stato lanciato, la cooperazione con la Cina nell'ambito del "17+1" ha portato significativi benefici economici ai dodici Stati dell'UE e ai cinque paesi non UE dell'Europa orientale e sudorientale che vi prendono parte. Ad esempio, il volume del commercio tra questi paesi e la Repubblica Popolare da allora è aumentato in media dell'8% annuo. L'anno scorso, il commercio bilaterale è aumentato dell'8,4 % per un volume complessivo di 103,45 miliardi di dollari, nonostante la crisi da Coronavirus, che in altri ambiti invece ha causato un crollo dell'economia. Ci sono cifre variabili sugli investimenti diretti cinesi nella regione; secondo il think tank berlinese Merics (Mercator Institute for China Studies), tra il 2010 e il 2019 ammonterebbero a 8,6 miliardi di euro solo nei dodici Stati dell'Unione europea che partecipano al "17+1" [1]. Ci sono inoltre progetti finanziati e prestiti erogati anch'essi per un valore di diversi miliardi di euro. Importanti investimenti cinesi sono stati realizzati anche in Grecia e Ungheria, tra gli altri. In Grecia, da quando è stato rilevato dalla China Ocean Shipping Company (COSCO), il porto del Pireo è passato dal 17° al 4° posto tra i porti container europei; ora è il più grande porto europeo per container sul Mediterraneo. [2] In Ungheria, le imprese cinesi, invece, stanno lavorando in particolare sul tratto della linea ferroviaria ad alta velocità fra Budapest e Belgrado.

"Il terzo paese più importante"

I cinque stati non UE dell'Europa sud-orientale (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia settentrionale, Albania) stanno cooperando in maniera particolarmente stretta con la Cina nell'ambito del "17+1". La Serbia, ad esempio, è diventata destinataria di importanti investimenti cinesi; nel 2016, Hesteel Group, uno dei più grandi produttori di acciaio di tutto il mondo, ha acquistato l'acciaieria di lunga data di Smederevo, una delle più grandi aziende in Serbia. L'acciaieria, precedentemente di proprietà della U.S. Steel, era caduta in crisi accumulando pesanti perdite, ed era stata quindi venduta dal gruppo americano. Già ad inizio 2019, le cronache raccontavano che Hesteel non solo stava portando l'impianto fuori dalla crisi, ma la stava trasformando nell'acciaieria piu' redditizia d'Europa. [3] Senza dubbio ci sono state molte polemiche sulla presenza di Hesteel a Smederevo: da qualche tempo, infatti, i residenti locali protestano contro i danni ambientali causati dall'acciaieria. Le proteste vengono attualmente utilizzate dal deputato verde Reinhard Bütikofer e dalla sua Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC) per fomentare il sentimento anti-Pechino. [4] La Repubblica Popolare sta comunque espandendo la sua influenza in Serbia e nei vicini stati non UE; un recente studio dell'European Council on Foreign Relations (ECFR) ha concluso che Pechino è "diventato il più importante paese terzo" in quella regione. [5] L'European Council on Foreign Relations (ECFR) attualmente sta lavorando su questo tema insieme alla Commissione europea.



Pressione da Bruxelles e Washington

Allo stesso tempo gli stati UE nell'ambito del "17+1" devono affrontare una massiccia pressione da parte di Bruxelles, ma anche di Washington, con l'obiettivo di far ridimensionare la loro cooperazione con Pechino e far loro abbandonare il formato della cooperazione indipendente. Berlino e Bruxelles tuttavia ripetono che l'UE non deve farsi dividere - un argomento che viene respinto dal gruppo dei "17+1" i quali fanno invece notare che gli stati più potenti dell'Europa occidentale, soprattutto la Germania, da parte loro cooperano già in maniera indipendente con la Cina; ad esempio, l'ex-ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski recentemente ha affermato: "Gli europei occidentali hanno già relazioni commerciali di lunga data con la Cina, e non permettono a noi paesi dell'Europa centrale di partecipare a queste relazioni". Se il formato "17+1" dovesse essere abbandonato, allora anche "il resto dell'UE" dovrebbe smettere di muoversi da solo. Ma questo colpirebbe soprattutto la Germania. La pressione di Bruxelles e Washington, inoltre, è diretta contro i singoli progetti cinesi in Europa orientale e sudorientale. La Croazia, ad esempio, recentemente ha dovuto annullare la gara d'appalto per l'unico porto d'acqua profonda del paese in quanto le aziende cinesi avevano buone possibilità di vincere il contratto. In Romania, invece, il governo ha deciso di escludere le imprese della Repubblica Popolare dalla costruzione di strade e collegamenti ferroviari. [7] Anche la partecipazione cinese alla costruzione di un tunnel da Helsinki alla capitale dell'Estonia Tallinn viene aspramente osteggiata. [8]



L'iniziativa dei tre mari

Nella lotta per l'influenza sull'Europa orientale e sud-orientale, le grandi potenze occidentali restano fra loro divise. Berlino considera la regione come una sua sfera d'influenza esclusiva, e ha cercato di allineare l'intera UE - tuttavia con poco successo finora - nell'ambito di un blocco coeso anche in termini di politica estera, cercando quindi di mantenere la sua influenza primaria sui cinque stati non UE dell'Europa sudorientale. Washington, da parte sua, negli ultimi anni invece ha cercato di rafforzare la sua influenza nell'est e nel sud-est dell'UE attraverso l'"Iniziativa dei tre mari" - a spese della Germania. L'iniziativa risale a un'offensiva di Washington nata durante l'amministrazione Obama; lanciata nel 2015 dal presidente polacco Andrzej Duda e dall'allora presidente croato Kolinda Grabar-Kitarović, l'iniziativa è stata formalmente fondata durante un summit del 25-26 agosto 2016 a Dubrovnik, in Croazia [9]. L'obiettivo, tra l'altro, era anche quello di migliorare i collegamenti fra i paesi partecipanti attraverso la costruzione di infrastrutture. Come del resto gli sforzi di cooperazione del "17+1" della Cina, la cosiddetta "iniziativa dei tre mari" si basa sul fatto che negli ultimi 30 anni, l'est e il sud-est dell'Europa sono stati ampiamente trascurati dai paesi piu' ricchi dell'Europa occidentale, specialmente la Germania, in quanto questi paesi erano concentrati sul perseguimento dei loro interessi economici. Questa condotta ha offerto alle potenze esterne, grazie alla cooperazione economica, la possibilità di assicurarsi un'influenza sulla regione.

La Cina come fornitore di vaccini

Anche nell'ambito della lotta contro la pandemia da Covid-19, la situazione non è cambiata di molto. Già nella primavera del 2020, infatti, l'UE aveva in pratica tagliato il sostegno ai cinque paesi non UE dell'Europa sud-orientale, vietando l'esportazione di attrezzature mediche di protezione. La Cina è poi intervenuta, almeno parzialmente, fornendo alla Serbia gli aiuti necessari. Berlino e Bruxelles hanno quindi reagito a questa mossa accusando Pechino di essere impegnata in una "diplomazia mascherata". [10] Lo sviluppo è stato simile anche per quanto riguarda i vaccini contro il Covid-19. Anche se l'UE pomposamente ha annunciato la sua intenzione di rifornire il mondo con i suoi vaccini, in realtà non è stata nemmeno in grado di fornire le dosi di vaccino necessarie ai propri Stati membri [11]. Per la seconda volta, la Cina è venuta in aiuto della Serbia ed ha fornito al paese un milione di dosi di vaccino; la Serbia ha così potuto effettuare otto vaccinazioni ogni cento abitanti e si trova al terzo posto in Europa dopo Gran Bretagna (18,86 vaccinazioni ogni cento abitanti) e Malta (8,89) (Germania: 3,91 vaccinazioni ogni cento abitanti). Recentemente, l'Ungheria è diventata il primo paese dell'UE a ordinare i vaccini anche dalla Cina e già questo mese ci si aspetta l'arrivo della prima parte di cinque milioni di dosi, sufficienti per immunizzare circa un quarto della sua popolazione. Al vertice del "17+1" di ieri, il presidente cinese Xi Jinping ha promesso ulteriori spedizioni. [12]




[1] Grzegorz Stec: Central and Eastern Europe and Joint European China Policy: Threat or Opportunity? merics.org 01.10.2020.
[2] Beth Maundrill: Piraeus becomes top Mediterranean port. porttechnology.org 21.05.2020.
[3] Vedran Obućina: Incredible rise of Serbian steel industry. obserwatorfinansowy.pl 19.03.2019.
[4] MEPs concerned over increasing Chinese influence in Serbia. emerging-europe.com 20.01.2021. Zur IPAC s. auch Der grüne Kalte Krieg.
[5] Vladimir Shopov: Decade of Patience: How China Became a Power in the Western Balkans. ECFR Policy Brief. February 2021.
[6] Grzegorz Stec: Central and Eastern Europe and Joint European China Policy: Threat or Opportunity? merics.org 01.10.2020.
[7] Andreas Mihm: Chinas Charme-Offensive im Osten. Frankfurter Allgemeine Zeitung 08.02.2021.
[8] Mette Larsen: Chinese-backed Finnish venture of world's longest undersea rail tunnel back on agenda. scandasia.com 27.01.2021.
[9] S. dazu Osteuropas geostrategische Drift.
[10] S. dazu Die "Politik der Großzügigkeit".
[11] S. dazu Das Impfdesaster der EU.
[12] China bietet Osteuropa Impfstoff an. n-tv.de 09.02.2021.



mercoledì 10 febbraio 2021

La vera ragione dietro la profonda disuguaglianza sociale in Germania

Il grande economista tedesco Marcel Fratzscher, dati alla mano, ci spiega perché in Germania le donazioni e le eredità sono la vera ragione dietro la grande disuguaglianza in termini di patrimoni e ricchezza privata. Un articolo molto interessante di Marcel Fratzscher zu Die Zeit


In Germania una parte significativa di tutta la ricchezza privata non è stata ottenuta con il lavoro delle proprie mani, ma tramie le eredità o le donazioni. E questi patrimoni stanno crescendo significativamente, dato che le generazioni del dopoguerra sempre più speso stanno passando parte della loro ricchezza ai figli e ai nipoti, come del resto mostra un nuovo studio. Nella nostra società, tuttavia, a beneficiarne sono in pochi e di solito sono persone già molto privilegiate. Le eredità possono essere una grande fortuna, ma possono esacerbare anche le disuguaglianze in termini di ricchezza e di opportunità. Ecco perché abbiamo bisogno di una discussione fattuale su questo importante argomento e non di un dibattito fondato sull'invidia sociale.

Un nuovo studio condotto dal DIW di Berlino, in collaborazione con altri istituti e università, sottolinea la crescente importanza delle eredità e delle donazioni nella nostra società. Negli ultimi 15 anni, infatti, il 10% di tutti gli adulti ha avuto la fortuna di ricevere un'eredità oppure delle donazioni importanti. Negli ultimi anni, in particolare, la dimensione delle eredità è aumentata significativamente: mentre l'eredità media negli anni tra il 1986 e il 2001 corretta per l'inflazione era ancora di 72.000 euro, negli anni 2002-2017 è salita a 85.000 euro.

Tassa di successione iniqua

Le eredità e le donazioni sono distribuite in maniera molto ineguale, anche in termini di dimensioni. La metà delle eredità è inferiore ai 33.000 euro. Se la cosiddetta mediana è molto più bassa della media, significa che pochi ereditano grandi quantità di denaro. E in effetti, il 10% dei beneficiari riceve la metà di tutte le eredità e di tutte le donazioni. L'altro 90% condivide la metà restante.

Il quadro generale in termini di economia complessiva è sorprendente: studi precedenti del DIW di Berlino stimavano in Germania l'importo totale delle eredità e delle donazioni a 300-400 miliardi di euro ogni anno, vale a dire poco meno del 10% del PIL annuo tedesco. Non è quindi sorprendente che una gran parte degli oltre 10.000 miliardi di euro di ricchezza privata in Germania sia stato ottenuto grazie alle eredità o alle donazioni e non attraverso il lavoro delle proprie mani.



Ciò che stupisce, invece, è quanto poco di tutto ciò lo Stato abbia incassato attraverso l'imposta di successione: tra i sei e i sette miliardi di euro all'anno, cioè poco meno del due per cento della somma totale che si stima venga trasmessa attraverso le eredità e le donazioni. E ciò è dovuto principalmente alle generose esenzioni sull'imposta di successione che permettono oggi come ieri di trasmettere alla generazione successiva delle grandi eredità aziendali, spesso completamente esenti da tassazione. Uno studio precedente del DIW di Berlino, ad esempio, aveva dimostrato che i cittadini che ricevono in eredità tra i 250.000 e 500.000 euro pagano in media più del 10% di tasse di successione, mentre quelli con un'eredità di più di 20 milioni di euro devono pagare in tasse poco meno del 2% di questo importo. L'obiettivo dovrebbe essere quello di evitare di tassare il capitale delle imprese al fine di proteggerle.

Mediamente piu' anziano, tedesco occidentale e ricco

Chi sono gli eredi in Germania? La risposta breve è: per lo più persone che sotto molti aspetti sono già privilegiate. La risposta più lunga è: ad ereditare sono soprattutto persone nella seconda parte della loro vita, cioè tra i 55 e i 74 anni; della Germania ovest, che in media ricevono il doppio dell'eredità rispetto a chi vive nell'est - e quelle con i redditi piu' alti: quasi il 25 % delle eredità, infatti, vanno a persone collocate nel 10% piu' alto di coloro che hanno i redditi più elevati. E si tratta per lo più di persone che sono già molto ricche anche senza aver incassasto un'eredità: due terzi di tutte le eredità e di tutte le donazioni vanno a persone che appartengono al 20 % di coloro che hanno la maggiore ricchezza privata.

La conseguenza è che le eredità e le donazioni hanno un effetto estremo sulla distribuzione e la disuguaglianza in termini di ricchezza e di redditi. Nel dibattito sugli effetti delle eredità, si fa spesso notare che le eredità e le donazioni dopo tutto avrebbero ridotto la disuguaglianza in termini di ricchezza. Questo è vero se si guarda alla disuguaglianza relativa misurata, ad esempio, dal coefficiente di Gini, la misura della disuguaglianza più comune, ma non è nemmeno sorprendente: di solito una persona trasmette la sua eredità a più persone. E già questo di per sé porta in maniera meccanica a una migliore redistribuzione e quindi a un coefficiente di Gini più basso.

Ma in questo modo viene oscurata la distribuzione assoluta in termini di ricchezza e di reddito. Pertanto, guardare alla disuguaglianza assoluta, cioè misurata in euro, è molto più rilevante. Il divario in termini di ricchezza tra chi eredita e chi invece resta a mani vuote aumenta enormemente. E poiché le persone con redditi bassi e piccoli patrimoni hanno molte più probabilità di andarsene a mani vuote o di ricevere solo somme molto piccole, per le loro vite e le loro prospettive future cambia poco.

Nessun dibattito sull'invidia sociale

E' anche vero che un'eredità o una donazione rappresentano una grande opportunità per molte persone. Possono compensare un basso reddito mensile, possono rendere possibile l'acquisto di beni immobili o aiutare a cambiare carriera. È bello quando le persone possono cambiare la loro vita in meglio attraverso l'eredità o le donazioni e ottenere più libertà e maggiore responsabilità personale. Il dibattito quindi non dovrebbe essere in termini di invidia sociale.

La questione dovrebbe essere piuttosto come fare affinché le grandi eredità e le donazioni possano essere tassate più equamente e come è possibile fare in modo che il maggior numero possibile di persone possa beneficiare di eredità e donazioni, specialmente nelle fasi piu' critiche della loro vita, come ad esempio quando si crea una famiglia oppure all'ingresso nella vita professionale. La distribuzione più equa delle detrazioni fiscali, di cui non beneficerebbero solo i coniugi e i figli biologici, ma - in linea con la nuova diversità delle forme familiari - anche altri parenti stretti come i figliastri o i partner civili, potrebbe ridurre la disuguaglianza. Oppure l'abolizione del limite dei dieci anni, che permette in particolare agli individui ad alto patrimonio di trasmettere una parte dei loro beni esentasse ogni dieci anni.

Nelle colonne precedenti, avevo anche proposto un'eredità come opportunità per la vita, grazie alla quale tutti i giovani avrebbero ricevuto una donazione di 30.000 euro dallo Stato dopo aver ottenuto la loro prima qualifica professionale, soldi che avrebbero potuto usare per investire nel loro futuro professionale e privato. Sarebbe anche auspicabile arrivare ad avere una aliquota unica sulle eredità, cioè una tassazione uguale, diciamo, al 10 %, senza eccezioni per i grandi patrimoni, ma con generose indennità per le piccole eredità e le donazioni (che già esistono oggi). Questo significherebbe maggiore equità e aiuterebbe gli eredi a partecipare di più al bene comune.


martedì 9 febbraio 2021

Le nuove armi della Commissione Europea

"L'unico modo sensato di affrontare queste aberrazioni dell'integrazione europea è quello di minimizzarle ed eliminarle. Per il Recovery Fund, ciò significa che tutte le condizionalità che nulla hanno a che fare con l'effettivo uso dei fondi dovranno essere totalemente respinte", scrive il grande intellettuale tedesco Martin Hoepfner. La Commissione attraverso il Recovery Fund, secondo Hoepfner, intende mostrate tutto il lato autoritario del potere europeo, collegando l'erogazione dei fondi all'applicazione delle condizionalità dettate dalla stesssa Commissione, ovviamente al di fuori del processo democratico. I burocrati di Bruxelles, nel frattempo, tramite delle raccomandazioni hanno voluto mostrare i muscoli anche alla Germania, per Hoepfner tuttavia alla Cancelleria e nei ministeri tedeschi nessuno passerà notti insonni. Una riflessione molto interessante di Martin Hoepfner sul lato autoritario del potere europeo, da Makroskop.de


La settimana scorsa la stampa ha riportato una notizia importante. La Commissione europea ha comunicato alla Cancelleria e ai ministeri delle finanze e dell'economia che per poter ricevere i circa 24 miliardi di euro del Fondo per la ricostruzione ai quali avrebbe accesso, la Germania deve migliorare il suo programma di riforme. In particolare, Handelsblatt (25.1.21, pp. 8-9) e la FAZ (26.1.21, p. 16) riportano che la Germania dovrebbe riformare il suo sistema fiscale troppo progressivo, rafforzare la sostenibilità finanziaria del suo sistema pensionistico, liberalizzare le professioni regolamentate e abolire la separazione dei coniugi in ambito fiscale (Ehegattensplitting).

Ma tutto ciò sembra un po' strano. Condizioni per ottenere il denaro dal fondo di ricostruzione: non si trattava invece di discutere dell'uso concreto dei fondi, della digitalizzazione, della protezione del clima e dei meccanismi relativi allo stato di diritto? Il sistema tedesco di separazione fiscale fra i coniugi fa parte forse delle competenze dell'UE? Oppure, senza che ce ne fossimo accorti, contribuisce per caso a quegli squilibri interni all'Europa che hanno effettivamente bisogno di essere corretti e quindi rientrano nell'ambito delle procedure di controllo e di correzione macroeconomica gestite tramite il mecccanismo delle sanzioni?

Anche se questo fosse il caso (ma non è così ovviamente), cosa ha a che fare tutto ciò con il fondo per la ricostruzione? Scomponiamo e valutiamo i fatti.



Le condizionalità si spostano verso il fondo per la ricostruzione

Come è noto, la maratona negoziale del Consiglio europeo del luglio 2020 ha portato alla decisione di istituire un fondo per la ricostruzione da finanziare con dei prestiti comuni, fondo che dovrà fornire nei prossimi tre anni sovvenzioni a fondo perduto per 312,5 miliardi di euro e prestiti per 360 miliardi di euro (qui una valutazione economica). Un quinto del denaro è destinato ad accelerare la digitalizzazione e un terzo alla protezione del clima. I fondi saranno distribuiti tra i paesi partecipanti sulla base di un calcolo derivante dalla gravità del crollo del PIL causato dal Coronavirus lo scorso anno e il tasso di disoccupazione.

Tali fondi, tuttavia, non potranno essere spostati da una parte all'altra del continente senza condizionalità e controlli. Gli obiettivi dovranno essere ben definiti e non vi è alcun dubbio che dovranno essere effettuati dei controlli per assicurarsi che i fondi non finiscano in qualche pantano di corruzione. Tutti almeno sono d'accordo su questo punto. Ma la Commissione, il Parlamento europeo (PE) e alcuni Stati membri - soprattutto i "Cinque paesi Frugali" del nord volevano di più, mentre la Germania a causa della sua presidenza di turno sull'argomento è stata più moderata. In particolare si trattava di collegare il fondo a dei requisiti che nulla hanno a che fare con gli obiettivi e le procedure del fondo. Il Parlamento europeo, in particolare, voleva un meccanismo rigido fondato sullo Stato di diritto per poter agire contro Polonia e Ungheria (Andreas Nölke qui), e la Commissione, in particolare, chiedeva un collegamento con le raccomandazioni specifiche per i paesi del semestre europeo.

I negoziati su queste condizionalità si sono trascinati per quasi 6 mesi. L'accordo nell'ambito della cosiddetta "procedura del trilogo" fra la Commissione, il Consiglio e il PE è stato raggiunto solo poco prima di Natale, il 17 dicembre 2020. Purtroppo, il racconto che ne è stato fatto al termine era quasi esclusivamente incentrato sul meccanismo riguardante lo stato di diritto. Perché questo significava lasciare nascosto un fatto cruciale: vale a dire, che la Commissione aveva vinto su tutta la linea nel collegare il fondo ai requisiti specifici per ogni paese previsti dal semestre europeo (ecco il documento). La Commissione ha ottenuto esattamente quello che fin dall'inizio desiderava.

Il semestre europeo

Il semestre europeo esiste, almeno sotto questo nome, dal 2011, e riunisce diverse procedure sulla base delle quali l'UE può dare raccomandazioni di riforma ai suoi membri con diversi livelli di cogenza, senza bisogno di disporre di un proprio potere legislativo. Ne fanno parte le raccomandazioni generali specifiche per ogni singolo paese rivolte ai membri dell'UE a partire dal lancio della strategia Europa 2020; la procedura per i disavanzi eccessivi basata su sanzioni per i membri dell'eurozona, nata e cresciuta nell'ambito del Patto di stabilità e crescita del 1997, a sua volta radicato nei criteri di convergenza previsti dal trattato di Maastricht del 1992; e la procedura di sorveglianza e correzione macroeconomica introdotta nel 2012, in base alla quale le sanzioni possono anche essere imposte come ultima risorsa in caso di non osservanza. In altre parole una complicata proliferazione di procedure, giustamente accorpata al ciclo annuale dei semestri - se non altro, affinché le raccomandazioni delle singole procedure non si contraddicano grottescamente tra di loro.



Il semestre europeo di per sé non è una brutta cosa. Per quale motivo la Commissione non dovrebbe confrontare fra loro le politiche dei paesi dell'UE, identificarne gli obiettivi e, se possibile, le pratiche migliori, esaminare la generalizzabilità e la trasferibilità delle pratiche identificate e formulare consigli? E perché non dovrebbe anche essere garantito che almeno dopo averle "lette, derise e prese a pugni" - i governi non siano quindi chiamati ad affrontare seriamente le raccomandazioni e a formulare una risposta alla Commissione? Anche se naturalmente le raccomandazioni che escono dal semestre non sempre piacciono (per non dire altro), l'UE non dovrebbe astenersi dal perseguire tali forme di coordinamento "soft", oltre alla comune attività di legislazione.

Ma attenzione: se, con un processo graduale le raccomandazioni si appoggiano sempre di piu' alla possibilità di applicare sanzioni, a un certo punto non saranno più raccomandazioni, ma indicazioni per il legislatore costituitosi nell'ambito del processo democratico. Anche le direttive e i regolamenti europei alla fine sono delle istruzioni. Nell'ambito del Semestre, tuttavia, stiamo parlando di aree sulle quali l'UE non approva alcuna legge che sia vincolante per tutti, anzi, per le quali all'interno dei trattati spesso l'UE non ha avuto alcun potere normativo. Questo è esattamente il tipo di processo in cui siamo attualmente impegnati. Una procedura che doveva servire a un coordinamento morbido, sempre piu' spesso invece viene dotata del morso che trasforma le raccomandazioni non vincolanti in istruzioni obbligatorie sostenute da sanzioni.

La Commissione da molto tempo si sforza di individuare delle possibilità che vadano al di là della legislazione europea - con successo (Annika Holz qui). La storia recente dell'integrazione europea non è precisamente una storia fatta di ampliamento delle competenze legislative europee, ma una storia di irrigidimento delle direttive che vanno al di là della legislazione. L'UE ha fatto un grande passo in avanti durante e dopo l'eurocrisi introducendo delle procedure di correzione macroeconomica basate su delle sanzioni. È andata ancora piu' in là nel 2014, quando l'UE ha creato la possibilità di non erogare i fondi strutturali in caso di mancato rispetto delle raccomandazioni del semestre europeo. Ora continua su questa strada con delle ampie condizionalità previste nell'ambito del fondo per la ricostruzione. Sarà quindi necessario applicare un sottoinsieme significativo di raccomandazioni per poter prelevare denaro dal fondo (vedi pagine 12, 33 e 53 qui).

La strana scelta delle richieste fatte alla Germania

La minaccia fatta alla Germania di voler trattenere il denaro dal fondo per la ricostruzione è prima di tutto un atto simbolico. La Commissione vuole dimostrare i suoi nuovi strumenti di tortura e ovviamente dice a se stessa: se deve essere fatto, allora facciamolo per bene. Per la sua dimostrazione di potere, ha scelto raccomandazioni politiche particolarmente controverse, come l'abolizione del sistema di separazione coniugale in ambito fiscale, per il quale è davvero necessario usare una lente d'ingrandimento per poter individuare una qualche relazione a questioni di natura transnazionale.

Ecco una selezione di raccomandazioni per il 2019 (cioè un riferimento agli squilibri macroeconomici dell'eurozona) chiaramente più vicina ad una serie di problemi transnazionali a cui sarebbe stato opporturno ricorrere in relazione al fondo di recupero: la crescita troppo moderata dei salari (paragrafo 2), il tasso di investimenti pubblici troppo basso soprattutto a livello comunale (paragrafi 3 e 7), la spesa per l'istruzione troppo bassa (paragrafo 8), la costruzione di case al di sotto degli obiettivi (paragrafo 13) e l'ulteriore diminuzione della copertura della contrattazione collettiva (come se la Commissione esattamente su questo punto in Europa meridionale non avesse dichiarato guerra  - paragrafo 18).

La Commissione avrebbe anche potuto scegliersi delle raccomandazioni politicamente meno controverse, come ad esempio la correzione del basso livello di tasse ambientali in Germania (paragrafo 15) o ad esempio, il rafforzamento del personale docente nelle scuole (paragrafo 19). E nel contesto della pandemia, che in definitiva è stato l'impulso per il fondo di ricostruzione, un richiamo per aumentare l'attrattività delle professioni infermieristiche sarebbe stato abbastanza comprensibile (questa richiesta si trova anche nelle attuali raccomandazioni del 2020, paragrafo 19).

La provocazione della Commissione tuttavia non farà passare ai funzionari della Cancelleria e ai ministeri coinvolti notti insonni. Si può in pratica escludere che la dimostrazione di forza alla fine porti la Commissione a trattenere dei fondi nell'ambito del Recovery Fund a cui la Germania avrebbe diritto. In ogni caso, il piano tedesco di ricostruzione e resilienza, al quale la Commissione ha risposto, è un documento preliminare (si può leggere qui, alle pagine 14-15 ci sono le informazioni sulla compatibilità con le raccomandazioni del semestre). Il piano definitivo e corretto dovrà essere inviato alla Commissione entro l'aprile di quest'anno, dovrà poi essere valutato e, ci si aspetta che il Consiglio gli dia il via libera per lo sblocco dei fondi. Questo tuttavia però non dovrebbe oscurare la china scivolosa che l'integrazione europea ha preso su questo tema.

L'integrazione europea sulla strada sbagliata

Per chiarezza distinguiamo due modi di fare politica europea. Nella prima modalità, gli stati membri definiscono i campi politici nei quali vogliono agire congiuntamente sulla base di costellazioni di problemi transnazionali. Sulla scelta tra le alternative della decisione ha luogo a livello europeo una discussione comune. Tanto più queste discussioni paneuropee verranno condotte, tanto più si svilupperà una sfera pubblica europea - attualmente debole nel migliore dei casi. In questo modo, potrà gradualmente emergere uno spazio politico comune con veri partiti europei, mentre la politica europea potrà essere controllata democraticamente attraverso le elezioni.

Questa è più o meno la visione positiva della politica europea. Al momento, tuttavia, non c'è molto che suggerisca che questa possa diventare realtà. L'errata introduzione dell'euro, purtroppo, ha reso un cattivo servizio alla nascita di uno spazio politico comune, in quanto ha rafforzato le linee di conflitto che non corrono tra i partiti europei, ma tra i paesi. E questo è l'esatto contrario di uno spazio politico comune; il modo in cui i conflitti vengono risolti non può essere democratizzato (i partiti, non i paesi, possono essere eletti). Da buoni europei, tuttavia, non desideriamo forse che le possibilità di realizzare questa visione in futuro possano tornare a crescere?

Le direttive specifiche di Bruxelles, che differiscono da paese a paese, tuttavia, sono qualcosa di completamente diverso. In linea di principio non possono essere democratizzate a livello europeo, cioè non possono essere controllate per mezzo di elezioni democratiche a livello europeo, perché hanno non uno, ma 27 contenuti diversi. E a livello degli Stati membri hanno l'effetto di distruggere la democrazia.

Esse non tracciano la visione di una marcia verso una lontana Europa democratica, ma l'incubo di un approfondimento dell'Europa tecnocratica e autoritaria già esistente. Allo stesso modo, segnano l'arroganza da parte di Bruxelles di voler sapere meglio dei cittadini dei singoli paesi, cosa deve accadere nella politica degli stati membri. Il bilancio finale di questa arroganza è disastroso. Purtroppo, anche nello spazio progressista, le reazioni rimangono per lo piu' di accettazione. La tentazione di unirsi a loro è ovvia; dopo tutto, le risorse di potere che giacciono dormienti nell'Europa autoritaria sono inesauribili e allettanti. A chi non piacerebbe avere qualche briciola?

Tutto questo, ci si chiede da piu' parti, non sarebbe in qualche modo sostenibile se solo il Parlamento europeo oppure le parti sociali si mettessero di traverso? O forse il Comitato delle Regioni? Posso solo mettere in guardia dal tentativo di fare la pace con le modalità autoritarie tipiche della politica europea. L'unico modo sensato di affrontare queste aberrazioni dell'integrazione europea è quello di minimizzarle e abolirle. Per il Fondo di ricostruzione, questo significa che tutte le condizionalità che non hanno nulla a che fare con l'uso effettivo dei fondi dovranno essere fondamentalmente respinte.






lunedì 8 febbraio 2021

Nella trappola dei minijob

"Se mai fosse stata necessaria una prova ulteriore del fatto che i minijob sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita", scrive il sociologo tedesco Markus Kruesemman. Una riflessione molto interessante sulla trappola dei minijob ai tempi della pandemia, da Makroskop.de



Le misure prese nel corso del 2020 per combattere la pandemia da Coronavirus hanno lasciato il segno sul mercato del lavoro. Per la prima volta dopo anni di costante crescita, l'anno scorso il numero delle persone occupate è sceso. Contemporaneamente, il numero di disoccupati e inoccupati è aumentato. Il fatto che le cose fino ad ora non siano ancora peggiorate, probabilmente è dovuto al regime della cassa integrazione (Kurzarbeitergeld).

Se grazie a questa forma di proseguimento parziale del pagamento dei salari è stato steso un ombrello protettivo sui dipendenti soggetti ai contributi sociali, per molto tempo invece i lavoratori autonomi sono stati lasciati fuori e al freddo ad aspettare. Ma anche i cosiddetti impieghi marginali sono stati colpiti in maniera dura.



Basta un lockdown e i mini-job spariscono

"Gli occupati con un contratto di mini-job sono i veri perdenti della recessione indotta dal coronavirus", è questa la conclusione a cui giunge uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW) del novembre 2020. Come mostrano i dati, infatti, nel giugno 2020 c'erano circa 850.000 minijob in meno, vale a dire il 12% in meno rispetto all'anno precedente. Nello stesso periodo, l'occupazione soggetta a contributi sociali obbligatori si è ridotta però solo dello 0,2%. Le persone piu' colpite sono state proprio quelle che avevano un mini-job come lavoro principale. Il 45% degli occupati che nel 2019 aveva esclusivamente un minijob, nella primavera del 2020 non aveva più un lavoro. Per i mini-jobber che svolgevano il lavoro come impiego secondario, questa proporzione invece era "solo" del 18%.


E queste sono state le conseguenze solo del primo blocco di marzo/aprile 2020. Si sa ancora poco dell'impatto che avrà il blocco invernale. Ma probabilmente è corretto ipotizzare che la situazione dei mini-jobber, che si era un po' ripresa in autunno, tornerà a peggiorare. Gli ultimi dati estrapolati dall'Agenzia federale del lavoro mostrano già una tendenza negativa in corso nel novembre 2020.

In questo contesto, le dichiarazioni ottimiste su di un mercato del lavoro che in questa fase di crisi sarebbe robusto, e che avrebbe dimostrato di essere a prova di crisi, sembrano alquanto fuori luogo. Mostrano solo che i minijobber non contano. Non vengono nemmeno presi in considerazione dalle statistiche sulla disoccupazione, e si ha l'impressione che vengano ignorati o semplicemente dimenticati anche ora che siamo in crisi.

Male e peggio

Nessun dubbio sul fatto che anche per i lavoratori dipendenti che hanno un lavoro soggetto a contributi sociali, i tagli subiti in molti casi sono stati massicci. Grazie allo schema del Kurzarbeit, tuttavia, in molti almeno sono stati protetti dalla disoccupazione, anche se la riduzione dello stipendio per tanti lavoratori a basso reddito significa dover affrontare gravi problemi finanziari. E quelli che sono diventati disoccupati, nella maggior parte dei casi, almeno hanno diritto al sussidio di disoccupazione (ALG 1), in modo da potersi risparmiare l'umiliante viaggio al centro per l'impiego, sempre che il loro salario sia abbastanza alto da ricevere un sussidio di disoccupazione sopra il livello Hartz IV.

In confronto, i minijob sono "un sottomondo". Indennità di cassa integrazione? Niente del genere. Sussidio di disoccupazione? Neanche per sogno. È proprio qui che l'esenzione dalle assicurazioni sociali obbligatorie si fa sentire. L'equazione apparentemente attraente secondo la quale "il guadagno lordo corrisponde al salario netto", con la quale i datori di lavoro amano pubblicizzare i minijob, in tempi di crisi non funziona più. Chi viene mandato a casa e improvvisamente riceve solo uno zero lordo, non avrà niente di netto in tasca.

E solo come un inciso, per coloro che sono stati in grado di mantenere il loro minijob, ma ora hanno bambini in età scolare seduti a casa: poiché un'occupazione marginale non garantisce la copertura assicurativa sanitaria, i minijobber non hanno diritto all'indennità di malattia per i bambini, che recentemente è stata aumentata a un massimo di 20 giorni per bambino.

Un altro fattore che contribuisce alla crisi dei minijobs, naturalmente, è il fatto che il lavoro svolto dai minijobber non è generalmente adatto ad essere svolto in home-office. Ancora più grave, però, è il fatto che i minijobs si concentrano in quei settori che sono stati particolarmente colpiti dalle misure di lockdown.

I minijob sono una trappola occupazionale

Il ricorso allo strumento della flessibilizzazione del lavoro e dei minijob come strumento per il taglio dei salari nei settori particolarmente colpiti dal Coronavirus è un aspetto che da solo non può spiegare la crisi dei minijob. In realtà, non fa altro che esacerbare un problema fondamentale, la cui causa è strutturale: i minijob sono una forma di occupazione precaria e soggetta alle crisi. Una occupazione marginale non è adatta a garantire il sostentamento, per non parlare di una pensione in vecchiaia, e non è nemmeno un ponte verso un'occupazione regolare. Invece di affrontare la tanto attesa ri-regolamentazione della politica del mercato del lavoro, la coalizione di governo preferisce discutere sull'aumento da 450 a 600 euro della soglia massima di guadagno.

Se mai fosse stata necessaria un'ulteriore giustificazione in merito al fatto che i mini-job sono dei lavori di seconda categoria che nella loro forma attuale devono essere aboliti, la pandemia ce l'ha fornita.






domenica 7 febbraio 2021

Dalla Germania ci fanno sapere che il debito italiano acquistato dalla BCE non può essere cancellato

Pochi giorni dopo l'appello lanciato da Piketty ed altri importanti economisti europei in favore della cancellazione del debito pubblico acquistato dalla BCE e depositato presso le banche centrali dell'eurosistema, dalla Germania, economisti e politici ci fanno sapere che non si può fare. Anche il Bundestag avrebbe analizzato la situazione debitoria italiana giungendo ad una conclusione per niente inattesa: Nein! Ne scrive Handelsblatt.de


(...) Questa politica ha portato molte critiche alla BCE e le è costata una calo in termini di fiducia. Soprattutto in Germania, i critici accusano la banca centrale di essersi adoperata per finanziare in maniera diretta i governi, pratica che sarebbe proibita. La BCE tuttavia respinge l'accusa. Sostiene che con la sua politica si sarebbe limitata a garantire il funzionamento della politica monetaria.

Rapporto interno del Bundestag: la cancellazione del debito è vietata dai trattati europei

Dopo che i rappresentanti dell'UE e della BCE hanno iniziato a seguire il dibattito sulla cancellazione del debito con un certo scetticismo e distacco, il dibattito nel corso dei mesi per loro si è fatto sempre piu' spiacevole.

Il capo economista della BCE, Philip Lane, solo pochi giorni fa si è sentito in dovere di ribadire che la BCE non è autorizzata a cancellare il debito. "Non ci è permesso. I trattati non permettono la cancellazione del debito degli Stati", ha detto Lane.


Questo è anche quanto emerge da un rapporto interno del Bundestag, a disposizione di Handelsblatt, che analizza il debito pubblico italiano e il dibattito su di una cancellazione del debito del paese.

"Se la BCE prima acquista i titoli di stato allo scopo di ripristinare il funzionamento della politica monetaria dell'eurozona, e in seguito invece viene proposto un taglio del debito, tale cancellazione del debito da parte della BCE è incompatibile con il divieto di finanziamento monetario degli stati", afferma il rapporto.

Questo perché con una cancellazione volontaria del debito, la BCE contribuirebbe alla riduzione del deficit dei paesi dell'eurozona e quindi "direttamente e indipendentemente dai mercati finanziari, contribuirebbe a finanziare il deficit pubblico di uno stato membro".

La BCE inoltre con l'acquisito dei titoli di stato vanta dei crediti in termini di interessi sui titoli di Stato. Se semplicemente vi rinunciasse, "contraddirebbe la promessa della BCE di condurre delle transazioni secondo le abituali pratiche di mercato".

Segnale politico fatale

Ma al di là del divieto legale, gli esperti soprattutto mettono in guardia dalle conseguenze politiche ed economiche che un tale taglio del debito avrebbe. La riduzione del debito ridurrebbe la pressione sui governi a fare le riforme, come ad esempio quello italiano. La mossa farebbe più male che bene, dice l'economista Lars Feld.




L'economista Gabriel Felbermayr avverte anche che un taglio del debito potrebbe alimentare il rischio inflazione. Questa decisione potrebbe dare l'impressione che la BCE sta semplicemente stampando più denaro per finanziare i debiti degli stati.

Ma anche il segnale politico lanciato in Europa sarebbe fatale. Anche i politici di sinistra, infatti, temono che la cancellazione del debito pubblico alimenterebbe il solito dibattito sui trasferimenti: "i tedeschi stanno finanziando i pigri del sud-Europa".

È sicuramente vero che la banca centrale sta comprando titoli di stato di tutti i paesi dell'euro, compresa la Germania. Anche la Germania quindi beneficerebbe di un taglio del debito.

Ma la BCE proporzionalmente ha comprato più titoli di stato italiani che tedeschi, deviando quindi dalla sua regola originale. E questo potrebbe dare l'impressione che si tratta principalmente di un taglio del debito a favore dell'Europa del Sud e a scapito dell'Europa del Nord.

Non è nemmeno chiaro in che modo gli investitori finanziari internazionali potrebbero valutare un passo così radicale. Da un lato, dopo una tale cancellazione, le finanze pubbliche dei paesi dell'eurozona sarebbero di nuovo in una condizione più sana.

I titoli di stato in euro, tuttavia, non potrebbero più essere considerati come sicuri, perché gli investitori avrebbero paura di poter essere colpiti dal prossimo taglio del debito. I tassi d'interesse per i paesi dell'eurozona, come conseguenza, aumenterebbero bruscamente oppure potrebbe esserci una mancanza di acquirenti. I paesi dell'eurozona allora rischierebbero la bancarotta, e l'euro come moneta unica sarebbe probabilmente storia.

Per tutte queste ragioni, non c'è da meravigliarsi se la BCE intende bloccare sul nascere tutte le discussioni sulla cancellazione del debito. "Il dibattito", ha scritto il membro tedesco del comitato esecutivo della BCE Isabel Schnabel, "è dannoso e dovrebbe essere fermato".

venerdì 5 febbraio 2021

"In Italia non sanno nemmeno cosa fare con i nostri miliardi di euro!"

"Draghi, l'uomo che ci ha portato alla politica completamente errata della BCE, responsabile per l'eccesso di denaro incontrollato nell'Eurozona, dovrebbe essere proprio lui il grande salvatore dell'Italia? È uno scherzo, anche se molto brutto, del quale i tedeschi, che in misura considerevole saranno chiamati a pagare il conto, alla fine non potranno ridere". Jörg Hubert Meuthen di AfD commenta cosi' l'arrivo di Draghi alla presidenza del consiglio, da FB


(...) Il Ministro delle finanze tedesco nonché candidato alla Cancelleria della SPD, Olaf Scholz, vede la situazione in maniera molto diversa. All'inizio aveva lodato il piano di salvataggio anti-Corona come un "bazooka con molta forza" e ancora a gennaio sosteneva in tutta serietà: "La forte risposta fiscale, il bazooka, ha davvero funzionato".

Il bazooka, in effetti, caricato con i soldi dei contribuenti tedeschi ha mostrato tutto il suo effetto, ma non in Germania, bensì in Italia - il paese che trarrà il maggiore beneficio dai miliardi di aiuti dell'UE per il post-Corona.

Come promemoria, questi miliardi di aiuti anti-Corona dell'UE sono il risultato di un'idea di Merkel e di Macron per creare un "fondo per la ricostruzione" (la scelta delle parole è volutamente fuorviante, come a voler suggerire che mezza Europa giace a terra, distrutta dalla guerra!) per un importo di 500 miliardi di euro, a cui la signora Von der Leyen, con una certa presunzione, ha voluto aggiungere altri 250 miliardi - si badi bene, NON si tratta di denaro già disponibile, ma di denaro per la cui raccolta l'UE sta cominciando a indebitarsi in violazione dei trattati e per il quale alla fine a pagare saranno i nordeuropei. 

Nel complesso questo "favoloso" fondo porterà ad un trasferimento di ricchezza al di fuori dalla Germania per oltre 130 miliardi di euro - ne avevo parlato la scorsa estate.

Trasferimento di ricchezza fuori dalla Germania - verso l'Italia, ad esempio, dove è noto che i cittadini hanno una ricchezza mediana significativamente superiore rispetto a quella della Germania. 

Nel frattempo, ovviamente in Italia non sanno cosa fare con i miliardi e i miliardi di euro degli aiuti. Recentemente ho riportato l'assurdità secondo la quale i proprietari di casa in Italia stanno incassando un cosiddetto "super bonus" per installare un nuovo sistema di riscaldamento - un bonus che è effettivamente così super che uno non solo ottiene il sistema di riscaldamento COMPLETAMENTE pagato dallo stato italiano (cioè in ultima analisi in misura considerevole dal contribuente tedesco!), ma anche il 10% in più come REGALO. Che orgia insensata di spesa a scapito dei nordeuropei e soprattutto della Germania, ma è proprio così che va la "solidarietà europea" nel 16° anno di governo Merkel!

Ma poiché anche un tale regalo è ovviamente lontano dall'essere sufficiente per sperperare tutto il denaro (di cui gli imprenditori tedeschi avrebbero disperatamente bisogno), ora ci si affida (cioè dopo la caduta del governo italiano) al grande maestro dell'indebitamento, cioè all'ex capo della BCE Mario Draghi.

Dato che il governo precedente non è riuscito a mettersi d'accordo su come spendere tutti quei soldi europei, sarà proprio Draghi ora a formare un nuovo governo per poi far felici gli italiani con tutti quei miliardi.

Proprio l'uomo che ci ha portato alla politica completamente errata della BCE, responsabile per l'eccesso di denaro incontrollato nell'Eurozona, dovrebbe essere lui il grande salvatore dell'Italia?

È uno scherzo, anche se molto brutto, del quale i tedeschi, che in misura considerevole saranno chiamati a pagare il conto, all fine non potranno ridere. 

È ora di tornare a una politica finanziaria ed economica sana. È ora di smettere di sprecare i soldi dei contribuenti tedeschi in spese insensate in Europa. È il momento di AfD. 


giovedì 4 febbraio 2021

10 anni di attacchi a Mario Draghi dalla stampa tedesca

E' arrivato il momento del governo del Drago, e non è difficile ipotizzare quali siano i poteri e gli interessi dietro questa manovra politica. Questo blog tuttavia oggi propone una rapida carrellata su quasi 10 anni di attacchi da parte della stampa tedesca nei confronti dell'italiano Mario Draghi. Anche se la politica monetaria di Madame Lagarde è addirittura piu' espansiva di quella del predecessore, a lei la stampa che conta ha riservato un trattamento molto piu' rispettoso, segno evidente che gli attacchi a Draghi andavano ben oltre la politica monetaria e si appoggiavano invece sul solito cliché dell'italiano inaffidabile e spendaccione. C'è una parte molto ampia del paese, tuttavia, che investendo in immobili ed azioni, grazie alla liquidità illimitata della BCE e i tassi a zero, negli ultimi 10 anni è riuscita ad arricchirsi, eppure su buona parte della stampa ancora oggi prevale la narrazione dell'esproprio ai danni del laborioso risparmiatore tedesco. Dalla stampa tedesca, 16 articoli a partire dal 2012



Thomas Fricke - Perché i tedeschi dovrebbero solo ringraziare l'italiano Mario Draghi


"Il becchino del risparmiatore tedesco"